SAPIENZA UNIVERSITÀ DI ROMA FACOLTÀ DI INGEGNERIA Corso di Laurea Specialistica in Ingegneria Biomedica SVILUPPO DI UN SISTEMA DI CONTROLLO DI QUALITA’ PER CRISTALLI SCINTILLANTI PER TOF PET RELATORE Prof. Vincenzo Patera LAUREANDO Fabrizio Stinchelli CORRELATORE Prof. Adalberto Sciubba ANNO ACCADEMICO 2009/2010 1 Alla mia Famiglia 2 INDICE Introduzione Capitolo 1 – PRINCIPI DI FUNZIONAMENTO DELLA TECNOLOGIA TOF PET 1.1- Tomografia ad emissione di positroni (PET) 1.2- PET con tempo di volo (TOF PET) 7 11 1.3- Principi di funzionamento di rivelatori a scintillazione 1.3.1- Scintillatori 17 1.3.2- Fotomoltiplicatori 25 1.4- Stato dell’arte degli scintillatori per TOF PET 31 Capitolo 2 – SET-UP SPERIMENTALE 2.1- Standard NIM e VME 38 2.1.1- Standard NIM 38 2.1.2- VME 42 2.2- Analisi plateau di scintillatori plastici e LYSO 46 2.3- Calibrazione TDC V488A 59 2.4- Contatori a scintillazione NaI: caratteristiche e calibrazione 67 2.5- Calibrazione Waveform Digitizer mod. V1721 71 2.6- Schema di acquisizione 74 Capitolo 3 – ANALISI DATI 3 3.1- NaI(Tl) & NaI(Tl) : caratterizzazione del sistema di controllo di qualità 78 3.1.1- Risoluzione temporale 78 3.1.2- Risoluzione energetica 81 3.1.2.1- Premessa 81 3.1.2.2- Calibrazione energetica dei NaI(Tl) 84 3.2- NaI(Tl) & LYSO 92 3.2.1- Risoluzione temporale 92 3.2.2- Risoluzione energetica 94 3.3- Conclusioni 100 Ringraziamenti 101 Appendice A 102 Appendice B 103 Bibliografia 105 4 Introduzione La scoperta dei raggi X da parte di Wilhelm Conrad Roentgen nel 1895 ha aperto la strada alla radiologia nel campo dell’imaging medicale; però l’evoluzione della medicina degli ultimi anni ha richiesto modalità di imaging che forniscano informazioni aggiuntive rispetto alla semplice osservazione morfologica. Per questo motivo un interesse crescente è mostrato verso le tecniche di imaging funzionale e molecolare. L’imaging molecolare è una disciplina della ricerca fisico-medica che si può definire come la rappresentazione visuale, la caratterizzazione e la quantificazione dei processi biologici che avvengono in un essere vivente a livello cellulare e sub-cellulare. Le immagini ottenute riflettono quindi i percorsi cellulari e molecolari, nonché i meccanismi di evoluzione di una patologia. A tal fine si utilizzano opportuni “probes” molecolari come sorgente di contrasto per l’immagine. Questi sono solitamente ottenuti a partire da un composto affine che interagisce con il target di interesse (sia esso ad esempio un tessuto o un determinato percorso metabolico) con l’aggiunta di una componente che produce un segnale. Nel caso dell’imaging mediante radionuclidi (imaging nucleare) la componente di segnale è un atomo radioattivo che viene inserito nella componente affine attraverso sostituzione isotopica (ad esempio 12 C con 11C) , sostituzione non isotopica (H con 68 l’introduzione di atomi più pesanti come Ga o 18 F) o attraverso 99m Tc. La crescente importanza che le tecniche che utilizzano radiotraccianti attualmente rivestono, deriva dal fatto che esse costituiscono un valido approccio per l’indagine in vivo dei processi molecolari che avvengono a livello cellulare, come ad esempio processi di metabolizzazione anormale del glucosio (indice della presenza di cellule neoplasiche) o di modificazioni metaboliche legate alla presenza o meno di cellule transgeniche. Utilizzando le tecniche standard di indagine medicale che non utilizzano radionuclidi, quali Risonanza Magnetica (RM) e la Tomografia Assiale Computerizzata (TAC), non è possibile studiare precisamente i meccanismi coinvolti nelle interazioni biochimiche a livello pico- o sub-picomolare a causa della loro limitata sensibilità in questo ambito. Invece gli studi che possono essere eseguiti con tecniche come la PET (Positron Emission Tomography) e la SPECT (Single Positron Emission Tomography), vanno dalla diagnostica per immagini standard della medicina nucleare, fino a complesse analisi sulla cinetica dei farmaci. Il tipo di analisi dipende dalle proprietà biochimiche del radiotracciante utilizzato, del quale ne esistono due categorie: la prima comprende i radiotraccianti aspecifici che seguono un determinato percorso biochimico e che permettono la misura dell’attività tessutale e 5 metabolica, individuando processi fisiologici o biochimici anormali (radiofarmaci aspecifici per la PET sono ad esempio 15 O-acqua, tracciante inerte usato per la misura del flusso sanguigno nel cervello, o 18F-fluoro-desossoglucosio (18F-FDG), precursore del glucosio che ne segue il processo di metabolizzazione). La misura dell’attività tessutale si ottiene confrontando la distribuzione all’interno dell’organo di un opportuno radiofarmaco con la distribuzione dello stesso in un organo sano. La seconda categoria comprende i radiotraccianti specifici che interagiscono direttamente con un sito ricettore e sono impiegati per tracciare uno specifico processo fisiologico o biochimico (a questi appartengono ad esempio il 18F-Fallypride usato nella PET per tracciare i recettori della dopamina D2). Attualmente circa il 90% degli studi clinici PET riguardano indagini oncologiche effettuate con il 18F-FDG. In questo panorama si inserisce sia l’aggiunta dell’informazione TOF (derivante cioè dai tempi di volo dei fotoni gamma prodotti dall’annichilazione del positrone β+) alla PET (discussa nel capitolo 1), sia la necessità di un sistema di controllo di qualità degli scintillatori utilizzati per TOF PET. Infatti la tesi ha lo scopo di sviluppare un sistema di controllo di qualità per cristalli scintillanti per TOF PET: nel Capitolo 1 verranno mostrati i principi di funzionamento della tecnologia TOF PET e soprattutto i rivelatori utilizzati; dopo questa panoramica, nel Capitolo 2 verrà messo in opera un apparato di acquisizione dati (tempi e cariche) per poter studiare la risposta temporale ed energetica dei rivelatori per TOF PET; infine nel Capitolo 3 prima verrà caratterizzato il sistema di controllo di qualità per cristalli scintillanti, grazie all’utilizzo di una coppia di NaI(Tl), poi si testerà un cristallo di LYSO, in dotazione al laboratorio di Scienze di base ed applicate per l’Ingegneria, valutandone la risoluzione temporale ed energetica. 6 CAPITOLO 1 PRINCIPI DI FUNZIONAMENTO DELLA TECNOLOGIA TOF PET 1.1- Tomografia ad emissione di positroni (PET) La Tomografia ad emissione di positroni è una tecnica di imaging nucleare che permette la misura in vivo della concentrazione locale di radiofarmaci che emettono positroni (β+). Uno degli aspetti più interessanti della PET consiste nella possibilità di utilizzare radioisotopi corrispondenti ad elementi stabili presenti nella materia biologica. Questi se sono sostituiti ad un atomo stabile di una molecola biologica non ne cambiano la biochimica permettendo, con un esame di tipo PET, di seguire in vivo la distribuzione di farmaci e agenti fisiologici radiomarcati. Il 18F ha proprietà chimiche simili all’idrogeno e può essere sostituito a quest’ultimo in molte molecole naturali quali amminoacidi, carboidrati, lipidi ed una grande quantità di farmaci. Tra i radioisotopi molecolari solitamente usati nell’analisi PET (tabella di figura 1.1) come marcatori di molecole biologicamente attive, si adoperano ad esempio: un analogo del glucosio marcato 18 F, 2-[18F]fluoro-2-deoxy-D-glucose (FDG), che, dopo aver seguito la metabolizzazione del glucosio, tramite la fosforilazione mediata dall’enzima esochinasi si trasforma in FDG-6-PO4, substrato non utilizzabile per le reazioni seguenti e che è ritenuto nella cellula; oppure un analogo della timidina marcato 18 F, 3′-deoxy-3′-[18F] fluorothymidine (FLT). Questo si comporta allo stesso modo del FDG, eccetto che i processi sotto esame, cioè il trasporto della timidina e la fosforilazione, sono usati come stima della replicazione del DNA e perciò della proliferazione cellulare. 7 Fig. 1.1- I principali radioisotopi utilizzati nella PET. Il processo fisico utilizzato consiste nella rivelazione dei due gamma di energia pari a 511 keV emessi in seguito al decadimento β+ del radioisotopo e successiva annichilazione del positrone con un elettrone del tessuto (figura 1.2). I due fotoni vengono emessi simultaneamente lungo la stessa direzione ma in verso opposto, e la loro direzione di volo viene misurata utilizzando una serie di rivelatori in coincidenza temporale posti attorno al paziente. Fig. 1.2- Principio fisico della tomografia ad emissione di positroni. 8 La rilevazione in coincidenza dei due γ all’interno di una finestra temporale tipicamente di circa 10 ns definisce la linea di risposta (Line-Of-Response o LOR) e dunque la direzione lungo la quale è avvenuta l’annichilazione. Un tomografo PET è solitamente costituito da più anelli di rivelatori posti attorno all’oggetto da osservare. Ogni rivelatore è messo in coincidenza temporale con i rivelatori che giacciono su un arco di circonferenza diametralmente opposto. L’intersezione tra tutti i settori così definiti, definisce il campo di vista (FOV) del tomografo. L’acquisizione tomografica si ottiene registrando le LOR a vari angoli. In modalità PET la risoluzione spaziale massima ottenibile è limitata sia dalla fisica del decadimento β+, sia dalle tecnologie utilizzabili per la rivelazione dei γ in coincidenza. Il positrone viene emesso con un’energia cinetica non nulla e viene rallentato nel tessuto attraverso interazioni coulombiane. La perdita di energia continua finché il positrone, raggiungendo l’equilibrio termico con il mezzo circostante, non annichila con un elettrone. Il range del positrone dipende dalla densità elettronica del mezzo. In acqua, che rappresenta la componente principale del mezzo biologico, il range del positrone emesso da un tipico radioisotopo per la PET è dell’ ordine di 1-2 mm. Questo effetto range degrada la risoluzione spaziale del tomografo PET. Inoltre l’annichilazione avviene con un elettrone legato quando il positrone ha raggiunto l’equilibrio termico; come conseguenza i due fotoni non sono emessi a riposo e dunque si ha una deviazione dalla collinearità che, in acqua, vale ± 0.25°. L’effetto range e la non collinearità sono i due processi fisici fondamentali che limitano la risoluzione spaziale della PET. La risoluzione ottenibile in PET dipende anche da altri fattori come la dimensione dei cristalli scintillanti, il sistema di codifica utilizzato e l’algoritmo di ricostruzione. Perciò la FWHM (full width half maximum) della risoluzione spaziale ottenibile può essere espressa come: 2 (1.1) d 2 FWHM = 1.2 + b 2 + (0.0022 D ) + r 2 2 dove: 1.2= fattore di degradazione dovuto alla ricostruzione tomografica; d = dimensione dei cristalli; b = inaccuratezza della codifica; 0.0022 = 1/2 tan(0.25°), dove 0.25° è la non-collinearità media dei γ di annichilazione; 9 D = distanza tra i rivelatori; r = dimensione efficace della sorgente, incluso il range del β+. Lo scintillatore è responsabile della conversione dell’energia di ionizzazione depositata dai γ in luce la quale è poi rivelata e amplificata da un fotomoltiplicatore. Per gli scanner PET sono usati scintillatori inorganici con i seguenti parametri fisici che ne caratterizzano le prestazioni: - L’efficienza di rivelazione, che dipende dalla densità ρ, dal numero atomico efficace (Zeff) (che influenzano la lunghezza di attenuazione (λ) per i γ secondo la formula approssimata λ ∝ ρ(Zeff)4) e dalla sezione d’urto per effetto fotoelettrico. - La risoluzione energetica, che è associata alla resa di luce dello scintillatore (Nfotoni/MeV) definita come il numero di fotoni di fluorescenza emessi per MeV di energia persa dal γ per un evento di assorbimento totale del cristallo. - La risoluzione temporale è associata al tempo di decadimento della transizione fluorescente. Il contributo principale alla FWHM osservato nell’allargamento temporale può essere presentato come ∆t = τ / Nfotoni , dove τ è la costante di decadimento dello scintillatore e Nfotoni è il numero totale di fotoni emessi dallo scintillatore. Perciò la risoluzione temporale influisce sulla capacità di discriminare eventi in coincidenza nonché sul rate massimo di conteggio del rivelatore (come si vedrà nel capitolo 3, proprio su questo principio si baseranno gli studi effettuati per il calcolo della risoluzione temporale degli scintillatori NaI(Tl) adoperati). Per applicazioni PET ad alto rate di conteggio, il tempo di decadimento dovrebbe essere più corto possibile per permettere una buona risoluzione di coincidenza temporale e minimizzare gli eventi di coincidenza casuali. Il discorso della risoluzione temporale diventa sempre più predominante con l’aggiunta della tecnologia TOF alla PET, ecco perché è uno degli argomenti più importanti della tesi. - Altri parametri sono la lunghezza d’onda di emissione e l’indice di rifrazione (importanti per l’accoppiamento con il fotomoltiplicatore), nonché le proprietà meccaniche ed igroscopiche,la resistenza alla radiazione, il costo e la disponibilità sul mercato. 10 1.2 – PET con tempo di volo (TOF PET) La flessibilità e i vantaggi della Time-Of-Flight (TOF) positron emission tomography (PET) furono scoperte nei primi anni ’80, quando l’idea di usare l’informazione TOF nella PET era stata implementata nella prima generazione di TOF PET scanner. L’informazione TOF è usata nella convenzionale PET per determinare se due fotoni rilevati sono in “coincidenza temporale” e quindi derivino dallo stesso evento di annichilazione del positrone. Ogni fotone rilevato è “etichettato” con la posizione del rilevatore e il tempo di rilevazione: se la differenza temporale di rilevazione tra i due fotoni è più piccola di una finestra di coincidenza settata (tradizionalmente 5 – 10 ns), i due eventi sono considerati fisicamente correlati allo stesso evento di annichilazione. La ricostruzione PET convenzionale usa l’informazione TOF solo per identificare la linea lungo la quale è avvenuta l’annichilazione; questa però è non adatta a determinare quale voxel (pixel tridimensionale) lungo la linea, è la sorgente dei due fotoni, perciò tutti i voxel lungo la linea hanno la stessa probabilità di emissione. La TOF PET usa la differenza di tempo di volo per localizzare meglio la posizione di annichilazione del positrone emesso. La differenza di tempo di volo t è direttamente relazionata alla distanza x del punto di annichilazione dal centro del campo di vista (FOV) ( x = ct/2 ), lungo la linea di risposta (LOR) identificata da due rivelatori in coincidenza, come mostrato in figura 1.3. In figura 1.3 TOFA è proporzionale alla distanza tra la sorgente e il rilevatore A, e TOFB è proporzionale alla distanza tra la sorgente e il rilevatore B. La limitazione nell’abilità di localizzare il punto di annichilazione è principalmente dovuta all’incertezza nella differenza di tempo misurata t. Gli eventi sono localizzati lungo la LOR identificata dai due rivelatori; la loro posizione più probabile è sistemata nella posizione corrispondente alla differenza di tempo di volo misurata t. La FWHM della funzione di probabilità è l’incertezza di localizzazione ∆x(FWHM) = c∆t/2. 