21 marzo 2015 AustriaAlexanderPeer BulgariaElinRahnev CroaziaSarahZuhra GermaniaNoraBossong ItaliaSilviaBre PoloniaKrystynaDąbrowska PortogalloAnaLuísaAmaral RomaniaRuxandraCesereanu SlovacchiaIvanŠtrpka SloveniaAlešŠteger SveziaEvaStröm SpagnaErikaMartínez SvizzeraDragicaRajčić UngheriaAndrásFerencKovács Supplemento a “Scrittori Italiani” www.scrittoritaliani.com Disegno di José M. Cantos Mansilla a cura della Federazione Unitaria Italiana Scrittori Piazza Augusto Imperatore, 4 00186 Roma tel. 06 68 33 646 Progetto grafico e stampa VEAT Litografica snc info@veatlitografica.it 2 Giornata Mondiale della Poesia 21 marzo 2015 seconda edizione ore 20:00 - reading L’Europa in versi Istituto Polacco Via Vittoria Colonna 1 - Roma Modera MariaIdaGaeta Direttrice della Casa delle Letterature Interventi musicali eseguiti da MicheleSganga Istituto Polacco di Roma Palazzo Blumenstihl 3 Austria ALEXANDER PEER Vive e lavora a Vienna. Fra i suoi libri di maggior successo si ricordano: „Bis dass der Tod uns meidet“ (Limbus 2013) „Land unter ihnen“ (Limbus 2011) „Ostseeatem“ (Wieser Verlag 2008) e „Herr, erbarme Dich meiner!“ (Edition Art & Science 2007), sullo scrittore Leo Perutz. Nato nel 1971 a Salisburgo, studia Germanistica, Filosofia e Scienze della Comunicazione. Molteplici le pubblicazioni in antologie e riviste letterarie. Scrive regolarmente contributi e reportage per riviste e giornali nazionali come Der Standard, Die Presse, profil, Wiener Zeitung ed è autore di trasmissioni per la radio di stato austriaca. È membro di circoli letterari come il P.E.N.- Club Austria, Podium e la Salzburger AutorInnengruppe. Attivo come lettore, insegna e organizza laboratori di scrittura. Numerose le presentazioni, come anche premi e riconoscimenti. Per informazioni più dettagliate: www.peerfact.at Traduzione di Ada Vallorani. Ph © Wolfgang D. Muik www.muwo.at 4 Der gleiche Oktober Quello stesso ottobre Die Äste ließen ihre geringgeschätzten Früchte fallen. Die Bäume schämten sich ihrer nackten Arme und diese brachen vor lauter schlechtem Gewissen. Die Schuld wurde unter dem Wald neu aufgeteilt. Jedem wurde zu gleichen Teilen der Herbst zugesprochen. In den Fenstern spiegelte sich die Sonne nur noch zaghaft. Sie hatte Angst vor der Nähe. Jeden Tag zeigte sie ihre Scheu und schob die Wolken vor ihre Strahlen. I rami fecero cadere i loro frutti disdegnati. Gli alberi si vergognarono delle loro braccia nude e queste si spezzarono per la coscienza sporca. La colpa venne suddivisa in modo nuovo nel bosco. A ognuno venne ascritto l’autunno in parti uguali. Nelle finestre si specchiava il sole ormai timido. Aveva paura della vicinanza. Ogni giorno mostrava la sua timidezza e spingeva le nuvole davanti ai suoi raggi. Die Parkbänke wurden lichter. An manchen Wochentagen saßen dort nur Erinnerungen. Schwer wuchsen Schatten über die Landschaft. Wir tranken Sturm im Bauch einer Laube, Wolljacken waren die Hüter unseres Wohlbefindens. Le panchine si fecero più chiare. In alcuni giorni della settimana lì vi erano seduti solo ricordi. Le ombre crescevano pesanti sul paesaggio. Bevemmo tempesta nel ventre di un pergolato, giacche di lana erano i custodi del nostro benessere. Zugvögel verließen ihre Behausungen und flogen über uns hinweg – südwärts. Wir saßen noch lange und tranken einen ewigen Abschied. Gli uccelli migratori lasciarono le proprie dimore e volarono via sopra di noi – verso sud. Noi sedemmo ancora a lungo e bevemmo un eterno addio. Gegenwärtig Presente Auf einem schönen Blatt Papier schreib’ ich ein hartes Wort, das leicht sich streckt und dehnt, im Weiß auskeimt und dieses schwärzt. Su di un bel foglio di carta scrivo una parola dura, che facilmente si stende e si dilata, germoglia nel bianco e lo tinge di nero. Es steht ganz mühelos auf dieser Seite und hält bereit, für jeden, der es sieht, so viel von allem was er erlebte und vergangen sich nun gibt. É scritto semplicemente su questo foglio e tiene a disposizione, per chiunque, che lo veda, tanto di tutto ciò che lui ha vissuto e ora soccombe al passato. Es weckt in mir, der ich – in diesem Funken Zeit – es schreibe, den müden Blick, der das Ereignete beäugt. Si desta in me, io che in questo sprazzo di tempo lo scrivo, lo sguardo stanco, che scruta l’accaduto. Ich schreibe bloß ein klares Wort und spüre die Klopfzeichen meines Körpers. Scrivo soltanto una parola chiara e accuso i colpi del mio corpo. Ich kreise hier mit einer stumpfen Feder und wiege mein Gedächtnis. Ich rufe Dir bekannte Gesten nach, doch ist es nur das Bild von Dir, mit dem Gespräch ich suche. Volteggio qui con una penna spuntata e soppeso la mia memoria. Ti grido dietro gesti conosciuti, ma è solo l’immagine di te, con il dialogo io cerco. Vor diesem schönen Blatt gab es zum Ich ein Du und jetzt steht nur ein Abschied da. Prima di questo bel foglio esisteva per me un te e ora vi è scritto solo un addio. 