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 Diritto Civile Contemporaneo
Rivista trimestrale online ad accesso gratuito ISSN 2384-8537
www.dirittocivilecontemporaneo.com
Anno II, numero II, aprile/giugno 2015
Identità di genere: per cambiare l’intervento chirurgico non è (più) necessario
(secondo il Tribunale di Genova)
Francesca Bartolini Identità di genere: per cambiare l’intervento chirurgico non è (più)
necessario (secondo il Tribunale di Genova)
di Francesca Bartolini
La strada battuta dal Tribunale di Messina (Trib. Messina, 4 novembre 2014 in
Dir. civ. cont. 7 marzo 2015) trova un’ulteriore conferma nella decisione del
Tribunale di Genova, 5 marzo 2015, che ha autorizzato la rettifica
dell’attribuzione del sesso M2F (male to female), sul solo presupposto della modifica
dei caratteri sessuali secondari (segni caratteristici del sesso maschile o femminile
come distribuzione della massa muscolare, timbro della voce etc.), senza quindi
richiedere l’intervento chirurgico di ablazione dei caratteri sessuali primari (quelli
riproduttivi).
Il decisum ha un che di rivoluzionario o, almeno, dà un contributo importante
all’orientamento che recentemente scuote il binomio – finora pressoché
indiscusso –chirurgia/cambio anagrafico.
Brevemente il caso: l’attore (di sesso biologico maschile), celibe e senza figli,
ricorre al Tribunale di Genova dichiarando di aver da tempo intrapreso un
percorso di transizione con il supporto di uno psicologo, attraverso cure
farmacologiche e ormonali, trattamenti laser, un intervento di mastoplastica
additiva; chiede, quindi, di poter accedere alla rettificazione anagrafica, così da
poter vivere «con coerenza e pienezza la propria identità femminile» senza però
ricorrere all’intervento chirurgico di modifica dei caratteri sessuali perché non
indicato «alla luce dell’attuale situazione fisica ormonale».
La domanda centra il punto critico: la rettificazione chirurgica è ritenuta
condizione necessaria per autorizzare quella anagrafica, ma il binomio tiene
ancora, nel contesto odierno?
La regola risponde a un input di carattere culturale tipico del nostro sistema (ma
non perciò solo meritevole di adesione, segnala BILOTTA, voce Transessualismo, in
www.dirittocivilecontemporaneo.com Diritto Civile Contemporaneo Anno II, numero II, aprile/giugno 2015 Rivista trimestrale online ad accesso gratuito ISSN 2384-­‐8537 Digesto, discipline privatistiche, Agg., Torino, 2013, 733), che a propria volta si fonda
su un dato biologico: la sovrapposizione fra sessualità e procreazione. Perciò, la
modifica radicale dei caratteri sessuali primari ha costituito un passaggio
necessitato del percorso di transizione culminante nella rettificazione anagrafica
(per via della quale la persona si presenta ai terzi con caratteristiche
irreversibilmente chiare). Ma il binomio, del resto, scaturisce dalla lettura (ritenuta
fino a qualche tempo fa l’unica possibile) della disciplina sul procedimento di
rettificazione di attribuzione di sesso [espressa da ultimo con d.lgs. 150/2011]. Vi
si dispone (art. 1, l. 164/1982, ancora utile come norma di rinvio) che «[l]a
rettificazione si fa in forza di sentenza del tribunale passata in giudicato che
attribuisca ad una persona sesso diverso da quello enunciato nell’atto di nascita a
seguito di intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali». E se «a seguito di»
pare chiaramente indicare come necessarie le «intervenute modificazioni», i
«caratteri sessuali» sono stati tradizionalmente (sotto)intesi come quelli primari.
Inoltre, la portata dell’art. 31 del decreto (che riproduce in sostanza l’art. 3 l.
164/1982) secondo il quale «[q]uando risulta necessario un adeguamento dei
caratteri sessuali da realizzare mediante trattamento medico-chirurgico, il tribunale
lo autorizza con sentenza passata in giudicato» è stata generalizzata, riferendo
l’ipotesi negativa individuata dal «quando necessario» alle ipotesi in cui l’istante
avesse già provveduto alla rettifica chirurgica.