11 Fig. 1.3- Modello geometrico di uno scanner per TOF PET. Una coppia di fotoni è generata nel pixel quadrato alla distanza x dal centro. Due rivelatori A e B sono selezionati nell’ anello di rilevatori. Nelle figure 1.4-1.5-1.6, è illustrata con una simulazione la differenza tra la ricostruzione convenzionale e quella TOF. Un disco di attività uniforme simulata con un hot spot interno è piazzato all’interno dell’anello di rivelatori (figura 1.4). Un algoritmo iterativo MLEM (Maximum Likelihood Expectation Maximization) è usato per la ricostruzione dell’immagine per entrambi i sistemi TOF e non-TOF. Gli algoritmi iterativi sono basati su un aggiornamento ripetitivo dell’immagine stimata basato su un confronto tra i dati di proiezione sperimentali e la proiezione in avanti dell’immagine stimata nello spazio di proiezione. Fig. 1.4- Disco di attività uniforme simulata posizionato al centro dell’anello di rivelatori. Sono tracciate alcune tracce di coppie di fotoni che raggiungono l’anello. In figura 1.5 è mostrato il metodo convenzionale di ricostruzione; una prima stima dell’immagine è ottenuta retro-proiettando gli eventi lungo la corrispondente LOR. 12 Fig. 1.5- (a) Un evento, rilevato dai rivelatori centrali a un angolo di 90°, è ugualmente retro-proiettato in tutti i pixel attraversati dalla LOR. (b) Tutti gli eventi a 0° e 90° sono retro-proiettati. (c) Immagine ottenuta alla fine della prima iterazione MLEM. In figura 1.6 è mostrato il corrispondente caso TOF. Ora gli eventi rilevati sono retroproiettati, assumendo una distribuzione di probabilità lungo la LOR che non è ampia. E’ utilizzata una distribuzione di probabilità Gaussiana, centrata nella posizione corrispondente al tempo di volo misurato, con una FWHM uguale alla risoluzione temporale misurata. Si può osservare che l’informazione addizionale data dalla TOF permette una migliore localizzazione della distribuzione di attività originale fin da una prima stima dell’immagine. Quindi la ricostruzione iterativa TOF converge più velocemente verso una “vera” immagine e l’informazione TOF aiuta l’algoritmo a convergere in un più piccolo numero di iterazioni. Inoltre l’ immagine ricostruita con l’ausilio del TOF risulta caratterizzata da un rumore più basso come si può notare dal confronto tra le immagini 1.5( c ) e 1.6( c ). Fig. 1.6- (a) Un evento rilevato da rilevatori centrali a 90°, è retro-proiettato lungo la LOR secondo una distribuzione di probabilità con una banda proporzionale alla risoluzione temporale. (b) Tutti gli eventi a 0° e 90° sono retro-proiettati. (c) Immagine ottenuta alla fine della prima iterazione di MLEM. 13 In effetti, la ricostruzione TOF riduce la propagazione del rumore lungo la LOR durante la retro-proiezione dei dati nella ricostruzione. Il rapporto segnale-rumore (SNR) convenzionale non-TOF è stato modellato in un caso semplice usando un algoritmo analitico di retroproiezione. In un cilindro di diametro D, con distribuzione uniforme di attività, Brownell e Strother hanno messo in relazione il SNR alla varianza in un elemento d’immagine e: (1.2) SNR = const ⋅ t e ⋅ VARe −1 / 2 dove te sono i conteggi di coincidenze vere in un elemento d’immagine e, VARe è la varianza delle coincidenze vere nell’elemento d’immagine e, ottenuta come una varianza pesata dei campioni da ogni proiezione che contribuisce all’elemento e. Considerando il quadrato elemento d’immagine e (di dimensione d×d) al centro del cilindro, te può essere stimata come segue: (1.3) te ≈ T 4d 2 d2 = T πD 2 π ( D 2) 2 dove con T si intende le totali coincidenze vere nell’immagine. Ora se si assume una statistica di Poisson per gli eventi e che le coincidenze casuali e quelle di diffusione abbiano una varianza trascurabile, la VARe può essere scritta in questo modo: (1.4) VARe = ∑ wθ (tθ + Sθ + Rθ ) = const ⋅(tθ + Sθ + Rθ ) θ dove tθ, Sθ, Rθ sono rispettivamente le coincidenze vere, diffuse e casuali rilevate nelle proiezioni a vari angoli θ che contribuiscono all’elemento d’immagine e; wθ è il fattore di peso. Siccome posso stimare tθ= T 4d 2 D 4d 2 D , S = assumendo che gli eventi di S ⋅ ⋅ θ πD 2 d πD 2 d diffusione siano uniformi nel cilindro e Rθ= R 4d 2 D assumendo che gli eventi casuali ⋅ πD 2 d siano uniformi nel cilindro; allora dalle (1.2), (1.3), (1.4) si può ricavare che il SNR di tale elemento d’immagine è: 14 (1.5) SNR = const ⋅ n −1 2 T2 (T + S + R ) dove T rappresenta i veri totali dell’immagine, S gli eventi di diffusione, R le coincidenze casuali e n il numero di elementi di volume influenzati dal rumore in tale elemento d’immagine. Nella ricostruzione, ogni evento rilevato è equamente retro-proiettato in tutti gli elementi d’immagine lungo la LOR, non solo nell’elemento d’immagine dove era generato. Quindi, tutti gli n elementi contribuiscono al rumore in ogni elemento d’immagine. In questo caso, n può essere stimato come nconv = D/d (figura 1.7 a). Nella ricostruzione TOF invece, ogni evento è retro-proiettato solo nella posizione associata a tale informazione TOF e nei pochi elementi di volume adiacenti ad esso, con un peso dato da una funzione di probabilità di larghezza ∆x; ∆x è l’incertezza di localizzazione, relazionata alla risoluzione temporale ∆t dall’equazione ∆x = c∆t/2. In questo caso,n può essere stimato come nTOF = ∆x/d (figura 1.7 b). Usando l’appropriato valore di n nell’equazione (1.5), si può ottenere una stima del SNR introdotto dalla ricostruzione TOF : (1.6) SNRTOF = D SNRnon −TOF ∆x 15 Fig. 1.7- (a) Nella ricostruzione non-TOF, tutti gli elementi di volume n trovati nell’ oggetto lungo la LOR contribuiscono al rumore in ogni elemento d’ immagine. (b) Nella ricostruzione TOF, solo gli elementi di volume n adiacenti alla posizione identificata dal TOF misurato contribuiscono al rumore locale. La quantità T2/(T+S+R) dell’equazione (1.5) è comunemente riferita al NEC (noise equivalent count rate), che è una misura dei conteggi rilevati corretti per il contributo del rumore delle coincidenze di diffusione e casuali, o una misura della sensibilità effettiva di uno scanner PET. Il NEC può essere espresso come il quadrato del SNR; e quindi la ricostruzione TOF è equivalente ad una amplificazione della sensibilità degli scanner per PET, come mostrato dall’equazione (1.7), derivante dalla (1.5) e dalla (1.6): (1.7) NECTOF = D NEC non −TOF ∆x Dalla (1.7) si nota che il guadagno NEC è direttamente proporzionale alla dimensione del paziente e inversamente proporzionale alla risoluzione temporale dello scanner PET. Questo sottolinea che il miglioramento della risoluzione temporale è la chiave per una migliore performance dei TOF PET scanner. Se sono considerati solo gli elementi di due rivelatori, la risoluzione temporale può essere misurata piazzando una sorgente puntiforme tra i rilevatori, e misurando la FWHM (full width half maximum) della distribuzione della differenza di tempo di volo tra i due rilevatori. In un sistema più complesso che adopera anelli o pannelli di rilevatori, la risoluzione temporale del sistema risulta dalla media della risoluzione temporale individuale associata con ogni coppia rivelatore-rivelatore, e potrebbe anche essere affetta da variazioni nella qualità del rilevatore e dell’elettronica di acquisizione. I rivelatori degli scanner per TOF PET sono basati su un cristallo inorganico che converte il fotone ad alta energia in fotone di luce, un tubo fotomoltiplicatore (PMT), e l’elettronica associata per modellare,amplificare e la discriminazione del tempo. 16 1.3– Principi di funzionamento dei rivelatori a scintillazione 1.3.1-Scintillatori In generale un rivelatore a scintillazione consiste di un materiale scintillante che è otticamente accoppiato con un fotomoltiplicatore o direttamente o tramite guida di luce. Quando una radiazione attraversa lo scintillatore, questa eccita le molecole del materiale scintillante causando un’emissione di luce. Questa luce è trasmessa al fotomoltiplicatore dove è convertita in una debole corrente di foto-elettroni che è poi amplificata da un sistema di moltiplicazione degli elettroni. La corrente risultante è quindi analizzata da un sistema elettronico (figura 1.8). I materiali dello scintillatore possiedono la proprietà nota come luminescenza. I materiali luminescenti, quando sono esposti a certe forme di energia, per esempio luce, calore o radiazione, assorbono e riemettono l’energia sotto forma di luce visibile. Se la ri-emissione avviene subito dopo l’assorbimento o più precisamente entro i 10-8 s (tempo preso per le transizioni atomiche), il processo è chiamato fluorescenza. Invece, se la ri-emissione è ritardata poiché lo stato eccitato è metastabile, il processo è chiamato fosforescenza. Fig. 1.8- Diagramma schematico di uno scintillatore-fotomoltiplicatore. In prima approssimazione, l’evoluzione temporale del processo di ri-emissione può essere descritto da un semplice decadimento esponenziale (figura 1.9): (1.8) N= −t exp τd τd N0 17 dove N è il numero di fotoni emessi al tempo t, N0 il numero totale di fotoni emessi, e τd è la costante di decadimento. Fig. 1.9- Decadimento esponenziale di radiazione fluorescente. Un buon scintillatore dovrebbe soddisfare i seguenti punti: - Alta efficienza per la conversione di energia di eccitazione a radiazione fluorescente. - Trasparenza alla propria radiazione fluorescente così da consentire la trasmissione della luce. - Emissione in un range spettrale consistente con la risposta spettrale dei fotomoltiplicatori accoppiati. - Costante di decadimento più bassa possibile. Gli scintillatori plastici sono probabilmente, nella fisica nucleare e delle particelle, i più ampiamente utilizzati tra gli scintillatori organici. Le più comuni e usate plastiche sono poliviniltoluene, polifenilbenzene e polistirene. Gli spettri di emissione di luce di diversi scintillatori plastici sono mostrati in figura 1.10; i plastici offrono un segnale estremamente veloce con una costante di decadimento dell’ ordine di 2-3 ns e un alto output di luce (figura 1.10). 18 NE102A Tempo di decadimento[ns] 2.4 Output di luce (% Antracene) 65 λ di max emissione [nm] 423 Fig. 1.10- Spettro di emissione dello scintillatore plastico NE102A con relativa tabella che illustra alcune caratteristiche. La migliore descrizione matematica dell’impulso di luce (visto il veloce decadimento), come mostrato da Bengston e Moszynski, sembra essere la convoluzione di una gaussiana con un esponenziale: (1.9) −t N (t ) = N 0 f (σ , t ) exp τ dove f(σ,t) è una gaussiana con deviazione standard σ. Uno dei vantaggi dei plastici è la loro flessibilità. Sono facilmente prodotti per diversi scopi e progettati in diverse forme desiderate; si ha un’ampia varietà di forme che vanno da spessori sottili a larghe superfici, blocchi e cilindri e sono relativamente poco costosi. Gli scintillatori inorganici sono principalmente cristalli di metalli alcalini contenenti impurità attivatrici. Il materiale più comune è NaI(Tl), dove il tallio è l’impurità attivatrice; meno comune per esempio è CsI(Tl) che utilizza sempre tallio. Lo spettro di emissione di luce di alcuni scintillatori inorganici è mostrato in figura 1.11. 19 Fig. 1.11- Spettro di emissione di alcuni scintillatori inorganici In generale, gli scintillatori inorganici sono più lenti (∼500 ns) nella risposta degli scintillatori plastici. Un grande svantaggio di alcuni cristalli inorganici è l’igroscopicità; NaI ne è un esempio. Per proteggerlo dall’umidità in aria, viene collocato in un vano a chiusura ermetica. Il vantaggio dei cristalli inorganici è nella potenza d’arresto alta dovuta alla loro alta densità e alto numero atomico. Tra tutti gli scintillatori hanno i più alti output di luce, questi conferiscono una migliore risoluzione energetica e quindi sono ideali per le applicazioni PET. Mentre NaI è stato per lungo tempo lo standard per tali scintillatori, recentemente altri due materiali sono stati studiati con attenzione; questi sono Bi4Ge3O12 (germanato di bismuto o BGO) e BaF2 . Il BGO è particolarmente interessante per il suo alto Z e alta efficienza di conversione fotoelettrica di raggi γ. Mentre il meccanismo di scintillazione nei materiali organici è di natura molecolare, negli scintillatori inorganici è chiaramente caratteristico della struttura della banda elettronica trovata nel cristallo. In un cristallo puro il passaggio di una particella ionizzante può provocare il passaggio di un elettrone dalla banda di valenza alla banda di conduzione. Il ritorno dell’elettrone alla banda di valenza, con relativa emissione di un fotone, è però un processo inefficiente, ed in più i fotoni sarebbero emessi nell’ultravioletto, che è una regione di scarsa efficienza per i fotocatodi dei fotomoltiplicatori. Per aumentare la probabilità di emissione di fotoni ottici durante il meccanismo di diseccitazione, la struttura delle bande viene modificata mediante l’introduzione di apposite impurezze. La presenza di impurezze significa avere un certo numero di atomi di tali sostanze uniformemente distribuiti all’interno 20 del reticolo cristallino. Le impurezze introdotte vengono anche chiamate centri attivatori, a causa della funzione che vanno a svolgere. Esse danno origine a dei livelli energetici, spazialmente localizzati, che si vanno a collocare all’interno della banda proibita (figura 1.12). La particella ionizzante può trasferire sufficiente energia ad un elettrone da portarlo nella banda di conduzione. Questo è il classico meccanismo di ionizzazione in cui gli elettroni e le lacune generati si muovono liberamente nel reticolo. Un’altra possibilità è invece che l’energia ceduta all’elettrone non sia sufficiente per portarlo in banda di conduzione, cosicché esso rimane elettrostaticamente legato alla lacuna. Questo stato debolmente legato si chiama “eccitone”. L’eccitone si può muovere attraverso tutto il cristallo ma non contribuisce alla conduzione poiché la sua carica totale è nulla. L’eccitone durante la sua diffusione attraverso il cristallo può venir catturato da un centro attivatore, che a sua volta si disecciterà attraverso emissione di radiazione: la lunghezza d’onda del segnale luminoso non è quindi legata alle impurezze e non al cristallo che, per questo motivo, risulta trasparente ad essa. Quindi questo fatto risulta estremamente vantaggioso in quanto il cristallo risulta trasparente alla luce di diseccitazione che se venisse riassorbita non potrebbe essere rivelata dal fotomoltiplicatore. Fig. 1.12- Struttura di banda elettronica dei cristalli inorganici. L’output di luce di uno scintillatore si riferisce più specificatamente alla sua efficienza nella conversione di energia di ionizzazione in fotoni. In generale, per semplicità, si può assumere che gli scintillatori rispondano in modo lineare rispetto all’energia di eccitazione, cioè che la 21 luce fluorescente emessa L, è direttamente proporzionale all’ energia, E, depositata dalla particella ionizzante: (1.10) L∝E In realtà però, questa relazione lineare è vera solo in prima approssimazione; la risposta di uno scintillatore è una complessa funzione non solo dell’energia ma anche del tipo di particella incidente e della sua specifica ionizzazione. Il primo modello semi-empirico di successo è quello di Birks: assumendo che la risposta degli scintillatori organici sia ideale, Birks spiega che le interazioni tra molecole eccitate dal passaggio di una particella, dissipano energia che quindi non è più disponibile per la luminescenza. E allora maggiore è l’energia di ionizzazione, maggiore è la densità di molecole eccitate e maggiori sono le interazioni dissipanti di cui abbiamo accennato. In questo modello l’output di luce per unità di lunghezza, dL/dx è: (1.11) dL = dx dE dx dE 1 + kB dx A dove A è l’ efficienza assoluta dello scintillatore, kB è un parametro che relaziona la densità dei centri di ionizzazione a dE/dx. Come si vede dall’equazione (1.11), se dE è bassa (cioè dx per basse energie depositate nello scintillatore), si ha la proporzionalità tra l’output di luce e l’energia rilasciata dalla particella perciò lo scintillatore è lineare; se invece dE non è bassa dx (alte energie depositate nello scintillatore), l’output di luce rimane costante anche all’aumentare dell’energia rilasciata. Questo perché tutti i gap energetici sono stati riempiti e non si possono avere altre emissioni di luce, anche se aumenta l’energia rilasciata dalla particella che attraversa il materiale. Ci sono anche altri modelli, comunque in tutti i casi per piccoli dE/dx si ha: (1.12) dL dE ≈ dx dx come è osservato sperimentalmente. 