SAPIENZA UNIVERSITÀ DI ROMA

SAPIENZA UNIVERSITÀ DI ROMA
FACOLTÀ DI INGEGNERIA
Corso di Laurea Specialistica in Ingegneria Biomedica
SVILUPPO DI UN SISTEMA DI CONTROLLO
DI QUALITA’ PER CRISTALLI
SCINTILLANTI PER TOF PET
RELATORE
Prof. Vincenzo Patera
LAUREANDO
Fabrizio Stinchelli
CORRELATORE
Prof. Adalberto Sciubba
ANNO ACCADEMICO 2009/2010
1
Alla mia Famiglia
2
INDICE
Introduzione
Capitolo 1 – PRINCIPI DI FUNZIONAMENTO DELLA TECNOLOGIA TOF
PET
1.1- Tomografia ad emissione di positroni (PET)
1.2- PET con tempo di volo (TOF PET)
7
11
1.3- Principi di funzionamento di rivelatori a scintillazione
1.3.1- Scintillatori
17
1.3.2- Fotomoltiplicatori
25
1.4- Stato dell’arte degli scintillatori per TOF PET
31
Capitolo 2 – SET-UP SPERIMENTALE
2.1- Standard NIM e VME
38
2.1.1- Standard NIM
38
2.1.2- VME
42
2.2- Analisi plateau di scintillatori plastici e LYSO
46
2.3- Calibrazione TDC V488A
59
2.4- Contatori a scintillazione NaI: caratteristiche e
calibrazione
67
2.5- Calibrazione Waveform Digitizer mod. V1721
71
2.6- Schema di acquisizione
74
Capitolo 3 – ANALISI DATI
3
3.1- NaI(Tl) & NaI(Tl) : caratterizzazione del sistema di
controllo di qualità
78
3.1.1- Risoluzione temporale
78
3.1.2- Risoluzione energetica
81
3.1.2.1- Premessa
81
3.1.2.2- Calibrazione energetica dei NaI(Tl)
84
3.2- NaI(Tl) & LYSO
92
3.2.1- Risoluzione temporale
92
3.2.2- Risoluzione energetica
94
3.3- Conclusioni
100
Ringraziamenti
101
Appendice A
102
Appendice B
103
Bibliografia
105
4
Introduzione
La scoperta dei raggi X da parte di Wilhelm Conrad Roentgen nel 1895 ha aperto la strada
alla radiologia nel campo dell’imaging medicale; però l’evoluzione della medicina degli
ultimi anni ha richiesto modalità di imaging che forniscano informazioni aggiuntive rispetto
alla semplice osservazione morfologica. Per questo motivo un interesse crescente è mostrato
verso le tecniche di imaging funzionale e molecolare.
L’imaging molecolare è una disciplina della ricerca fisico-medica che si può definire come la
rappresentazione visuale, la caratterizzazione e la quantificazione dei processi biologici che
avvengono in un essere vivente a livello cellulare e sub-cellulare. Le immagini ottenute
riflettono quindi i percorsi cellulari e molecolari, nonché i meccanismi di evoluzione di una
patologia. A tal fine si utilizzano opportuni “probes” molecolari come sorgente di contrasto
per l’immagine. Questi sono solitamente ottenuti a partire da un composto affine che
interagisce con il target di interesse (sia esso ad esempio un tessuto o un determinato
percorso metabolico) con l’aggiunta di una componente che produce un segnale.
Nel caso dell’imaging mediante radionuclidi (imaging nucleare) la componente di segnale è
un atomo radioattivo che viene inserito nella componente affine attraverso sostituzione
isotopica (ad esempio
12
C con
11C)
, sostituzione non isotopica (H con
68
l’introduzione di atomi più pesanti come Ga o
18
F) o attraverso
99m
Tc.
La crescente importanza che le tecniche che utilizzano radiotraccianti attualmente rivestono,
deriva dal fatto che esse costituiscono un valido approccio per l’indagine in vivo dei processi
molecolari che avvengono a livello cellulare, come ad esempio processi di metabolizzazione
anormale del glucosio (indice della presenza di cellule neoplasiche) o di modificazioni
metaboliche legate alla presenza o meno di cellule transgeniche.
Utilizzando le tecniche standard di indagine medicale che non utilizzano radionuclidi, quali
Risonanza Magnetica (RM) e la Tomografia Assiale Computerizzata (TAC), non è possibile
studiare precisamente i meccanismi coinvolti nelle interazioni biochimiche a livello pico- o
sub-picomolare a causa della loro limitata sensibilità in questo ambito. Invece gli studi che
possono essere eseguiti con tecniche come la PET (Positron Emission Tomography) e la
SPECT (Single Positron Emission Tomography), vanno dalla diagnostica per immagini
standard della medicina nucleare, fino a complesse analisi sulla cinetica dei farmaci. Il tipo di
analisi dipende dalle proprietà biochimiche del radiotracciante utilizzato, del quale ne
esistono due categorie: la prima comprende i radiotraccianti aspecifici che seguono un
determinato percorso biochimico e che permettono la misura dell’attività tessutale e
5
metabolica, individuando processi fisiologici o biochimici anormali (radiofarmaci aspecifici
per la PET sono ad esempio
15
O-acqua, tracciante inerte usato per la misura del flusso
sanguigno nel cervello, o 18F-fluoro-desossoglucosio (18F-FDG), precursore del glucosio che
ne segue il processo di metabolizzazione). La misura dell’attività tessutale si ottiene
confrontando la distribuzione all’interno dell’organo di un opportuno radiofarmaco con la
distribuzione dello stesso in un organo sano.
La seconda categoria comprende i radiotraccianti specifici che interagiscono direttamente
con un sito ricettore e sono impiegati per tracciare uno specifico processo fisiologico o
biochimico (a questi appartengono ad esempio il 18F-Fallypride usato nella PET per tracciare
i recettori della dopamina D2).
Attualmente circa il 90% degli studi clinici PET riguardano indagini oncologiche effettuate
con il 18F-FDG.
In questo panorama si inserisce sia l’aggiunta dell’informazione TOF (derivante cioè dai
tempi di volo dei fotoni gamma prodotti dall’annichilazione del positrone β+) alla PET
(discussa nel capitolo 1), sia la necessità di un sistema di controllo di qualità degli
scintillatori utilizzati per TOF PET. Infatti la tesi ha lo scopo di sviluppare un sistema di
controllo di qualità per cristalli scintillanti per TOF PET: nel Capitolo 1 verranno mostrati i
principi di funzionamento della tecnologia TOF PET e soprattutto i rivelatori utilizzati; dopo
questa panoramica, nel Capitolo 2 verrà messo in opera un apparato di acquisizione dati
(tempi e cariche) per poter studiare la risposta temporale ed energetica dei rivelatori per TOF
PET; infine nel Capitolo 3 prima verrà caratterizzato il sistema di controllo di qualità per
cristalli scintillanti, grazie all’utilizzo di una coppia di NaI(Tl), poi si testerà un cristallo di
LYSO, in dotazione al laboratorio di Scienze di base ed applicate per l’Ingegneria,
valutandone la risoluzione temporale ed energetica.
6
CAPITOLO 1
PRINCIPI DI FUNZIONAMENTO DELLA TECNOLOGIA TOF PET
1.1- Tomografia ad emissione di positroni (PET)
La Tomografia ad emissione di positroni è una tecnica di imaging nucleare che permette la
misura in vivo della concentrazione locale di radiofarmaci che emettono positroni (β+). Uno
degli aspetti più interessanti della PET consiste nella possibilità di utilizzare radioisotopi
corrispondenti ad elementi stabili presenti nella materia biologica. Questi se sono sostituiti ad
un atomo stabile di una molecola biologica non ne cambiano la biochimica permettendo, con
un esame di tipo PET, di seguire in vivo la distribuzione di farmaci e agenti fisiologici
radiomarcati.
Il 18F ha proprietà chimiche simili all’idrogeno e può essere sostituito a quest’ultimo in molte
molecole naturali quali amminoacidi, carboidrati, lipidi ed una grande quantità di farmaci.
Tra i radioisotopi molecolari solitamente usati nell’analisi PET (tabella di figura 1.1) come
marcatori di molecole biologicamente attive, si adoperano ad esempio: un analogo del
glucosio marcato
18
F, 2-[18F]fluoro-2-deoxy-D-glucose (FDG), che, dopo aver seguito la
metabolizzazione del glucosio, tramite la fosforilazione mediata dall’enzima esochinasi si
trasforma in FDG-6-PO4, substrato non utilizzabile per le reazioni seguenti e che è ritenuto
nella cellula; oppure un analogo della timidina marcato
18
F, 3′-deoxy-3′-[18F]
fluorothymidine (FLT). Questo si comporta allo stesso modo del FDG, eccetto che i processi
sotto esame, cioè il trasporto della timidina e la fosforilazione, sono usati come stima della
replicazione del DNA e perciò della proliferazione cellulare.
7
Fig. 1.1- I principali radioisotopi utilizzati nella PET.
Il processo fisico utilizzato consiste nella rivelazione dei due gamma di energia pari a 511
keV emessi in seguito al decadimento β+ del radioisotopo e successiva annichilazione del
positrone con un elettrone del tessuto (figura 1.2). I due fotoni vengono emessi
simultaneamente lungo la stessa direzione ma in verso opposto, e la loro direzione di volo
viene misurata utilizzando una serie di rivelatori in coincidenza temporale posti attorno al
paziente.
Fig. 1.2- Principio fisico della tomografia ad emissione di positroni.
8
La rilevazione in coincidenza dei due γ all’interno di una finestra temporale tipicamente di
circa 10 ns definisce la linea di risposta (Line-Of-Response o LOR) e dunque la direzione
lungo la quale è avvenuta l’annichilazione.
Un tomografo PET è solitamente costituito da più anelli di rivelatori posti attorno all’oggetto
da osservare. Ogni rivelatore è messo in coincidenza temporale con i rivelatori che giacciono
su un arco di circonferenza diametralmente opposto.
L’intersezione tra tutti i settori così definiti, definisce il campo di vista (FOV) del tomografo.
L’acquisizione tomografica si ottiene registrando le LOR a vari angoli.
In modalità PET la risoluzione spaziale massima ottenibile è limitata sia dalla fisica del
decadimento β+, sia dalle tecnologie utilizzabili per la rivelazione dei γ in coincidenza. Il
positrone viene emesso con un’energia cinetica non nulla e viene rallentato nel tessuto
attraverso interazioni coulombiane. La perdita di energia continua finché il positrone,
raggiungendo l’equilibrio termico con il mezzo circostante, non annichila con un elettrone. Il
range del positrone dipende dalla densità elettronica del mezzo. In acqua, che rappresenta la
componente principale del mezzo biologico, il range del positrone emesso da un tipico
radioisotopo per la PET è dell’ ordine di 1-2 mm. Questo effetto range degrada la risoluzione
spaziale del tomografo PET.
Inoltre l’annichilazione avviene con un elettrone legato quando il positrone ha raggiunto
l’equilibrio termico; come conseguenza i due fotoni non sono emessi a riposo e dunque si ha
una deviazione dalla collinearità che, in acqua, vale ± 0.25°.
L’effetto range e la non collinearità sono i due processi fisici fondamentali che limitano la
risoluzione spaziale della PET. La risoluzione ottenibile in PET dipende anche da altri fattori
come la dimensione dei cristalli scintillanti, il sistema di codifica utilizzato e l’algoritmo di
ricostruzione. Perciò la FWHM (full width half maximum) della risoluzione spaziale
ottenibile può essere espressa come:
2
(1.1)
d 
2
FWHM = 1.2   + b 2 + (0.0022 D ) + r 2
2
dove:
1.2= fattore di degradazione dovuto alla ricostruzione tomografica;
d = dimensione dei cristalli;
b = inaccuratezza della codifica;
0.0022 = 1/2 tan(0.25°), dove 0.25° è la non-collinearità media dei γ di annichilazione;
9
D = distanza tra i rivelatori;
r = dimensione efficace della sorgente, incluso il range del β+.
Lo scintillatore è responsabile della conversione dell’energia di ionizzazione depositata dai γ
in luce la quale è poi rivelata e amplificata da un fotomoltiplicatore. Per gli scanner PET
sono usati scintillatori inorganici con i seguenti parametri fisici che ne caratterizzano le
prestazioni:
- L’efficienza di rivelazione, che dipende dalla densità ρ, dal numero atomico efficace (Zeff)
(che influenzano la lunghezza di attenuazione (λ) per i γ secondo la formula approssimata λ
∝ ρ(Zeff)4) e dalla sezione d’urto per effetto fotoelettrico.
- La risoluzione energetica, che è associata alla resa di luce dello scintillatore (Nfotoni/MeV)
definita come il numero di fotoni di fluorescenza emessi per MeV di energia persa dal γ per
un evento di assorbimento totale del cristallo.
- La risoluzione temporale è associata al tempo di decadimento della transizione fluorescente.
Il contributo principale alla FWHM osservato nell’allargamento temporale può essere
presentato come ∆t = τ / Nfotoni , dove τ è la costante di decadimento dello scintillatore e
Nfotoni è il numero totale di fotoni emessi dallo scintillatore. Perciò la risoluzione temporale
influisce sulla capacità di discriminare eventi in coincidenza nonché sul rate massimo di
conteggio del rivelatore (come si vedrà nel capitolo 3, proprio su questo principio si
baseranno gli studi effettuati per il calcolo della risoluzione temporale degli scintillatori
NaI(Tl) adoperati). Per applicazioni PET ad alto rate di conteggio, il tempo di decadimento
dovrebbe essere più corto possibile per permettere una buona risoluzione di coincidenza
temporale e minimizzare gli eventi di coincidenza casuali. Il discorso della risoluzione
temporale diventa sempre più predominante con l’aggiunta della tecnologia TOF alla PET,
ecco perché è uno degli argomenti più importanti della tesi.
- Altri parametri sono la lunghezza d’onda di emissione e l’indice di rifrazione (importanti
per l’accoppiamento con il fotomoltiplicatore), nonché le proprietà meccaniche ed
igroscopiche,la resistenza alla radiazione, il costo e la disponibilità sul mercato.
10
1.2 – PET con tempo di volo (TOF PET)
La flessibilità e i vantaggi della Time-Of-Flight (TOF) positron emission tomography (PET)
furono scoperte nei primi anni ’80, quando l’idea di usare l’informazione TOF nella PET era
stata implementata nella prima generazione di TOF PET scanner.
L’informazione TOF è usata nella convenzionale PET per determinare se due fotoni rilevati
sono in “coincidenza temporale” e quindi derivino dallo stesso evento di annichilazione del
positrone. Ogni fotone rilevato è “etichettato” con la posizione del rilevatore e il tempo di
rilevazione: se la differenza temporale di rilevazione tra i due fotoni è più piccola di una
finestra di coincidenza settata (tradizionalmente 5 – 10 ns), i due eventi sono considerati
fisicamente correlati allo stesso evento di annichilazione.
La ricostruzione PET convenzionale usa l’informazione TOF solo per identificare la linea
lungo la quale è avvenuta l’annichilazione; questa però è non adatta a determinare quale
voxel (pixel tridimensionale) lungo la linea, è la sorgente dei due fotoni, perciò tutti i voxel
lungo la linea hanno la stessa probabilità di emissione.
La TOF PET usa la differenza di tempo di volo per localizzare meglio la posizione di
annichilazione del positrone emesso. La differenza di tempo di volo t è direttamente
relazionata alla distanza x del punto di annichilazione dal centro del campo di vista (FOV)
( x = ct/2 ), lungo la linea di risposta (LOR) identificata da due rivelatori in coincidenza,
come mostrato in figura 1.3. In figura 1.3 TOFA è proporzionale alla distanza tra la sorgente
e il rilevatore A, e TOFB è proporzionale alla distanza tra la sorgente e il rilevatore B. La
limitazione nell’abilità di localizzare il punto di annichilazione è principalmente dovuta
all’incertezza nella differenza di tempo misurata t. Gli eventi sono localizzati lungo la LOR
identificata dai due rivelatori; la loro posizione più probabile è sistemata nella posizione
corrispondente alla differenza di tempo di volo misurata t. La FWHM della funzione di
probabilità è l’incertezza di localizzazione ∆x(FWHM) = c∆t/2.
11
Fig. 1.3- Modello geometrico di uno scanner per TOF PET. Una coppia di fotoni è
generata nel pixel quadrato alla distanza x dal centro. Due rivelatori A e B
sono selezionati nell’ anello di rilevatori.
Nelle figure 1.4-1.5-1.6, è illustrata con una simulazione la differenza tra la ricostruzione
convenzionale e quella TOF. Un disco di attività uniforme simulata con un hot spot interno è
piazzato all’interno dell’anello di rivelatori (figura 1.4). Un algoritmo iterativo MLEM
(Maximum Likelihood Expectation Maximization) è usato per la ricostruzione dell’immagine
per entrambi i sistemi TOF e non-TOF. Gli algoritmi iterativi sono basati su un
aggiornamento ripetitivo dell’immagine stimata basato su un confronto tra i dati di
proiezione sperimentali e la proiezione in avanti dell’immagine stimata nello spazio di
proiezione.