L’erosione del macigno interpretativo appena accennato si è snodata su due fasi,
sempre condotte da giudici di merito. Il Tribunale di Roma (18 ottobre 1997, in
Diritto di famiglia e delle persone, 1998, 1033, con nota di LA BARBERA,
Transessualismo e mancata volontaria, seppur giustificata, effettuazione dell’intervento medicochirurgico), nell’autorizzare la rettificazione anagrafica, ha rinunciato a imporre
l’intervento chirurgico sui caratteri sessuali primari, perché, nel caso specifico,
capace di determinare un rischio per la salute della persona. Il caso ha sì iniziato
un discorso sulla possibilità di autorizzare la rettifica anagrafica senza ricorrere alla
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disciplina. Ha prevalso, allora, la specificità della situazione, consentendo di
evitare il vero problema.
Il secondo passaggio è arrivato oltre dieci anni più tardi, consegnandoci un
assunto assai più impegnativo: che l’intervento non può imporsi, non solo quando
si dimostri uno specifico pericolo per la salute, ma anche quando la persona
transessuale non lo ritenga per sua scelta una parte necessaria del proprio percorso
di transizione. A esprimere questo punto di vista sono alcune decisioni di merito
(ad es. Trib. Rovereto, 3 maggio 2013, la già evocata in apertura Trib. Messina, 4
novembre 2014; ma vedi Trib. Vercelli, 12.12.2014, n. 154, secondo cui,
coerentemente con l’orientamento tradizionale «[a]i fini della rettifica anagrafica
dell’attribuzione di sesso è necessaria una modificazione dei caratteri sessuali cd.
primari dell'istante attraverso intervento medico-chirurgico demolitivo e
ricostrutttivo degli organi genitali riproduttivi. Ciò (de jure condito ed in
mancanza di una rimeditazione legislativa della questione volta ad uniformare la
normativa interna a quella degli Stati europei) alla luce della presumibile
intenzione del Legislatore, che, se avesse voluto fare propria la distinzione
concettuale medico-anatomica tra caratteri sessuali primari e secondari, avrebbe
potuto farlo espressamente, oltretutto chiarendo la modificazione di quali e di
quanti caratteri sessuali secondari, e con quale grado di profondità, sarebbe stata
sufficiente ad ottenere la rettificazione»), una delle quali (Trib. Trento ord. 20
agosto 2014) ha chiamato la Corte Costituzionale a pronunciarsi sulla
compatibilità con l’impianto costituzionale dell’art. 1 l. 164/1982 «nella parte in
cui subordina la rettificazione di attribuzione di sesso alla intervenuta
modificazione dei caratteri sessuali della persona istante, con riferimento ai
parametri costituzionali di cui agli artt. 2, 3, 32 e 117 primo comma Cost.».
La decisione del Tribunale di Genova si colloca in questo panorama, offrendo un
importante spunto prognostico sulla questione, nell’attesa che la Corte
Costituzionale si esprima (come è già avvenuto sull’altra questione del “divorzio
imposto” alla persona transessuale coniugata prima di iniziare il percorso di
www.dirittocivilecontemporaneo.com Diritto Civile Contemporaneo Anno II, numero II, aprile/giugno 2015 Rivista trimestrale online ad accesso gratuito ISSN 2384-­‐8537 transizione con sentenza n. 170/2014, in Dir. civ. cont. 28 agosto 2014, con nota di
BARTOLINI, Cambiare sesso da sposati: la Consulta sul divorzio del transessuale. Sul
"divorzio imposto" al transessuale confronta da ultimo Cass., 21 aprile 2015, n.
8097).
Il collegio genovese accoglie la prospettiva progressista, autorizzando la
rettificazione anagrafica senza che l’istante debba sottoporsi all’intervento ablativo
dei caratteri sessuali primari. La motivazione si sviluppa su due punti: in prima
battuta si richiama la Corte Costituzionale n. 161/1985, per ricordare che: i) una
civiltà in evoluzione, attenta ai valori della libertà e della dignità della persona,
riconosce l’identità sessuale come situazione composita, non appiattita sul dato
biologico, ma arricchita da aspetti psichici e relazionali; ii) il sistema dell’intervento
autorizzato dal Tribunale delineato dalla l. 164/1982 è ampiamente compatibile
con l’impianto costituzionale e con i suoi precipitati, come l’indisponibilità del
corpo, perché, da una parte, è un mezzo idoneo a garantire la coincidenza fra
soma e psiche, garantendo la tutela della salute psichica dell’interessato, dall’altra
favorisce la chiarezza dei rapporti sociali e la certezza di quelli giuridici.