22 Anche negli scintillatori inorganici la dL/dx varia con l’energia, comunque la dipendenza è in genere minore. Alcuni scintillatori sono capaci di discriminare la forma dell’impulso (pulse shape discrimination PSD) cioè di distinguere tra differenti tipi di particelle incidenti dalla forma dell’impulso di luce emessa (figura1.13). La spiegazione di questo effetto sta nel fatto che le componenti lente e veloci derivano dalla diseccitazione dei differenti stati dello scintillatore; dipendendo dalla specifica perdita di energia della particella (dE/dx), questi stati sono popolati in differenti proporzioni, così che le intensità relative di due componenti sono differenti per differenti dE/dx. Fig. 1.13- Discriminazione della forma dell’impulso dello STILBENE per particelle α,raggi γ e neutroni. Infine per la scelta di uno scintillatore, è importante conoscere la loro intrinseca efficienza di rilevazione per vari tipi di radiazione. Gli scintillatori sono in genere poco adatti alla rilevazione di ioni pesanti per un output di luce basso; questo è dovuto alle energie di ionizzazione alte di tali particelle che inducono effetti di saturazione. La radiazione beta ha uno spettro continuo, quindi la risoluzione del rivelatore non è importante. 23 In contrasto con gli elettroni, i raggi γ sono rilevati più efficacemente da materiali ad alto Z. Questa differenza può essere meglio compresa richiamando le tre interazioni di base con le quali i fotoni reagiscono con la materia: l’effetto fotoelettrico, la diffusione Compton e la produzione di coppie. Nell’effetto fotoelettrico e nella produzione di coppie, il raggio γ è completamente assorbito, mentre nella diffusione Compton il raggio γ trasferisce solo parte della sua energia al mezzo. Quindi per avere uno scintillatore efficiente nella rivelazione dei γ, si dovrà usare un materiale nel quale la sezione d’urto (“cross-section”) fotoelettrica e della produzione di coppie sia grande comparata a quella della diffusione Compton. Ora siccome le prime due sezioni d’urto sono molto più dipendenti da Z, rispettivamente come Z3 e Z2, mentre la sezione d’urto della diffusione Compton varia solo linearmente con Z, allora materiali inorganici di alto Z sono migliori per la rilevazione dei γ (figura 1.14). Fig. 1.14- Coefficienti di assorbimento dei gamma per scintillatore NaI e il plastico NE102A. Per completezza è stata aggiunta di seguito una tabella (figura 1.15) di tutte le proprietà fisiche di alcuni scintillatori commerciali: 24 Tipo Densità Output di luce Costante λ max (% Antracene) di decadimento di [ns] [nm] emissione NE102A plastico 1.032 65 2.4 423 NE104 plastico 1.032 68 1.9 406 NE105 plastico 1.032 46 3.0 423 NE160 plastico 1.032 59 2.3 423 Pilot U plastico 1.032 67 1.36 391 NE213 liquido 0.874 78 3.7 425 NE216 liquido 0.885 78 3.5 425 NE220 liquido 1.036 65 3.8 425 NE233 liquido 0.874 74 3.7 425 Antracene cristallo 1.25 100 30 447 Stilbene cristallo 1.16 50 4.5 410 NaI(Tl) cristallo 3.67 230 230 413 CsI(Tl) cristallo 4.51 95 1100 580 CaF2(Eu) cristallo 3.17 110 1000 435 CaWO4 cristallo 6.1 36 6000 430 Fig. 1.15- Tabella delle caratteristiche di alcuni scintillatori commerciali. 1.3.2- Fotomoltiplicatori Un fotomoltiplicatore consiste di un catodo di materiale fotosensibile seguito da un sistema di raccolta degli elettroni, una sezione di moltiplicazione degli elettroni (o stringa di dinodi) e infine un anodo dal quale è rilevato il segnale finale (figura 1.16). Tutte queste parti sono allocate in un tubo di vetro sotto-vuoto. 25 Fig. 1.16- Diagramma schematico di un fotomoltiplicatore. Durante il funzionamento un alto voltaggio è applicato al catodo, mentre i dinodi e l’anodo sono settati in modo da avere un potenziale scalato per tutta la lunghezza del catodo-dinodianodo. Quando un fotone incidente (da uno scintillatore per esempio), colpisce il fotocatodo, è emesso un elettrone per effetto fotoelettrico. Per facilitare il passaggio della luce, il materiale foto-sensibile è depositato in uno strato sottile sulla finestra del PM che di solito, è fatta di vetro o quarzo. Dalla formula di Einstein: (1.13) E = hν − φ dove E è l’energia cinetica dell’elettrone emesso, h è la costante di Planck, ν è la frequenza della luce incidente, φ è la funzione di lavoro; è chiaro che una certa frequenza minima è necessaria prima che avvenga l’effetto fotoelettrico. Al di sotto di questa soglia, la probabilità di questo effetto è lontana dall’unità. L’efficienza per la conversione fotoelettrica 26 varia fortemente con la frequenza della luce incidente e con la struttura del materiale, per questo si definisce l’efficienza quantica η(λ): (1.14) η (λ ) = Numerodifotoelettronirilasciati Numerodifotoniincidentisulcatodo dove λ è la lunghezza d’onda della luce incidente. Una quantità equivalente è la sensibilità radiante del catodo che è definita come: (1.15) E (λ ) = Ik P (λ ) dove Ik è la corrente di emissione fotoelettrica dal catodo e P(λ) è la potenza radiante incidente. Tale sensibilità, data di solito in ampere/watts, è relazionata all’efficienza quantica in questo modo: (1.16) E (λ ) = λη (λ ) e hc con e carica dell’elettrone e c velocità della luce. Oggi i fotocatodi sono maggiormente costruiti con materiali semiconduttori, formati da antimonio più metalli alcalini. La scelta dei semiconduttori sta nel fatto che questi presentano una maggiore efficienza quantica per convertire un fotone in un elettrone utilizzabile. Infatti nei semiconduttori, a differenza dei metalli, si ha una struttura di bande di energia con pochi elettroni, quelli nella banda di conduzione e di valenza, che sono approssimatamene liberi; i restanti sono confinati agli atomi. Quindi un fotoelettrone rilasciato dalla banda di conduzione o di valenza, incontra meno elettroni liberi prima di raggiungere la superficie con una quantità sufficiente di energia per continuare il suo cammino all’interno del PM. La profondità di fuga è così molto più grande rispetto ai metalli e lo è anche l’efficienza quantica. A causa del potenziale applicato, il fotoelettrone è diretto e accelerato verso il primo dinodo; la raccolta e focalizzazione dei fotoelettroni è generata dall’applicazione di un campo elettrico di questo tipo: 27 Fig. 1.17- Sistema elettro-ottico d’ingresso di un PM. Quando un fotoelettrone colpisce il primo dinodo, questo trasferisce parte della sua energia agli elettroni del dinodo; questo causa l’emissione di elettroni secondari che sono poi accelerati verso i seguenti dinodi. Una cascata di elettroni è generata attraverso una serie di dinodi (il sistema di moltiplicazione degli elettroni amplifica la bassa foto-corrente primaria usando una serie di elettrodi di emissione secondaria o dinodi per produrre una corrente misurabile all’anodo del PM). Oggi i materiali usati per i dinodi sono leghe di metalli alcalini come: Ag-Mg, Cu-Be, Cs-Sb. Questi materiali hanno alcuni vantaggi: - Alto fattore di emissione secondaria, cioè alto numero medio di elettroni secondari emessi per elettroni primari. - Stabilità dell’effetto di emissione secondaria sotto alte correnti. - Bassa emissione termoionica, cioè basso rumore. Il segnale di carica opportunamente amplificato, viene alla fine raccolto all’anodo. Se il fattore di emissione secondaria vale δ, ed il numero dei dinodi è N, il fattore di moltiplicazione complessivo vale δN. E’ importante notare che l’amplificazione è approssimatamene lineare e la carica finale rimane proporzionale a quella iniziale, ed è quindi proporzionale all’energia depositata, conservandone inoltre l’informazione temporale. L’amplificazione di un fotomoltiplicatore dipende dal fattore δ che, in prima approssimazione, è proporzionale alla tensione interdinodo Vd. Supponendo Vd che resti 28 costante lungo tutto il PM, e supponendo δ = kVd , il guadagno G del fotomoltiplicatore, ossia il rapporto tra gli elettroni raccolti all’anodo e quelli emessi dal fotocatodo, è dato da: (1.17) G = δ N = k N ⋅ Vd N e anche: (1.18) dV dG =N d G Vd Da quest’ultima equazione si vede quanto critica è la stabilizzazione in tensione dei dinodi: se per esempio N=15, una variazione dello 0.1% sulla tensione di alimentazione dei dinodi si traduce in una variazione del 1.5% sul guadagno e quindi in un peggioramento della risoluzione del rivelatore. Il problema della stabilizzazione in tensione dei dinodi si risolve utilizzando alimentatori stabilizzati, e facendo in modo che la corrente di alimentazione del partitore sia molto più elevata della corrente di elettroni lungo i dinodi (che scorre in parallelo) in modo che possa essere trascurata. Questo perché, siccome Vd dipende sia dalla corrente che fluisce nel partitore (Ip) sia dalla corrente di elettroni lungo il tubo (ID), per mantenere Vd costante deve avvenire che Ip>>ID. I fotomoltiplicatori possono operare in modo continuo, cioè sotto una costante illuminazione, o in modo pulsato cioè per esempio nel caso di conteggio di scintillazione. In ogni modo, se il catodo e il sistema di dinodi sono assunti avere un comportamento lineare, la corrente all’uscita del PM sarà direttamente proporzionale al numero di fotoni incidenti. I due principali fattori che influenzano la risoluzione temporale del PM sono: - Variazioni nel tempo di transito degli elettroni nel PM. - Fluttuazioni dovute a rumore statistico. L’effetto di differenza del tempo di transito (transit time difference) degli elettroni può essere parzialmente risolto tramite due accorgimenti: o si utilizza un catodo di geometria sferica in modo da equalizzare meglio le distanze, oppure si aggiusta il potenziale attraverso il PM, cercando di ottenere un campo elettrico accelerante tale che gli elettroni più lontani siano maggiormente accelerati rispetto ai più vicini. Chiaramente gli elettroni di più alta energia raggiungono il dinodo prima di quelli a minore energia; perciò si parla anche di effetto di crescita del tempo di transito (transit time spread) che può essere stimato come segue: 29 ∆t = − (1.19) 2meW e2 E 2 dove me = 9,1 ⋅ 10-28 g è la massa dell’elettrone, e = 1,6 ⋅ 10-19 C è la carica dell’elettrone, E è il campo elettrico [V/m], W è la componente di energia normale al catodo, cioè W = v ⊥ 2me , dove v⊥ è la componente perpendicolare al fotocatodo della velocità di un 2 fotoelettrone. Come si può notare dalla (1.19) tale contributo diminuisce all’aumentare della tensione di alimentazione. Per quanto riguarda il rumore, quando un PM non è illuminato, fluisce una bassa corrente, tale corrente è chiamata la corrente oscura e deriva da diverse sorgenti: - Emissione termoionica dal catodo ai dinodi - Correnti parassite - Contaminazione radioattiva - Fenomeni di ionizzazione Tra queste sorgenti, quella che ha maggiore impatto sul rumore è l’emissione termoionica dal catodo perciò tale rumore può essere modellato dalla formula di Richardson: (1.20) − eφ I = AT 2 exp kT dove T è la temperatura [K], k la costante di Boltzmann, A una costante e φ è la funzione di lavoro. Un abbassamento di temperatura riduce tale componente di rumore. Il rumore statistico invece, è il risultato diretto della natura statistica del fenomeno di fotoemissione ed emissione secondaria; per un’intensità di luce costante, il numero di fotoelettroni emessi come anche quello degli elettroni secondari emessi, fluttuerà con il tempo. Le fluttuazioni statistiche dei PM hanno due origini: (1) il fotocatodo, (2) il sistema di moltiplicazione degli elettroni. 30 1.4- Stato dell’arte degli scintillatori per TOF-PET La prima generazione di TOF-PET scanner era basata su scintillatori di CsF e BaF2; ma la bassa densità, la bassa frazione fotoelettrica e il basso output di luce risultavano in una bassa risoluzione spaziale e sensibilità. Inoltre, l’emissione ultravioletta del BaF2 rendeva la raccolta della luce difficile, e necessitava di costosi PMT con finestre di quarzo. Per questo, la prima generazione di tali scanner era riservata al solo ambito di ricerca. In un parallelo sviluppo dei sistemi non-TOF, cominciò ad essere utilizzato il germanato di bismuto (Bi4Ge3O12 o BGO); questo materiale ha un’alta efficienza di rilevazione dovuta alla sua alta densità e all’alto numero atomico efficace, accettabile output di luce e una lunghezza d’onda della luce emessa intorno ai 480 nm. Inoltre è molto resistente e non igroscopico (figura 1.18). Tali caratteristiche fecero sì che il BGO divenne il materiale standard per la PET . Ma il relativamente basso output di luce, la sensibilità alla temperatura e la lentezza della sua risposta al segnale in input rispetto al NaI(Tl) (padre di tutti gli scintillatori inorganici preso come standard di confronto) l’hanno reso velocemente inadeguato nei confronti di altri cristalli scoperti più tardi. Nel 1983, l’ossiortosilicato di gadolinio dopato al cerio (GSO) ha dimostrato vantaggi rispetto ai materiali già esistenti (figura 1.18); anche l’ossiortosilicato di ittrio (YSO) ha buone proprietà di scintillazione. Entrambi tali materiali hanno preparato la strada verso l’ossiortosilicato di lutezio dopato al cerio (Lu2SiO5); questo ha un alta resa di luce (circa 30,000 fotoni al MeV), alto Z efficace ( Zeff=66), e alta densità (7.4 g cm-3). Tali caratteristiche hanno reso LSO il materiale standard per i sistemi PET. LSO ha anche un basso indice di rifrazione rispetto agli altri scintillatori considerati (figura 1.18), questo comporta meno riflessioni all’interfaccia scintillatore-fotomoltiplicatore e una grande frazione di luce prodotta dal cristallo per essere convertita in un impulso elettrico. Infine non è igroscopico ed è ragionevolmente resistente. 31 Fig. 1.18- Proprietà fisiche In figura 1.19 sono comparati gli spettri di emissione del LSO, sotto l’eccitazione dei raggi gamma emessi dalla sorgente 241Am, con NaI(Tl), BGO e GSO. Il picco di lunghezza d’onda di emissione del LSO è circa 420 nm che provvede a un buon collegamento con la risposta spettrale del PMT accoppiato (figura 1.21). La resa di luce è di circa il 75% di quella dell’NaI(Tl) e diverse volte più grande di quella del BGO o GSO. Fig. 1.19- Confronto tra spettri di emissione. 