5 Bulgaria ELIN RAHNEV Elin Rahnev è un poeta, scrittore, drammaturgo e giornalista bulgaro. Nato il 3 luglio 1968 a Sofia. Si laurea presso l’Università di Sofia “San Clemente D’Ocrida” e più tardi si specializza in regia teatrale presso l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica nella classe del celebre regista bulgaro Krikor Azarian. Scrive per i quotidiani “Il giorno” (Денят) e “Continente” (Континент). Per quattro anni è caporedattore della rivista di letteratura e poesia “Vitamina B”. Dal 2000 al 2003 è drammaturgo principale presso il Teatro Nazionale “Ivan Vazov”, dove crea anche lo spazio scenico “Teatro all’ultimo piano”. Dal 2006 al 2009 diventa drammaturgo principale presso il Teatro satirico “Aleco Constantinov”. Fondatore e sceneggiatore delle trasmissioni “Cerchi” (Televisione Nazionale Bulgara), “Non-valido” (BTV), “Art traffico” (Pro.BG), è anche autore nella trasmissione “Panorama” e nelle riviste “Tema” ed “Ego”. Autore delle raccolte di poesie “Esisto” (Съществувам), “Sventolare il crocus” (Развяване на минзухара), “Ottobre” (Октомври), “Canela” (Канела) e dei testi teatrali “Fagioli” (Боб), “Flaubert” (Флобер), “La finestra di Ionesco” (Прозорецът на Йонеско), “Il cuculo” (Кукувицата), “Fan” (Фенове), “Test“ (Тест), “Amore” (Любов) ed altri. Le sue poesie e i suoi lavori teatrali sono stati tradotti in più di 20 lingue. Nel 1992 vince il primo premio del concorso poetico “Veselin Hancev” per la sua prima raccolta di poesie “Esisto” (Съществувам) e nel 1999 il premio “Ivan Nikolov” per “Ottobre” (Октомври). E' vincitore dei premi teatrali “Ikar” per la drammaturgia nel 1999 per “Fagioli”, nel 2003 per “Fan” e ha conseguito il premio “Askeer” per “Test”. Traduzione del Prof. Giuseppe Dell’Agata. 6 BLUES 3 Blues 3 Lei sale verso casa, è stata a far la spesa. Nella retina ha pesche, spinaci e noccioline. Ha fissato gli occhi sulle scale e sale lentamente. Le ombre sotto i suoi occhi sono fitte e quadrate. Nel fondo dei suoi occhi ci sono ancora altri pensieri. Тя се качва към къщата, ходила е да пазарува. В мрежата има праскови, спанак и ядки. Вгледала се е в стълбите и се качва полека. Сенките под очите й са гъсти и квадратни. В дъното на очите й има още някакви работи. Da qualche parte in ottobre stiamo tutti e due insieme, la tavola trabocca di bottiglie di vino. Balliamo nella stanza di gesso. Abbiamo messo un disco. Lei canta, balla e beve quasi contemporaneamente. I suoi movimenti argentei si arrampicano lungo i muri. Io mi vergogno un tantino. Някъде през октомври стоим двамата, масата е кипнала от бутилки вино. Танцуваме в тебеширената стая. Пуснали сме си някаква плоча. Тя пее, танцува и пие почти едновременно. Сребристите й движения се катерят по стените. Аз малко се срамувам. La mattina lei va al lavoro. Sale su un autobus trasparente. Dentro casa c’è odore di birra e di lavanda. Io poi apro il suo armadio. L’armadio è pieno di impressioni. Le sue gonne dondolano. Hanno occhi e spalle. A volte tremano, come se facesse freddo. Io mi metto a riflettere su di lei. Lei danza sull’autobus trasparente. Сутрин тя отива на работа. Качва се в един прозрачен тролей. Вътре мирише на бира и лавандула. Аз после отварям гардероба й. Гардеробът е пълен с импресии. Роклите й се полюшват. Имат си очи и рамене. Понякога треперят, все едно е студено. Аз се замислям за нея. Тя танцува в прозрачния тролей. In casa ci sono due o tre ragni. Lei li carezza sempre sui musini.E’ triste e trasognata. Poi si guarda allo specchio, e rimane in lui qualche minuto. A volte, finché sta così, penso a cose più diverse. Si raddensa tutta. Poi si mette un’altra gonna a quadratini e aranci verdi. Questa sera è felice, ma poco. У дома има два-три паяка. Тя винаги ги гали по муцуните. Стъгно й е. След това се поглежда в огледалото, остава в него няколко минути. Понякога, докато стои така, си мисля