Fig. 1.4- Disco di attività uniforme simulata posizionato al centro dell’anello di
rivelatori. Sono tracciate alcune tracce di coppie di fotoni che raggiungono l’anello.
In figura 1.5 è mostrato il metodo convenzionale di ricostruzione; una prima stima
dell’immagine è ottenuta retro-proiettando gli eventi lungo la corrispondente LOR.
12
Fig. 1.5- (a) Un evento, rilevato dai rivelatori centrali a un angolo di 90°, è
ugualmente retro-proiettato in tutti i pixel attraversati dalla LOR.
(b) Tutti gli eventi a 0° e 90° sono retro-proiettati.
(c) Immagine ottenuta alla fine della prima iterazione MLEM.
In figura 1.6 è mostrato il corrispondente caso TOF. Ora gli eventi rilevati sono retroproiettati, assumendo una distribuzione di probabilità lungo la LOR che non è ampia. E’
utilizzata una distribuzione di probabilità Gaussiana, centrata nella posizione corrispondente
al tempo di volo misurato, con una FWHM uguale alla risoluzione temporale misurata. Si
può osservare che l’informazione addizionale data dalla TOF permette una migliore
localizzazione della distribuzione di attività originale fin da una prima stima dell’immagine.
Quindi la ricostruzione iterativa TOF converge più velocemente verso una “vera” immagine
e l’informazione TOF aiuta l’algoritmo a convergere in un più piccolo numero di iterazioni.
Inoltre l’ immagine ricostruita con l’ausilio del TOF risulta caratterizzata da un rumore più
basso come si può notare dal confronto tra le immagini 1.5( c ) e 1.6( c ).
Fig. 1.6- (a) Un evento rilevato da rilevatori centrali a 90°, è retro-proiettato lungo
la LOR secondo una distribuzione di probabilità con una banda
proporzionale alla risoluzione temporale.
(b) Tutti gli eventi a 0° e 90° sono retro-proiettati.
(c) Immagine ottenuta alla fine della prima iterazione di MLEM.
13
In effetti, la ricostruzione TOF riduce la propagazione del rumore lungo la LOR durante la
retro-proiezione dei dati nella ricostruzione. Il rapporto segnale-rumore (SNR) convenzionale
non-TOF è stato modellato in un caso semplice usando un algoritmo analitico di retroproiezione. In un cilindro di diametro D, con distribuzione uniforme di attività, Brownell e
Strother hanno messo in relazione il SNR alla varianza in un elemento d’immagine e:
(1.2)
SNR = const ⋅ t e ⋅ VARe
−1 / 2
dove te sono i conteggi di coincidenze vere in un elemento d’immagine e, VARe è la varianza
delle coincidenze vere nell’elemento d’immagine e, ottenuta come una varianza pesata dei
campioni da ogni proiezione che contribuisce all’elemento e.
Considerando il quadrato elemento d’immagine e (di dimensione d×d) al centro del cilindro,
te può essere stimata come segue:
(1.3)
te ≈ T
4d 2
d2
=
T
πD 2
π ( D 2) 2
dove con T si intende le totali coincidenze vere nell’immagine. Ora se si assume una
statistica di Poisson per gli eventi e che le coincidenze casuali e quelle di diffusione abbiano
una varianza trascurabile, la VARe può essere scritta in questo modo:
(1.4)
VARe = ∑ wθ (tθ + Sθ + Rθ ) = const ⋅(tθ + Sθ + Rθ )
θ
dove tθ, Sθ, Rθ sono rispettivamente le coincidenze vere, diffuse e casuali rilevate nelle
proiezioni a vari angoli θ che contribuiscono all’elemento d’immagine e; wθ è il fattore di
peso. Siccome posso stimare tθ= T
4d 2 D
4d 2 D
,
S
=
assumendo che gli eventi di
S
⋅
⋅
θ
πD 2 d
πD 2 d
diffusione siano uniformi nel cilindro e Rθ= R
4d 2 D
assumendo che gli eventi casuali
⋅
πD 2 d
siano uniformi nel cilindro; allora dalle (1.2), (1.3), (1.4) si può ricavare che il SNR di tale
elemento d’immagine è:
14
(1.5)
SNR = const ⋅ n
−1
2
T2
(T + S + R )
dove T rappresenta i veri totali dell’immagine, S gli eventi di diffusione, R le coincidenze
casuali e n il numero di elementi di volume influenzati dal rumore in tale elemento
d’immagine. Nella ricostruzione, ogni evento rilevato è equamente retro-proiettato in tutti gli
elementi d’immagine lungo la LOR, non solo nell’elemento d’immagine dove era generato.
Quindi, tutti gli n elementi contribuiscono al rumore in ogni elemento d’immagine. In questo
caso, n può essere stimato come nconv = D/d (figura 1.7 a).
Nella ricostruzione TOF invece, ogni evento è retro-proiettato solo nella posizione associata
a tale informazione TOF e nei pochi elementi di volume adiacenti ad esso, con un peso dato
da una funzione di probabilità di larghezza ∆x; ∆x è l’incertezza di localizzazione,
relazionata alla risoluzione temporale ∆t dall’equazione ∆x = c∆t/2. In questo caso,n può
essere stimato come nTOF = ∆x/d (figura 1.7 b).
Usando l’appropriato valore di n nell’equazione (1.5), si può ottenere una stima del SNR
introdotto dalla ricostruzione TOF :
(1.6)
SNRTOF =
D
SNRnon −TOF
∆x
15
Fig. 1.7- (a) Nella ricostruzione non-TOF, tutti gli elementi di volume n trovati
nell’ oggetto lungo la LOR contribuiscono al rumore in ogni elemento
d’ immagine.
(b) Nella ricostruzione TOF, solo gli elementi di volume n adiacenti alla
posizione identificata dal TOF misurato contribuiscono al rumore
locale.
La quantità T2/(T+S+R) dell’equazione (1.5) è comunemente riferita al NEC (noise
equivalent count rate), che è una misura dei conteggi rilevati corretti per il contributo del
rumore delle coincidenze di diffusione e casuali, o una misura della sensibilità effettiva di
uno scanner PET. Il NEC può essere espresso come il quadrato del SNR; e quindi la
ricostruzione TOF è equivalente ad una amplificazione della sensibilità degli scanner per
PET, come mostrato dall’equazione (1.7), derivante dalla (1.5) e dalla (1.6):
(1.7)
NECTOF =
D
NEC non −TOF
∆x
Dalla (1.7) si nota che il guadagno NEC è direttamente proporzionale alla dimensione del
paziente e inversamente proporzionale alla risoluzione temporale dello scanner PET. Questo
sottolinea che il miglioramento della risoluzione temporale è la chiave per una migliore
performance dei TOF PET scanner.
Se sono considerati solo gli elementi di due rivelatori, la risoluzione temporale può essere
misurata piazzando una sorgente puntiforme tra i rilevatori, e misurando la FWHM (full
width half maximum) della distribuzione della differenza di tempo di volo tra i due rilevatori.
In un sistema più complesso che adopera anelli o pannelli di rilevatori, la risoluzione
temporale del sistema risulta dalla media della risoluzione temporale individuale associata
con ogni coppia rivelatore-rivelatore, e potrebbe anche essere affetta da variazioni nella
qualità del rilevatore e dell’elettronica di acquisizione. I rivelatori degli scanner per TOF
PET sono basati su un cristallo inorganico che converte il fotone ad alta energia in fotone di
luce, un tubo fotomoltiplicatore (PMT), e l’elettronica associata per modellare,amplificare e
la discriminazione del tempo.
16
1.3– Principi di funzionamento dei rivelatori a scintillazione
1.3.1-Scintillatori
In generale un rivelatore a scintillazione consiste di un materiale scintillante che è
otticamente accoppiato con un fotomoltiplicatore o direttamente o tramite guida di luce.
Quando una radiazione attraversa lo scintillatore, questa eccita le molecole del materiale
scintillante causando un’emissione di luce. Questa luce è trasmessa al fotomoltiplicatore
dove è convertita in una debole corrente di foto-elettroni che è poi amplificata da un sistema
di moltiplicazione degli elettroni. La corrente risultante è quindi analizzata da un sistema
elettronico (figura 1.8).
I materiali dello scintillatore possiedono la proprietà nota come luminescenza. I materiali
luminescenti, quando sono esposti a certe forme di energia, per esempio luce, calore o
radiazione, assorbono e riemettono l’energia sotto forma di luce visibile. Se la ri-emissione
avviene subito dopo l’assorbimento o più precisamente entro i 10-8 s (tempo preso per le
transizioni atomiche), il processo è chiamato fluorescenza. Invece, se la ri-emissione è
ritardata poiché lo stato eccitato è metastabile, il processo è chiamato fosforescenza.
Fig. 1.8- Diagramma schematico di uno scintillatore-fotomoltiplicatore.
In prima approssimazione, l’evoluzione temporale del processo di ri-emissione può essere
descritto da un semplice decadimento esponenziale (figura 1.9):
(1.8)
N=
−t 
exp 
τd
τd 
N0
17
dove N è il numero di fotoni emessi al tempo t, N0 il numero totale di fotoni emessi, e τd è la
costante di decadimento.
Fig. 1.9- Decadimento esponenziale di radiazione fluorescente.
Un buon scintillatore dovrebbe soddisfare i seguenti punti:
- Alta efficienza per la conversione di energia di eccitazione a radiazione fluorescente.
- Trasparenza alla propria radiazione fluorescente così da consentire la trasmissione della
luce.
- Emissione in un range spettrale consistente con la risposta spettrale dei fotomoltiplicatori
accoppiati.
- Costante di decadimento più bassa possibile.
Gli scintillatori plastici sono probabilmente, nella fisica nucleare e delle particelle, i più
ampiamente utilizzati tra gli scintillatori organici. Le più comuni e usate plastiche sono
poliviniltoluene, polifenilbenzene e polistirene.
Gli spettri di emissione di luce di diversi scintillatori plastici sono mostrati in
figura 1.10; i plastici offrono un segnale estremamente veloce con una costante di
decadimento dell’ ordine di 2-3 ns e un alto output di luce (figura 1.10).
18
NE102A
Tempo di decadimento[ns]
2.4
Output di luce (% Antracene)
65
λ di max emissione [nm]
423
Fig. 1.10- Spettro di emissione dello scintillatore plastico NE102A con relativa tabella che
illustra alcune caratteristiche.
La migliore descrizione matematica dell’impulso di luce (visto il veloce decadimento), come
mostrato da Bengston e Moszynski, sembra essere la convoluzione di una gaussiana con un
esponenziale:
(1.9)
−t 
N (t ) = N 0 f (σ , t ) exp 
τ 
dove f(σ,t) è una gaussiana con deviazione standard σ.
Uno dei vantaggi dei plastici è la loro flessibilità. Sono facilmente prodotti per diversi scopi e
progettati in diverse forme desiderate; si ha un’ampia varietà di forme che vanno da spessori
sottili a larghe superfici, blocchi e cilindri e sono relativamente poco costosi.
Gli scintillatori inorganici sono principalmente cristalli di metalli alcalini contenenti impurità
attivatrici. Il materiale più comune è NaI(Tl), dove il tallio è l’impurità attivatrice; meno
comune per esempio è CsI(Tl) che utilizza sempre tallio.
Lo spettro di emissione di luce di alcuni scintillatori inorganici è mostrato in figura 1.11.
19
Fig. 1.11- Spettro di emissione di alcuni scintillatori inorganici
In generale, gli scintillatori inorganici sono più lenti (∼500 ns) nella risposta degli
scintillatori plastici. Un grande svantaggio di alcuni cristalli inorganici è l’igroscopicità; NaI
ne è un esempio. Per proteggerlo dall’umidità in aria, viene collocato in un vano a chiusura
ermetica.
Il vantaggio dei cristalli inorganici è nella potenza d’arresto alta dovuta alla loro alta densità
e alto numero atomico. Tra tutti gli scintillatori hanno i più alti output di luce, questi
conferiscono una migliore risoluzione energetica e quindi sono ideali per le applicazioni
PET.
Mentre NaI è stato per lungo tempo lo standard per tali scintillatori, recentemente altri due
materiali sono stati studiati con attenzione; questi sono Bi4Ge3O12 (germanato di bismuto o
BGO) e BaF2 . Il BGO è particolarmente interessante per il suo alto Z e alta efficienza di
conversione fotoelettrica di raggi γ.
Mentre il meccanismo di scintillazione nei materiali organici è di natura molecolare, negli
scintillatori inorganici è chiaramente caratteristico della struttura della banda elettronica
trovata nel cristallo. In un cristallo puro il passaggio di una particella ionizzante può
provocare il passaggio di un elettrone dalla banda di valenza alla banda di conduzione. Il
ritorno dell’elettrone alla banda di valenza, con relativa emissione di un fotone, è però un
processo inefficiente, ed in più i fotoni sarebbero emessi nell’ultravioletto, che è una regione
di scarsa efficienza per i fotocatodi dei fotomoltiplicatori. Per aumentare la probabilità di
emissione di fotoni ottici durante il meccanismo di diseccitazione, la struttura delle bande
viene modificata mediante l’introduzione di apposite impurezze. La presenza di impurezze
significa avere un certo numero di atomi di tali sostanze uniformemente distribuiti all’interno
20
del reticolo cristallino. Le impurezze introdotte vengono anche chiamate centri attivatori, a
causa della funzione che vanno a svolgere. Esse danno origine a dei livelli energetici,
spazialmente localizzati, che si vanno a collocare all’interno della banda proibita (figura
1.12). La particella ionizzante può trasferire sufficiente energia ad un elettrone da portarlo
nella banda di conduzione. Questo è il classico meccanismo di ionizzazione in cui gli
elettroni e le lacune generati si muovono liberamente nel reticolo. Un’altra possibilità è
invece che l’energia ceduta all’elettrone non sia sufficiente per portarlo in banda di
conduzione, cosicché esso rimane elettrostaticamente legato alla lacuna. Questo stato
debolmente legato si chiama “eccitone”. L’eccitone si può muovere attraverso tutto il
cristallo ma non contribuisce alla conduzione poiché la sua carica totale è nulla. L’eccitone
durante la sua diffusione attraverso il cristallo può venir catturato da un centro attivatore, che
a sua volta si disecciterà attraverso emissione di radiazione: la lunghezza d’onda del segnale
luminoso non è quindi legata alle impurezze e non al cristallo che, per questo motivo, risulta
trasparente ad essa. Quindi questo fatto risulta estremamente vantaggioso in quanto il
cristallo risulta trasparente alla luce di diseccitazione che se venisse riassorbita non potrebbe
essere rivelata dal fotomoltiplicatore.
Fig. 1.12- Struttura di banda elettronica dei cristalli inorganici.
L’output di luce di uno scintillatore si riferisce più specificatamente alla sua efficienza nella
conversione di energia di ionizzazione in fotoni. In generale, per semplicità, si può assumere
che gli scintillatori rispondano in modo lineare rispetto all’energia di eccitazione, cioè che la
21
luce fluorescente emessa L, è direttamente proporzionale all’ energia, E, depositata dalla
particella ionizzante:
(1.10)
L∝E
In realtà però, questa relazione lineare è vera solo in prima approssimazione; la risposta di
uno scintillatore è una complessa funzione non solo dell’energia ma anche del tipo di
particella incidente e della sua specifica ionizzazione. Il primo modello semi-empirico di
successo è quello di Birks: assumendo che la risposta degli scintillatori organici sia ideale,
Birks spiega che le interazioni tra molecole eccitate dal passaggio di una particella, dissipano
energia che quindi non è più disponibile per la luminescenza. E allora maggiore è l’energia di
ionizzazione, maggiore è la densità di molecole eccitate e maggiori sono le interazioni
dissipanti di cui abbiamo accennato. In questo modello l’output di luce per unità di
lunghezza, dL/dx è:
(1.11)
dL
=
dx
dE
dx
dE
1 + kB
dx
A
dove A è l’ efficienza assoluta dello scintillatore, kB è un parametro che relaziona la densità
dei centri di ionizzazione a dE/dx. Come si vede dall’equazione (1.11), se
dE
è bassa (cioè
dx
per basse energie depositate nello scintillatore), si ha la proporzionalità tra l’output di luce e
l’energia rilasciata dalla particella perciò lo scintillatore è lineare; se invece
dE
non è bassa
dx
(alte energie depositate nello scintillatore), l’output di luce rimane costante anche
all’aumentare dell’energia rilasciata. Questo perché tutti i gap energetici sono stati riempiti e
non si possono avere altre emissioni di luce, anche se aumenta l’energia rilasciata dalla
particella che attraversa il materiale.
Ci sono anche altri modelli, comunque in tutti i casi per piccoli dE/dx si ha:
(1.12)
dL dE
≈
dx dx
come è osservato sperimentalmente.