32 Altro parametro chiave è il basso tempo di decadimento (∼40ns) che è stato immediatamente adoperato per ridurre la finestra di coincidenza dai 12 ns, tipici del BGO, a 6 ns che è stato poi ridotto a 4.5 ns con lo sviluppo dell’elettronica veloce. La più corta finestra di coincidenza temporale dei due gamma emessi, riduce le coincidenze casuali nei dati acquisiti. Tale decadimento di scintillazione è stato misurato con una tecnica di conteggio del singolo fotone tempo-correlato ed è mostrata in figura 1.20. Con buona approssimazione, il decadimento può essere descritto, come abbiamo visto nel paragrafo 1.3.1, da un semplice esponenziale con costante di tempo di circa 40 ns (figura 1.21). Comunque un più accurato fit dei dati di decadimento, rileva due componenti esponenziali con costanti di tempo di 12 ns e 42 ns. Fig. 1.20- Decadimento di scintillazione, seguendo l’eccitazione dei gamma, può essere approssimato dalla somma di due componente di 12 ns e 42 ns. 33 Fig. 1.21- Proprietà di scintillazione di LSO comparate ad altri scintillatori. Per quanto riguarda la risoluzione temporale, mentre con scintillatori di CsF e di BaF2 si è ottenuta una risoluzione temporale di coincidenza di circa 500 ps, le caratteristiche del LSO hanno permesso di ottenere una risoluzione temporale di 300 ps con due singoli cristalli di LSO in coincidenza. A dimostrazione di questo si riporta uno studio effettuato su cristalli LSO. Il tempo di coincidenza per cubi di LSO di 3 mm, è misurato con una geometria mostrata in figura 1.22 a. I risultati mostrati in figura 1.23, indicano una risoluzione temporale di 300 ps. Fig. 1.22- Geometria LSO. Fig. 1.23- Risoluzione temporale di 300 ps per cubi di 3 mm di LSO. Poi i cubi di LSO sono stati sostituiti con cristalli LSO di 3×3×30 mm3 come mostrato in figura 1.22 b, e la distribuzione dei tempi di coincidenza risultanti sono mostrati in figura 1.24. In questo caso, la risoluzione temporale è aumentata a 488 ps con cristalli incisi e a 458 ps con cristalli lisci. 34 Fig. 1.24- Risoluzione temporale di 488 ps con cristalli LSO di 3×3×30 mm3. Quindi è stato osservato che la risoluzione temporale di coincidenza dipende dalla lunghezza del cristallo ma anche dalla finitura della superficie.La tabella di figura 1.25 mostra che la risoluzione temporale degrada progressivamente con l’aumento della lunghezza. Questa indica che mentre la finitura della superficie non appare avere un ruolo fondamentale, cristalli lisci possono avere una buona risoluzione temporale anche per cristalli lunghi (≥ 20 mm). Trattamento superficiale Lunghezza Inciso Liscio 10 mm 317 ps 324 ps 20 mm 391 ps 385 ps 30 mm 455 ps 397 ps Fig. 1.25- Risoluzione temporale in funzione della finitura della superficie e della lunghezza del cristallo per un cubo di LSO di 3 mm in coincidenza con cristallo LSO di 3×3×x mm3 dove x = 10,20,30 mm. Una possibile spiegazione della degradazione della risoluzione temporale di coincidenza con l’aumentare della lunghezza del cristallo, deriva dal tempo di propagazione. Come dimostra la figura 1.26, l’ informazione (sotto forma di fotoni di 511 KeV) viaggia alla velocità della luce da una sorgente radioattiva al punto dove interagisce all’interno del cristallo. Dopo l’interazione, l’informazione viaggia alla velocità c/n (dove n è l’ indice efficace di rifrazione) dal punto di interazione al PMT. Quindi, l’interazione a posizioni differenti nello scintillatore porterà a differenze nel tempo che impiega l’informazione a propagarsi dalla sorgente al PMT, aumentando così il tempo di coincidenza. 35 Un’altra potenziale causa per la degradazione della risoluzione temporale di coincidenza con l’aumento della lunghezza del cristallo, è il tempo di risalita del segnale ottico. Per conoscere se effettivamente il tempo di risalita è condizionato dalla lunghezza del cristallo, sono state misurate le distribuzioni dei tempi di arrivo del segnale di cristalli LSO incisi o lisci di dimensioni 3×3×x mm3 dove x = 10,20,30 mm, uniformemente illuminati da raggi x. Le distribuzioni dei tempi di arrivo dei fotoni di scintillazione per cristalli lisci di diverse lunghezze sono mostrate in figura 1.27 e dimostrano che esistono diversi tempi di risalita. Inoltre si vede che il tempo di risalita cresce progressivamente con l’aumento della lunghezza. Fig. 1.26- Differenze nei tempi di propagazione. Fig. 1.27- Distribuzione dei tempi di arrivo dei fotoni di scintillazione per diversi cristalli LSO. L’effetto causato dal tempo di propagazione può essere eliminato se è nota la profondità di interazione all’interno del cristallo; misure della profondità di interazione sono utili per ridurre artefatti sulla risoluzione spaziale conosciuti come elongazione radiale ed esistono diversi progetti basati su LSO che includono tale capacità. 36 La recente scoperta del LaBr3 dopato al cerio ha aperto una nuova via per la strumentazione TOF. Mentre LaBr3 mostra più bassa potenza di arresto del LSO, ma ha un più basso tempo di decadimento (16 ns), un’eccellente risoluzione energetica (circa 3% a 662 keV), e un accettabile output di luce (tabella figura 1.28); tutte queste caratteristica hanno reso il LaBr3 come candidato per TOF-PET. Per tale materiale è stata misurata una risoluzione temporale di 460 ps. Uno dei primi scanner per TOF-PET, lo Gemini TF PET/CT della Philips, usa cristalli LYSO. LYSO è un materiale con struttura simile al LSO: una frazione di atomi di lutezio nel cristallo sono rimpiazzati con ittrio, perciò le proprietà del LYSO sono molto simili a quelle del LSO. Sebbene il LSO è il migliore materiale scintillante per applicazioni PET, non è facile da produrre a causa del suo alto punto di fusione (oltre 2000 °C). Quindi i primi passi verso lo sviluppo di cristalli LYSO vennero effettuati proprio per ridurre la temperatura di crescita del cristallo e per abbassare il costo di produzione. Siccome l’ittrio ha un numero atomico e un numero di massa più basso del lutezio, oltre a conferire al LYSO una minore densità rispetto al LSO, fa sì che la potenza d’arresto del LYSO decresca quando diminuisce la percentuale in composizione di lutezio. Comunque il LYSO ha un output di luce e una costante di decadimento (tabella di figura 1.28) molto simili al LSO e per questo ne rappresenta una valida alternativa. Inoltre l’abbassamento della temperatura di fusione, l’abbassamento dei costi dei materiali e la formazione di meno inclusioni cristalline nel reticolo rappresentano i vantaggi del LYSO. LSO LYSO LaBr3 Output di luce [ph/MeV] 31000 32000 65000 Picco di emissione [nm] 420 420 360 Tempo di decadimento [ns] 40-47 41 15 Indice di rifrazione 1.82 1.81 1.9 7.4 7.1 5.29 Densità [g/cm3] Fig. 1.28- Proprietà di scintillazione di LSO, LYSO e LaBr3. Nel Capitolo 3 della tesi, si determinerà la risoluzione temporale ed energetica di un prototipo molto disomogeneo di cristallo di LYSO delle dimensioni di 5 cm × 3 cm × 1 cm con superfici lisce. Tale cristallo è accoppiato a un fotomoltiplicatore H6524 dell’Hamamatsu. 37 CAPITOLO 2 SET-UP SPERIMENTALE Premessa Il primo passo da compiere per sviluppare un sistema di controllo di qualità per cristalli scintillanti per TOF PET, è di mettere in opera un set-up sperimentale adeguato per poter stimare la qualità sia dal punto di vista temporale che energetico dei contatori a scintillazione testati (Capitolo 3). Tale set-up prevede moduli elettronici con diverse funzioni (discriminatori, scaler etc.) alloggiati in un crate per essere alimentati e acquisire le informazioni raccolte. Esistono perciò diversi standard per acquisire dati nella fisica nucleare, e quelli in uso nel Laboratorio del Dipartimento di Scienze di base ed applicate per l’Ingegneria sono: lo standard NIM e quello VME. 2.1- Standard NIM e VME 2.1.1- Standard NIM Il primo standard stabilito per la fisica nucleare e ad alta energia è il sistema modulare chiamato NIM (Nuclear Instrument Module). In questo sistema, l’apparato elettronico di base, per esempio amplificatori, discriminatori, etc., è costruito in forma di moduli secondo specifici standard meccanici ed elettrici. Questi moduli si inseriscono in “bins” standardizzati che forniscono ai moduli alimentazioni standard. Un sistema elettronico può essere facilmente creato dalla raccolta dei moduli necessari, l’installazione di questi in un NIM bin e un giusto collegamento fra essi. Dopo l’esperimento, i moduli possono essere facilmente trasferiti in un altro sistema; quindi il sistema NIM offre enormi vantaggi di flessibilità, interscambio di strumenti, riduzione degli sforzi di progetto e facile installazione dei moduli. La potenza per questi moduli è fornita attraverso un connettore posteriore (figura 2.1). Lo standard NIM bin è costruito per accettare fino a 12 moduli singolo spessore o un minor numero di moduli multiplo spessore. I connettori posteriori di potenza devono provvedere a quattro voltaggi dc standard: -12V, +12V, -24V, +24V, come designato dalle convenzioni 38 NIM. Comunque alcuni bins provvedono anche –6V e +6V e 110V AC. L’assegnazione dei “pin” dei connettori posteriori sono mostrati in figura 2.2. Fig. 2.1- Crate NIM della Wiener. I moduli NIM includono sia dispositivi analogici che digitali. I segnali digitali o logici, a differenza di quelli analogici, sono di forma fissata e hanno solo due possibili stati: si o no. E’ ormai usuale riferire i due stati a lo 0 logico o l’1 logico; che segnale è scelto a 1 e a 0 è comunque arbitrario.Oltre al valore scelto per tali segnali, la cosa più importante è che questi segnali possono segnalare la presenza o meno di una particella in un rivelatore oppure incrementare un modulo di conteggio oppure creare una coincidenza con un altro segnale. Esistono due standardizzazioni riguardo al valore di tali segnali logici: la logica slow-positive e quella fast-negative. La prima si riferisce a segnali di basso tempo di risalita, tali segnali sono di polarità positiva e sono usati con rilevatori lenti (figura 2.3). I valori di tensione tabellati attraversano un’impedenza di 1000 Ω, perciò la corrente trasportata dal segnale è molto bassa. Oggi comunque lo standard NIM è solo fast-negative. 39 Fig. 2.2- Assegnazione dei pin su un connettore NIM posteriore. Fast-negative logic, spesso riferita come logica NIM, è utilizzata invece per segnali estremamente veloci con tempi di risalita dell’ordine del nanosecondo (figura 2.4). Questo tipo è spesso usato in esperimenti che adoperano veloci contatori plastici o quando è richiesto un alto rate di conteggio. Le impedenze d’ingresso e di uscita di tutti i veloci moduli NIM sono 50 Ω. I corrispondenti valori di tensione sono 0 V e –0.8 V per lo 0 logico e l’1 logico rispettivamente. 40 Fig. 2.3- Slow-Positive NIM Logic Fig. 2.4- Fast-Negative NIM Logic 41 2.1.2- VME Il VME (Versa Module Europe) è l’erede del lavoro fatto dai progettisti della Motorola, a partire dal 1978, per dotare le CPU della serie 68k di un bus per il collegamento delle periferiche all’altezza delle prestazioni che queste potevano esprimere. Questo lavoro nel 1979 produsse le prime specifiche di un “crate bus” “proprietario” denominato Versabus, successivamente accettato come standard. In quegli stessi anni un organismo internazionale, l’International Electro-technical Commission (IEC) aveva proposto uno standard meccanico modulare per il formato di schede elettroniche detto comunemente “Eurocard”. Questa proposta era nata mettendo insieme lo standard di connettori multipolari della famiglia DIN 41612/IEC 603-2 ed i cassetti modulari definiti dallo standard IEEE 1101 PC/DIN 41494. Perciò ben presto venne creato un sistema, in parte logicamente ispirato al Versabus, ma alloggiato in una meccanica Eurocard: era nato il VME. Il VME è un crate-bus (come il CAMAC ed il Fastbus, ormai obsoleti), ma ammette anche l’implementazione di segmenti su cavo (cable-segment). Il VME offre un piano posteriore per una veloce ed efficiente trasmissione dei dati, ed è un bus più veloce del CAMAC, ciò significa che più dati possono essere trasferiti e la densità dei canali aumenta. Il VME bus è una standard industriale usato dai fisici. Il crate VME ha alloggiamenti per 21 moduli, il primo è riservato per un controllore del crate; il piano posteriore del VME ha due connettori su tre colonne per modulo, questi sono sia per i dati che per fornire l’alimentazione. Il VME ha diverse estensioni: il VME 430 aggiunge un più piccolo terzo connettore al piano posteriore del crate, tale connettore è usato per alimentazioni addizionali e per particolari operazioni; il VME 64X è un’estensione del VME 430 e aggiunge due colonne di connettori a ognuno dei tre connettori, le due colonne aggiunte sono disposte in modo che anche un regolare modulo VME può essere inserito in un crate VME 64X. Inoltre il VME 64X ha alcuni vantaggi come per esempio: una tensione di alimentazione di 3.3V che può arrivare anche a 5V, se necessario; pin allocati per un bus di test e manutenzione; un supporto meccanico per il controllo della compatibilità magnetica (EMC); un supporto meccanico per il controllo della scarica elettrostatica (ESD); un front panel assicurato a terra. In figura 2.5 sono mostrate sinteticamente le caratteristiche del bus VME in un diagramma a blocchi funzionali. Le specifiche VME per favorire una migliore comprensione della struttura del bus suddividono l’insieme delle linee, dal punto di vista funzionale in cinque “sub-bus” 42 ciascuno in grado di eseguire autonomamente un certo tipo di operazione specifica. Questi sono: il bus trasferimento dati, il bus per l’arbitraggio, il bus per la gestione delle priorità di interruzione,il bus dei servizi ed infine uno speciale bus seriale detto VMSbus (VME Message Serial bus) che può essere utilizzato per scambiare brevi messaggi urgenti tra moduli o sistemi VME. Il modello di architettura logica utilizzato, a tutti i livelli, è quello master/slave, i trasferimenti sul bus sono asincroni e le linee dati e quelle indirizzi sono separate (figura 2.5). I campi di indirizzamento possono utilizzare 16 bit (short), 24 bit (standard), 32 bit (extended), con possibilità di passare dall’uno all’altro dinamicamente. Una caratteristica particolare del bus VME sono le 6 linee di “address modifier code”, AM0AM5 che sono alla base della duttilità di indirizzamento e di gestione dati nel sistema. Ad essi è anche affidata l’informazione sulla modalità del trasferimento. 