най-различни работи. Цялата се сгъстява. После си слага друга рокля на квадратчета и зелени портокали. Тази вечер е щастлива, но малко. Una qualche pioggia ci ha sorpreso a Nesebăr. Io le bacio la spalla. Lei è entrata nella libreria di fronte e si è comprata Ezra Pound. Mentre la guardavo andare nella libreria mi sono scisso. Quando ne uscì le scendevano dai capelli rivoli di fiori. Poi abbiamo continuato oltre – una commessa di un bar ci ha fatto molte feste e ci ha offerto una birra. Някакъв дъжд ни валя в Несебър. Аз я целувам по рамото. Тя влезе отсреща в книжарницата и си купи Езра Паунд. Докато я гледах как отива към книжарницата, се разцепих. Когато излезе, от косите й падаха цветни вадички. После, двамата продължихме нататък - някаква барманка много ни се зарадва и ни почерпи бира. Una volta l’ho fotografata impietrita vicino a un albero. Di lato sulle panchine sedevano dei vecchi e leggevano giornali. In alto ansimavano le nuvole. Ma lei si era messa sulle punte dei piedi. Io fui turbato e non riuscii a fotografarla bene. Lei scivolò su se stessa e si mise a piangere. Allora fui geloso di lei per la prima volta. Alcuni bambini sfrecciarono accanto a noi sui loro skateboard. Един път я снимах вкаменена до едно дърво. Отстрани по пейките седяха старци и четяха вестници. Отгоре пъшкаха облаците. Тя обаче се беше изправила на пръсти. Аз се притесних и не можах да я снимам добре. Тя се подхлъзна в себе си и се разплака. Тогава я ревнувах за първи път. Някакви деца излетяха край нас, качени на скейтбордове. Тя сега се качва към къщата, ходила е да пазарува. В мрежата има праскови, спанак и ядки. Вгледала се е в стълбите и се качва полека. Сега ще отключи вратата, докато си говори със съседката. Аз я чакам вече няколко минути и докато я чакам, си мисля как се качва по стълбите. Lei ora sale verso casa, è andata a fare la spesa. Nella retina ha pesche, spinaci e noccioline. Ha fissato gli occhi sulle scale e sale lentamente. Ora aprirà la porta mentre parla con la vicina. Io la aspetto già da qualche minuto e mentre la aspetto, penso a come stia salendo sulle scale. Луна 7 Luna 7 Очарован съм, че съществуваш в тези времена. От всичките ти фобии и фиби.От всичките ти версии и вени.От цялата акустика на кожата. От сребърните нишки на въздишката. Отгланца на дъха ти и походката. Но как да бдя над теб и как да те опазя- от бури, нерези,вулкани.От всичките неправди на света. Все по-клиничен в своята самота аз нямам сили даже да изтлея. Аз нямам сили себе си да обновя. Sono incantato dalla tua presenza in questo mondo. Da tutte le tue fobie e fibbie. Da tutte le tue versioni e vene. Da tutta l’acustica della pelle. Dalle nicchie argentee del sospiro. Dal lustro del tuo alito e del tuo incedere. Ma come posso vegliare su di te e proteggerti da tempeste, verri, vulcani? Da tutte le ingiustizie del mondo. Sempre più caso clinico nella mia solitudine io non ho neppure forze per spegnermi. Io non ho forze per rinnovarmi. Да се затворя ли в паунова мъгла сега и там да чакам края. Или тъгата си по теб да пръскам по планини, сахари и сорбони.Да мрат поетите сред кожата ти прясна искаш ти. Да гаснат непотребни,залезни тела. Там лорка спи. И другите, нали? Che mi rinchiuda ora in una nebbia di pavone e che lì aspetti la fine. O che la nostalgia di te vada spruzzando per montagne, Sahara e Sorbone. Che muoiano i poeti tra la tua pelle fresca tu desideri. Che si spengano inutili, tramontati corpi. Là dorme Lorca. E gli altri, nevvero? Ще ме оставиш ли все още малко да се давя в нектара на напъпили луни. Да рея мръкналото тяло в поезията, римите. Поречията на сълзата ти да пея - за светли бъднини, за мощната просвета. един елин живял за нея Mi lascerai ancora un po’ annegare nel nettare di lune sbocciate. Che vaghi trascinando il corpo rabbuiato nella poesia, nelle rime. Che canti i bacini fluviali della tua lacrima – per futuri radiosi, per una possente cultura. Un Elin che ha vissuto per lei 7 Croazia SARAH ZUHRA LUKANIĆ È nata in Croazia. Dopo gli studi classici, si è laureata in Letteratura all’Università di Fiume. Ha lavorato come addetto stampa per il Teatro Nazionale di Spalato e ha collaborato con quotidiani e periodici occupandosi di critica teatrale. Nel 1987 si è trasferita a Roma dove tutt’ora risiede. Dal giugno 2005 ha scelto di scrivere in lingua italiana e ha conseguito diversi riconoscimenti in alcuni