22
Anche negli scintillatori inorganici la dL/dx varia con l’energia, comunque la dipendenza è in
genere minore.
Alcuni scintillatori sono capaci di discriminare la forma dell’impulso (pulse shape
discrimination PSD) cioè di distinguere tra differenti tipi di particelle incidenti dalla forma
dell’impulso di luce emessa (figura1.13). La spiegazione di questo effetto sta nel fatto che le
componenti lente e veloci derivano dalla diseccitazione dei differenti stati dello scintillatore;
dipendendo dalla specifica perdita di energia della particella (dE/dx), questi stati sono
popolati in differenti proporzioni, così che le intensità relative di due componenti sono
differenti per differenti dE/dx.
Fig. 1.13- Discriminazione della forma dell’impulso dello STILBENE per particelle α,raggi γ
e neutroni.
Infine per la scelta di uno scintillatore, è importante conoscere la loro intrinseca efficienza di
rilevazione per vari tipi di radiazione.
Gli scintillatori sono in genere poco adatti alla rilevazione di ioni pesanti per un output di
luce basso; questo è dovuto alle energie di ionizzazione alte di tali particelle che inducono
effetti di saturazione.
La radiazione beta ha uno spettro continuo, quindi la risoluzione del rivelatore non è
importante.
23
In contrasto con gli elettroni, i raggi γ sono rilevati più efficacemente da materiali ad alto Z.
Questa differenza può essere meglio compresa richiamando le tre interazioni di base con le
quali i fotoni reagiscono con la materia: l’effetto fotoelettrico, la diffusione Compton e la
produzione di coppie. Nell’effetto fotoelettrico e nella produzione di coppie, il raggio γ è
completamente assorbito, mentre nella diffusione Compton il raggio γ trasferisce solo parte
della sua energia al mezzo. Quindi per avere uno scintillatore efficiente nella rivelazione dei
γ, si dovrà usare un materiale nel quale la sezione d’urto (“cross-section”) fotoelettrica e della
produzione di coppie sia grande comparata a quella della diffusione Compton.
Ora siccome le prime due sezioni d’urto sono molto più dipendenti da Z, rispettivamente
come Z3 e Z2, mentre la sezione d’urto della diffusione Compton varia solo linearmente con
Z, allora materiali inorganici di alto Z sono migliori per la rilevazione dei γ (figura 1.14).
Fig. 1.14- Coefficienti di assorbimento dei gamma per scintillatore NaI e il plastico NE102A.
Per completezza è stata aggiunta di seguito una tabella (figura 1.15) di tutte le proprietà
fisiche di alcuni scintillatori commerciali:
24
Tipo
Densità
Output di luce
Costante
λ max
(% Antracene)
di decadimento
di
[ns]
[nm]
emissione
NE102A
plastico
1.032
65
2.4
423
NE104
plastico
1.032
68
1.9
406
NE105
plastico
1.032
46
3.0
423
NE160
plastico
1.032
59
2.3
423
Pilot U
plastico
1.032
67
1.36
391
NE213
liquido
0.874
78
3.7
425
NE216
liquido
0.885
78
3.5
425
NE220
liquido
1.036
65
3.8
425
NE233
liquido
0.874
74
3.7
425
Antracene
cristallo
1.25
100
30
447
Stilbene
cristallo
1.16
50
4.5
410
NaI(Tl)
cristallo
3.67
230
230
413
CsI(Tl)
cristallo
4.51
95
1100
580
CaF2(Eu)
cristallo
3.17
110
1000
435
CaWO4
cristallo
6.1
36
6000
430
Fig. 1.15- Tabella delle caratteristiche di alcuni scintillatori commerciali.
1.3.2- Fotomoltiplicatori
Un fotomoltiplicatore consiste di un catodo di materiale fotosensibile seguito da un sistema
di raccolta degli elettroni, una sezione di moltiplicazione degli elettroni (o stringa di dinodi) e
infine un anodo dal quale è rilevato il segnale finale (figura 1.16). Tutte queste parti sono
allocate in un tubo di vetro sotto-vuoto.
25
Fig. 1.16- Diagramma schematico di un fotomoltiplicatore.
Durante il funzionamento un alto voltaggio è applicato al catodo, mentre i dinodi e l’anodo
sono settati in modo da avere un potenziale scalato per tutta la lunghezza del catodo-dinodianodo. Quando un fotone incidente (da uno scintillatore per esempio), colpisce il fotocatodo,
è emesso un elettrone per effetto fotoelettrico. Per facilitare il passaggio della luce, il
materiale foto-sensibile è depositato in uno strato sottile sulla finestra del PM che di solito, è
fatta di vetro o quarzo. Dalla formula di Einstein:
(1.13)
E = hν − φ
dove E è l’energia cinetica dell’elettrone emesso, h è la costante di Planck, ν è la frequenza
della luce incidente, φ è la funzione di lavoro; è chiaro che una certa frequenza minima è
necessaria prima che avvenga l’effetto fotoelettrico. Al di sotto di questa soglia, la
probabilità di questo effetto è lontana dall’unità. L’efficienza per la conversione fotoelettrica
26
varia fortemente con la frequenza della luce incidente e con la struttura del materiale, per
questo si definisce l’efficienza quantica η(λ):
(1.14)
η (λ ) =
Numerodifotoelettronirilasciati
Numerodifotoniincidentisulcatodo
dove λ è la lunghezza d’onda della luce incidente. Una quantità equivalente è la sensibilità
radiante del catodo che è definita come:
(1.15)
E (λ ) =
Ik
P (λ )
dove Ik è la corrente di emissione fotoelettrica dal catodo e P(λ) è la potenza radiante
incidente. Tale sensibilità, data di solito in ampere/watts, è relazionata all’efficienza quantica
in questo modo:
(1.16)
E (λ ) = λη (λ )
e
hc
con e carica dell’elettrone e c velocità della luce.
Oggi i fotocatodi sono maggiormente costruiti con materiali semiconduttori, formati da
antimonio più metalli alcalini. La scelta dei semiconduttori sta nel fatto che questi presentano
una maggiore efficienza quantica per convertire un fotone in un elettrone utilizzabile. Infatti
nei semiconduttori, a differenza dei metalli, si ha una struttura di bande di energia con pochi
elettroni, quelli nella banda di conduzione e di valenza, che sono approssimatamene liberi; i
restanti sono confinati agli atomi. Quindi un fotoelettrone rilasciato dalla banda di
conduzione o di valenza, incontra meno elettroni liberi prima di raggiungere la superficie con
una quantità sufficiente di energia per continuare il suo cammino all’interno del PM. La
profondità di fuga è così molto più grande rispetto ai metalli e lo è anche l’efficienza
quantica.
A causa del potenziale applicato, il fotoelettrone è diretto e accelerato verso il primo dinodo;
la raccolta e focalizzazione dei fotoelettroni è generata dall’applicazione di un campo
elettrico di questo tipo:
27
Fig. 1.17- Sistema elettro-ottico d’ingresso di un PM.
Quando un fotoelettrone colpisce il primo dinodo, questo trasferisce parte della sua energia
agli elettroni del dinodo; questo causa l’emissione di elettroni secondari che sono poi
accelerati verso i seguenti dinodi. Una cascata di elettroni è generata attraverso una serie di
dinodi (il sistema di moltiplicazione degli elettroni amplifica la bassa foto-corrente primaria
usando una serie di elettrodi di emissione secondaria o dinodi per produrre una corrente
misurabile all’anodo del PM). Oggi i materiali usati per i dinodi sono leghe di metalli alcalini
come: Ag-Mg, Cu-Be, Cs-Sb. Questi materiali hanno alcuni vantaggi:
- Alto fattore di emissione secondaria, cioè alto numero medio di elettroni secondari emessi
per elettroni primari.
- Stabilità dell’effetto di emissione secondaria sotto alte correnti.
- Bassa emissione termoionica, cioè basso rumore.
Il segnale di carica opportunamente amplificato, viene alla fine raccolto all’anodo. Se il
fattore di emissione secondaria vale δ, ed il numero dei dinodi è N, il fattore di
moltiplicazione complessivo vale δN. E’ importante notare che l’amplificazione è
approssimatamene lineare e la carica finale rimane proporzionale a quella iniziale, ed è
quindi proporzionale all’energia depositata, conservandone inoltre l’informazione temporale.
L’amplificazione di un fotomoltiplicatore dipende dal fattore δ che, in prima
approssimazione, è proporzionale alla tensione interdinodo Vd. Supponendo Vd che resti
28
costante lungo tutto il PM, e supponendo δ = kVd , il guadagno G del fotomoltiplicatore,
ossia il rapporto tra gli elettroni raccolti all’anodo e quelli emessi dal fotocatodo, è dato da:
(1.17)
G = δ N = k N ⋅ Vd
N
e anche:
(1.18)
dV
dG
=N d
G
Vd
Da quest’ultima equazione si vede quanto critica è la stabilizzazione in tensione dei dinodi:
se per esempio N=15, una variazione dello 0.1% sulla tensione di alimentazione dei dinodi si
traduce in una variazione del 1.5% sul guadagno e quindi in un peggioramento della
risoluzione del rivelatore. Il problema della stabilizzazione in tensione dei dinodi si risolve
utilizzando alimentatori stabilizzati, e facendo in modo che la corrente di alimentazione del
partitore sia molto più elevata della corrente di elettroni lungo i dinodi (che scorre in
parallelo) in modo che possa essere trascurata. Questo perché, siccome Vd dipende sia dalla
corrente che fluisce nel partitore (Ip) sia dalla corrente di elettroni lungo il tubo (ID), per
mantenere Vd costante deve avvenire che Ip>>ID.
I fotomoltiplicatori possono operare in modo continuo, cioè sotto una costante illuminazione,
o in modo pulsato cioè per esempio nel caso di conteggio di scintillazione. In ogni modo, se
il catodo e il sistema di dinodi sono assunti avere un comportamento lineare, la corrente
all’uscita del PM sarà direttamente proporzionale al numero di fotoni incidenti.
I due principali fattori che influenzano la risoluzione temporale del PM sono:
- Variazioni nel tempo di transito degli elettroni nel PM.
- Fluttuazioni dovute a rumore statistico.
L’effetto di differenza del tempo di transito (transit time difference) degli elettroni può essere
parzialmente risolto tramite due accorgimenti: o si utilizza un catodo di geometria sferica in
modo da equalizzare meglio le distanze, oppure si aggiusta il potenziale attraverso il PM,
cercando di ottenere un campo elettrico accelerante tale che gli elettroni più lontani siano
maggiormente accelerati rispetto ai più vicini. Chiaramente gli elettroni di più alta energia
raggiungono il dinodo prima di quelli a minore energia; perciò si parla anche di effetto di
crescita del tempo di transito (transit time spread) che può essere stimato come segue:
29
∆t = −
(1.19)
2meW
e2 E 2
dove me = 9,1 ⋅ 10-28 g è la massa dell’elettrone, e = 1,6 ⋅ 10-19 C è la carica dell’elettrone, E
è il campo elettrico [V/m], W è la componente di energia normale al catodo, cioè
W = v ⊥ 2me , dove v⊥ è la componente perpendicolare al fotocatodo della velocità di un
2
fotoelettrone. Come si può notare dalla (1.19) tale contributo diminuisce all’aumentare della
tensione di alimentazione.
Per quanto riguarda il rumore, quando un PM non è illuminato, fluisce una bassa corrente,
tale corrente è chiamata la corrente oscura e deriva da diverse sorgenti:
- Emissione termoionica dal catodo ai dinodi
- Correnti parassite
- Contaminazione radioattiva
- Fenomeni di ionizzazione
Tra queste sorgenti, quella che ha maggiore impatto sul rumore è l’emissione termoionica dal
catodo perciò tale rumore può essere modellato dalla formula di Richardson:
(1.20)
 − eφ 
I = AT 2 exp

 kT 
dove T è la temperatura [K], k la costante di Boltzmann, A una costante e φ è la funzione di
lavoro. Un abbassamento di temperatura riduce tale componente di rumore.
Il rumore statistico invece, è il risultato diretto della natura statistica del fenomeno di
fotoemissione ed emissione secondaria; per un’intensità di luce costante, il numero di
fotoelettroni emessi come anche quello degli elettroni secondari emessi, fluttuerà con il
tempo. Le fluttuazioni statistiche dei PM hanno due origini: (1) il fotocatodo, (2) il sistema di
moltiplicazione degli elettroni.
30
1.4- Stato dell’arte degli scintillatori per TOF-PET
La prima generazione di TOF-PET scanner era basata su scintillatori di CsF e BaF2; ma la
bassa densità, la bassa frazione fotoelettrica e il basso output di luce risultavano in una bassa
risoluzione spaziale e sensibilità. Inoltre, l’emissione ultravioletta del BaF2 rendeva la
raccolta della luce difficile, e necessitava di costosi PMT con finestre di quarzo. Per questo,
la prima generazione di tali scanner era riservata al solo ambito di ricerca.
In un parallelo sviluppo dei sistemi non-TOF, cominciò ad essere utilizzato il germanato di
bismuto (Bi4Ge3O12 o BGO); questo materiale ha un’alta efficienza di rilevazione dovuta alla
sua alta densità e all’alto numero atomico efficace, accettabile output di luce e una lunghezza
d’onda della luce emessa intorno ai 480 nm. Inoltre è molto resistente e non igroscopico
(figura 1.18). Tali caratteristiche fecero sì che il BGO divenne il materiale standard per la
PET . Ma il relativamente basso output di luce, la sensibilità alla temperatura e la lentezza
della sua risposta al segnale in input rispetto al NaI(Tl) (padre di tutti gli scintillatori
inorganici preso come standard di confronto) l’hanno reso velocemente inadeguato nei
confronti di altri cristalli scoperti più tardi.
Nel 1983, l’ossiortosilicato di gadolinio dopato al cerio (GSO) ha dimostrato vantaggi
rispetto ai materiali già esistenti (figura 1.18); anche l’ossiortosilicato di ittrio (YSO) ha
buone proprietà di scintillazione. Entrambi tali materiali hanno preparato la strada verso
l’ossiortosilicato di lutezio dopato al cerio (Lu2SiO5); questo ha un alta resa di luce (circa
30,000 fotoni al MeV), alto Z efficace ( Zeff=66), e alta densità (7.4 g cm-3). Tali
caratteristiche hanno reso LSO il materiale standard per i sistemi PET. LSO ha anche un
basso indice di rifrazione rispetto agli altri scintillatori considerati (figura 1.18), questo
comporta meno riflessioni all’interfaccia scintillatore-fotomoltiplicatore e una grande
frazione di luce prodotta dal cristallo per essere convertita in un impulso elettrico. Infine non
è igroscopico ed è ragionevolmente resistente.
31
Fig. 1.18- Proprietà fisiche
In figura 1.19 sono comparati gli spettri di emissione del LSO, sotto l’eccitazione dei raggi
gamma emessi dalla sorgente 241Am, con NaI(Tl), BGO e GSO. Il picco di lunghezza d’onda
di emissione del LSO è circa 420 nm che provvede a un buon collegamento con la risposta
spettrale del PMT accoppiato (figura 1.21). La resa di luce è di circa il 75% di quella
dell’NaI(Tl) e diverse volte più grande di quella del BGO o GSO.
Fig. 1.19- Confronto tra spettri di emissione.
32
Altro parametro chiave è il basso tempo di decadimento (∼40ns) che è stato immediatamente
adoperato per ridurre la finestra di coincidenza dai 12 ns, tipici del BGO, a 6 ns che è stato
poi ridotto a 4.5 ns con lo sviluppo dell’elettronica veloce. La più corta finestra di
coincidenza temporale dei due gamma emessi, riduce le coincidenze casuali nei dati acquisiti.
Tale decadimento di scintillazione è stato misurato con una tecnica di conteggio del singolo
fotone tempo-correlato ed è mostrata in figura 1.20. Con buona approssimazione, il
decadimento può essere descritto, come abbiamo visto nel paragrafo 1.3.1, da un semplice
esponenziale con costante di tempo di circa 40 ns (figura 1.21). Comunque un più accurato
fit dei dati di decadimento, rileva due componenti esponenziali con costanti di tempo di 12 ns
e 42 ns.
Fig. 1.20- Decadimento di scintillazione, seguendo l’eccitazione dei gamma, può essere
approssimato dalla somma di due componente di 12 ns e 42 ns.
33
Fig. 1.21- Proprietà di scintillazione di LSO comparate ad altri scintillatori.
Per quanto riguarda la risoluzione temporale, mentre con scintillatori di CsF e di BaF2 si è
ottenuta una risoluzione temporale di coincidenza di circa 500 ps, le caratteristiche del LSO
hanno permesso di ottenere una risoluzione temporale di 300 ps con due singoli cristalli di
LSO in coincidenza. A dimostrazione di questo si riporta uno studio effettuato su cristalli
LSO.