43 Fig. 2.5- Diagramma a blocchi dello Slave L’arbitraggio del bus è un problema cruciale in un bus multi-master e lo è soprattutto in un sistema di elaborazione distribuita, in cui le esigenze dei vari master, che aspirano a diventare commander del bus per scambiare dati con gli slave, si intrecciano con i processi software che sono in esecuzione nei master intelligenti. Le specifiche VME hanno affrontato il problema con estrema attenzione ed hanno operato in due direzioni diverse: da una parte prevedono l’uso di collegamenti tra schede, processori e periferici su bus ausiliari, paralleli, come ad esempio, il VSB o, seriali, come il VMS, per rendere la gestione di ogni sottosistema il meno critica possibile; dall’altra prevedono una struttura hardware per l’arbitraggio del bus molto duttile e potente ma che possa, all’occorrenza, essere facilmente minimizzata per non appesantire i piccoli sistemi che non hanno bisogno di una gestione sofisticata delle priorità per assumere il possesso del bus. Il bus arbitraggio prevede quattro distinti livelli di richiesta del bus. Ciascun livello ha una propria linea di richiesta (BRX*) alla quale è associata una coppia di linee per la gestione del “bus grant” BGXIN*/BGXOUT* secondo la tecnica “daisy-chain”. Questa, come è noto, in ciascun livello assegna automaticamente la priorità al dispositivo più vicino all’arbitro il quale ha la posizione 1 del crate (figura 2.6). Il livello 3 è, per convenzione, quello a più alta priorità mentre la priorità più bassa tocca al livello 0. Il funzionamento di ciascun livello è quello classico: quando la linea va bassa, l’arbitro, se il bus non è occupato (BBSY* attivo) genera un segnale di bus grant sulla linea corrispondente a quel livello di richiesta; la logica di richiesta del primo dispositivo lungo la linea di grant, riceve il segnale e, se non aveva attivata bassa la linea di richiesta, lo propaga al successivo, e così di seguito, fino a che il segnale non arriva al controllore dell’interrupt del dispositivo richiedente, il quale non propaga oltre il grant ed attiva, invece la linea busy, dopo aver comunicato al proprio master di aver assunto il controllo del bus. 44 Fig. 2.6- Assegnazione delle priorità. 45 2.2- Analisi plateu di scintillatori plastici e LYSO In una fase preliminare del lavoro di tesi svolto presso il Laboratorio del Dipartimento di Scienze di base ed applicate per l’Ingegneria (ex Dipartimento di Energetica), è stato studiato il comportamento di tre contatori a scintillazione: due plastici e uno scintillatore LYSO. I due contatori a scintillazione plastici (mostrati in figura 2.20) sono due BC 400 della Bicron delle dimensioni di 5×5×1 cm3 e di 3×3×1 cm3, i quali nel seguito per comodità, saranno denominati rispettivamente Plastic e Mini-plastic. Invece il terzo contatore a scintillazione è un LYSO delle dimensioni di 5×3×1 cm3 (mostrato in figura 2.20). Tutte le caratteristiche di scintillazione dei tre contatori sono riassunte nella tabella di figura 2.7. Il cristallo di LYSO è un prototipo di scarsa qualità perché disomogeneo e con resa luminosa inferiore a quella di progetto. Infatti, come si vedrà nel Capitolo 3, ci si attende che occorrerà amplificare molto il segnale e che la risoluzione energetica sarà scarsa. BC 400 (Plastic e Mini-platic) LYSO Densità [g/cm3] 1.032 7.1 Indice di rifrazione 1.58 1.81 Uscita di luce [ph/MeV] 13000 32000 Tempo di salita [ns] 0.9 0.65 Tempo di decadimento [ns] 2.4 41 Massima lunghezza d’onda [nm] 423 420 Fig. 2.7- Proprietà dei contatori a scintillazione utilizzati. Il Plastic e il LYSO sono accoppiati con un fotomoltiplicatore H6524 dell’Hamamatsu che è mostrato un figura 2.8, mentre il Mini-plastic è accoppiato al fotomoltiplicatore H10721 dell’Hamamatsu sempre mostrato in figura 2.8. In quest’ultimo tipo di modulo di fotomoltiplicazione, l’alta tensione necessaria al fototubo viene generata internamente a partire dalla bassa tensione (tramite un potenziometro regolabile). Le caratteristiche dei due fotomoltiplicatori sono riepilogate nella tabella di figura 2.9. 46 Fig. 2.8- A sinistra fotomoltiplicatore H10721, a destra fotomoltiplicatore H6524. H6524 H10721 Area fotosensibile 19 mm 8 mm Tipo di catodo Bialkali Bialkali Lunghezza d’onda di picco 420 nm 400 nm Materiale della finestra vetro borosilicato vetro borosilicato Lunghezza d’onda min. 300 nm 230 nm Lunghezza d’onda max. 650 nm 700 nm Sensibilità luminosa del catodo 115 A/lm 104 A/lm Sensibilità luminosa dell’anodo 200 A/lm 210 A/lm Corrente oscura 3 nA 1 nA Tempo di salita 1.8 ns 0.57 ns Struttura dei dinodi/numero di dinodi L/10 Metal Channel/10 Tipo di uscita corrente corrente Fig. 2.9- Proprietà dei fotomoltiplicatori accoppiati ai contatori utilizzati. In questa prima fase di preparazione del set-up sperimentale si sono utilizzati tali combinazioni di scintillatori e fotomoltiplicatori perché in dotazione al Laboratorio del Dipartimento di Scienze di base ed applicate per l’Ingegneria, per altre esperienze; come si discuterà in seguito l’apparato di acquisizione messo in opera prevede l’utilizzo di due 47 contatori a scintillazione NaI(Tl) (caratterizzati nel paragrafo 2.4) e un cristallo di LYSO accoppiato, come detto, con il fotomoltiplicatore H6524 dell’Hamamatsu. Nelle applicazioni di conteggio per il passaggio di particelle attraverso scintillatori, una semplice procedura per trovare la tensione di alimentazione di lavoro è la cosiddetta misura dei “plateau” di tensione. Tale procedura è stata svolta nel modo seguente: sono state misurate le coincidenze triple tra i tre contatori oltre alle doppie tra due contatori scelti diversi di volta in volta, in modo da poter calcolare il rapporto T/D cioè conteggi di coincidenze triple (T)/ conteggi di coincidenze doppie (D); questo rapporto è un indice dell’efficienza del sistema. Tale rapporto è valutato in funzione della tensione di alimentazione di uno dei tre contatori. Quando l’andamento del rapporto T/D in funzione della tensione presenta un plateu, si può valutare la migliore tensione di alimentazione possibile per quel tipo di geometria e per quei contatori utilizzati. Prima, però, sono state effettuate due prove preliminari allo studio dei plateau di tensione e cioè: (1) il settaggio della soglia di discriminazione dei tre scintillatori e (2) lo studio delle coincidenze casuali tra Plastic e LYSO. (1) Settaggio della soglia di discriminazione: il set-up per tale prova è quello mostrato in figura 2.10. HV Scintillatore+PM DISCR SCALER Fig. 2.10- Set-up per il settaggio delle soglie di discriminazione. Il settaggio delle soglie di discriminazione dei vari contatori a scintillazione riveste una notevole importanza perché il più comune uso di un qualsiasi discriminatore è quello di eliminare l’eventuale rumore di fondo di bassa ampiezza dovuto agli scintillatori, ai PM e all’elettronica, oltre a rendere il segnale in ingresso più facilmente analizzabile all’elettronica che lo segue. Il discriminatore è un dispositivo che genera un segnale NIM in uscita, soltanto quando il segnale in ingresso supera un determinato valore di soglia (threshold) (figura 2.11). Il valore della soglia di discriminazione viene regolato tramite una vite dal pannello frontale del modulo-discriminatore; questo valore deve essere aggiustato per eliminare il rumore elettronico, ma non deve essere troppo alto in quanto potrebbe tagliare anche i segnali utili. 48 Threshold Fig. 2.11- Operazione di discriminazione. Dopo che il segnale è stato discriminato, questo entra in uno scaler. Lo scaler è un modulo che conta il numero di segnali NIM in ingresso e presenta questa informazione su un display situato sul pannello frontale del modulo stesso. In generale uno scaler ha bisogno di un segnale digitale in ingresso per poter svolgere la sua funzione correttamente, ecco perché subito prima dello scaler si ha un discriminatore. I moduli utilizzati sono: il modulo di alimentazione N470 della Caen (4 CH Programmable HV Power Supply), il discriminatore N224 (6CH) della Caen e lo scaler N145 della Caen (Quad Scaler and Preset Counter/Time). Tutti questi moduli sono stati alloggiati in un crate VME della Caen. Il primo contatore a scintillazione preso in esame è il Plastic, tale contatore è stato alimentato a 1200 V dal modulo N470, il segnale prodotto è stato inviato al discriminatore N224 e l’uscita di tale discriminatore è mandata poi in ingresso allo scaler N145. La durata del segnale logico dato dal discriminatore d1 = 400 ns. Le soglie di discriminazione sono state variate, sul modulo N224, da 20 mV a 70 mV, grazie all’utilizzo di un voltmetro e una vite posizionata sul front-panel del modulo (risultati mostrati in figura 2.12). La stessa cosa è stata effettuata per il LYSO, in questo caso la tensione di alimentazione è 1100 V, e la durata del segnale discriminato d2 = 400 ns. I risultati ottenuti sono in figura 2.13. Infine per il contatore a scintillazione Mini-plastic è stato effettuato lo stesso studio ma con una tensione di alimentazione di 1.15 V (figura 2.14). 49 Conteggi Plastic vs Soglie di discriminazione Conteggi in singola 350 300 250 200 150 100 50 0 0 20 40 60 80 mV Fig. 2.12- Conteggi in singola del Plastic vs Soglie di discriminazione (∆tacq = 20s). Conteggi LYSO vs Soglie di Discriminazione Conteggi in singola 100000 10000 1000 100 10 1 0 20 40 60 80 mV Fig. 2.13- Conteggi in singola del LYSO vs Soglie di discriminazione; da notare che in questo caso l’asse dei conteggi è in scala logaritmica (∆tacq = 20s). 50 Conteggi Mini-plastic vs Soglie di Discriminazione Conteggi in singola 160 140 120 100 80 60 40 20 0 0 10 20 30 40 50 60 70 80 mV Fig. 2.14- Conteggi in singola del Mini-plastic vs Soglie di discriminazione (∆tacq = 60s). Quindi come conclusione della prima prova effettuata sono state scelte come soglie di discriminazione dei tre contatori a scintillazione: 40 mV per il Plastic, 60 mV per il LYSO e 20 mV per il Mini-plastic; la scelta è stata effettuata in base al fatto che i contatori a scintillazione hanno un numero di conteggi e perciò una rate in singola simile (∼ 5 Hz), per quelle determinate soglie. (2) Studio delle coincidenze casuali tra Plastic e LYSO: ora nel set-up di figura 2.10, si è aggiunto un modulo adatto ad effettuare le coincidenze tra due contatori a scintillazione. Tale modulo è la Logic Unit model 756 della Phillips Scientific: ha 3 sezioni,ognuno dei quali ha 4 input, un input di anti-coincidenza, uno switch di livello di coincidenza e 5 uscite. La tecnica base è di convertire il segnale analogico dai rilevatori in un segnale logico e poi inviare questi impulsi a un modulo di coincidenze; se i due segnali sono “coincidenti” allora è prodotto un segnale logico in output (figura 2.15). Tutti gli impulsi che arrivano all’interno di un tempo uguale alla somma delle durate dei due segnali sono considerate come coincidenti (figura 2.16). Facendo misure di coincidenza, si devono considerare la possibilità di coincidenze casuali nel circuito; queste possono essere dovute a eventi non correlati del fondo nei rilevatori o a rumore random che triggera il discriminatore. 51 HV DET DISCR DELAY SCALER DET DISCR DELAY HV Fig. 2.15- Sistema di misura delle coincidenze. Fig. 2.16- Coincidenza tra impulsi. La geometria utilizzata prevede i due contatori (Plastic e LYSO) sovrapposti, quindi entrambi i contatori dovrebbero rilevare i raggi cosmici (vedi Appendice A e figura 2.17). Raggi cosmici H6524 H6524 PLASTIC LYSO 52 Fig. 2.17- Geometria dello studio delle coincidenze casuali tra Plastic e LYSO. Chiaramente il numero, o meglio la frequenza degli eventi casuali fcasuali deve essere tenuta al minimo in ogni esperimento. Tale fcasuali si può calcolare in questo modo: (2.1) f casuali = f Plastic ⋅ f LYSO (d1 + d 2 ) dove fPlastic e fLYSO sono le rate dei due contatori a scintillazione cioè numero conteggi in singola/∆tacq. Si vuole dimostrare che: (2.2) fcasuali << fcosmici dove fcosmici = numero medio di coincidenze tra i due contatori a scintillazione/∆tacq. Dalle prove in laboratorio si sono ottenuti i risultati della tabella di figura 2.18, alimentando il Plastic a 1400V e LYSO a 1100V, con ∆tacq= 60 s (60 s per ognuna delle 5 letture dello scaler) e d1=d2=400 ns. Plastic (conteggi scaler) LYSO (conteggi scaler) Coincidenze (conteggi scaler) 3445 330 6 3323 364 2 3276 330 3 3224 328 1 3108 363 4 Media conteggi ∼ 3275 Media conteggi ∼ 343 Media conteggi ∼ 3 fPlastic ∼ 54 Hz fLYSO ∼ 6 Hz fcosmici ∼ 0.05 Hz Fig. 2.18- Risultati della seconda prova. Quindi dalla formula (2.1) si può ricavare che fcasuali ∼ 2.5 × 10-4 Hz risulta essere minore della fcosmici (∼ 0.05 Hz). Inoltre si è constatato che, mettendo i due contatori geometricamente non più sovrapposti, la rate delle coincidenze crolla (fcoincidenze ∼ 0.001 Hz), questo perché i due contatori non 53 rivelano più le coincidenze dovute ai raggi cosmici, ma solo coincidenze casuali, che come visto, hanno una frequenza molto bassa. Dopo la fase preliminare consistente nella scelta delle soglie di discriminazione dei tre contatori a scintillazione e nello studio delle coincidenze casuali tra Plastic e LYSO, è stata effettuata la vera prova di analisi dei plateau di tensione: cioè sono state misurate le coincidenze triple tra i tre contatori oltre alle doppie tra due contatori scelti diversi di volta in volta, in modo da poter calcolare il rapporto T/D cioè valore di conteggio di coincidenze triple/valore di conteggio di coincidenze doppie; questo rapporto è un indice dell’efficienza del sistema. La geometria 1 è in figura 2.19. PLASTIC MINI-plastic LYSO Fig. 2.19- Plastic in alto, Mini-plastic al centro e LYSO in basso. Le tensioni di alimentazione dei contatori e le soglie nella geometria 1 sono: 1400V e 40 mV per il Plastic, da 700V a 1600V e 60 mV per il LYSO e 1,1V e 20 mV per il Mini-plastic; il ∆tacq= 40 min ogni aumento di 100V della tensione del LYSO. Le doppie coincidenze sono calcolate, per la geometria 1, tra Plastic e Mini-plastic. I risultati sono mostrati in figura 2.20. 54 L’errore è stato calcolato come errore binomiale (si rimanda all’Appendice B); inoltre data la geometria del sistema e perciò le aree fotosensibili effettive di sovrapposizione tra i tre contatori, l’efficienza massima è al massimo circa 0.6 (come mostra la figura 2.20). Fig. 2.20- Analisi plateau LYSO. Visto il plateau, la tensione scelta per il LYSO è 1100V. La geometria 2 è in figura 2.21. Le tensioni e le soglie per questa nuova geometria sono: da 1100V a 1600V e 40 mV per il Pastic, 1100V e 60 mV per il LYSO e 1,1V e 20 mV per il Mini-plastic; il ∆tacq= 40 min ogni aumento di 100V della tensione del Plastic. Le coincidenze doppie, per la geometria 2, sono calcolate tra LYSO e Mini-plastic. I risultati sono mostrati in figura 2.22. Visto il plateau, la tensione consigliata per il Plastic sarebbe stata 1500 V, anche se poi la scelta è 1400 V perché il contatore Plastic presenta molte scariche a 1500V (figura 2.23). 55 Fig. 2.21- Mini-plastic in alto, Plastic in mezzo e LYSO in basso. 56 Fig. 2.22- Analisi plateau del Plastic. Fig. 2.23- Segnale normale del Plastic a 1500V (a sinistra) e scarica del Plastic a 1500V (a destra). 57 Infine con la stessa geometria di figura 2.19 è stata valutata l’efficienza del Mini-plastic. Le tensioni e le soglie sono: 1400V e 40 mV per il Plastic, 1100V e 60 mV per il LYSO e da 0,95V a 1,15V e 20 mV per il Mini-plastic; il ∆tacq= 40 min ogni aumento di 0.05V della tensione del Mini-plastic. Le doppie coincidenze in questo caso, sono state calcolate tra LYSO e Plastic. I risultati sono mostrati in figura 2.24. Visto il plateau, la tensione scelta per il Mini-plastic è 1,15V. Fig. 2.24- Analisi plateau del Mini-plastic. 