A questa premessa segue l’accertamento in concreto della serietà dell’istanza di
rettificazione, con la prova che la mancata autorizzazione integrerebbe un
ostacolo al pieno realizzarsi della personalità del’istante, di talchè è senz’altro
opportuno autorizzare la rettificazione anagrafica.
Per superare la forca chirurgica il Tribunale di Genova rivaluta il dato letterale
della
disciplina
summenzionata,
dandone
un’interpretazione
diversa,
“possibilista”. La lettera della disposizione prevede, da un lato, che si ricorra
all’intervento solo quando necessario, dall’altro non specifica «se per carattere
sessuali debbano intendersi quelli primari o quelli secondari e sino a che punto
debbano essere modificati». E allora, se il faro eremeneutico deve essere,
nell’ottica costituzionalmente orientata, «la coerente attuazione del diritto alla
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(psichica) al genere opposto rispetto al biologico è certa, «il trattamento chirurgico
è necessario nella misura in cui occorra assicurare all’interessato uno stabile
equilibrio psicofisico, qualora la discrepanza tra psicosessualità ed il sesso
anatomico determini nello stesso interessato un negativo atteggiamento
conflittuale di rifiuto nei confronti dei propri organi genitali, mentre nei casi in cui
non si riscontri tale conflittualità non si deve ritenere necessario l’intervento
chirurgico per consentire la rettifica dei dati anagrafici». Nel caso di specie
l’intervento non è necessario, chiosa il Tribunale autorizzando la rettifica.
In prima approssimazione (ma la riflessione verrà affidata a una più articolata
esposizione in un commento di prossima pubblicazione per Corriere Giuridico)
sembra che il giudizio prognostico non possa sfuggire a due riflessioni, una prima
di merito e una seconda di metodo.
La meta della libertà da una disciplina impositiva oltre ogni ragionevolezza (come
dimostra l’esperienza di quasi tutti i paesi europei, per restare in ambiti a noi vicini
– PATTI, Il divorzio della persona transessuale in Europa, in Riv. crit. dir. priv., 2012,
163) di pratiche molto invasive e spaventose (RODOTÀ, La vita e le regole, Milano,
2009, 88 e MARELLA, “Diritti della persona”, in AMADIO e MACARIO (a cura
di), Diritto civile. Norme, questioni, concetti, I, Bologna, 2014, 152-153) ove non
desiderate deve essere conquistata al più presto. Ma non senza accorgimenti di
disciplina capaci di fugare il pericolo del “caos relazionale”, incompatibile con una
vita sociale in quella stessa società civile ove i rapporti sono anche giuridici (quindi
chiari e certi), come indici di accertamento di un transessualismo chiaro, e
irreversibilità della scelta.
E la seconda: a chi spetta il compito di procedere in tal senso? Dovrebbe essere il
legislatore a intervenire, ma non possiamo aspettarci che lo faccia: non molto
tempo fa, nel 2011 ne ha avuto l’occasione, ma non la ha potuta o voluta cogliere.
Del resto, su questioni legate ai diritti della persona, come singolo o nelle
formazioni sociali di cui all’art. 2 Cost., il legislatore è stato più volte invitato a
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imposto”, innescando però una reazione giurisprudenziale quantomeno bizzarra,
come segnala RUGGERI, Il matrimonio “a tempo” del transessuale: una soluzione
obbligata e… impossibile? [a prima lettura di Cass., I sez civ., n. 8097 del 2015], in
Consulta online 28 aprile 2015), senza risultato. Sarà allora il giudice delle leggi,
un’altra volta, a supplire in qualche modo, ma non avrà un compito facile, perché
occorrerà, da una parte, individuare il parametro costituzionale con molta cura, e
scardinare l’impostazione che, trent’anni fa, è pur vero, legittimò la nostra attuale
disiplina, dall’altra, usare con rigore gli strumenti decisori, per evitare di vestire
panni non suoi.
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F. BARTOLINI, Identità di genere: per cambiare l’intervento chirurgico non è (più) necessario
(secondo il Tribunale di Genova), in Dir. civ. cont., 3 giugno 2015
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