Il tempo di coincidenza per cubi di LSO di 3 mm, è misurato con una geometria mostrata in
figura 1.22 a. I risultati mostrati in figura 1.23, indicano una risoluzione temporale di 300 ps.
Fig. 1.22- Geometria LSO.
Fig. 1.23- Risoluzione temporale di 300 ps per cubi di 3 mm di LSO.
Poi i cubi di LSO sono stati sostituiti con cristalli LSO di 3×3×30 mm3 come mostrato in
figura 1.22 b, e la distribuzione dei tempi di coincidenza risultanti sono mostrati in figura
1.24. In questo caso, la risoluzione temporale è aumentata a 488 ps con cristalli incisi e a 458
ps con cristalli lisci.
34
Fig. 1.24- Risoluzione temporale di 488 ps con cristalli LSO di 3×3×30 mm3.
Quindi è stato osservato che la risoluzione temporale di coincidenza dipende dalla lunghezza
del cristallo ma anche dalla finitura della superficie.La tabella di figura 1.25 mostra che la
risoluzione temporale degrada progressivamente con l’aumento della lunghezza. Questa
indica che mentre la finitura della superficie non appare avere un ruolo fondamentale,
cristalli lisci possono avere una buona risoluzione temporale anche per cristalli lunghi (≥ 20
mm).
Trattamento superficiale
Lunghezza
Inciso
Liscio
10 mm
317 ps
324 ps
20 mm
391 ps
385 ps
30 mm
455 ps
397 ps
Fig. 1.25- Risoluzione temporale in funzione della finitura della superficie e della lunghezza
del cristallo per un cubo di LSO di 3 mm in coincidenza con cristallo LSO di 3×3×x mm3
dove x = 10,20,30 mm.
Una possibile spiegazione della degradazione della risoluzione temporale di coincidenza con
l’aumentare della lunghezza del cristallo, deriva dal tempo di propagazione. Come dimostra
la figura 1.26, l’ informazione (sotto forma di fotoni di 511 KeV) viaggia alla velocità della
luce da una sorgente radioattiva al punto dove interagisce all’interno del cristallo. Dopo
l’interazione, l’informazione viaggia alla velocità c/n (dove n è l’ indice efficace di
rifrazione) dal punto di interazione al PMT. Quindi, l’interazione a posizioni differenti nello
scintillatore porterà a differenze nel tempo che impiega l’informazione a propagarsi dalla
sorgente al PMT, aumentando così il tempo di coincidenza.
35
Un’altra potenziale causa per la degradazione della risoluzione temporale di coincidenza con
l’aumento della lunghezza del cristallo, è il tempo di risalita del segnale ottico. Per conoscere
se effettivamente il tempo di risalita è condizionato dalla lunghezza del cristallo, sono state
misurate le distribuzioni dei tempi di arrivo del segnale di cristalli LSO incisi o lisci di
dimensioni 3×3×x mm3 dove x = 10,20,30 mm, uniformemente illuminati da raggi x. Le
distribuzioni dei tempi di arrivo dei fotoni di scintillazione per cristalli lisci di diverse
lunghezze sono mostrate in figura 1.27 e dimostrano che esistono diversi tempi di risalita.
Inoltre si vede che il tempo di risalita cresce progressivamente con l’aumento della
lunghezza.
Fig. 1.26- Differenze nei tempi di propagazione.
Fig. 1.27- Distribuzione dei tempi di arrivo dei fotoni di scintillazione per diversi cristalli
LSO.
L’effetto causato dal tempo di propagazione può essere eliminato se è nota la profondità di
interazione all’interno del cristallo; misure della profondità di interazione sono utili per
ridurre artefatti sulla risoluzione spaziale conosciuti come elongazione radiale ed esistono
diversi progetti basati su LSO che includono tale capacità.
36
La recente scoperta del LaBr3 dopato al cerio ha aperto una nuova via per la strumentazione
TOF. Mentre LaBr3 mostra più bassa potenza di arresto del LSO, ma ha un più basso tempo
di decadimento (16 ns), un’eccellente risoluzione energetica (circa 3% a 662 keV), e un
accettabile output di luce (tabella figura 1.28); tutte queste caratteristica hanno reso il LaBr3
come candidato per TOF-PET. Per tale materiale è stata misurata una risoluzione temporale
di 460 ps.
Uno dei primi scanner per TOF-PET, lo Gemini TF PET/CT della Philips, usa cristalli
LYSO. LYSO è un materiale con struttura simile al LSO: una frazione di atomi di lutezio nel
cristallo sono rimpiazzati con ittrio, perciò le proprietà del LYSO sono molto simili a quelle
del LSO. Sebbene il LSO è il migliore materiale scintillante per applicazioni PET, non è
facile da produrre a causa del suo alto punto di fusione (oltre 2000 °C). Quindi i primi passi
verso lo sviluppo di cristalli LYSO vennero effettuati proprio per ridurre la temperatura di
crescita del cristallo e per abbassare il costo di produzione.
Siccome l’ittrio ha un numero atomico e un numero di massa più basso del lutezio, oltre a
conferire al LYSO una minore densità rispetto al LSO, fa sì che la potenza d’arresto del
LYSO decresca quando diminuisce la percentuale in composizione di lutezio. Comunque il
LYSO ha un output di luce e una costante di decadimento (tabella di figura 1.28) molto simili
al LSO e per questo ne rappresenta una valida alternativa. Inoltre l’abbassamento della
temperatura di fusione, l’abbassamento dei costi dei materiali e la formazione di meno
inclusioni cristalline nel reticolo rappresentano i vantaggi del LYSO.
LSO
LYSO
LaBr3
Output di luce [ph/MeV]
31000
32000
65000
Picco di emissione [nm]
420
420
360
Tempo di decadimento [ns]
40-47
41
15
Indice di rifrazione
1.82
1.81
1.9
7.4
7.1
5.29
Densità [g/cm3]
Fig. 1.28- Proprietà di scintillazione di LSO, LYSO e LaBr3.
Nel Capitolo 3 della tesi, si determinerà la risoluzione temporale ed energetica di un
prototipo molto disomogeneo di cristallo di LYSO delle dimensioni di 5 cm × 3 cm × 1 cm
con superfici lisce. Tale cristallo è accoppiato a un fotomoltiplicatore H6524
dell’Hamamatsu.
37
CAPITOLO 2
SET-UP SPERIMENTALE
Premessa
Il primo passo da compiere per sviluppare un sistema di controllo di qualità per cristalli
scintillanti per TOF PET, è di mettere in opera un set-up sperimentale adeguato per poter
stimare la qualità sia dal punto di vista temporale che energetico dei contatori a scintillazione
testati (Capitolo 3). Tale set-up prevede moduli elettronici con diverse funzioni
(discriminatori, scaler etc.) alloggiati in un crate per essere alimentati e acquisire le
informazioni raccolte. Esistono perciò diversi standard per acquisire dati nella fisica nucleare,
e quelli in uso nel Laboratorio del Dipartimento di Scienze di base ed applicate per
l’Ingegneria sono: lo standard NIM e quello VME.
2.1- Standard NIM e VME
2.1.1- Standard NIM
Il primo standard stabilito per la fisica nucleare e ad alta energia è il sistema modulare
chiamato NIM (Nuclear Instrument Module). In questo sistema, l’apparato elettronico di
base, per esempio amplificatori, discriminatori, etc., è costruito in forma di moduli secondo
specifici standard meccanici ed elettrici. Questi moduli si inseriscono in “bins” standardizzati
che forniscono ai moduli alimentazioni standard. Un sistema elettronico può essere
facilmente creato dalla raccolta dei moduli necessari, l’installazione di questi in un NIM bin
e un giusto collegamento fra essi. Dopo l’esperimento, i moduli possono essere facilmente
trasferiti in un altro sistema; quindi il sistema NIM offre enormi vantaggi di flessibilità,
interscambio di strumenti, riduzione degli sforzi di progetto e facile installazione dei moduli.
La potenza per questi moduli è fornita attraverso un connettore posteriore (figura 2.1).
Lo standard NIM bin è costruito per accettare fino a 12 moduli singolo spessore o un minor
numero di moduli multiplo spessore. I connettori posteriori di potenza devono provvedere a
quattro voltaggi dc standard: -12V, +12V, -24V, +24V, come designato dalle convenzioni
38
NIM. Comunque alcuni bins provvedono anche –6V e +6V e 110V AC. L’assegnazione dei
“pin” dei connettori posteriori sono mostrati in figura 2.2.
Fig. 2.1- Crate NIM della Wiener.
I moduli NIM includono sia dispositivi analogici che digitali. I segnali digitali o logici, a
differenza di quelli analogici, sono di forma fissata e hanno solo due possibili stati: si o no.
E’ ormai usuale riferire i due stati a lo 0 logico o l’1 logico; che segnale è scelto a 1 e a 0 è
comunque arbitrario.Oltre al valore scelto per tali segnali, la cosa più importante è che questi
segnali possono segnalare la presenza o meno di una particella in un rivelatore oppure
incrementare un modulo di conteggio oppure creare una coincidenza con un altro segnale.
Esistono due standardizzazioni riguardo al valore di tali segnali logici: la logica slow-positive
e quella fast-negative. La prima si riferisce a segnali di basso tempo di risalita, tali segnali
sono di polarità positiva e sono usati con rilevatori lenti (figura 2.3). I valori di tensione
tabellati attraversano un’impedenza di 1000 Ω, perciò la corrente trasportata dal segnale è
molto bassa. Oggi comunque lo standard NIM è solo fast-negative.
39
Fig. 2.2- Assegnazione dei pin su un connettore NIM posteriore.
Fast-negative logic, spesso riferita come logica NIM, è utilizzata invece per segnali
estremamente veloci con tempi di risalita dell’ordine del nanosecondo (figura 2.4). Questo
tipo è spesso usato in esperimenti che adoperano veloci contatori plastici o quando è richiesto
un alto rate di conteggio. Le impedenze d’ingresso e di uscita di tutti i veloci moduli NIM
sono 50 Ω. I corrispondenti valori di tensione sono 0 V e –0.8 V per lo 0 logico e l’1 logico
rispettivamente.
40
Fig. 2.3- Slow-Positive NIM Logic
Fig. 2.4- Fast-Negative NIM Logic
41
2.1.2- VME
Il VME (Versa Module Europe) è l’erede del lavoro fatto dai progettisti della Motorola, a
partire dal 1978, per dotare le CPU della serie 68k di un bus per il collegamento delle
periferiche all’altezza delle prestazioni che queste potevano esprimere. Questo lavoro nel
1979 produsse le prime specifiche di un “crate bus” “proprietario” denominato Versabus,
successivamente accettato come standard.
In quegli stessi anni un organismo internazionale, l’International Electro-technical
Commission (IEC) aveva proposto uno standard meccanico modulare per il formato di
schede elettroniche detto comunemente “Eurocard”. Questa proposta era nata mettendo
insieme lo standard di connettori multipolari della famiglia DIN 41612/IEC 603-2 ed i
cassetti modulari definiti dallo standard IEEE 1101 PC/DIN 41494. Perciò ben presto venne
creato un sistema, in parte logicamente ispirato al Versabus, ma alloggiato in una meccanica
Eurocard: era nato il VME.
Il VME è un crate-bus (come il CAMAC ed il Fastbus, ormai obsoleti), ma ammette anche
l’implementazione di segmenti su cavo (cable-segment). Il VME offre un piano posteriore
per una veloce ed efficiente trasmissione dei dati, ed è un bus più veloce del CAMAC, ciò
significa che più dati possono essere trasferiti e la densità dei canali aumenta. Il VME bus è
una standard industriale usato dai fisici.
Il crate VME ha alloggiamenti per 21 moduli, il primo è riservato per un controllore del
crate; il piano posteriore del VME ha due connettori su tre colonne per modulo, questi sono
sia per i dati che per fornire l’alimentazione. Il VME ha diverse estensioni: il VME 430
aggiunge un più piccolo terzo connettore al piano posteriore del crate, tale connettore è usato
per alimentazioni addizionali e per particolari operazioni; il VME 64X è un’estensione del
VME 430 e aggiunge due colonne di connettori a ognuno dei tre connettori, le due colonne
aggiunte sono disposte in modo che anche un regolare modulo VME può essere inserito in un
crate VME 64X. Inoltre il VME 64X ha alcuni vantaggi come per esempio: una tensione di
alimentazione di 3.3V che può arrivare anche a 5V, se necessario; pin allocati per un bus di
test e manutenzione; un supporto meccanico per il controllo della compatibilità magnetica
(EMC); un supporto meccanico per il controllo della scarica elettrostatica (ESD); un front
panel assicurato a terra.
In figura 2.5 sono mostrate sinteticamente le caratteristiche del bus VME in un diagramma a
blocchi funzionali. Le specifiche VME per favorire una migliore comprensione della struttura
del bus suddividono l’insieme delle linee, dal punto di vista funzionale in cinque “sub-bus”
42
ciascuno in grado di eseguire autonomamente un certo tipo di operazione specifica. Questi
sono: il bus trasferimento dati, il bus per l’arbitraggio, il bus per la gestione delle priorità di
interruzione,il bus dei servizi ed infine uno speciale bus seriale detto VMSbus (VME
Message Serial bus) che può essere utilizzato per scambiare brevi messaggi urgenti tra
moduli o sistemi VME.
Il modello di architettura logica utilizzato, a tutti i livelli, è quello master/slave, i
trasferimenti sul bus sono asincroni e le linee dati e quelle indirizzi sono separate (figura
2.5). I campi di indirizzamento possono utilizzare 16 bit (short), 24 bit (standard), 32 bit
(extended), con possibilità di passare dall’uno all’altro dinamicamente.
Una caratteristica particolare del bus VME sono le 6 linee di “address modifier code”, AM0AM5 che sono alla base della duttilità di indirizzamento e di gestione dati nel sistema. Ad
essi è anche affidata l’informazione sulla modalità del trasferimento.
43
Fig. 2.5- Diagramma a blocchi dello Slave
L’arbitraggio del bus è un problema cruciale in un bus multi-master e lo è soprattutto
in un sistema di elaborazione distribuita, in cui le esigenze dei vari master, che aspirano a
diventare commander del bus per scambiare dati con gli slave, si intrecciano con i processi
software che sono in esecuzione nei master intelligenti. Le specifiche VME hanno affrontato
il problema con estrema attenzione ed hanno operato in due direzioni diverse: da una parte
prevedono l’uso di collegamenti tra schede, processori e periferici su bus ausiliari, paralleli,
come ad esempio, il VSB o, seriali, come il VMS, per rendere la gestione di ogni
sottosistema il meno critica possibile; dall’altra prevedono una struttura hardware per
l’arbitraggio del bus molto duttile e potente ma che possa, all’occorrenza, essere facilmente
minimizzata per non appesantire i piccoli sistemi che non hanno bisogno di una gestione
sofisticata delle priorità per assumere il possesso del bus.
Il bus arbitraggio prevede quattro distinti livelli di richiesta del bus. Ciascun livello ha una
propria linea di richiesta (BRX*) alla quale è associata una coppia di linee per la gestione del
“bus grant” BGXIN*/BGXOUT* secondo la tecnica “daisy-chain”. Questa, come è noto, in
ciascun livello assegna automaticamente la priorità al dispositivo più vicino all’arbitro il
quale ha la posizione 1 del crate (figura 2.6). Il livello 3 è, per convenzione, quello a più alta
priorità mentre la priorità più bassa tocca al livello 0. Il funzionamento di ciascun livello è
quello classico: quando la linea va bassa, l’arbitro, se il bus non è occupato (BBSY* attivo)
genera un segnale di bus grant sulla linea corrispondente a quel livello di richiesta; la logica
di richiesta del primo dispositivo lungo la linea di grant, riceve il segnale e, se non aveva
attivata bassa la linea di richiesta, lo propaga al successivo, e così di seguito, fino a che il
segnale non arriva al controllore dell’interrupt del dispositivo richiedente, il quale non
propaga oltre il grant ed attiva, invece la linea busy, dopo aver comunicato al proprio master
di aver assunto il controllo del bus.
44
Fig. 2.6- Assegnazione delle priorità.
45
2.2- Analisi plateu di scintillatori plastici e LYSO
In una fase preliminare del lavoro di tesi svolto presso il Laboratorio del Dipartimento di
Scienze di base ed applicate per l’Ingegneria (ex Dipartimento di Energetica), è stato studiato
il comportamento di tre contatori a scintillazione: due plastici e uno scintillatore LYSO.
I due contatori a scintillazione plastici (mostrati in figura 2.20) sono due BC 400 della Bicron
delle dimensioni di 5×5×1 cm3 e di 3×3×1 cm3, i quali nel seguito per comodità, saranno
denominati rispettivamente Plastic e Mini-plastic. Invece il terzo contatore a scintillazione è
un LYSO delle dimensioni di 5×3×1 cm3 (mostrato in figura 2.20). Tutte le caratteristiche di
scintillazione dei tre contatori sono riassunte nella tabella di figura 2.7. Il cristallo di LYSO è
un prototipo di scarsa qualità perché disomogeneo e con resa luminosa inferiore a quella di
progetto. Infatti, come si vedrà nel Capitolo 3, ci si attende che occorrerà amplificare molto il
segnale e che la risoluzione energetica sarà scarsa.