58 2.3- Calibrazione TDC V488A Il primo modulo da calibrare e che fa parte dell’apparato di acquisizione è il TDC V88A della Caen. Il TDC (Time to Digital Converter) V488A della Caen è un modulo VME che ha 8 canali indipendenti da 12 bit per la conversione di un tempo in un segnale digitale. Il TDC verrà usato per acquisire i tempi dei contatori a scintillazione testati in modo da poterne valutare la risoluzione temporale. Per la calibrazione del modulo Caen TDC V488A, è stato utilizzato uno schema di acquisizione di questo tipo (figura 2.25): un modulo Dual Timer N417 della Caen è utilizzato come impulsatore cioè invia alla restante catena di acquisizione due segnali logici di durata circa 160 ns con una certa frequenza, tali segnali giungono poi ad una Logic Unit della Caen mod. 81 A che effettua la coincidenza dei due segnali. La coincidenza tra i due segnali è utile perché, come vedremo, costituirà il segnale di Common Stop del TDC. Inoltre prima di arrivare al modulo di coincidenze, i due segnali sono inviati a un NIM-ECL-NIM Translator mod. N92 della Caen che invia direttamente i segnali al TDC V488A. Di questo modulo si utilizza solo la metà superiore che è adibita ad una conversione logica dei segnali dallo standard NIM a quello ECL, invece la metà inferiore è adibita alla conversione inversa. Le due uscite della Logic Unit vanno una nel TDC e l’altra in una seconda Dual Timer mod. 2255B della Caen. 59 NIM-ECL-NIM Translator Mod. N92 Caen Dual Timer Logic Unit Mod. N417 Mod. 81 A V488A Caen Caen Caen + 150 ns Dual Timer Mod. 2255B 1° sezione IN OUT TDC I/O Register Mod. V513 Caen Strobe Canale 0 2° sezione IN OUT Reset OUT Fig. 2.25- Schema di acquisizione per la calibrazione del TDC V488A. 60 L’uscita che va al TDC è la cosiddetta modalità COMMON STOP del TDC cioè, dal momento in cui gli arrivano i segnali, il TDC comincia il conteggio (i conteggi sono i tempi con un opportuno fattore di scala), fino a che non giunge un segnale di Common Stop che interrompe la misura del tempo. E’ proprio ritardando questo segnale di Common Stop, che si effettuerà la calibrazione del TDC. Nella figura 2.26 tale ritardo è fisso a 150 ns perché questo sarà poi l’effettivo ritardo usato nelle successive acquisizione con i due NaI(Tl). Il TDC, in esame ha un full scale time range che va da 90 ns a 770 ns. Nella catena di acquisizione è inserito anche il modulo I/O Register mod. V513 della Caen che opera in questo modo: questo modulo I/O ha 16 canali, ognuno dei quali può essere configurato indipendentemente per via di 16 registri di Status programmabili attraverso VME. I due registri da 16 bit ( Input e Output Register) contengono i dati dei canali. Se un canale è configurato come Output, il corrispondente bit di Output register è trasferito al corrispondente connettore I/O; mentre il corrispondente bit dell’Input register contiene i dati di Input dei canali. I due registri sono accessibili attraverso VME. Gli inputs o gli outputs possono essere abilitati dal VME o da un segnale esterno di STROBE (STB) come si vede dalla figura 2.25. Un registro di 3 bit, accessibile per via VME, controlla le operazioni dello strobe e permette di immagazzinare l’impulso di strobe arrivato. Il segnale di coincidenza che arriva nella prima sezione della Dual Timer mod. 2255B, costituisce, in uscita da tale modulo, sia lo strobe per l’I/O Register V513 sia l’Input per la seconda sezione della stessa Dual Timer. I plot effetuati (figura 2.26, 2.27, 2.28) presentano le distribuzioni delle misure di ritardo in funzione del valore di conteggio per i due canali del TDC e per la differenza tra i due canali. Come si vede è stato effettuato un fit Gaussiano dei dati tramite il programma di elaborazione dati ROOT. 61 Fig. 2.26- Canale 1 del TDC, Common Stop ritardato di 200 ns. 62 Fig. 2.27- Canale 7 del TDC, Common Stop ritardato di 200 ns. Questa calibrazione è stata effettuata anche con ritardi del Common Stop di 300 ns (figura 2.29 e 2.30), 400 ns e 600ns, e sono sempre stati effettuati i plot mostrati. Non sono stati riportati i plot dei 400 ns e dei 600 ns, perché comunque l’andamento generale è lo stesso di quello mostrato nei plot con ritardi di 200 ns e 300 ns. Tali ritardi sono stati ottenuti facendo attraversare il segnale di Common Stop del TDC in opportuni “blocchi di ritardo” che ad ogni passaggio ritardano il segnale di una quantità nota. Il numero di eventi acquisiti è per tutte le prove fisso a 1000 eventi. 63 Fig 2.28- Differenza di conteggi fra i due canali, Common Stop ritardato di 200 ns. Fig. 2.29- Canale 1 e 7 del TDC, Common Stop ritardato di 300 ns. 64 Fig. 2.30- Differenza tra i canali, Common Stop ritardato di 300 ns A questo punto si è valutata la sensibilità del TDC, andando semplicemente a graficare il numero medio di conteggi per i due canali (ricavato dal fit Gaussiano dei dati) in funzione dei ritardi aggiunti e la retta tracciata non è altro che la retta di calibrazione del TDC V488A (figura 2.31 e 2.32). Tramite ROOT è stata effettuata una semplice interpolazione lineare dei dati e l’inverso del coefficiente angolare di tale retta (2.3) è la sensibilità del TDC, anche detta risoluzione del TDC e stimata in circa 180 ps/conteggio (dato che trova conferma nel manuale d’uso di tale modulo). (2.3) y = p 0 + p1 x dove y rappresenta il valore dei conteggi del TDC, x i ritardi in ns, p0 il termine noto e p1 il coefficiente angolare della retta. Tali p0 e p1 sono mostrati nelle figure 2.32 e 2.33). 65 Fig. 2.31- Retta di calibrazione per il canale 1 del TDC. Fig. 2.32- Retta di calibrazione per il canale 7 del TDC. 66 2.4- Contatori a scintillazione NaI : caratteristiche e calibrazione I contatori a scintillazione NaI utilizzati sono stati prodotti dalla Scionix (figura 2.33); i cristalli scintillanti inseriti sono rivestiti di un corpo metallico di 0.5 mm di alluminio e sono situati nell’estremità del contatore a scintillazione (parte grigia in alto), mentre la parte centrale del contatore è occupata dal tubo fotomoltiplicatore (parte rossa centrale). I cristalli sono dei cilindri che hanno diametro 51 mm e sono alti sempre 51 mm, il diametro del fotomoltiplicatore è di 2 pollici (tutte queste informazioni sono state ricavate dal numero del tipo: 51 B 51/2-E1) (figura 2.34). Fig. 2.33- Contatori a scintillazione NaI(Tl). 67 Fig. 2.34- Particolare della struttura dei NaI. Per quello che riguarda le caratteristiche si rimanda al Capitolo 1 paragrafo 1.4; comunque l’importante è ricordare che i NaI hanno un alto resa di luce (segnali di grande ampiezza come si vede dalla figura 2.35) ma hanno purtroppo un tempo di decadimento a zero del segnale molto alto ∼ 230 ns, cosa che peggiora notevolmente la risoluzione temporale dello scintillatore. Nella figura 2.36 si vede il confronto tra il NaI(Tl) e gli altri materiali usati per gli scanner PET. Sicuramente gli altri hanno una migliore risoluzione temporale ma il NaI(Tl) resta di fatto uno standard di confronto per la sua alta resa di luce. 68 Fig. 2.35- Segnale all’oscilloscopio del contatore a scintillazione NaI. Fig. 2.36- Caratteristiche dei più usati scintillatori per PET. 69 Per quello che riguarda la calibrazione, tramite un semplice set-up (figura 2.10) comprendente un discriminatore Caen N845 (con soglia di discriminazione pari a –70 mV) e uno scaler V560 sempre della Caen alloggiati nel solito crate NIM della Wiener, sono stati acquisiti i conteggi dati dai due NaI, facendo variare la tensione da 600V a 1100V. Il ∆tacq = 10 min. I risultati sono mostrati in figura 2.37 e dalla posizione dei plateau per i due NaI, si è scelta una tensione di alimentazione di 900V per entrambi. rate = conteggi / tempo acq Calibrazione scintillatori NaI 500 400 300 NaI 1 200 NaI 2 100 0 500 600 700 800 900 V Fig. 2.37- Calibrazione dei due scintillatori NaI. 70 1000 1100 1200 2.5- Calibrazione Waveform Digitizer mod. V1721 Oltre ai tempi (risoluzione temporale), la caratterizzazione di uno scintillatore viene effettuata grazie all’utilizzo di un misuratore di carica (per caratterizzare energeticamente lo scintillatore). Tale misuratore di carica, come il TDC, è stato calibrato. Il modulo Caen V1721 è un modulo VME convertitore analogico/digitale di forma d’onda (Waveform Digitizer) a 8 canali da 8 bit e 500 MS/s (Msamples/s) con capacità di autotrigger. Il trigger può essere imposto dall’esterno, come nel caso da noi utilizzato, oppure tale modulo ha anche la possibilità di impostare da software un trigger interno. Per il lavoro di tesi effettuato, il modulo V1721 è stato utilizzato come ADC, per realizzare gli spettri di carica e perciò di energia, dopo l’aggiunta delle sorgenti di calibrazione (Na-22 e Co-60). Si è preferito utilizzare lo WFD anziché un semplice ADC, perché questo consente anche, come un oscilloscopio, di visualizzare le forme d’onda; questa funzione è stata utilizzata a campione per verificare che i segnali acquisiti avessero sostanzialmente la stessa forma a prescindere dalla carica e non fossero presenti scariche o disturbi nei segnali. Prima di iniziare lo studio energetico sui contatori a scintillazione NaI(Tl) e LYSO, il Waveform Digitizer è stato calibrato. La calibrazione è avvenuta secondo lo schema di figura 2.38. NaI NaI HV S P L I T T E R Ritardo Discrimina tore N845 16ch LTD Quad Gate/Delay Generator 794 Logic Unit mod 81A I/O Register Ritardo Dual Timer mod 2255 B Waveform Digitizer V1721 TRG IN Quad Gate/Delay Generator 794 Ch1 Ch2 Dual Timer N417 71 STB Ch 0 Fig. 2.38- Schema di calibrazione del modulo V1721 Caen. I due contatori NaI sono utilizzati solo perché saranno presenti nel sistema di acquisizione per lo studio sulla qualità di cristalli scintillanti per TOF PET, scopo della tesi; per ora sono adoperati per ricavarne un segnale di coincidenza. Tale segnale di coincidenza tra i due NaI (alimentati entrambi a 900V e discriminati a –70 mV), proveniente dalla Logic Unit mod 81 A, opportunamente ritardato (in modo che arrivi, dalla visualizzazione all’oscilloscopio di tali segnali, prima dei segnali in ingresso a tale modulo) viene usato come trigger al Waveform Digitizer V1721. Il segnale di un contatore NaI (dopo lo splitter) e un segnale proveniente dalla Dual Timer N417 vanno in ingresso ai canali 1 e 2 dello Waveform Digitizer rispettivamente. Siccome si deve certificare che il valore di conteggio in uscita a tale modulo sia proporzionale alla carica del segnale in ingresso, si ha bisogno di impulsi di durata e ampiezza noti; un segnale di coincidenza tra i due NaI proveniente sempre dalla Logic Unit mod 81 A viene portato in ingresso a un modulo Quad Gate/Delay Generator 794, il quale produce un segnale detto Delay che sarebbe un impulso di durata programmabile dal pannello frontale di tale modulo. Programmata la durata in questo modo, tale segnale è stato inviato alla Dual Timer N417; il segnale in uscita alla Dual Timer N417 è mandato in ingresso al canale 2 dello Waveform. Questo segnale è quello che di volta in volta verrà attenuato (tramite visualizzazione all’oscilloscopio) e di cui si valuterà il conteggio. Essendo impulsi quadrati, per calcolare il valore di carica è stata adoperata la semplice formula: (2.4) Carica[ pc] = V [mV ] ⋅ durata[ns ] 50Ω dove V è l’ampiezza del segnale, che come la durata è stata valutata dalla visualizzazione all’oscilloscopio di tali segnali. La calibrazione è mostrata dal grafico di figura 2.39. I dati ottenuti sono stati interpolati linearmente con la retta di equazione: (2.5) y = p1x + p 0 72 dove p1 è il coefficiente angolare della retta e p0 l’intercetta sull’asse y. La retta interpolante mostra che il Waveform Digitizer è perfettamente calibrato, e quindi ad una variazione di carica corrisponde una variazione nel valore dei conteggi, sempre attraverso un opportuno fattore di scala. Il valore p0 dell’intercetta sull’asse y (offset) di circa –6 indica lo zero della scala di carica. Tale valore è molto importante per il successivo studio in energia effettuato con le sorgenti di calibrazione, svolto nel Capitolo 3. Fig. 2.39- Calibrazione dello Waveform Digitizer. 73 2.6- Schema di acquisizione Lo schema di acquisizione utilizzato è mostrato in figura 2.40. Dalla figura 2.40 si vede che i moduli in arancio sono quelli collocati nel crate VME (MVME 5100) della Wiener, quelli in celeste sono invece quelli collocati nel crate NIM sempre della Wiener. I segnali dei due contatori a scintillazione NaI, dopo lo splitter, entrano in un modulo discriminatore mod. N845 di 16 Ch, dove è stata imposta una soglia di discriminazione di 20 mV per il NaI 1 e di 170 mV per il NaI 2. Questo perché la modalità di acquisizione, per gli spettri di carica ottenuti successivamente, prevede che il contatore NaI 2 funzioni da trigger mentre il NaI 1 sia quello che effettivamente produce gli spettri che si analizzeranno nel Capitolo 3 (tale modalità di acquisizione sarà spiegata nel dettaglio nel Capitolo 3). Lo splitter è un circuito costituito tra tre resistenze (50Ω) che permette di poter attenuare il segnale e allo stesso tempo inviarlo a due moduli differenti (nel nostro caso a un discriminatore e allo WFD) senza ulteriori attenuazioni. Affinché il ponte costituito dalle tre resistenze sia bilanciato è necessario che le resistenze d’ingresso di tali moduli siano da 50Ω, come è stato verificato. I quattro Output del discriminatore vanno, dopo aver attraversato un Quad Gate/Delay Generator, due nel NIM-ECL-NIM Translator e da questo al TDC V488A, e degli altri due, uno solo (quello del NaI triggerato cioè NaI 1) va al modulo di coincidenza. Il TDC V488A ha la stessa modalità di COMMON STOP spiegata nel paragrafo 2.4 di questo Capitolo. Come abbiamo già detto nel paragrafo 2.5, il trigger dello Waveform Digitizer proviene dalla Logic Unit mod. 81 A; inoltre, come si vede dalla figura 2.40, i segnali dei due NaI sono portati allo Waveform Digitizer opportunamente ritardati rispetto al trigger, per integrare i segnali ottimamente. Come si vede dalla figura 2.40, nel canale 1 va il segnale proveniente dal NaI 2 (trigger) mentre nel canale 2 va il segnale proveniente dal NaI 1 (triggerato); ed è proprio analizzando i valori di conteggio ottenuti dal canale 2 dello Waveform Digitizer che si otterrano gli spettri di carica per la valutazione della risoluzione energetica dell’apparato studiato. Nella figura 2.40 si aggiungeranno le sorgenti di calibrazione Na-22 e Co-60 prima tra i due NaI (uno trigger e l’altro triggerato) e poi tra un NaI (come trigger) e il LYSO (triggerato) già caratterizzato nel paragrafo 2.2 di questo Capitolo. In figura 2.41 è mostrata una foto dell’apparato di acquisizione utilizzato. 74 Quad Gate/Delay Generator Mod. 794 16 CH Discriminator LTD N845 OUT 0 0 1 1 NaI 1 NaI 2 4CH Programma ble HV Power Supply N470 NIMECL-NIM Translator N92 TDC V488A Ch 1 Ch7 Common Stop +150 ns Logic Unit Mod. 2255B STB Mod. 81A IN OUT I/O Register V 513 1° sezione 2° sezione OUT WFD V1721 + 150 ns Trigger in Ch 0 Ch 1 Ritardati Fig. 2.40- Schema di acquisizione. 75 Reset CH 0 LOGIC UNIT ALIMENTAZIONE DISCRIMINATORE Crate NIM Crate VME TDC V488A I/O REGISTER Waveform Digitizer V1721 Fig. 2.41- Apparato di acquisizione e particolare a destra. 