importanti concorsi letterari. Dal 2006 collabora stabilmente con il settimanale “Internazionale” e partecipa ai progetti della Bottega Interculturale del Premio Solinas. Nel 2007 è stato pubblicato il suo primo romanzo “Le lezioni di Selma” (Libribinchi Edizioni) è stato decine di volte preso come tema per tesi di laurea e vari dottorati di ricerca sulla guerra e la condizione della donna. Suoi racconti, poesie, testi drammaturgici e articoli sono apparsi su varie pubblicazioni (Nazione Indiana, Internazionale, Lettera Internazionale, Lo Straniero Per la Scena, Ateniesi, Donneuropa, Accattone, El-Ghibli, Sagarana, Concorso Lingua Madre e vari siti web. Inoltre è responsabile per l'organizzazione eventi e partecipazione a bandi nazionali ed europei. Dal 2009 fa parte della Compagnia delle Poete. Coideatrice del progetto “Strane Straniere”e fa parte del Comitato Promotore di un CENTRO INTERCULTURA per Roma. Ph © Dino Ignani 8 Hej ti ptico grabljivice Ehi tu uccellaccio rapace Prepoznajem te ptico grabljivice Osjećam tvoje kandže kako grebu moje meso mlado mlado Zadihana si na mom podignutom reveru I ti nosi nosi tvoja jaja svakidašnje jadikovke Nije te briga za ustačca moje gladne djece Činiš mi se gotovo lijepa U tvom ženstvenom letu Preživljavam žvačući suho voće preostalo u staklenkama sretnijih trenutaka U borama vremena očajničkog i ustajalog Uzgajam koprive za prekriti moje tijelo zagađeno gradskom kaljužom Ne plačem Ne plačem Suze mi služe samo za zalijevanje isušenih uspomena Slike obitelji ne posjedujem Da bih čučnuo i slušao cviljenje moje nesretne djece Prepoznajem te ptico grabljivice Sakupljam tvoje perje veličanstveno koje ostavljaš za sobom između pritvo renih prozora I ne plačem I ne plačem Gledam pakleno sunce ravno u oči Pokrivam se pogrebnim plaštom Jedna peruanska paraca U zabludi da bi negdje drugdje sve bilo različito Ali ti bi me zasigurno pronašla I tamo u tuđini. Ti riconosco uccellaccio rapace Sento le tue unghia afferrare la mia carne fresca fresca Stai ansimando sul mio bavero innalzato E covi covi disgraziata coincidenza quotidiana Non hai cura delle boccucce dei miei figli affamati Quasi bella mi sembri Nel tuo volo elegante Per sfamarmi mastico la frutta secca rimasta nei barattoli dei tempi felici Nelle pieghe dell’epoca sciagurata e ferma Coltivo ortica per coprirmi il corpo innestato dall’inquinamento urbano Non piango Non piango Le lacrime mi servono per annaffiare i ricordi prosciugati Neanche le foto dei famigliari Per accucciarmi e udire il guaito dei miei figli infelici Ti riconosco uccellaccio rapace Raccolgo le tue piume maestose che tralasci tra le finestre socchiuse E non piango E non piango Guardo il sole cocente diritto negli occhi negli occhi Mi copro con il manto funerario Una paraca prehispanica peruviana E m’illudo che altrove sarebbe stato diversamente Ma tu mi avresti trovata Anche là. La bellezza non salverà il mondo, Giacomo mio Ljepota neće spasiti svijet, moj Giacomo La bellezza non salverà il mondo, Giacomo mio Rimaranno crepuscoli misericordiosi in mezzo ai respiri dell’anime pezzentelle Clemenza dei soffitti da dove dondolano versi trasversi Come panni stesi dopo la pioggia Dimenticati e oramai cenerini Balaustre lunghe Nessuna fonte battesimale per poeti Un camino di conversione nel verso tuo Senza comprare il tesoro Con una vescica in mezzo al petto fanciullesco Tra i silenzi tuoi e nostri Passeranno pastori e mercanti affaticati dalla vita Che è soltanto un lago prosciugato senza poesia Una chiesa sconsacrata senza odore dell’incenso La Roma santa protettrice di se stessa ti spuntò davanti Squallida e modesta Così si narra Omaggiamola noi un gruppetto allegro d’anime leopardate Per offrire cuscino felpato ai tuoi canti Posso io un piccolo moscerino di altrove Sulla riva del Tevere, quella più bella, Gettare le braccia al tuo collo? E far finta che il mio presidente è diventato un poeta saggio e scomodo Rifugiarsi, solamente quello possiamo Proteggersi con il tuo canto ci è permesso Uno scudo dolce nel dolce naufragar Ljepota neće spasiti svijet, moj Giacomo Ostat će milosrdni sumraci između uzdisaja duša pezzentelle Blagost stropova gdje se ljuljaju stihovi poprečeni Kao povješano rublje nakon kiše Zaboravljeno i gotovo pepeljasto sivo Duge ograde Nijedan zdenac za krštenje pjesnika Pretvorbeni hod u tvojim stihovima Bez kupnje blaga Sa žuljom u sred