BC 400 (Plastic e Mini-platic)
LYSO
Densità [g/cm3]
1.032
7.1
Indice di rifrazione
1.58
1.81
Uscita di luce [ph/MeV]
13000
32000
Tempo di salita [ns]
0.9
0.65
Tempo di decadimento [ns]
2.4
41
Massima lunghezza d’onda [nm]
423
420
Fig. 2.7- Proprietà dei contatori a scintillazione utilizzati.
Il Plastic e il LYSO sono accoppiati con un fotomoltiplicatore H6524 dell’Hamamatsu che è
mostrato un figura 2.8, mentre il Mini-plastic è accoppiato al fotomoltiplicatore H10721
dell’Hamamatsu sempre mostrato in figura 2.8. In quest’ultimo tipo di modulo di
fotomoltiplicazione, l’alta tensione necessaria al fototubo viene generata internamente a
partire dalla bassa tensione (tramite un potenziometro regolabile).
Le caratteristiche dei due fotomoltiplicatori sono riepilogate nella tabella di figura 2.9.
46
Fig. 2.8- A sinistra fotomoltiplicatore H10721, a destra fotomoltiplicatore H6524.
H6524
H10721
Area fotosensibile
19 mm
8 mm
Tipo di catodo
Bialkali
Bialkali
Lunghezza d’onda di picco
420 nm
400 nm
Materiale della finestra
vetro borosilicato
vetro borosilicato
Lunghezza d’onda min.
300 nm
230 nm
Lunghezza d’onda max.
650 nm
700 nm
Sensibilità luminosa del catodo
115 A/lm
104 A/lm
Sensibilità luminosa dell’anodo
200 A/lm
210 A/lm
Corrente oscura
3 nA
1 nA
Tempo di salita
1.8 ns
0.57 ns
Struttura dei dinodi/numero di dinodi
L/10
Metal Channel/10
Tipo di uscita
corrente
corrente
Fig. 2.9- Proprietà dei fotomoltiplicatori accoppiati ai contatori utilizzati.
In questa prima fase di preparazione del set-up sperimentale si sono utilizzati tali
combinazioni di scintillatori e fotomoltiplicatori perché in dotazione al Laboratorio del
Dipartimento di Scienze di base ed applicate per l’Ingegneria, per altre esperienze; come si
discuterà in seguito l’apparato di acquisizione messo in opera prevede l’utilizzo di due
47
contatori a scintillazione NaI(Tl) (caratterizzati nel paragrafo 2.4) e un cristallo di LYSO
accoppiato, come detto, con il fotomoltiplicatore H6524 dell’Hamamatsu.
Nelle applicazioni di conteggio per il passaggio di particelle attraverso scintillatori, una
semplice procedura per trovare la tensione di alimentazione di lavoro è la cosiddetta misura
dei “plateau” di tensione. Tale procedura è stata svolta nel modo seguente: sono state
misurate le coincidenze triple tra i tre contatori oltre alle doppie tra due contatori scelti
diversi di volta in volta, in modo da poter calcolare il rapporto T/D cioè conteggi di
coincidenze triple (T)/ conteggi di coincidenze doppie (D); questo rapporto è un indice
dell’efficienza del sistema. Tale rapporto è valutato in funzione della tensione di
alimentazione di uno dei tre contatori. Quando l’andamento del rapporto T/D in funzione
della tensione presenta un plateu, si può valutare la migliore tensione di alimentazione
possibile per quel tipo di geometria e per quei contatori utilizzati.
Prima, però, sono state effettuate due prove preliminari allo studio dei plateau di tensione e
cioè: (1) il settaggio della soglia di discriminazione dei tre scintillatori e (2) lo studio delle
coincidenze casuali tra Plastic e LYSO.
(1) Settaggio della soglia di discriminazione: il set-up per tale prova è quello mostrato in
figura 2.10.
HV
Scintillatore+PM
DISCR
SCALER
Fig. 2.10- Set-up per il settaggio delle soglie di discriminazione.
Il settaggio delle soglie di discriminazione dei vari contatori a scintillazione riveste una
notevole importanza perché il più comune uso di un qualsiasi discriminatore è quello di
eliminare l’eventuale rumore di fondo di bassa ampiezza dovuto agli scintillatori, ai PM e
all’elettronica, oltre a rendere il segnale in ingresso più facilmente analizzabile all’elettronica
che lo segue. Il discriminatore è un dispositivo che genera un segnale NIM in uscita, soltanto
quando il segnale in ingresso supera un determinato valore di soglia (threshold) (figura 2.11).
Il valore della soglia di discriminazione viene regolato tramite una vite dal pannello frontale
del modulo-discriminatore; questo valore deve essere aggiustato per eliminare il rumore
elettronico, ma non deve essere troppo alto in quanto potrebbe tagliare anche i segnali utili.
48
Threshold
Fig. 2.11- Operazione di discriminazione.
Dopo che il segnale è stato discriminato, questo entra in uno scaler. Lo scaler è un modulo
che conta il numero di segnali NIM in ingresso e presenta questa informazione su un display
situato sul pannello frontale del modulo stesso. In generale uno scaler ha bisogno di un
segnale digitale in ingresso per poter svolgere la sua funzione correttamente, ecco perché
subito prima dello scaler si ha un discriminatore.
I moduli utilizzati sono: il modulo di alimentazione N470 della Caen (4 CH Programmable
HV Power Supply), il discriminatore N224 (6CH) della Caen e lo scaler N145 della Caen
(Quad Scaler and Preset Counter/Time).
Tutti questi moduli sono stati alloggiati in un crate VME della Caen.
Il primo contatore a scintillazione preso in esame è il Plastic, tale contatore è stato alimentato
a 1200 V dal modulo N470, il segnale prodotto è stato inviato al discriminatore N224 e
l’uscita di tale discriminatore è mandata poi in ingresso allo scaler N145. La durata del
segnale logico dato dal discriminatore d1 = 400 ns. Le soglie di discriminazione sono state
variate, sul modulo N224, da 20 mV a 70 mV, grazie all’utilizzo di un voltmetro e una vite
posizionata sul front-panel del modulo (risultati mostrati in figura 2.12).
La stessa cosa è stata effettuata per il LYSO, in questo caso la tensione di alimentazione è
1100 V, e la durata del segnale discriminato d2 = 400 ns. I risultati ottenuti sono in figura
2.13.
Infine per il contatore a scintillazione Mini-plastic è stato effettuato lo stesso studio ma con
una tensione di alimentazione di 1.15 V (figura 2.14).
49
Conteggi Plastic vs Soglie di discriminazione
Conteggi in singola
350
300
250
200
150
100
50
0
0
20
40
60
80
mV
Fig. 2.12- Conteggi in singola del Plastic vs Soglie di discriminazione (∆tacq = 20s).
Conteggi LYSO vs Soglie di Discriminazione
Conteggi in singola
100000
10000
1000
100
10
1
0
20
40
60
80
mV
Fig. 2.13- Conteggi in singola del LYSO vs Soglie di discriminazione; da notare che in
questo caso l’asse dei conteggi è in scala logaritmica (∆tacq = 20s).
50
Conteggi Mini-plastic vs Soglie di Discriminazione
Conteggi in singola
160
140
120
100
80
60
40
20
0
0
10
20
30
40
50
60
70
80
mV
Fig. 2.14- Conteggi in singola del Mini-plastic vs Soglie di discriminazione (∆tacq = 60s).
Quindi come conclusione della prima prova effettuata sono state scelte come soglie di
discriminazione dei tre contatori a scintillazione: 40 mV per il Plastic, 60 mV per il LYSO e
20 mV per il Mini-plastic; la scelta è stata effettuata in base al fatto che i contatori a
scintillazione hanno un numero di conteggi e perciò una rate in singola simile (∼ 5 Hz), per
quelle determinate soglie.
(2) Studio delle coincidenze casuali tra Plastic e LYSO: ora nel set-up di figura 2.10, si è
aggiunto un modulo adatto ad effettuare le coincidenze tra due contatori a scintillazione. Tale
modulo è la Logic Unit model 756 della Phillips Scientific: ha 3 sezioni,ognuno dei quali ha
4 input, un input di anti-coincidenza, uno switch di livello di coincidenza e 5 uscite. La
tecnica base è di convertire il segnale analogico dai rilevatori in un segnale logico e poi
inviare questi impulsi a un modulo di coincidenze; se i due segnali sono “coincidenti” allora
è prodotto un segnale logico in output (figura 2.15). Tutti gli impulsi che arrivano all’interno
di un tempo uguale alla somma delle durate dei due segnali sono considerate come
coincidenti (figura 2.16). Facendo misure di coincidenza, si devono considerare la possibilità
di coincidenze casuali nel circuito; queste possono essere dovute a eventi non correlati del
fondo nei rilevatori o a rumore random che triggera il discriminatore.
51
HV
DET
DISCR
DELAY
SCALER
DET
DISCR
DELAY
HV
Fig. 2.15- Sistema di misura delle coincidenze.
Fig. 2.16- Coincidenza tra impulsi.
La geometria utilizzata prevede i due contatori (Plastic e LYSO) sovrapposti, quindi
entrambi i contatori dovrebbero rilevare i raggi cosmici (vedi Appendice A e figura 2.17).
Raggi cosmici
H6524
H6524
PLASTIC
LYSO
52
Fig. 2.17- Geometria dello studio delle coincidenze casuali tra Plastic e LYSO.
Chiaramente il numero, o meglio la frequenza degli eventi casuali fcasuali deve essere tenuta al
minimo in ogni esperimento. Tale fcasuali si può calcolare in questo modo:
(2.1)
f casuali = f Plastic ⋅ f LYSO (d1 + d 2 )
dove fPlastic e fLYSO sono le rate dei due contatori a scintillazione cioè numero conteggi in
singola/∆tacq. Si vuole dimostrare che:
(2.2) fcasuali << fcosmici
dove fcosmici = numero medio di coincidenze tra i due contatori a scintillazione/∆tacq.
Dalle prove in laboratorio si sono ottenuti i risultati della tabella di figura 2.18, alimentando
il Plastic a 1400V e LYSO a 1100V, con ∆tacq= 60 s (60 s per ognuna delle 5 letture dello
scaler) e d1=d2=400 ns.
Plastic (conteggi scaler)
LYSO (conteggi scaler)
Coincidenze (conteggi scaler)
3445
330
6
3323
364
2
3276
330
3
3224
328
1
3108
363
4
Media conteggi ∼ 3275
Media conteggi ∼ 343
Media conteggi ∼ 3
fPlastic ∼ 54 Hz
fLYSO ∼ 6 Hz
fcosmici ∼ 0.05 Hz
Fig. 2.18- Risultati della seconda prova.
Quindi dalla formula (2.1) si può ricavare che fcasuali ∼ 2.5 × 10-4 Hz risulta essere minore
della fcosmici (∼ 0.05 Hz).
Inoltre si è constatato che, mettendo i due contatori geometricamente non più sovrapposti, la
rate delle coincidenze crolla (fcoincidenze ∼ 0.001 Hz), questo perché i due contatori non
53
rivelano più le coincidenze dovute ai raggi cosmici, ma solo coincidenze casuali, che come
visto, hanno una frequenza molto bassa.
Dopo la fase preliminare consistente nella scelta delle soglie di discriminazione dei tre
contatori a scintillazione e nello studio delle coincidenze casuali tra Plastic e LYSO, è stata
effettuata la vera prova di analisi dei plateau di tensione: cioè sono state misurate le
coincidenze triple tra i tre contatori oltre alle doppie tra due contatori scelti diversi di volta in
volta, in modo da poter calcolare il rapporto T/D cioè valore di conteggio di coincidenze
triple/valore di conteggio di coincidenze doppie; questo rapporto è un indice dell’efficienza
del sistema. La geometria 1 è in figura 2.19.
PLASTIC
MINI-plastic
LYSO
Fig. 2.19- Plastic in alto, Mini-plastic al centro e LYSO in basso.
Le tensioni di alimentazione dei contatori e le soglie nella geometria 1 sono: 1400V e 40 mV
per il Plastic, da 700V a 1600V e 60 mV per il LYSO e 1,1V e 20 mV per il Mini-plastic; il
∆tacq= 40 min ogni aumento di 100V della tensione del LYSO. Le doppie coincidenze sono
calcolate, per la geometria 1, tra Plastic e Mini-plastic. I risultati sono mostrati in figura 2.20.
54
L’errore è stato calcolato come errore binomiale (si rimanda all’Appendice B); inoltre data la
geometria del sistema e perciò le aree fotosensibili effettive di sovrapposizione tra i tre
contatori, l’efficienza massima è al massimo circa 0.6 (come mostra la figura 2.20).
Fig. 2.20- Analisi plateau LYSO.
Visto il plateau, la tensione scelta per il LYSO è 1100V.
La geometria 2 è in figura 2.21. Le tensioni e le soglie per questa nuova geometria sono: da
1100V a 1600V e 40 mV per il Pastic, 1100V e 60 mV per il LYSO e 1,1V e 20 mV per il
Mini-plastic; il ∆tacq= 40 min ogni aumento di 100V della tensione del Plastic. Le
coincidenze doppie, per la geometria 2, sono calcolate tra LYSO e Mini-plastic. I risultati
sono mostrati in figura 2.22.
Visto il plateau, la tensione consigliata per il Plastic sarebbe stata 1500 V, anche se poi la
scelta è 1400 V perché il contatore Plastic presenta molte scariche a 1500V (figura 2.23).
55
Fig. 2.21- Mini-plastic in alto, Plastic in mezzo e LYSO in basso.
56
Fig. 2.22- Analisi plateau del Plastic.
Fig. 2.23- Segnale normale del Plastic a 1500V (a sinistra) e scarica del Plastic a 1500V (a
destra).
57
Infine con la stessa geometria di figura 2.19 è stata valutata l’efficienza del Mini-plastic. Le
tensioni e le soglie sono: 1400V e 40 mV per il Plastic, 1100V e 60 mV per il LYSO e da
0,95V a 1,15V e 20 mV per il Mini-plastic; il ∆tacq= 40 min ogni aumento di 0.05V della
tensione del Mini-plastic. Le doppie coincidenze in questo caso, sono state calcolate tra
LYSO e Plastic. I risultati sono mostrati in figura 2.24. Visto il plateau, la tensione scelta per
il Mini-plastic è 1,15V.
Fig. 2.24- Analisi plateau del Mini-plastic.
58
2.3- Calibrazione TDC V488A
Il primo modulo da calibrare e che fa parte dell’apparato di acquisizione è il TDC V88A
della Caen. Il TDC (Time to Digital Converter) V488A della Caen è un modulo VME che ha
8 canali indipendenti da 12 bit per la conversione di un tempo in un segnale digitale. Il TDC
verrà usato per acquisire i tempi dei contatori a scintillazione testati in modo da poterne
valutare la risoluzione temporale.
Per la calibrazione del modulo Caen TDC V488A, è stato utilizzato uno schema di
acquisizione di questo tipo (figura 2.25): un modulo Dual Timer N417 della Caen è utilizzato
come impulsatore cioè invia alla restante catena di acquisizione due segnali logici di durata
circa 160 ns con una certa frequenza, tali segnali giungono poi ad una Logic Unit della Caen
mod. 81 A che effettua la coincidenza dei due segnali. La coincidenza tra i due segnali è utile
perché, come vedremo, costituirà il segnale di Common Stop del TDC. Inoltre prima di
arrivare al modulo di coincidenze, i due segnali sono inviati a un NIM-ECL-NIM Translator
mod. N92 della Caen che invia direttamente i segnali al TDC V488A. Di questo modulo si
utilizza solo la metà superiore che è adibita ad una conversione logica dei segnali dallo
standard NIM a quello ECL, invece la metà inferiore è adibita alla conversione inversa. Le
due uscite della Logic Unit vanno una nel TDC e l’altra in una seconda Dual Timer mod.
2255B della Caen.
59
NIM-ECL-NIM
Translator
Mod. N92
Caen
Dual Timer
Logic Unit
Mod. N417
Mod. 81 A
V488A
Caen
Caen
Caen
+ 150 ns
Dual Timer
Mod. 2255B
1° sezione
IN
OUT
TDC
I/O Register
Mod. V513
Caen
Strobe
Canale 0
2° sezione
IN
OUT
Reset
OUT
Fig. 2.25- Schema di acquisizione per la calibrazione del TDC V488A.