76 CAPITOLO 3 ANALISI DATI Premessa Dopo la messa a punto del sistema di acquisizione (Capitolo 2), sono stati effettuati degli studi sulla risoluzione temporale ed energetica di una coppia di contatori a scintillazione NaI(Tl) prima (le cui caratteristiche sono discusse nel paragrafo 2.4 del Capitolo 2) e poi con una coppia di contatori: NaI(Tl) e LYSO, con lo scopo di sviluppare un sistema di controllo di qualità per cristalli scintillanti per TOF PET. Il sistema di controllo di qualità utilizzerà un NaI e un fotomoltiplicatore H6524 collegato al cristallo da studiare; per verificare la funzionalità del sistema di controllo di qualità è stato utilizzato al posto di un cristallo incognito, un altro NaI. La scelta dei contatori a scintillazione NaI è dovuta principalmente al fatto che le caratteristiche temporali ed energetiche di tali contatori a scintillazione sono ben conosciute, e quindi costituiscono uno standard di riferimento per tutti gli altri contatori a scintillazione realmente utilizzati negli scanner per TOF PET. Il LYSO invece è un cristallo in dotazione al laboratorio del Dipartimento di Scienze di base ed applicate per l’Ingegneria, e sarà utile per testare il sistema di controllo di qualità per cristalli scintillanti per TOF PET, scopo della tesi. La qualità del cristallo LYSO usato, è sicuramente minore rispetto ai cristalli realmente utilizzati in TOF PET, ma si potranno trarre delle indicazioni utili sul sistema di controllo di qualità messo in opera. Le sorgenti di calibrazione utilizzato per lo studio temporale ed energetico sia del NaI che del LYSO sono Na-22 e Co-60. Il Na-22 decade emettendo positroni (β+) con conseguente emissione di due raggi gamma in direzione diametralmente opposta, associati all’annichilazione del positrone; inoltre emette anche raggi gamma da 1.275 MeV. L’attività della sorgente di Na-22 usata è 9 kBq. Il Co-60, invece, decade β- ed emette due raggi gamma in direzione casuale da 1.17 MeV e 1.33 MeV. L’attività della sorgente di Co-60 usata è di 62 kBq. 77 3.1- NaI(Tl) & NaI(Tl): caratterizzazione del sistema di controllo di qualità 3.1.1- Risoluzione temporale La geometria utilizzata è quella in figura 3.1; tra i due NaI, viene collocata una sorgente di Na-22. La modalità di acquisizione adoperata è la seguente: uno NaI (NaI 2 dal paragrafo 2.6 del Capitolo 2) è usato da trigger per l’altro NaI (NaI 1) che invece è triggerato. Quindi, siccome il Na-22 emette o due fotoni gamma da 0.511 MeV in direzioni diametralmente opposte (annichilazione di un positrone) o un fotone gamma da 1.275 MeV, quando il NaI 2 (trigger) rileva uno dei due fotoni da 0.511 MeV, il NaI 1 (triggerato) rileva sia il fotone da 0.511 MeV (per questioni geometriche è praticamente impossibile che i fotoni da 0.511 MeV siano emessi parallelamente alla superficie del cristallo dei due NaI senza essere rilevati, visto che sono geometricamente attaccati come in figura 3.2) sia il fotone da 1.275 MeV. Se invece il NaI 2 (trigger) rileva il fotone da 1.275 MeV, il NaI 1 (triggerato) rileva uno dei due fotoni da 0.511 MeV. Questa modalità di acquisizione rende sempre disponibile al NaI 1 (triggerato) un segnale utile per la successiva analisi degli spettri dei tempi e delle cariche. Entrambi i NaI sono alimentati a 900 V. I due contatori a scintillazione NaI possono ritenersi due sistemi statisticamente indipendenti, e ad ognuno di essi si può associare un valore di conteggio proporzionale, tramite la sensibilità del TDC stesso (vedere calibrazione TDC V488A paragrafo 2.3 del Capitolo 2), al tempo trascorso dall’arrivo del segnale dello NaI al Common Stop del TDC. Supponiamo che tali tempi siano t1 ± σt1 e t2 ± σt2 dove σt1 e σt2 sono le deviazioni standard di tali tempi dovute a fluttuazioni statistiche dei segnali in ingresso al TDC o all’elettronica di acquisizione. In realtà la differenza ∆t tra i due tempi, cioè ∆t = t1-t2, è la grandezza valutata per calcolare la risoluzione temporale dei contatori NaI. La σ∆t, cioè la deviazione standard della differenza tra i tempi, si può calcolare in questo modo: (3.1) σ ∆t = (σ 2 t1 + σ t2 2 ) essendo σt1= σt2 = σNaI dove σNaI è la deviazione standard della misura di tempo eseguita con il contatore NaI, allora la (3.1) diventa: (3.2) σ ∆t = 2σ NaI 78 Quindi, siccome la σ∆t, come vedremo, è la grandezza misurata; la risoluzione temporale dello scintillatore NaI è: (3.3) σ NaI = σ ∆t 2 NaI “triggerato” Na-22 Fig. 3.1- I due NaI con la sorgente di Na-22. 79 NaI “triggerante” γ da 0.511 MeV NaI 1 NaI 2 Na22 γ da 0.511 MeV Fig. 3.2- Emissione dei due gamma da 0.511 MeV parallelamente alla superficie dei cristalli dei contatori NaI (evento praticamente impossibile). I conteggi TDC (tempi attraverso un opportuno fattore di scala (200 ps di sensibilità del TDC)) ottenuti per tale sistema dei due contatori NaI più la sorgente di Na-22, sono stati analizzati tramite il software di elaborazioni dati ROOT ed è stato effettuato un fit gaussiano di tali dati in modo da ricavarne media µ e soprattutto deviazione standard σ di tali distribuzioni di conteggi TDC. Tale σ è proprio la σ∆t che si cerca per stimare la risoluzione temporale del sistema messo in opera. Il fit effettuato con i relativi parametri (µ e σ) è mostrato in figura 3.3. Dal grafico di figura 3.3 risulta per tale sistema una σ∆t ∼ 4.96 ns e quindi una σNaI ∼ 4.96 ns/(2)1/2 ∼ 3.51 ns. 80 Fig. 3.3- Fit gaussiano dei valori di conteggio del TDC per il sistema dei due NaI più la sorgente di Na-22; la σ∆t è sottolineata in rosso. 3.1.2- Risoluzione energetica 3.1.2.1- Premessa Per il comportamento energetico dei contatori a scintillazione utilizzati, è importante studiare gli spettri di carica che lo Waveform Digitizer V1721 Caen permette di analizzare. Siccome lo Waveform Digitizer opera anche come oscilloscopio, di seguito sono riportate due figure 3.4 e 3.5 che mostrano i segnali prodotti sia dal NaI e dal LYSO con la sorgente di Na-22. 81 Fig. 3.4- Segnale del NaI (triggerato a 900V) con Na-22. 82 Fig. 3.5- Segnale del LYSO (triggerato a 2400V) con Na-22. Innanzitutto la carica può essere definita come segue: (3.6) Q = S ⋅G dove Q è la carica del segnale del contatore a scintillazione usato, ottenuta dagli spettri di carica dello Waveform Digitizer; S è il segnale acquisito e cioè i due fotoni gamma da 0.511 MeV in direzione diametralmente opposta e il fotone gamma da 1.275 MeV per il Na-22, i fotoni gamma da 1.17 MeV e 1.33 MeV per il Co-60; e G è il guadagno del fotomoltiplicatore accoppiato al cristallo scintillante del contatore a scintillazione usato. Per caratterizzare il sistema di controllo di qualità è stato svolto uno studio in funzione della tensione di alimentazione dei fotomoltiplicatori allo scopo di verificare la sostanziale linearità del sistema a prescindere dal guadagno dei rivelatori utilizzati. Questo tipo di verifica non è stato effettuato per la caratterizzazione temporale dato il risultato positivo ottenuto per le misure di energia che sono molto più sensibili a eventuali non linearità. Siccome, come visto nel Capitolo 1, il guadagno di un fotomoltiplicatore è definito come: (3.7) G = kV n dove k è una costante, n è il numero dei dinodi e V è la tensione di alimentazione del fotomoltiplicatore e perciò del contatore a scintillazione adoperato; allora unendo le equazioni (3.6) e (3.7) si ha che: (3.8) Q = S ⋅ k ⋅V n Perciò ci si aspetta una dipendenza esponenziale tra la carica del segnale Q e l’alta tensione V con la quale si alimenta il contatore a scintillazione usato. 83 3.1.2.2- Calibrazione energetica dei NaI Il primo set-up preparato consiste nei due NaI (uno come trigger e l’altro triggerato) nella geometria di figura 3.1, solamente che tra i due NaI è stata interposta la sorgente di Co-60. La sorgente di Co-60 emette due fotoni da 1.17 e 1.33 MeV in direzioni casuali intorno alla sorgente. Il NaI che opera da trigger è alimentato a 900 V e ha una soglia di discriminazione di –170 mV, mentre al NaI triggerato verrà variata la tensione a step di 25V da 800V a 900V. L’apparato di acquisizione utilizzato è quello mostrato nel paragrafo 2.6 del Capitolo 2. In questo caso se lo NaI che opera da trigger, rileva il fotone da 1.17 MeV del C0-60 allora lo NaI triggerato rivela il fotone da 1.33 MeV ; mentre se lo NaI trigger rivela il fotone da 1.33 MeV, allora lo NaI triggerato rivela quello da 1.17 MeV. Gli spettri di carica ottenuti sono stati analizzati fittando con una Gaussiana i due picchi del Co-60 come visibile nella figura 3.6 e 3.7. In tali figure sono mostrati in rosso e in blu le distribuzioni gaussiane usate per approssimare i picchi da 1.17 MeV e 1.33 MeV del Co-60. Da notare come con l’aumento della tensione i picchi si spostino ed assumano un valore di conteggio (carica) più alta. Nella tabella di figura 3.8 sono riportati tutti i valori delle µ dei vari picchi e le relative σ. Infine nel grafico di figura 3.9 è riportata la posizione dei due picchi del Co-60 (le varie µ dei picchi) in funzione della tensione di alimentazione del NaI triggerato. Fig. 3.6- Spettro di carica del Co-60 con NaI triggerato a 800V, l’asse y è in scala logaritmica. 84 Fig. 3.7- Spettro di carica del Co-60 con NaI triggerato a 900V, l’asse y è in scala logaritmica. HV Picco da 1.17 MeV Picco da 1.33 MeV µ σ µ σ 800V 2.74 0.30 4.47 0.39 825V 6.04 0.39 8.12 0.36 850V 10.35 0.4 12.35 0.36 875V 14.36 0.33 15.91 0.25 900V 18.47 0.22 19.7 0.26 Fig. 3.8- Tabella che riassume le µ e le σ dei due picchi del Co-60 alle varie tensioni. 85 Fig. 3.9- Posizione dei picchi del Co-60 in funzione della tensione di alimentazione del NaI triggerato. La stesso procedimento è stato ripetuto cambiando la sorgente interposta tra i due NaI e cioè interponendo Na-22. In figura 3.10 e 3.11 sono mostrati due degli spettri di carica ottenuti. In rosso è mostrata la distribuzione gaussiana che approssima il picco a 0.511 MeV e in blu quella del picco a 1.275 MeV. Nella tabella di figura 3.12 sono riepilogati i valori delle µ e delle σ dei picchi del Na-22 e il grafico di figura 3.13 mostra la posizione dei due picchi del Na-22 in funzione della variazione della tensione del NaI triggerato. 86 Fig. 3.10- Spettro di carica del Na-22 con NaI triggerato a 875V, l’asse y è in scala logaritmica. Fig. 3.11- Spettro di carica del Na-22 con NaI triggerato a 900V, l’asse y è in scala logaritmica. 87 HV Picco da 0.511 MeV µ 800V Picco da 1.275 MeV σ Non Non acquisito acquisito Non Non acquisito acquisito Non Non acquisito acquisito 875V 1.45 900V 4.35 825V 850V µ σ 3.1 0.47 7 0.54 11.36 0.33 0.4 15 0.41 0.55 18.5 0.38 Fig. 3.12- Tabella che riassume le µ e le σ dei due picchi del Na-22 alle varie tensioni. Fig. 3.13- Posizione dei picchi del Na-22 in funzione della tensione di alimentazione del NaI triggerato. 88 A questo punto unendo i grafici di figura 3.13 e 3.9, ed interpolando linearmente (con una retta di equazione y = p0 + p1x) i vari punti ottenuti è stato ottenuto il grafico di figura 3.14. Tutti i parametri (p0 e p1) dell’interpolazione lineare effettuata sono elencati nella tabella di figura 3.15. Come si attendeva la retta del picco da 1.27 MeV del Na-22, si inserisce proprio tra le due rette dei picchi da 1.17 MeV e 1.33 MeV del Co-60. Questo è indice che il sistema messo in opera per il controllo di qualità di cristalli scintillanti, è stato calibrato in energia. Fig. 3.14- Posizione dei picchi delle due sorgenti di calibrazione con interpolazione lineare dei dati. 0.511 MeV 1.17 MeV 1.275 MeV 1.33 MeV (Na-22) (Co-60) (Na-22) (Co-60) p0 -99.9±24.8 -124.7±3.44 -120.4±4.54 -117.6±3.71 p1 0.11±0.02 0.16±0.004 0.15±0.004 0.15±0.004 Poca 1.798/3 3.014/3 0.645/3 χ2/gdl statistica Fig. 3.15- Tabella riassuntiva dei parametri dell’interpolazione lineare effettuata. 89 La calibrazione in energia effettuata potrebbe sembrare in contrasto con ciò che è stato affermato nella premessa di questo paragrafo; dove si è esposto che la carica ha una dipendenza esponenziale con la tensione a differenza di quanto discusso sopra dove si ha invece una dipendenza lineare della carica dalla tensione. Questo si spiega andando a consultare i data sheet dei fotomoltiplicatori accoppiati agli NaI. Questi sono dei fotomoltiplicatori 9266B della ET (Electron tubes) Enterprises e le loro caratteristiche sono riassunte nella tabella di figura 3.16. Caratteristiche della finestra Range spettrale [nm] 290-630 Indice di rifrazione 1.49 Diametro attivo [mm] 48 Efficienza quantica al 30 Borosilicate Fotocatodo: bialkali picco % Sensibilità luminosa 70 nominale 50 [µA/lm] Sensibilità dell’anodo nel partitore A Corrente oscura a 20°C Valori massimi stimati Sensibilità anodo [A/lm] Guadagno nominale 0.6×106 Corrente nominale [nA] 0.3-1.5 Corrente anodica [µA] 100 Corrente catodica [nA] 100 Guadagno 7×106 Sensibilità [A/lm] 500 Temperatura [°C] -30-60 V (k-A) [V] 2000 Pressione ambiente 202 [kPa] Fig. 3.16- Caratteristiche dei fotomoltiplicatori 9266B accoppiati con gli NaI. 90 Consultando i data sheet di tali fotomoltiplicatori si è potuto concludere che nel range di tensione utilizzato e cioè da 800V a 900V, la dipendenza esponenziale del guadagno del fotomoltiplicatore dall’alta tensione (vedere figura 3.17) si può approssimare con una dipendenza lineare (figura 3.18). Quindi la dipendenza lineare supposta precedentemente per la calibrazione in energia dell’apparato messo in opera, è un’approssimazione giustificata. Fig. 3.17- Guadagno (in scala logaritmica) in funzione della tensione dei fotomoltiplicatori 9266B 91 Range di tensione utilizzato per calibrazione in energia Guadagno HV Fig. 3.18- Guadagno (scala lineare) in funzione dell’alta tensione. 3.2- NaI(Tl) & LYSO 3.2.1- Risoluzione temporale La stessa prova mostrata nel paragrafo 3.1.1 è stata effettuata sostituendo un NaI con il LYSO, caratterizzato nel paragrafo 2.2 del Capitolo 2; in questo caso il NaI (alimentato a 900V e discriminato a –170 mV) agisce da trigger per il LYSO (alimentato a 2400V) che perciò è il triggerato. La geometria è mostrata in figura 3.19; il LYSO è messo in orizzontale rispetto al NaI perché in tal modo offre alla sorgente interposta tra i due, il lato sensibile del cristallo di LYSO. Anche in questo caso i valori di conteggio ottenuti dal TDC, sono stati fittati con una Gaussiana per estrapolare una media µ ed una deviazione standard σ di tale distribuzione. In figura 3.20 sono mostrati i risultati ottenuti. 92 Na-22 LYSO NaI (trigger) Fig. 3.19- Geometria utilizzata per il calcolo della risoluzione temporale del LYSO. 93 Fig. 3.20- Fit gaussiano dei valori di conteggio del TDC per il sistema NaI, LYSO e Na-22. Come è visibile nel riquadro rosso di figura 3.5, la σ∆t ∼ 3.55 ns. Quindi siccome in questo caso la σ∆t è definita in questo modo: (3.4) σ ∆t = σ NaI 2 + σ LYSO 2 dove σLYSO è la risoluzione temporale del LYSO, allora la σLYSO è definita come: (3.5) σ LYSO = σ ∆t 2 − σ NaI 2 Perciò sostituendo i valori di σ ottenuti si ha: σLYSO= 3.552 − 3.512 ∼ 0.54 ns. Come si prevedeva, il LYSO è più veloce nella risposta del NaI (il tempo di decadimento del segnale del LYSO è nettamente più basso rispetto al NaI (∼ 40 ns vs ∼ 230 ns)). Quindi dal punto di vista temporale, il LYSO testato dal sistema di controllo qualità messo in opera, si comporta meglio rispetto allo NaI, dove si era riscontrata una σNaI ∼ 3.51 ns. 3.2.2- Risoluzione energetica Dopo la calibrazione in energia effettuata con la coppia di NaI, si è voluto testare la risoluzione energetica del LYSO caratterizzato nel paragrafo 2.2 del Capitolo 2. L’apparato messo in opera è quello di geometria nella figura 3.19. La sorgente interposta tra il NaI e il LYSO è il Na-22. La modalità di acquisizione è la stessa mostrata nel paragrafo 2.6 del Capitolo 2 e prevede che il NaI, alimentato a 900V, sia il trigger per il LYSO che viene invece alimentato a step di 50V da 2200V a 2450V. Due esempi di spettri di carica ottenuti dal WVD sono mostrati in figura 3.21 e 3.22. 