djetinjastih grudi U tvojim i našim tišinama Proletjet će pastiri i trgovci već umorni od života Koji je samo presušeno jezero bez poezije Obeščašćena crkva bez mirisa tamjana Rim sveta zaštitnica same sebe ponudila ti se Raspuštenica i skromna Tako pričaju Počastimo ih mi vesela skupina duša poklonica Leopardija Ponudimo plišani jastuk za tvoje pjesme Moglu li se usuditi ja mušica koja je doletila iz daljine Sa strane Tibera one najljepše Baciti ruke oko tvoga vrata? Izmišljati da je moj Predsjednk postao mudar i neudoban pjesnik Pronaći utočište jedino to možemo Zaštititi se tvojim stihom to nam je dostupno Jedan dragi štit u dragim brodolomima. Uno scudo dolce nel dolce naufragar 9 Germania NORA BOSSONG Nasce nel 1982 a Brema e vive attualmente a Berlino. Studia antropologia culturale, filosofia e letteratura a Berlino, Lipsia e Roma. Le sue ultime produzioni comprendono il romanzo Gesellschaft mit beschränkter Haftung (“Società a responsabilità limitata”, Hanser 2012) e la raccolta di poesie Sommer vor den Mauern (“Estate di fronte alle mura”, Hanser 2011), per la quale è stata premiata con il Peter-Huchel-Preis. Inoltre scrive saggi ed articoli tra gli altri per i giornali ZEIT, TAZ e FAZonline. Ad agosto sarà pubblicato il suo romanzo su Antonio Gramsci, sempre per la casa editrice Hanser. Traduzione di Camilla Miglio Ph © Rabea Edel 10 Leichtes Gefieder Piumaggio leggero Vielleicht zu spät, als eine Krähe unsern Morgen kappt. Ein Schlag. Und ob sie fällt und ob sie weiterfliegt Ich frag zu laut, ob du noch Kaffee magst. Dein Blick ist schroff, wie aus dem Tag gebrochen. Es riecht nach Sand. Du fragst mich, ob ich wisse, dass Krähen einmal weiß gefiedert waren. Ich lösch die Zigarette aus, ich wünsch mich weg von hier, ich möchte niemanden, ich möchte höchstens einen andern sehen. Du nennst mich: Koronis. Ich zeig zum Fenster: Sieh doch, die Aussicht hat sich nicht verändert! Was gehen dich die Stunden an, die du nicht kennst? Ich will nur Mädchen sein, nicht in Arkadien leben. Dein Nagel scharrt noch in der Asche, doch du bist still, als wärst du fort. Ich bin zu leicht für deine Mythen. Troppo tardi forse, e una cornacchia ci trancia il mattino. Un colpo. E che cada e che vada via – che tu voglia ancora caffé, ti chiedo a voce troppo alta. Il tuo sguardo è rude, come sorto dal giorno. Odore di sabbia. Mi chiedi, sapevi che un tempo le cornacchie erano bianche. Spengo la sigaretta, vorrei essere altrove, vorrei vedere – nessuno o almeno qualcun altro. Mi chiami: Koronis. Indico dalla finestra: Guarda, la vista non è cambiata! Che t’importa delle ore sconosciute? Voglio essere una ragazza e basta, non vivere in Arcadia. Il tuo chiodo fruga ancora nella cenere Ma resti in silenzio, come assente. Troppo leggera io, per i tuoi miti. Ararat Ararat In diesem Sommer brach der Regen über ganz Europa tropisch oder wie manche sagten, sintflutartig herein. Ich sah Wassermassen in den Straßen, sah vergessene Tiere, phantastische Insekten, all diese nichtüberlieferten Träumer hinabwirbeln in Gullyschächte. Menschen irrten durch die Fluten. Am Ararat zerschellte eine Arche. Ich blieb ungerührt und glaubte nicht an den Sog der Gezeiten, stand auf meinem Hausdach, genügte mir selbst. Tauben flogen um mich. Es wurde Herbst. Quest’estate la pioggia è caduta su tutt’ Europa, proprio tropicale o come dicevano alcuni, da diluvio universale. Ho visto masse d’acqua nelle strade e bestie dimenticate, insetti fantastici tutti questi sognatori non pervenuti vorticare nei tombini. La gente vagava tra i flutti sull’Ararat andava in pezzi un’arca. Resto indifferente e non credo al risucchio delle maree, sto in piedi sul tetto di casa, basto a me stessa. Intorno a me volano colombe. Si fa autunno. Specie in via d’estinzione Aussterbende Art Viso oppresso da crocchia fissata in avanti. Fazzoletto o cuffia (Unicorno). Tre, quattro grembiuli, gonna rossa, niente biancheria a tagliare fredda il ventre. Gesicht erdrückt von Dutt, nach vorn gebunden. Kopftuch oder Haube (Einhorn). Drei, vier Schürzen, Rotrock, keine Wäsche – schneidend kalt im Schoß. Una volta infilato, lei non voleva più uscire dal suo costume. Così rigida come lino sedeva e abitava la sua stanza, in questa specie d’antro. Sie wollte, einmal drin verkrochen, nicht mehr raus aus ihrer Tracht. So saß sie leinensteif und hauste in ihrem Zimmer, in diesem