60
L’uscita che va al TDC è la cosiddetta modalità COMMON STOP del TDC cioè, dal
momento in cui gli arrivano i segnali, il TDC comincia il conteggio (i conteggi sono i tempi
con un opportuno fattore di scala), fino a che non giunge un segnale di Common Stop che
interrompe la misura del tempo. E’ proprio ritardando questo segnale di Common Stop, che
si effettuerà la calibrazione del TDC. Nella figura 2.26 tale ritardo è fisso a 150 ns perché
questo sarà poi l’effettivo ritardo usato nelle successive acquisizione con i due NaI(Tl). Il
TDC, in esame ha un full scale time range che va da 90 ns a 770 ns.
Nella catena di acquisizione è inserito anche il modulo I/O Register mod. V513 della Caen
che opera in questo modo: questo modulo I/O ha 16 canali, ognuno dei quali può essere
configurato indipendentemente per via di 16 registri di Status programmabili attraverso
VME. I due registri da 16 bit ( Input e Output Register) contengono i dati dei canali. Se un
canale è configurato come Output, il corrispondente bit di Output register è trasferito al
corrispondente connettore I/O; mentre il corrispondente bit dell’Input register contiene i dati
di Input dei canali. I due registri sono accessibili attraverso VME. Gli inputs o gli outputs
possono essere abilitati dal VME o da un segnale esterno di STROBE (STB) come si vede
dalla figura 2.25. Un registro di 3 bit, accessibile per via VME, controlla le operazioni dello
strobe e permette di immagazzinare l’impulso di strobe arrivato.
Il segnale di coincidenza che arriva nella prima sezione della Dual Timer mod. 2255B,
costituisce, in uscita da tale modulo, sia lo strobe per l’I/O Register V513 sia l’Input per la
seconda sezione della stessa Dual Timer.
I plot effetuati (figura 2.26, 2.27, 2.28) presentano le distribuzioni delle misure di ritardo in
funzione del valore di conteggio per i due canali del TDC e per la differenza tra i due canali.
Come si vede è stato effettuato un fit Gaussiano dei dati tramite il programma di
elaborazione dati ROOT.
61
Fig. 2.26- Canale 1 del TDC, Common Stop ritardato di 200 ns.
62
Fig. 2.27- Canale 7 del TDC, Common Stop ritardato di 200 ns.
Questa calibrazione è stata effettuata anche con ritardi del Common Stop di 300 ns (figura
2.29 e 2.30), 400 ns e 600ns, e sono sempre stati effettuati i plot mostrati.
Non sono stati riportati i plot dei 400 ns e dei 600 ns, perché comunque l’andamento generale
è lo stesso di quello mostrato nei plot con ritardi di 200 ns e 300 ns. Tali ritardi sono stati
ottenuti facendo attraversare il segnale di Common Stop del TDC in opportuni “blocchi di
ritardo” che ad ogni passaggio ritardano il segnale di una quantità nota.
Il numero di eventi acquisiti è per tutte le prove fisso a 1000 eventi.
63
Fig 2.28- Differenza di conteggi fra i due canali, Common Stop ritardato di 200 ns.
Fig. 2.29- Canale 1 e 7 del TDC, Common Stop ritardato di 300 ns.
64
Fig. 2.30- Differenza tra i canali, Common Stop ritardato di 300 ns
A questo punto si è valutata la sensibilità del TDC, andando semplicemente a graficare il
numero medio di conteggi per i due canali (ricavato dal fit Gaussiano dei dati) in funzione
dei ritardi aggiunti e la retta tracciata non è altro che la retta di calibrazione del TDC V488A
(figura 2.31 e 2.32).
Tramite ROOT è stata effettuata una semplice interpolazione lineare dei dati e l’inverso del
coefficiente angolare di tale retta (2.3) è la sensibilità del TDC, anche detta risoluzione del
TDC e stimata in circa 180 ps/conteggio (dato che trova conferma nel manuale d’uso di tale
modulo).
(2.3)
y = p 0 + p1 x
dove y rappresenta il valore dei conteggi del TDC, x i ritardi in ns, p0 il termine noto e p1 il
coefficiente angolare della retta. Tali p0 e p1 sono mostrati nelle figure 2.32 e 2.33).
65
Fig. 2.31- Retta di calibrazione per il canale 1 del TDC.
Fig. 2.32- Retta di calibrazione per il canale 7 del TDC.
66
2.4- Contatori a scintillazione NaI : caratteristiche e calibrazione
I contatori a scintillazione NaI utilizzati sono stati prodotti dalla Scionix (figura 2.33); i
cristalli scintillanti inseriti sono rivestiti di un corpo metallico di 0.5 mm di alluminio e sono
situati nell’estremità del contatore a scintillazione (parte grigia in alto), mentre la parte
centrale del contatore è occupata dal tubo fotomoltiplicatore (parte rossa centrale). I cristalli
sono dei cilindri che hanno diametro 51 mm e sono alti sempre 51 mm, il diametro del
fotomoltiplicatore è di 2 pollici (tutte queste informazioni sono state ricavate dal numero del
tipo: 51 B 51/2-E1) (figura 2.34).
Fig. 2.33- Contatori a scintillazione NaI(Tl).
67
Fig. 2.34- Particolare della struttura dei NaI.
Per quello che riguarda le caratteristiche si rimanda al Capitolo 1 paragrafo 1.4; comunque
l’importante è ricordare che i NaI hanno un alto resa di luce (segnali di grande ampiezza
come si vede dalla figura 2.35) ma hanno purtroppo un tempo di decadimento a zero del
segnale molto alto ∼ 230 ns, cosa che peggiora notevolmente la risoluzione temporale dello
scintillatore. Nella figura 2.36 si vede il confronto tra il NaI(Tl) e gli altri materiali usati per
gli scanner PET. Sicuramente gli altri hanno una migliore risoluzione temporale ma il
NaI(Tl) resta di fatto uno standard di confronto per la sua alta resa di luce.
68
Fig. 2.35- Segnale all’oscilloscopio del contatore a scintillazione NaI.
Fig. 2.36- Caratteristiche dei più usati scintillatori per PET.
69
Per quello che riguarda la calibrazione, tramite un semplice set-up (figura 2.10)
comprendente un discriminatore Caen N845 (con soglia di discriminazione pari a –70 mV) e
uno scaler V560 sempre della Caen alloggiati nel solito crate NIM della Wiener, sono stati
acquisiti i conteggi dati dai due NaI, facendo variare la tensione da 600V a 1100V. Il ∆tacq =
10 min. I risultati sono mostrati in figura 2.37 e dalla posizione dei plateau per i due NaI, si è
scelta una tensione di alimentazione di 900V per entrambi.
rate = conteggi / tempo
acq
Calibrazione scintillatori NaI
500
400
300
NaI 1
200
NaI 2
100
0
500
600
700
800
900
V
Fig. 2.37- Calibrazione dei due scintillatori NaI.
70
1000 1100 1200
2.5- Calibrazione Waveform Digitizer mod. V1721
Oltre ai tempi (risoluzione temporale), la caratterizzazione di uno scintillatore viene
effettuata grazie all’utilizzo di un misuratore di carica (per caratterizzare energeticamente lo
scintillatore). Tale misuratore di carica, come il TDC, è stato calibrato.
Il modulo Caen V1721 è un modulo VME convertitore analogico/digitale di forma d’onda
(Waveform Digitizer) a 8 canali da 8 bit e 500 MS/s (Msamples/s) con capacità di autotrigger. Il trigger può essere imposto dall’esterno, come nel caso da noi utilizzato, oppure tale
modulo ha anche la possibilità di impostare da software un trigger interno. Per il lavoro di
tesi effettuato, il modulo V1721 è stato utilizzato come ADC, per realizzare gli spettri di
carica e perciò di energia, dopo l’aggiunta delle sorgenti di calibrazione (Na-22 e Co-60). Si
è preferito utilizzare lo WFD anziché un semplice ADC, perché questo consente anche, come
un oscilloscopio, di visualizzare le forme d’onda; questa funzione è stata utilizzata a
campione per verificare che i segnali acquisiti avessero sostanzialmente la stessa forma a
prescindere dalla carica e non fossero presenti scariche o disturbi nei segnali.
Prima di iniziare lo studio energetico sui contatori a scintillazione NaI(Tl) e LYSO, il
Waveform Digitizer è stato calibrato. La calibrazione è avvenuta secondo lo schema di figura
2.38.
NaI
NaI
HV
S
P
L
I
T
T
E
R
Ritardo
Discrimina
tore
N845
16ch LTD
Quad
Gate/Delay
Generator 794
Logic
Unit
mod 81A
I/O
Register
Ritardo
Dual
Timer
mod
2255 B
Waveform
Digitizer
V1721
TRG IN
Quad
Gate/Delay
Generator 794
Ch1
Ch2
Dual Timer
N417
71
STB
Ch 0
Fig. 2.38- Schema di calibrazione del modulo V1721 Caen.
I due contatori NaI sono utilizzati solo perché saranno presenti nel sistema di acquisizione
per lo studio sulla qualità di cristalli scintillanti per TOF PET, scopo della tesi; per ora sono
adoperati per ricavarne un segnale di coincidenza.
Tale segnale di coincidenza tra i due NaI (alimentati entrambi a 900V e discriminati a –70
mV), proveniente dalla Logic Unit mod 81 A, opportunamente ritardato (in modo che arrivi,
dalla visualizzazione all’oscilloscopio di tali segnali, prima dei segnali in ingresso a tale
modulo) viene usato come trigger al Waveform Digitizer V1721. Il segnale di un contatore
NaI (dopo lo splitter) e un segnale proveniente dalla Dual Timer N417 vanno in ingresso ai
canali 1 e 2 dello Waveform Digitizer rispettivamente. Siccome si deve certificare che il
valore di conteggio in uscita a tale modulo sia proporzionale alla carica del segnale in
ingresso, si ha bisogno di impulsi di durata e ampiezza noti; un segnale di coincidenza tra i
due NaI proveniente sempre dalla Logic Unit mod 81 A viene portato in ingresso a un
modulo Quad Gate/Delay Generator 794, il quale produce un segnale detto Delay che
sarebbe un impulso di durata programmabile dal pannello frontale di tale modulo.
Programmata la durata in questo modo, tale segnale è stato inviato alla Dual Timer N417; il
segnale in uscita alla Dual Timer N417 è mandato in ingresso al canale 2 dello Waveform.
Questo segnale è quello che di volta in volta verrà attenuato (tramite visualizzazione
all’oscilloscopio) e di cui si valuterà il conteggio.
Essendo impulsi quadrati, per calcolare il valore di carica è stata adoperata la semplice
formula:
(2.4)
Carica[ pc] =
V [mV ] ⋅ durata[ns ]
50Ω
dove V è l’ampiezza del segnale, che come la durata è stata valutata dalla visualizzazione
all’oscilloscopio di tali segnali. La calibrazione è mostrata dal grafico di figura 2.39.
I dati ottenuti sono stati interpolati linearmente con la retta di equazione:
(2.5)
y = p1x + p 0
72
dove p1 è il coefficiente angolare della retta e p0 l’intercetta sull’asse y. La retta interpolante
mostra che il Waveform Digitizer è perfettamente calibrato, e quindi ad una variazione di
carica corrisponde una variazione nel valore dei conteggi, sempre attraverso un opportuno
fattore di scala. Il valore p0 dell’intercetta sull’asse y (offset) di circa –6 indica lo zero della
scala di carica. Tale valore è molto importante per il successivo studio in energia effettuato
con le sorgenti di calibrazione, svolto nel Capitolo 3.
Fig. 2.39- Calibrazione dello Waveform Digitizer.
73
2.6- Schema di acquisizione
Lo schema di acquisizione utilizzato è mostrato in figura 2.40.
Dalla figura 2.40 si vede che i moduli in arancio sono quelli collocati nel crate VME
(MVME 5100) della Wiener, quelli in celeste sono invece quelli collocati nel crate NIM
sempre della Wiener.
I segnali dei due contatori a scintillazione NaI, dopo lo splitter, entrano in un modulo
discriminatore mod. N845 di 16 Ch, dove è stata imposta una soglia di discriminazione di 20
mV per il NaI 1 e di 170 mV per il NaI 2. Questo perché la modalità di acquisizione, per gli
spettri di carica ottenuti successivamente, prevede che il contatore NaI 2 funzioni da trigger
mentre il NaI 1 sia quello che effettivamente produce gli spettri che si analizzeranno nel
Capitolo 3 (tale modalità di acquisizione sarà spiegata nel dettaglio nel Capitolo 3). Lo
splitter è un circuito costituito tra tre resistenze (50Ω) che permette di poter attenuare il
segnale e allo stesso tempo inviarlo a due moduli differenti (nel nostro caso a un
discriminatore e allo WFD) senza ulteriori attenuazioni. Affinché il ponte costituito dalle tre
resistenze sia bilanciato è necessario che le resistenze d’ingresso di tali moduli siano da 50Ω,
come è stato verificato.
I quattro Output del discriminatore vanno, dopo aver attraversato un Quad Gate/Delay
Generator, due nel NIM-ECL-NIM Translator e da questo al TDC V488A, e degli altri due,
uno solo (quello del NaI triggerato cioè NaI 1) va al modulo di coincidenza.
Il TDC V488A ha la stessa modalità di COMMON STOP spiegata nel paragrafo 2.4 di
questo Capitolo.
Come abbiamo già detto nel paragrafo 2.5, il trigger dello Waveform Digitizer proviene dalla
Logic Unit mod. 81 A; inoltre, come si vede dalla figura 2.40, i segnali dei due NaI sono
portati allo Waveform Digitizer opportunamente ritardati rispetto al trigger, per integrare i
segnali ottimamente. Come si vede dalla figura 2.40, nel canale 1 va il segnale proveniente
dal NaI 2 (trigger) mentre nel canale 2 va il segnale proveniente dal NaI 1 (triggerato); ed è
proprio analizzando i valori di conteggio ottenuti dal canale 2 dello Waveform Digitizer che
si otterrano gli spettri di carica per la valutazione della risoluzione energetica dell’apparato
studiato.
Nella figura 2.40 si aggiungeranno le sorgenti di calibrazione Na-22 e Co-60 prima tra i due
NaI (uno trigger e l’altro triggerato) e poi tra un NaI (come trigger) e il LYSO (triggerato)
già caratterizzato nel paragrafo 2.2 di questo Capitolo. In figura 2.41 è mostrata una foto
dell’apparato di acquisizione utilizzato.
74
Quad
Gate/Delay
Generator
Mod. 794
16 CH
Discriminator
LTD N845
OUT
0
0
1
1
NaI 1
NaI 2
4CH
Programma
ble HV
Power
Supply
N470
NIMECL-NIM
Translator
N92
TDC
V488A
Ch 1
Ch7
Common
Stop +150 ns
Logic
Unit
Mod. 2255B
STB
Mod. 81A
IN
OUT
I/O
Register
V 513
1° sezione
2° sezione
OUT
WFD
V1721
+ 150 ns
Trigger in
Ch 0
Ch 1
Ritardati
Fig. 2.40- Schema di acquisizione.
75
Reset
CH 0
LOGIC UNIT
ALIMENTAZIONE
DISCRIMINATORE
Crate
NIM
Crate
VME
TDC V488A
I/O
REGISTER
Waveform Digitizer V1721
Fig. 2.41- Apparato di acquisizione e particolare a destra.
76
CAPITOLO 3
ANALISI DATI
Premessa
Dopo la messa a punto del sistema di acquisizione (Capitolo 2), sono stati effettuati degli studi
sulla risoluzione temporale ed energetica di una coppia di contatori a scintillazione NaI(Tl)
prima (le cui caratteristiche sono discusse nel paragrafo 2.4 del Capitolo 2) e poi con una
coppia di contatori: NaI(Tl) e LYSO, con lo scopo di sviluppare un sistema di controllo di
qualità per cristalli scintillanti per TOF PET. Il sistema di controllo di qualità utilizzerà un NaI
e un fotomoltiplicatore H6524 collegato al cristallo da studiare; per verificare la funzionalità
del sistema di controllo di qualità è stato utilizzato al posto di un cristallo incognito, un altro
NaI. La scelta dei contatori a scintillazione NaI è dovuta principalmente al fatto che le
caratteristiche temporali ed energetiche di tali contatori a scintillazione sono ben conosciute, e
quindi costituiscono uno standard di riferimento per tutti gli altri contatori a scintillazione
realmente utilizzati negli scanner per TOF PET. Il LYSO invece è un cristallo in dotazione al
laboratorio del Dipartimento di Scienze di base ed applicate per l’Ingegneria, e sarà utile per
testare il sistema di controllo di qualità per cristalli scintillanti per TOF PET, scopo della tesi.
La qualità del cristallo LYSO usato, è sicuramente minore rispetto ai cristalli realmente
utilizzati in TOF PET, ma si potranno trarre delle indicazioni utili sul sistema di controllo di
qualità messo in opera.