94 Fig. 3.21- Spettro di carica del Na-22 con LYSO triggerato a 2200V, l’asse y è in scala logaritmica. Fig. 3.22- Spettro di carica del Na-22 con LYSO triggerato a 2450V, l’asse y è in scala logaritmica. 95 Dalle figure 3.21 e 3.22, si può già notare che nello spettro del Na-22 è visibile solo il picco a 0.511 MeV, questo indica la scarsa risoluzione energetica del LYSO testato. I picchi da 0.511 MeV ottenuti alle varie tensioni sono approssimati con della gaussiane (in blu nelle figure precedenti) delle quali sono state calcolate µ e σ. Nella tabella di figura 3.23 sono riassunti tutti i dati ottenuti. Tali dati sono stati poi graficati in funzione dell’alta tensione ed è stato effettuato un fit esponenziale di tali dati. In questo caso come ci si aspetta (vedi premessa 3.1.2.1) la carica ha una dipendenza esponenziale dall’alta tensione del LYSO triggerato. Il risultato è in figura 3.24. HV Picco da 0.511 MeV µ σ 2200V 8.53±0.03 1.95±0.03 2250V 10.09±0.03 2.1±0.01 2300V 11.65±0.05 2.45±0.07 2350V 13.49±0.05 2.55±0.06 2400V 15.48±0.05 2.77±0.07 2450V 17.61±0.05 3±0.05 Fig. 3.23- Tabella che riassume le µ e le σ del picco da 0.511 MeV del Na-22 alle varie tensioni del LYSO. 96 Fig. 3.24- Posizione del picco da 0.511 MeV del Na-22 in funzione della tensione di alimentazione del LYSO triggerato. Per concludere lo studio relativo alla valutazione della risoluzione in energia del LYSO, sono stati confrontati i rapporti σ/µ del picco a 0.511 MeV del Na-22 sia rilevato con il NaI (triggerato) sia con il LYSO (triggerato). Non è stato possibile effettuare un confronto tra i vari σ/µ dell’altro picco a 1.275 MeV del Na-22 perché, come già detto, il LYSO non riesce a risolverlo e perciò è di difficile collocazione negli spettri ottenuti (figure 3.21 e 3.22). I vari σ/µ del picco da 0.511 MeV calcolati sono tabellati in figura 3.25. 97 Contatore triggerato NaI LYSO σ/µ HV 875 V 0.4/7.45∼0.05 900 V 0.55/10.35∼0.05 2200 V 1.95/14.53∼0.13 2250 V 2.1/16.09∼0.13 2300 V 2.45/17.65∼0.14 2350 V 2.55/19.5∼0.13 2400 V 2.77/21.48∼0.13 2450 V 3/23.61∼0.13 Fig. 3.25- Tabella dei rapporti σ/µ calcolati per il picco a 0.511 MeV del Na-22. I valori di µ usati per il calcolo dei rapporti σ/µ sono quelli ottenuti dai vari fit gaussiani sul picco da 0.511 MeV del Na-22, a cui è stato aggiunto il valore di offset (6.33±0.2) ottenuto dalla calibrazione del WVD. Tale valore è quello dell’intercetta sull’asse y della retta di interpolazione usata per calibrare lo WVD (vedi paragrafo 2.5 del Capitolo 2). Da questa tabella si vede che mentre il NaI presenta una risoluzione in energia del 5%, il LYSO presenta una peggiore risoluzione energetica: circa del 13%. Questo è un risultato prevedibile in quanto il LYSO testato è un cristallo non omogeneo, ciò significa che la crescita del cristallo non è avvenuta nel modo ottimale e che l’emissione di luce non è omogenea nel volume del cristallo. Tutto ciò compromette la capacità risolutiva del cristallo di LYSO che se da un lato ha una migliore risoluzione temporale (per il tempo di decadimento) del NaI dall’altro ha una bassa risoluzione energetica (in letteratura si sono consultate delle trattazioni nelle quali dei cristalli LYSO, adatti per TOF PET, hanno dimostrato una risoluzione in energia di circa il 5%). A dimostrazione del fatto che il LYSO testato ha una scarsa risoluzione energetica si è cambiata la sorgente tra lo NaI (trigger) e il LYSO (triggerato): si è interposto il Co-60. Come era prevedibile (vedi figura 3.26) il LYSO non riesce a risolvere i due picchi da 1.17 MeV e 1.33 MeV in quanto energeticamente (0.16 MeV) troppo vicini. 98 Picchi del Co-60 non risolti dal LYSO Fig. 3.26- Spettro di carica del Co-60 con LYSO (triggerato) a 2400 V. 99 3.3- Conclusioni Lo scopo della tesi è stato lo sviluppo di un sistema di controllo di qualità per cristalli scintillanti per TOF PET, tale sistema è stato messo in opera, prima passando attraverso una fase preliminare come l’analisi dei plateau di tensione di scintillatori plastici e LYSO e di calibrazione come la calibrazione del TDC (per lo studio della risoluzione temporale dei contatori a scintillazione utilizzati) e la calibrazione dello WFD (per lo studio della risoluzione energetica); poi scegliendo i vari moduli da utilizzare per completare il definitivo apparato di acquisizione ed infine elaborando i vari software (in linguaggio C e C++) per acquisire ed elaborare i dati. Una volta concluso il set-up sperimentale, costituito da un NaI(Tl) che agisce da trigger e l’altro scintillatore da testare (oltre alle sorgenti di calibrazione), si è prima caratterizzato il sistema di controllo di qualità utilizzando come scintillatore “triggerato” un altro NaI(Tl). La scelta dei NaI(Tl) è stata dettata sia dal fatto che sono in dotazione al laboratorio “SBAM” (“Scienze di Base Applicate alla Medicina”) del Dipartimento di Scienze di Base ed Applicate per l’Ingegneria, sia perché sono gli scintillatori più comuni e conosciuti in letteratura e perciò sono spesso presi come standard di riferimento per gli altri cristalli utilizzati per TOF PET. Quindi per il NaI(Tl) si è ricavata una risoluzione temporale di circa 3.51 ns e una risoluzione energetica di circa il 5%. Poi invece, si è testato il sistema utilizzando come scintillatore “triggerato” un prototipo di cristallo di LYSO, in dotazione al laboratorio “SBAM” (“Scienze di Base Applicate alla Medicina”) del Dipartimento di Scienze di Base ed Applicate per l’Ingegneria, di scarsa qualità in quanto caratterizzato da un’emissione di luce non uniforme. Di questo si è valutata una risoluzione temporale di circa 0.54 ns (come si prevedeva, il LYSO è più veloce nella risposta del NaI infatti il tempo di decadimento del segnale del LYSO è nettamente più basso rispetto al NaI (∼ 40 ns vs ∼ 230 ns)); e una risoluzione energetica di circa il 13% (più bassa di quella del NaI per la scarsa qualità del cristallo di LYSO). Per quanto riguarda gli sviluppi futuri, si dovranno testare dei cristalli che effettivamente sono utilizzati per TOF PET, in modo da valutarne le prestazioni sia temporali che energetiche e poterne consigliare l’uso nella pratica clinica. 100 Ringraziamenti Quando si realizza un sogno durato sei anni, viene spontaneo ringraziare le persone che hanno contribuito a renderlo possibile. Ringrazio il Prof. Patera e il Prof. Sciubba, entrambi con i loro preziosissimi consigli mi hanno accompagnato passo dopo passo in questo mio lavoro di tesi e soprattutto con grande umanità e disponibilità, hanno reso il gruppo “SBAM”, una vera “famiglia” con cui dialogare, confrontarsi e crescere professionalmente. Ringrazio Alessio, per l’utilissimo sostegno ed aiuto in tutte le questioni software ed hardware affrontate. Persone, come Alessio, di così grande bagaglio culturale e senso pratico se ne incontrano poche e per questo lo ringrazio. Ringrazio Francesco, grande amico, anzi “fratello” di disavventure e gioie di questo percorso universitario svolto insieme. Lo ringrazio perché si è dimostrato sempre una persona disponibilissima, sincera, pronta ad aiutarmi in qualsiasi momento, divertente e buona di cuore; persone come lui se ne incontrano veramente poche e soprattutto ti fanno riscoprire ogni giorno il significato vero della parola “amicizia”. Ringrazio Luca e MariaChiara, membri del gruppo “SBAM” ma soprattutto “amici di laboratorio”, sperando che la nostra amicizia si consolidi sempre più. Ringrazio tutta la mia famiglia: mamma, papà, la sorellina Giulia, il fratellone Paolo e la sua Vero, che come sempre mi hanno sostenuto e confortato nei momenti di difficoltà e soprattutto hanno sempre creduto in me e nei miei sogni. Ringrazio in particolare anche la mia Susetta, in questi giorni vissuti insieme hai sconvolto come un uragano la mia vita e mi hai dato la cosa più preziosa al mondo: il tuo amore. Ringrazio infine i miei amici di sempre in particolare Alessio per le mie ore e ore di internet rubate, Marco, Mari, Luca, Claudia, Gianmarco per essermi sempre stati vicini. Grazie Ragazzi! Concludo questi ringraziamenti, dicendo che questi sei mesi di tesi sono stati durissimi ma grazie a queste persone tutto è sembrato molto più facile. Grazie a tutti! 101 Appendice A – I raggi cosmici I raggi cosmici si compongono di due componenti distinte: la radiazione primaria e la secondaria; la prima può essere ulteriormente suddivisa, a seconda dell’origine, in una componente galattica ed in una componente solare di minore rilevanza. La componente solare è di natura sia corpuscolare (protoni ed elettroni) sia elettromagnetica; inoltre dipende dall’attività del sole che segue un ciclo di 11 anni e dalle eruzioni solari che talvolta danno luogo a tempeste solari con emissioni anche eccezionali di particelle di elevata energia. Al di fuori dell’atmosfera terrestre, a latitudini maggiori di 55°, i raggi cosmici sono costituiti da particelle cariche positivamente, in gran parte protoni (ma anche elettroni, elio, carbonio, ossigeno e altri nuclei sintetizzati nelle stelle), di energia compresa per lo più tra 102 e 105 MeV, ma possono raggiungere valori molto più alti. Le particelle non appena giungono in prossimità della terra, risentono dell’azione deviante del campo magnetico terrestre e, per poter giungere al livello del suolo, devono avere una notevole quantità di moto; nel caso contrario, esse finiscono con l’essere imprigionate dal campo magnetico terrestre, dando luogo a cinture di radiazioni (elettroni e protoni con energia minore di qualche GeV) osservate ad altitudini superiori a qualche migliaio di chilometri dalla terra in posizione simmetrica rispetto all’equatore magnetico e note come cinture di Van Allen. Le particelle si muovono su traiettorie spiraleggianti intorno alle linee di forza del campo magnetico terrestre. Quando le particelle ad alta energia urtano gli atomi degli elementi presenti nell’aria, vengono emessi numerosi prodotti secondari quali mesoni, elettroni, protoni, fotoni e neutroni. Queste particelle prima di raggiungere la superficie della terra possono decadere o creare altre particelle secondarie: da un singolo eventi primario può risultare uno sciame di particelle il cui numero può raggiungere il valore di 108. I raggi cosmici primari vengono prevalentemente assorbiti nello strato più alto dell’atmosfera. A circa 20 km dal livello del mare i raggi cosmici sono quasi interamente di natura secondaria. A causa del campo magnetico terrestre l’intensità dei raggi cosmici varia, se pur moderatamente, con la latitudine. L’energia necessaria ad una particella carica per raggiungere la superficie terrestre, infatti, è più alta all’altezza dell’equatore geomagnetico che non ad altre latitudini. Per quanto riguarda la radiazione secondaria, muoni (µ+, µ-) e neutrini sono prodotti del decadimento di pioni carichi (π+, π-) mentre elettroni e protoni sono originati nei decadimenti dei pioni neutri (πo, questi danno luogo immediatamente a due raggi gamma che, interagendo con il campo elettrico dei nuclei, creano coppie di elettrone/positrone (e+, e-)). I muoni sono le particelle cariche (carica uguale opposta a quella dell’elettrone e di massa 205 volte maggiore) 102 più numerose a livello del mare. La maggior parte dei muoni sono prodotti a circa 15 km dalla superficie terrestre e perdono circa 2 GeV per ionizzazione prima di raggiungere la terra. Appendice B - La distribuzione binomiale Molti problemi implicano ripetute e indipendenti prove di un processo nel quale il risultato di una singola prova è duplice, per esempio, si o no, testa o croce etc. Se più in generale si assumono come possibili esiti di una prova il successo o il fallimento di tale prova, si può provare a conoscere la probabilità di r successi (o fallimenti) in N prove senza tener conto dell’ordine con il quale questi avvengono. Se si assume che la probabilità di successo non cambia da una prova alla successiva, allora questa probabilità è data dalla distribuzione binomiale: (B.1) N! p r (1 − p ) N − r r!( N − r )! P(r ) = dove p è la probabilità di successo in una singola prova. La media e la varianza di tale distribuzione possono essere calcolate in questo modo: (B.2) µ = ∑ rP (r ) = Np r (B.3) σ 2 = ∑ (r − µ ) 2 P(r ) = Np (1 − p) r Si può mostrare che la (B.1) è normalizzata sommando P(r) da r = 0 a r = N. Qui si osserva che P(r) non è altro che r-esimo termine della distribuzione binomiale, così che: (B.4) N! ∑ r!( N − r )! p r (1 − p ) N − r = [(1 − p ) + p ] N = 1 r Nei limiti di grande N e p non troppo piccola, la distribuzione binomiale può essere approssimata da una distribuzione Gaussiana con media e varianza date dalle (B.2) e (B.3). 103 Per calcoli pratici, usare una Gaussiana è una buona approssimazione quando N è più grande di circa 30 e p ≥ 0.05. 104 Bibliografia [1]- James E. Turner – “Atoms, Radiation and Radation protection” 3rd edition (Wiley-VCH 2007). [2]- William R. Leo – “Techniques for Nuclear and Particle Physics Experiments” ed. Springer-Verlag [3]- Michael E. Phelps – “Positron emission tomography provides molecolar imaging of biological process”. [4]- N. Belcari, A. Del Guerra – “Utilizzo di tecniche nucleari nell’imaging molecolare”. [5]- Maurizio Conti – “State of the art and challenger of time-of-flight PET”. [6]- Suleman Surti, Georges El-Fakhri, Joel S. Karp – “Optimizing Acquisition Parameters in TOF PET scanners”. [7]- Suleman Surti, Joel S. Karp, Margaret E. Daube-Witherspoon, Gerd Muehllehner – “Benefit of Time-of-Flight in PET: Experimental and Clinical results”. [8]- S. Vandenberghe, S. Matej, M.E. Daube-Witherspoon, M. Guerchaft, J. Verhaeghe, A. Bol, L. Van Elmbt, I. Lemahieu, J.S. Karp – “Determining timing resolution from TOF-PET emission data”. [9]- W.W. Moses, S.E. Derenzo – “Prospects for Time-of-Flight PET using LSO Scintillator”. [10]- C.L. Melcher, J.S. Schweitzer – “Cerium-doped Lutetium Oxyorthosilicate: A fast, efficient new scintillator”. [11]- Thomas Kimble, Mitch Chou, Bruce H.T. Chai – “Scintillation properties of LYSO crystals”. [12]- A. Nassalski, M. Kapusta, T. Batsch, D. Wolski, D. Mockel, W. Enghardt, M. Moszynski – “Comparative study of scintillators for PET/CT detectors”. [13]- Maurizio Conti – “Effect of randoms on Signal-to-Noise-Ratio in TOF PET”. [14]- Nada Tomic, Christopher J. Thompson, Michael E. Caesy – “Investigation of the “Block-effect” on spatial resolution in PET detectors”. [15]- IEEE standard 1014-1987/IEC 821 bus standard – “Il bus VME”. [16]- Timothy Hoagland – “A brief discussion of NIM, CAMAC and VME standards”. [17]- R.W. Novotny, W.M.Doring, V. Dormenev, P. Dexler, M. Rost, M. Thiel, A. Thomas – “High-Energy photon detection with LYSO cristals”. [18]- www.pdg.com 105 Siti consultati per data sheet della strumentazione: [19]- www.scionix.nl [20]- www.caen.it [21]- www.hamamatsu.com [22]- www.et-enterprises.com 106
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