Höhlenähnlichen. Gallina invecchiata. Con la grandiglia (alla moda di Halle) volò subito via, pesava ancora 80 libbre più 20 chili di vestiti. E tutto in lei era così grigio, quasi avesse conosciuto Lutero di persona. Die Luft roch kirchenalt, sie las im Dämmerlicht von Pergamentpapier. Dä DüweI schall meck holen dann wennt wahr nich is! Ich schrak zurück: sie sah mich an. Si accovacciò di nuovo sopra il libro. Fredde osseggiavano le dita protestanti su Romani e Timoteo. Da Düwel schall meck holen dann, wennt wahr nich is! Mi guardava. Mi guardava. Vergreiste Putte. Mit ihrer Krause (Hällschen) flog sie gleich fort, sie wog noch 80 Pfund plus 20 Kilo ihrer Kleider. Und alles an ihr war so grau, als hätt sie Luther selber noch gekannt. – – – Il diavolo è venuto E se l’è portata via. Sie höckerte sich wieder übers Buch. Kalt knöcherten die Protestantenfinger über Römer und Timotheus. Da Düwel schall meck holen dann, wennt wahr nich is! Sie sah mich an. Sie sah mich an. (Il neretto è dialetto Plattdeutsch: che il diavolo mi prenda se non dico il vero) – – – Der Teufel ist gekommen und hat sie mitgenommen. 11 Italia SILVIA BRE Silvia Bre è poeta e traduttrice. Ha pubblicato, tra l'altro, Le barricate misteriose (Einaudi 2001) premio Montale, Sempre perdendosi (nottetempo 2006) premio Montano, Marmo (Einaudi 2007) premio Viareggio, premio Mondello, premio Frascati. Ha tradotto, tra l'altro, da Emily Dickinson Centroquattro poesie (Einaudi 2011) e Uno zero più ampio (Einaudi 2013), Il canzoniere di Louise Labé (Classici Mondadori, 2000), Il giardino di Vita Sackville-West (Elliot, 2013). Nel 2010 ha vinto il premio Cardarelli per la poesia. In aprile uscirà la sua più recente raccolta di poesie: La fine di quest'arte (Einaudi, 2015). 12 Ecco la notte, ciò che ti oltrepassa e ti lascia dove non sei dentro un altro dominio dentro un altro. INTERMINABILE E tu, scappata dal fiumare delle vite tutte insieme verso quel loro centro Solo un gallo ancora muto che non vedi è più che mai il suo canto nell’aperto di un’idea, in un’alba che viene e viene tanto che ti svegli. con un corpo di tragedia in tragedia più leggero senza ragione alcuna sei con noi Se il nostro luogo è dove il silenzioso guardarsi delle cose ha bisogno di noi dire non è sapere, è l’altra via, tutta fatale, d’essere. Questa la geografia. Si sta così nel mondo pensosi avventurieri dell’umano, si è la forma che si forma ciecamente nel suo dire di sé per vocazione. scorri nelle persone come fa un momento dal quale uscire in ignoranza pura vagabondi tra i gridi di paura e d'invenzione di chi è venuto a crescere qui qualcuno chiama luce l'onda di buio che sbatte contro gli occhi nei giorni ma fare da porta alla testimonianza ha pure una dolcezza infine Come quando in una qualche stagione spicca l’istante che la farà nostra – bagliore che porta alla ricerca di quell’orma precisa in cui tornare – abbasserò gli sguardi, sarò la confluenza e il suo valore tra tutto il verde calcato dalle suole nei prati d’Italia e la vetta del sole, maestro elementare di durata, sarò lentezza secolare del pensiero a fronte dell’immagine in fuga. dire io e subito assopirsi in un incantamento tra l'infuriare delle differenze e dire tu, salto che strappa a morire più in là contro il petto di qualcuno che hai sognato perché i vivi li avvince una cadenza e serve dare un tempo per averlo Sono già insieme le due movenze estreme e senza scampo – bella difficoltà di dirle bene per l’unica persona che le sente. e per la verità servono pesi di piombo legati ai piedi il dolore primario da cui per caso spicchi con un guizzo la contromossa: È come tutti, contiene la città enorme in cui cammina, si attiene, nell’andare, alla sua morte – il sonoro è il vento, questo sobborgo di palafitte dove l'acqua non si allontana troppo dal cielo e confonde anche noi specchio di specchi con qualche cosa che non smette mai un accompagnamento primordiale, basta aderire senza toccare nulla a lei che s’accontenta di portarle. La sua realtà è mia arte. mentre il reale brilla e vedere è tutto un mancamento si sente fluttuare il tuo nobile nulla Ma pensare, pensare è affrancarsi, mente che sogna addormentata nella terra: in te che mi riguardi e sei quello che sono distendo questo mio corpo fedele nato per raccontare della luna quando va via da sé quando senza più noi va da nessuno. se da tanto fragore io ti parlo ora come