Le sorgenti di calibrazione utilizzato per lo studio temporale ed energetico sia del NaI che del
LYSO sono Na-22 e Co-60. Il Na-22 decade emettendo positroni (β+) con conseguente
emissione
di
due
raggi
gamma
in
direzione
diametralmente
opposta,
associati
all’annichilazione del positrone; inoltre emette anche raggi gamma da 1.275 MeV. L’attività
della sorgente di Na-22 usata è 9 kBq. Il Co-60, invece, decade β- ed emette due raggi gamma
in direzione casuale da 1.17 MeV e 1.33 MeV. L’attività della sorgente di Co-60 usata è di 62
kBq.
77
3.1- NaI(Tl) & NaI(Tl): caratterizzazione del sistema di controllo di qualità
3.1.1- Risoluzione temporale
La geometria utilizzata è quella in figura 3.1; tra i due NaI, viene collocata una sorgente di
Na-22. La modalità di acquisizione adoperata è la seguente: uno NaI (NaI 2 dal paragrafo 2.6
del Capitolo 2) è usato da trigger per l’altro NaI (NaI 1) che invece è triggerato. Quindi,
siccome il Na-22 emette o due fotoni gamma da 0.511 MeV in direzioni diametralmente
opposte (annichilazione di un positrone) o un fotone gamma da 1.275 MeV, quando il NaI 2
(trigger) rileva uno dei due fotoni da 0.511 MeV, il NaI 1 (triggerato) rileva sia il fotone da
0.511 MeV (per questioni geometriche è praticamente impossibile che i fotoni da 0.511 MeV
siano emessi parallelamente alla superficie del cristallo dei due NaI senza essere rilevati, visto
che sono geometricamente attaccati come in figura 3.2) sia il fotone da 1.275 MeV. Se invece
il NaI 2 (trigger) rileva il fotone da 1.275 MeV, il NaI 1 (triggerato) rileva uno dei due fotoni
da 0.511 MeV. Questa modalità di acquisizione rende sempre disponibile al NaI 1 (triggerato)
un segnale utile per la successiva analisi degli spettri dei tempi e delle cariche. Entrambi i NaI
sono alimentati a 900 V.
I due contatori a scintillazione NaI possono ritenersi due sistemi statisticamente indipendenti,
e ad ognuno di essi si può associare un valore di conteggio proporzionale, tramite la sensibilità
del TDC stesso (vedere calibrazione TDC V488A paragrafo 2.3 del Capitolo 2), al tempo
trascorso dall’arrivo del segnale dello NaI al Common Stop del TDC. Supponiamo che tali
tempi siano t1 ± σt1 e t2 ± σt2 dove σt1 e σt2 sono le deviazioni standard di tali tempi dovute a
fluttuazioni statistiche dei segnali in ingresso al TDC o all’elettronica di acquisizione. In realtà
la differenza ∆t tra i due tempi, cioè ∆t = t1-t2, è la grandezza valutata per calcolare la
risoluzione temporale dei contatori NaI. La σ∆t, cioè la deviazione standard della differenza tra
i tempi, si può calcolare in questo modo:
(3.1)
σ ∆t =
(σ
2
t1
+ σ t2
2
)
essendo σt1= σt2 = σNaI dove σNaI è la deviazione standard della misura di tempo eseguita con
il contatore NaI, allora la (3.1) diventa:
(3.2)
σ ∆t = 2σ NaI
78
Quindi, siccome la σ∆t, come vedremo, è la grandezza misurata; la risoluzione temporale dello
scintillatore NaI è:
(3.3)
σ NaI =
σ ∆t
2
NaI “triggerato”
Na-22
Fig. 3.1- I due NaI con la sorgente di Na-22.
79
NaI “triggerante”
γ da 0.511 MeV
NaI 1
NaI 2
Na22
γ da 0.511 MeV
Fig. 3.2- Emissione dei due gamma da 0.511 MeV parallelamente alla superficie dei cristalli
dei contatori NaI (evento praticamente impossibile).
I conteggi TDC (tempi attraverso un opportuno fattore di scala (200 ps di sensibilità del
TDC)) ottenuti per tale sistema dei due contatori NaI più la sorgente di Na-22, sono stati
analizzati tramite il software di elaborazioni dati ROOT ed è stato effettuato un fit gaussiano
di tali dati in modo da ricavarne media µ e soprattutto deviazione standard σ di tali
distribuzioni di conteggi TDC. Tale σ è proprio la σ∆t che si cerca per stimare la risoluzione
temporale del sistema messo in opera. Il fit effettuato con i relativi parametri (µ e σ) è
mostrato in figura 3.3.
Dal grafico di figura 3.3 risulta per tale sistema una σ∆t ∼ 4.96 ns e quindi una σNaI ∼ 4.96
ns/(2)1/2 ∼ 3.51 ns.
80
Fig. 3.3- Fit gaussiano dei valori di conteggio del TDC per il sistema dei due NaI più la
sorgente di Na-22; la σ∆t è sottolineata in rosso.
3.1.2- Risoluzione energetica
3.1.2.1- Premessa
Per il comportamento energetico dei contatori a scintillazione utilizzati, è importante studiare
gli spettri di carica che lo Waveform Digitizer V1721 Caen permette di analizzare. Siccome lo
Waveform Digitizer opera anche come oscilloscopio, di seguito sono riportate due figure 3.4 e
3.5 che mostrano i segnali prodotti sia dal NaI e dal LYSO con la sorgente di Na-22.
81
Fig. 3.4- Segnale del NaI (triggerato a 900V) con Na-22.
82
Fig. 3.5- Segnale del LYSO (triggerato a 2400V) con Na-22.
Innanzitutto la carica può essere definita come segue:
(3.6)
Q = S ⋅G
dove Q è la carica del segnale del contatore a scintillazione usato, ottenuta dagli spettri di
carica dello Waveform Digitizer; S è il segnale acquisito e cioè i due fotoni gamma da 0.511
MeV in direzione diametralmente opposta e il fotone gamma da 1.275 MeV per il Na-22, i
fotoni gamma da 1.17 MeV e 1.33 MeV per il Co-60; e G è il guadagno del fotomoltiplicatore
accoppiato al cristallo scintillante del contatore a scintillazione usato. Per caratterizzare il
sistema di controllo di qualità è stato svolto uno studio in funzione della tensione di
alimentazione dei fotomoltiplicatori allo scopo di verificare la sostanziale linearità del sistema
a prescindere dal guadagno dei rivelatori utilizzati. Questo tipo di verifica non è stato
effettuato per la caratterizzazione temporale dato il risultato positivo ottenuto per le misure di
energia che sono molto più sensibili a eventuali non linearità.
Siccome, come visto nel Capitolo 1, il guadagno di un fotomoltiplicatore è definito come:
(3.7)
G = kV n
dove k è una costante, n è il numero dei dinodi e V è la tensione di alimentazione del
fotomoltiplicatore e perciò del contatore a scintillazione adoperato; allora unendo le equazioni
(3.6) e (3.7) si ha che:
(3.8)
Q = S ⋅ k ⋅V n
Perciò ci si aspetta una dipendenza esponenziale tra la carica del segnale Q e l’alta tensione V
con la quale si alimenta il contatore a scintillazione usato.
83
3.1.2.2- Calibrazione energetica dei NaI
Il primo set-up preparato consiste nei due NaI (uno come trigger e l’altro triggerato) nella
geometria di figura 3.1, solamente che tra i due NaI è stata interposta la sorgente di Co-60. La
sorgente di Co-60 emette due fotoni da 1.17 e 1.33 MeV in direzioni casuali intorno alla
sorgente. Il NaI che opera da trigger è alimentato a 900 V e ha una soglia di discriminazione
di –170 mV, mentre al NaI triggerato verrà variata la tensione a step di 25V da 800V a 900V.
L’apparato di acquisizione utilizzato è quello mostrato nel paragrafo 2.6 del Capitolo 2. In
questo caso se lo NaI che opera da trigger, rileva il fotone da 1.17 MeV del C0-60 allora lo
NaI triggerato rivela il fotone da 1.33 MeV ; mentre se lo NaI trigger rivela il fotone da 1.33
MeV, allora lo NaI triggerato rivela quello da 1.17 MeV.
Gli spettri di carica ottenuti sono stati analizzati fittando con una Gaussiana i due picchi del
Co-60 come visibile nella figura 3.6 e 3.7. In tali figure sono mostrati in rosso e in blu le
distribuzioni gaussiane usate per approssimare i picchi da 1.17 MeV e 1.33 MeV del Co-60.
Da notare come con l’aumento della tensione i picchi si spostino ed assumano un valore di
conteggio (carica) più alta. Nella tabella di figura 3.8 sono riportati tutti i valori delle µ dei
vari picchi e le relative σ. Infine nel grafico di figura 3.9 è riportata la posizione dei due picchi
del Co-60 (le varie µ dei picchi) in funzione della tensione di alimentazione del NaI triggerato.
Fig. 3.6- Spettro di carica del Co-60 con NaI triggerato a 800V, l’asse y è in scala logaritmica.
84
Fig. 3.7- Spettro di carica del Co-60 con NaI triggerato a 900V, l’asse y è in scala logaritmica.
HV
Picco da 1.17 MeV
Picco da 1.33 MeV
µ
σ
µ
σ
800V
2.74
0.30
4.47
0.39
825V
6.04
0.39
8.12
0.36
850V
10.35
0.4
12.35
0.36
875V
14.36
0.33
15.91
0.25
900V
18.47
0.22
19.7
0.26
Fig. 3.8- Tabella che riassume le µ e le σ dei due picchi del Co-60 alle varie tensioni.
85
Fig. 3.9- Posizione dei picchi del Co-60 in funzione della tensione di alimentazione del NaI
triggerato.
La stesso procedimento è stato ripetuto cambiando la sorgente interposta tra i due NaI e cioè
interponendo Na-22. In figura 3.10 e 3.11 sono mostrati due degli spettri di carica ottenuti.
In rosso è mostrata la distribuzione gaussiana che approssima il picco a 0.511 MeV e in blu
quella del picco a 1.275 MeV. Nella tabella di figura 3.12 sono riepilogati i valori delle µ e
delle σ dei picchi del Na-22 e il grafico di figura 3.13 mostra la posizione dei due picchi del
Na-22 in funzione della variazione della tensione del NaI triggerato.
86
Fig. 3.10- Spettro di carica del Na-22 con NaI triggerato a 875V, l’asse y è in scala
logaritmica.
Fig. 3.11- Spettro di carica del Na-22 con NaI triggerato a 900V, l’asse y è in scala
logaritmica.
87
HV
Picco da 0.511 MeV
µ
800V
Picco da 1.275 MeV
σ
Non
Non
acquisito
acquisito
Non
Non
acquisito
acquisito
Non
Non
acquisito
acquisito
875V
1.45
900V
4.35
825V
850V
µ
σ
3.1
0.47
7
0.54
11.36
0.33
0.4
15
0.41
0.55
18.5
0.38
Fig. 3.12- Tabella che riassume le µ e le σ dei due picchi del Na-22 alle varie tensioni.
Fig. 3.13- Posizione dei picchi del Na-22 in funzione della tensione di alimentazione del NaI
triggerato.
88
A questo punto unendo i grafici di figura 3.13 e 3.9, ed interpolando linearmente (con una
retta di equazione y = p0 + p1x) i vari punti ottenuti è stato ottenuto il grafico di figura 3.14.
Tutti i parametri (p0 e p1) dell’interpolazione lineare effettuata sono elencati nella tabella di
figura 3.15. Come si attendeva la retta del picco da 1.27 MeV del Na-22, si inserisce proprio
tra le due rette dei picchi da 1.17 MeV e 1.33 MeV del Co-60. Questo è indice che il sistema
messo in opera per il controllo di qualità di cristalli scintillanti, è stato calibrato in energia.
Fig. 3.14- Posizione dei picchi delle due sorgenti di calibrazione con interpolazione lineare dei
dati.
0.511 MeV
1.17 MeV
1.275 MeV
1.33 MeV
(Na-22)
(Co-60)
(Na-22)
(Co-60)
p0
-99.9±24.8
-124.7±3.44
-120.4±4.54
-117.6±3.71
p1
0.11±0.02
0.16±0.004
0.15±0.004
0.15±0.004
Poca
1.798/3
3.014/3
0.645/3
χ2/gdl
statistica
Fig. 3.15- Tabella riassuntiva dei parametri dell’interpolazione lineare effettuata.
89
La calibrazione in energia effettuata potrebbe sembrare in contrasto con ciò che è stato
affermato nella premessa di questo paragrafo; dove si è esposto che la carica ha una
dipendenza esponenziale con la tensione a differenza di quanto discusso sopra dove si ha
invece una dipendenza lineare della carica dalla tensione.
Questo si spiega andando a consultare i data sheet dei fotomoltiplicatori accoppiati agli NaI.
Questi sono dei fotomoltiplicatori 9266B della ET (Electron tubes) Enterprises e le loro
caratteristiche sono riassunte nella tabella di figura 3.16.
Caratteristiche
della
finestra
Range spettrale [nm]
290-630
Indice di rifrazione
1.49
Diametro attivo [mm]
48
Efficienza quantica al
30
Borosilicate
Fotocatodo: bialkali
picco %
Sensibilità
luminosa
70
nominale
50
[µA/lm]
Sensibilità
dell’anodo
nel partitore A
Corrente oscura a 20°C
Valori massimi stimati
Sensibilità
anodo [A/lm]
Guadagno nominale
0.6×106
Corrente nominale [nA]
0.3-1.5
Corrente anodica [µA]
100
Corrente catodica [nA]
100
Guadagno
7×106
Sensibilità [A/lm]
500
Temperatura [°C]
-30-60
V (k-A) [V]
2000
Pressione
ambiente
202
[kPa]
Fig. 3.16- Caratteristiche dei fotomoltiplicatori 9266B accoppiati con gli NaI.
90
Consultando i data sheet di tali fotomoltiplicatori si è potuto concludere che nel range di
tensione utilizzato e cioè da 800V a 900V, la dipendenza esponenziale del guadagno del
fotomoltiplicatore dall’alta tensione (vedere figura 3.17) si può approssimare con una
dipendenza lineare (figura 3.18). Quindi la dipendenza lineare supposta precedentemente per
la calibrazione in energia dell’apparato messo in opera, è un’approssimazione giustificata.
Fig. 3.17- Guadagno (in scala logaritmica) in funzione della tensione dei fotomoltiplicatori
9266B
91
Range di tensione
utilizzato per
calibrazione in
energia
Guadagno
HV
Fig. 3.18- Guadagno (scala lineare) in funzione dell’alta tensione.
3.2- NaI(Tl) & LYSO
3.2.1- Risoluzione temporale
La stessa prova mostrata nel paragrafo 3.1.1 è stata effettuata sostituendo un NaI con il LYSO,
caratterizzato nel paragrafo 2.2 del Capitolo 2; in questo caso il NaI (alimentato a 900V e
discriminato a –170 mV) agisce da trigger per il LYSO (alimentato a 2400V) che perciò è il
triggerato. La geometria è mostrata in figura 3.19; il LYSO è messo in orizzontale rispetto al
NaI perché in tal modo offre alla sorgente interposta tra i due, il lato sensibile del cristallo di
LYSO. Anche in questo caso i valori di conteggio ottenuti dal TDC, sono stati fittati con una
Gaussiana per estrapolare una media µ ed una deviazione standard σ di tale distribuzione. In
figura 3.20 sono mostrati i risultati ottenuti.
92
Na-22
LYSO
NaI (trigger)
Fig. 3.19- Geometria utilizzata per il calcolo della risoluzione temporale del LYSO.
93
Fig. 3.20- Fit gaussiano dei valori di conteggio del TDC per il sistema NaI, LYSO e Na-22.
Come è visibile nel riquadro rosso di figura 3.5, la σ∆t ∼ 3.55 ns. Quindi siccome in questo
caso la σ∆t è definita in questo modo:
(3.4)
σ ∆t = σ NaI 2 + σ LYSO 2
dove σLYSO è la risoluzione temporale del LYSO, allora la σLYSO è definita come:
(3.5)
σ LYSO = σ ∆t 2 − σ NaI 2
Perciò sostituendo i valori di σ ottenuti si ha: σLYSO= 3.552 − 3.512 ∼ 0.54 ns.
Come si prevedeva, il LYSO è più veloce nella risposta del NaI (il tempo di decadimento del
segnale del LYSO è nettamente più basso rispetto al NaI (∼ 40 ns vs ∼ 230 ns)). Quindi dal
punto di vista temporale, il LYSO testato dal sistema di controllo qualità messo in opera, si
comporta meglio rispetto allo NaI, dove si era riscontrata una σNaI ∼ 3.51 ns.
3.2.2- Risoluzione energetica
Dopo la calibrazione in energia effettuata con la coppia di NaI, si è voluto testare la
risoluzione energetica del LYSO caratterizzato nel paragrafo 2.2 del Capitolo 2. L’apparato
messo in opera è quello di geometria nella figura 3.19. La sorgente interposta tra il NaI e il
LYSO è il Na-22. La modalità di acquisizione è la stessa mostrata nel paragrafo 2.6 del
Capitolo 2 e prevede che il NaI, alimentato a 900V, sia il trigger per il LYSO che viene invece
alimentato a step di 50V da 2200V a 2450V. Due esempi di spettri di carica ottenuti dal WVD
sono mostrati in figura 3.21 e 3.22.
94
Fig. 3.21- Spettro di carica del Na-22 con LYSO triggerato a 2200V, l’asse y è in scala
logaritmica.
Fig. 3.22- Spettro di carica del Na-22 con LYSO triggerato a 2450V, l’asse y è in scala
logaritmica.
95
Dalle figure 3.21 e 3.22, si può già notare che nello spettro del Na-22 è visibile solo il picco a
0.511 MeV, questo indica la scarsa risoluzione energetica del LYSO testato.
I picchi da 0.511 MeV ottenuti alle varie tensioni sono approssimati con della gaussiane (in
blu nelle figure precedenti) delle quali sono state calcolate µ e σ. Nella tabella di figura 3.23
sono riassunti tutti i dati ottenuti. Tali dati sono stati poi graficati in funzione dell’alta tensione
ed è stato effettuato un fit esponenziale di tali dati. In questo caso come ci si aspetta (vedi
premessa 3.1.2.1) la carica ha una dipendenza esponenziale dall’alta tensione del LYSO
triggerato. Il risultato è in figura 3.24.
HV
Picco da 0.511 MeV
µ
σ
2200V
8.53±0.03
1.95±0.03
2250V
10.09±0.03
2.1±0.01
2300V
11.65±0.05
2.45±0.07
2350V
13.49±0.05
2.55±0.06
2400V
15.48±0.05
2.77±0.07
2450V
17.61±0.05
3±0.05
Fig. 3.23- Tabella che riassume le µ e le σ del picco da 0.511 MeV del Na-22 alle varie
tensioni del LYSO.
96
Fig. 3.24- Posizione del picco da 0.511 MeV del Na-22 in funzione della tensione di
alimentazione del LYSO triggerato.
Per concludere lo studio relativo alla valutazione della risoluzione in energia del LYSO, sono
stati confrontati i rapporti σ/µ del picco a 0.511 MeV del Na-22 sia rilevato con il NaI
(triggerato) sia con il LYSO (triggerato). Non è stato possibile effettuare un confronto tra i
vari σ/µ dell’altro picco a 1.275 MeV del Na-22 perché, come già detto, il LYSO non riesce a
risolverlo e perciò è di difficile collocazione negli spettri ottenuti (figure 3.21 e 3.22). I vari
σ/µ del picco da 0.511 MeV calcolati sono tabellati in figura 3.25.
97
Contatore triggerato
NaI
LYSO
σ/µ
HV
875 V
0.4/7.45∼0.05
900 V
0.55/10.35∼0.05
2200 V
1.95/14.53∼0.13
2250 V
2.1/16.09∼0.13
2300 V
2.45/17.65∼0.14
2350 V
2.55/19.5∼0.13
2400 V
2.77/21.48∼0.13
2450 V
3/23.61∼0.13
Fig. 3.25- Tabella dei rapporti σ/µ calcolati per il picco a 0.511 MeV del Na-22.
I valori di µ usati per il calcolo dei rapporti σ/µ sono quelli ottenuti dai vari fit gaussiani sul
picco da 0.511 MeV del Na-22, a cui è stato aggiunto il valore di offset (6.33±0.2) ottenuto
dalla calibrazione del WVD. Tale valore è quello dell’intercetta sull’asse y della retta di
interpolazione usata per calibrare lo WVD (vedi paragrafo 2.5 del Capitolo 2).
Da questa tabella si vede che mentre il NaI presenta una risoluzione in energia del 5%, il
LYSO presenta una peggiore risoluzione energetica: circa del 13%. Questo è un risultato
prevedibile in quanto il LYSO testato è un cristallo non omogeneo, ciò significa che la
crescita del cristallo non è avvenuta nel modo ottimale e che l’emissione di luce non è
omogenea nel volume del cristallo. Tutto ciò compromette la capacità risolutiva del cristallo
di LYSO che se da un lato ha una migliore risoluzione temporale (per il tempo di
decadimento) del NaI dall’altro ha una bassa risoluzione energetica (in letteratura si sono
consultate delle trattazioni nelle quali dei cristalli LYSO, adatti per TOF PET, hanno
dimostrato una risoluzione in energia di circa il 5%). A dimostrazione del fatto che il LYSO
testato ha una scarsa risoluzione energetica si è cambiata la sorgente tra lo NaI (trigger) e il
LYSO (triggerato): si è interposto il Co-60. Come era prevedibile (vedi figura 3.26) il LYSO
non riesce a risolvere i due picchi da 1.17 MeV e 1.33 MeV in quanto energeticamente (0.16
MeV) troppo vicini.
98
Picchi del Co-60
non risolti dal
LYSO
Fig. 3.26- Spettro di carica del Co-60 con LYSO (triggerato) a 2400 V.
99
3.3- Conclusioni
Lo scopo della tesi è stato lo sviluppo di un sistema di controllo di qualità per cristalli
scintillanti per TOF PET, tale sistema è stato messo in opera, prima passando attraverso una
fase preliminare come l’analisi dei plateau di tensione di scintillatori plastici e LYSO e di
calibrazione come la calibrazione del TDC (per lo studio della risoluzione temporale dei
contatori a scintillazione utilizzati) e la calibrazione dello WFD (per lo studio della risoluzione
energetica); poi scegliendo i vari moduli da utilizzare per completare il definitivo apparato di
acquisizione ed infine elaborando i vari software (in linguaggio C e C++) per acquisire ed
elaborare i dati. Una volta concluso il set-up sperimentale, costituito da un NaI(Tl) che agisce
da trigger e l’altro scintillatore da testare (oltre alle sorgenti di calibrazione), si è prima
caratterizzato il sistema di controllo di qualità utilizzando come scintillatore “triggerato” un
altro NaI(Tl). La scelta dei NaI(Tl) è stata dettata sia dal fatto che sono in dotazione al
laboratorio “SBAM” (“Scienze di Base Applicate alla Medicina”) del Dipartimento di Scienze
di Base ed Applicate per l’Ingegneria, sia perché sono gli scintillatori più comuni e conosciuti
in letteratura e perciò sono spesso presi come standard di riferimento per gli altri cristalli
utilizzati per TOF PET. Quindi per il NaI(Tl) si è ricavata una risoluzione temporale di circa
3.51 ns e una risoluzione energetica di circa il 5%. Poi invece, si è testato il sistema
utilizzando come scintillatore “triggerato” un prototipo di cristallo di LYSO, in dotazione al
laboratorio “SBAM” (“Scienze di Base Applicate alla Medicina”) del Dipartimento di Scienze
di Base ed Applicate per l’Ingegneria, di scarsa qualità in quanto caratterizzato da
un’emissione di luce non uniforme. Di questo si è valutata una risoluzione temporale di circa
0.54 ns (come si prevedeva, il LYSO è più veloce nella risposta del NaI infatti il tempo di
decadimento del segnale del LYSO è nettamente più basso rispetto al NaI (∼ 40 ns vs ∼ 230
ns)); e una risoluzione energetica di circa il 13% (più bassa di quella del NaI per la scarsa
qualità del cristallo di LYSO).
Per quanto riguarda gli sviluppi futuri, si dovranno testare dei cristalli che effettivamente sono
utilizzati per TOF PET, in modo da valutarne le prestazioni sia temporali che energetiche e
poterne consigliare l’uso nella pratica clinica.
100
Ringraziamenti
Quando si realizza un sogno durato sei anni, viene spontaneo ringraziare le persone che hanno
contribuito a renderlo possibile.
Ringrazio il Prof. Patera e il Prof. Sciubba, entrambi con i loro preziosissimi consigli mi
hanno accompagnato passo dopo passo in questo mio lavoro di tesi e soprattutto con grande
umanità e disponibilità, hanno reso il gruppo “SBAM”, una vera “famiglia” con cui dialogare,
confrontarsi e crescere professionalmente.
Ringrazio Alessio, per l’utilissimo sostegno ed aiuto in tutte le questioni software ed hardware
affrontate. Persone, come Alessio, di così grande bagaglio culturale e senso pratico se ne
incontrano poche e per questo lo ringrazio.
Ringrazio Francesco, grande amico, anzi “fratello” di disavventure e gioie di questo percorso
universitario svolto insieme. Lo ringrazio perché si è dimostrato sempre una persona
disponibilissima, sincera, pronta ad aiutarmi in qualsiasi momento, divertente e buona di
cuore; persone come lui se ne incontrano veramente poche e soprattutto ti fanno riscoprire
ogni giorno il significato vero della parola “amicizia”.
Ringrazio Luca e MariaChiara, membri del gruppo “SBAM” ma soprattutto “amici di
laboratorio”, sperando che la nostra amicizia si consolidi sempre più.
Ringrazio tutta la mia famiglia: mamma, papà, la sorellina Giulia, il fratellone Paolo e la sua
Vero, che come sempre mi hanno sostenuto e confortato nei momenti di difficoltà e
soprattutto hanno sempre creduto in me e nei miei sogni.
Ringrazio in particolare anche la mia Susetta, in questi giorni vissuti insieme hai sconvolto
come un uragano la mia vita e mi hai dato la cosa più preziosa al mondo: il tuo amore.
Ringrazio infine i miei amici di sempre in particolare Alessio per le mie ore e ore di internet
rubate, Marco, Mari, Luca, Claudia, Gianmarco per essermi sempre stati vicini. Grazie
Ragazzi!
Concludo questi ringraziamenti, dicendo che questi sei mesi di tesi sono stati durissimi ma
grazie a queste persone tutto è sembrato molto più facile. Grazie a tutti!
101
Appendice A – I raggi cosmici
I raggi cosmici si compongono di due componenti distinte: la radiazione primaria e la
secondaria; la prima può essere ulteriormente suddivisa, a seconda dell’origine, in una
componente galattica ed in una componente solare di minore rilevanza. La componente solare
è di natura sia corpuscolare (protoni ed elettroni) sia elettromagnetica; inoltre dipende
dall’attività del sole che segue un ciclo di 11 anni e dalle eruzioni solari che talvolta danno
luogo a tempeste solari con emissioni anche eccezionali di particelle di elevata energia.
Al di fuori dell’atmosfera terrestre, a latitudini maggiori di 55°, i raggi cosmici sono costituiti
da particelle cariche positivamente, in gran parte protoni (ma anche elettroni, elio, carbonio,
ossigeno e altri nuclei sintetizzati nelle stelle), di energia compresa per lo più tra 102 e 105
MeV, ma possono raggiungere valori molto più alti. Le particelle non appena giungono in
prossimità della terra, risentono dell’azione deviante del campo magnetico terrestre e, per
poter giungere al livello del suolo, devono avere una notevole quantità di moto; nel caso
contrario, esse finiscono con l’essere imprigionate dal campo magnetico terrestre, dando luogo
a cinture di radiazioni (elettroni e protoni con energia minore di qualche GeV) osservate ad
altitudini superiori a qualche migliaio di chilometri dalla terra in posizione simmetrica rispetto
all’equatore magnetico e note come cinture di Van Allen. Le particelle si muovono su
traiettorie spiraleggianti intorno alle linee di forza del campo magnetico terrestre.
Quando le particelle ad alta energia urtano gli atomi degli elementi presenti nell’aria, vengono
emessi numerosi prodotti secondari quali mesoni, elettroni, protoni, fotoni e neutroni. Queste
particelle prima di raggiungere la superficie della terra possono decadere o creare altre
particelle secondarie: da un singolo eventi primario può risultare uno sciame di particelle il cui
numero può raggiungere il valore di 108. I raggi cosmici primari vengono prevalentemente
assorbiti nello strato più alto dell’atmosfera. A circa 20 km dal livello del mare i raggi cosmici
sono quasi interamente di natura secondaria. A causa del campo magnetico terrestre l’intensità
dei raggi cosmici varia, se pur moderatamente, con la latitudine. L’energia necessaria ad una
particella carica per raggiungere la superficie terrestre, infatti, è più alta all’altezza
dell’equatore geomagnetico che non ad altre latitudini.
Per quanto riguarda la radiazione secondaria, muoni (µ+, µ-) e neutrini sono prodotti del
decadimento di pioni carichi (π+, π-) mentre elettroni e protoni sono originati nei decadimenti
dei pioni neutri (πo, questi danno luogo immediatamente a due raggi gamma che, interagendo
con il campo elettrico dei nuclei, creano coppie di elettrone/positrone (e+, e-)). I muoni sono le
particelle cariche (carica uguale opposta a quella dell’elettrone e di massa 205 volte maggiore)
102
più numerose a livello del mare. La maggior parte dei muoni sono prodotti a circa 15 km dalla
superficie terrestre e perdono circa 2 GeV per ionizzazione prima di raggiungere la terra.
Appendice B - La distribuzione binomiale
Molti problemi implicano ripetute e indipendenti prove di un processo nel quale il risultato di
una singola prova è duplice, per esempio, si o no, testa o croce etc.
Se più in generale si assumono come possibili esiti di una prova il successo o il fallimento di
tale prova, si può provare a conoscere la probabilità di r successi (o fallimenti) in N prove
senza tener conto dell’ordine con il quale questi avvengono. Se si assume che la probabilità di
successo non cambia da una prova alla successiva, allora questa probabilità è data dalla
distribuzione binomiale:
(B.1)
N!
p r (1 − p ) N − r
r!( N − r )!
P(r ) =
dove p è la probabilità di successo in una singola prova.
La media e la varianza di tale distribuzione possono essere calcolate in questo modo:
(B.2)
µ = ∑ rP (r ) = Np
r
(B.3)
σ 2 = ∑ (r − µ ) 2 P(r ) = Np (1 − p)
r
Si può mostrare che la (B.1) è normalizzata sommando P(r) da r = 0 a r = N. Qui si osserva
che P(r) non è altro che r-esimo termine della distribuzione binomiale, così che:
(B.4)
N!
∑ r!( N − r )! p
r
(1 − p ) N − r = [(1 − p ) + p ] N = 1
r
Nei limiti di grande N e p non troppo piccola, la distribuzione binomiale può essere
approssimata da una distribuzione Gaussiana con media e varianza date dalle (B.2) e (B.3).
103
Per calcoli pratici, usare una Gaussiana è una buona approssimazione quando N è più grande
di circa 30 e p ≥ 0.05.
104
Bibliografia
[1]- James E. Turner – “Atoms, Radiation and Radation protection” 3rd edition (Wiley-VCH
2007).
[2]- William R. Leo – “Techniques for Nuclear and Particle Physics Experiments” ed.
Springer-Verlag
[3]- Michael E. Phelps – “Positron emission tomography provides molecolar imaging of
biological process”.
[4]- N. Belcari, A. Del Guerra – “Utilizzo di tecniche nucleari nell’imaging molecolare”.
[5]- Maurizio Conti – “State of the art and challenger of time-of-flight PET”.
[6]- Suleman Surti, Georges El-Fakhri, Joel S. Karp – “Optimizing Acquisition Parameters in
TOF PET scanners”.
[7]- Suleman Surti, Joel S. Karp, Margaret E. Daube-Witherspoon, Gerd Muehllehner –
“Benefit of Time-of-Flight in PET: Experimental and Clinical results”.
[8]- S. Vandenberghe, S. Matej, M.E. Daube-Witherspoon, M. Guerchaft, J. Verhaeghe, A.
Bol, L. Van Elmbt, I. Lemahieu, J.S. Karp – “Determining timing resolution from TOF-PET
emission data”.
[9]- W.W. Moses, S.E. Derenzo – “Prospects for Time-of-Flight PET using LSO Scintillator”.
[10]- C.L. Melcher, J.S. Schweitzer – “Cerium-doped Lutetium Oxyorthosilicate: A fast,
efficient new scintillator”.
[11]- Thomas Kimble, Mitch Chou, Bruce H.T. Chai – “Scintillation properties of LYSO
crystals”.
[12]- A. Nassalski, M. Kapusta, T. Batsch, D. Wolski, D. Mockel, W. Enghardt, M.
Moszynski – “Comparative study of scintillators for PET/CT detectors”.
[13]- Maurizio Conti – “Effect of randoms on Signal-to-Noise-Ratio in TOF PET”.
[14]- Nada Tomic, Christopher J. Thompson, Michael E. Caesy – “Investigation of the
“Block-effect” on spatial resolution in PET detectors”.
[15]- IEEE standard 1014-1987/IEC 821 bus standard – “Il bus VME”.
[16]- Timothy Hoagland – “A brief discussion of NIM, CAMAC and VME standards”.
[17]- R.W. Novotny, W.M.Doring, V. Dormenev, P. Dexler, M. Rost, M. Thiel, A. Thomas –
“High-Energy photon detection with LYSO cristals”.
[18]- www.pdg.com
105
Siti consultati per data sheet della strumentazione:
[19]- www.scionix.nl
[20]- www.caen.it
[21]- www.hamamatsu.com
[22]- www.et-enterprises.com
106