ora senza colare a picco se io parlo così come a nessuno e dico in bilico nel vento della memoria questo orizzonte umano da fissare Ma se quelli raccolti intorno a un fuoco i rapiti da una così lontana cosa da non essere lì se quelli che sono qui perché son corsi dietro un'immagine che li ha trapassati prima di andarsene e dunque noi che sentiamo le voci venire dalla notte con le nostre parole e altri accenti il loro insieme barbaro che sa le storie delle pietre degli oceani noi tradotti nel luogo sconosciuto per essere lacune di altri luoghi segreti vivi che si pentono di non poter tacere è perché vado poesia nel tuo mobile senso scia di una felicità della cui apparenza vivo. alba ti alzi cos'hai da raccontare che non sia quello che porti nelle tue cellule di sole 13 Polonia KRYSTYNA DĄBROWSKA Krystyna Dąbrowska - nata nel 1979, poetessa, saggista, traduttrice, laureata all’Accademia delle Belle Arti di Varsavia. Autrice delle raccolte di poesie: Biuro podróży /Agenzia di viaggio (2006), Białe krzesła /Sedie bianche (2012), Czas i przesłona / Tempo e diaframma (2014). Nel 2013 ha vinto in Polonia due prestigiosi premi letterari: Premio Wisława Szymborska e Premio Kościelski, entrambi per il volume Białe krzesła / Sedie bianche, edizioni Wojewódzka Biblioteka Publiczna, Centrum Animacji Kultury di Poznan. Pubblica nelle riviste: „Literatura na Świecie”, „Nowe Książki”, „Kwartalnik Artystyczny”, „Kultura Liberalna”. Ha tradotto in polacco tra l’altro le poesie di W. C. Williams, W. B. Yeats, Thomas Hardy, Thom Gunn, Charles Simic e le satire di Jonathan Swift (La battaglia dei Libri; La favola della botte, WUW 2013). Le sue poesie sono state tradotte in inglese, tedesco, russo, svedese, ed in italiano e pubblicate nelle riviste di letteratura (Akzente, Sinn und Form, Harper's Magazine). Vive attualmente a Varsavia. Traduzione di Leonardo Masi. Ph © Maciej Grzybowski 14 *** *** Skąd mam spojrzeć, żeby cię zobaczyć? Z bliska czy z daleka? I z którego czasu? Kiedy się odsuwam, próbując ciebie objąć od stóp do głów, jak obraz na sztaludze, czuję, że to ty mnie obejmujesz, zmieniasz, dodajesz kolor, odejmujesz. Raz patrzę ci w oczy, raz twoimi oczami, kiedy śpisz lub gdy mi się śnisz, to znów szukam szczegółu – przedmiotu, gestu, słowa, niech jak pąk się otworzy i wybuchnie tobą. Tyle punktów widzenia, a ja tkwię w martwym punkcie, oplątana nicią, którą chciałam je złączyć. I nie wiem, czy w tej nici jesteś, czy w błysku nożyc, co ją przetną. Da che punto guardare per vederti? Da vicino o da lontano? E da che tempo? Se mi allontano per inquadrarti dalla testa ai piedi, come una tela sul cavalletto, sento che a prendermi sei tu. Guardo ora nei tuoi occhi, ora con gli occhi tuoi, quando tu dormi o quando io ti sogno, cerco di nuovo un particolare – un oggetto, un gesto, una parola; gli sia dato di sbocciare come una gemma ed esplodere di te. Così tanti punti di vista, ma io resto a un punto morto, impigliata nel filo che avrei usato per unirli. E non so se tu sei in quel filo o nel lampo della forbice che lo taglia. LA CITTÁ DEI MORTI MIASTO UMARŁYCH Sui fili tirati fra le tombe una donna stende i panni. Alza le braccia come in lamento muto e attacca la molletta alle mutande. Sottabiti, lenzuola danzano fra le pietre. Intorno i mausolei, dove vive la gente: subaffittuari dei morti, guardiani della loro pace. Ovunque scalpitare di bambini, giocano a pallone, le tombe fanno da pali. La madre chiama a tavola e la sua voce si mescola alla preghiera dalla cappella. Sole. La polvere del deserto. I panni si asciugano presto soffiando i resti dell’umidità sulla terra del cimitero. Davanti alle porte dei mausolei i vicini prendono il tè, trascorrono i pomeriggi all’ombra avara delle tombe, attaccati ad esse come i fili col bucato. Na sznurach rozciągniętych między nagrobkami kobieta wiesza świeżo upraną bieliznę. Podnosi ręce jak w niemym lamencie, żeby przypiąć klamerką majtki czy koszulę. Halki, prześcieradła tańczą wśród kamieni. Wokół mauzolea, w których żyją ludzie: sublokatorzy umarłych i stróże ich spokoju. Wszędzie tupot dzieci, grają w piłkę, groby to ich bramki. Matka woła je na obiad, a jej głos miesza się z trwającą w kaplicy modlitwą. Słońce. Kurz pustyni. Bielizna schnie szybko, wiejąc resztką wilgoci na cmentarną ziemię. Przed drzwiami mauzoleów sąsiedzi przy herbacie, spędzają popołudnia w skąpym cieniu grobów, przywiązani do nich tak jak sznury z praniem. SZARY I RUDY GRIGIO E ROSSO W środku miasta, na skraju osiedla. Gdzie asfaltową ścieżką idzie chłopak z psem, a na ławce staruszka wyjmuje kefir z siatki. Nad nimi one. Mieszkają blisko siebie, ale w osobnych dziuplach. Nawet nie mrugną na kłębiące się wokół kawki i wrony. In mezzo alla città, ai margini dell’isolato. Là dove un ragazzo col cane cammina sul vialetto e su una panchina una vecchietta tira fuori il kefir da una busta. Sopra ci sono loro. Abitano vicino, ma in due buchi diversi. Non li scompongono i nugoli di taccole e cornacchie intorno. Jednego długo szukam wzrokiem. Jest szary, w kolorze kory dębu, o, to on – szczelnie wypełnia sobą owalną wnękę, równocześnie ukryty i widoczny. Nie przeszkadza mu, że słyszy stąd ulicę, szum tramwajów, i że ma gniazdo tuż pod blokiem. Posągowy jak bożek w ołtarzowej niszy albo portret przodka w medalionie. A na dębie obok, zobacz, drugi: rudy płomień przycupnął na kikucie po ściętym konarze. Uno l’ho cercato a lungo con lo sguardo. È grigio, ha il colore della corteccia della quercia, oh, eccolo, occupa per intero lo spazio del buco ovale, nascosto e visibile al contempo. Non lo disturba che si senta la strada, il rumore dei tram e che il suo nido sia sotto al caseggiato. Statuario come un dio nella sua nicchia d’altare o il ritratto di un avo in un medaglione. E sulla quercia accanto, guarda, c’è l’altro: fiamma rossa accovacciata sul moncherino del ramo potato. To on i ona. Nie znieśliby sąsiedztwa, gdyby nie byli parą. Krążymy pod drzewami: puchate głowy, dotąd nieruchome, obracają się lekko i spod pierzastych brwi śledzą nas zmrużone ciemne oczy. Rudy i szary, cisza i dźwięk, ogień i popiół. W dzień każde sennie czuwa, czujnie śni z ostrzem dzioba wtulonym w miękkopióry pancerz. Dopiero nocą w naszym śnie zrywają się do lotu. Sono maschio e femmina. Se non fossero una coppia non sopporterebbero la vicinanza. Giriamo sotto gli alberi: le teste soffici, finora immobili, si girano di poco e da sotto le ciglia pennute due occhi ci seguono socchiusi e neri. Rosso e grigio, silenzio e suono, fuoco e cenere. Di giorno ognuno di loro assonnato vigila, sogna attento con la punta del becco appoggiato sulla corazza di piume. Poi di notte nei nostri sogni si alzano in volo. 15 Portogallo ANA LUÍSA AMARAL Ana Luísa Amaral. Professoressa presso la Facoltà di Lettere di Porto, ha conseguito un Dottorato su Emily Dickinson. Ha pubblicato, com Ana Gabriela Macedo, il Dicionário de Crítica Feminista (Afrontamento, 2005) e coordinato l’edizione critica delle Novas Cartas Portuguesas (Dom Quixote, 2010). Coordina in questo momento il progetto internazionale, finanziato dalla FCT, Novas Cartas Portuguesas 40 anos depois, che coinvolge 13 equipe internacionali e oltre 10 paesi. Sta preparando due libri di saggi. È autrice di oltre venti libri, di poesia (Minha Senhora de Quê, 1990, Coisas de Partir, 1993, Às Vezes o Paraíso, 1998, Imagens, 2000, Imagias, 2002, A Génese do Amor, 2005, Entre dois rios e outras noites, 2007, Inversos, Poesia 1990-2010, 2010, ou Vozes, 2011), di teatro (Próspero morreu, 2011), di letteratura infantile (Gaspar, o Dedo Diferente, 1998, A História da Aranha Leopoldina, 2011, A Tempestade, 2012, ou Como Tu, 2013), e ha tradotto diversi autori, tra i quali John Updike ou Emily Dickinson. Le sue opere più recenti sono il romanzo Ara (Sextante, 2013), Escuro (Assírio & Alvim, 2014), Emily Dickinson: Duzentos Poemas (Relógio D’Água, 2014) e E Todavia (Assírio & Alvim, 2015). I suoi libri sono stati pubblicati e tradotti in diversi paesi, tra cui Brasile, Francia, Svezia, Olanda, Venezuela, Italia, Colombia, e presto, Germania, Argentina e Messico. Entro la fine dell'anno uscirà nel Regno Unito un libro di saggi sul suo lavoro, così come un'antologia delle sue poesie. Sono stati rappresentati a teatro e sono state realizzate letture sceniche basate sui suoi libri di poesia e di letteratura infantile (come O olhar diagonal das coisas, A história da Aranha Leopoldina, Próspero morreu ou Amor aos Pedaços). Ha ottenuto diversi premi, tra cui il Prémio Letteraio “Correntes d’Escritas”, il Premio di Poesia Giuseppe Acerbi, il Grande Prémio de Poesia della APE (Associação Portuguesa de Escritores) e il Prémio PEN, di Narrativa. Traduzione di Livia Apa. 16 BEATRIZ FALA A DANTE BEATRICE PARLA A DANTE Mas, viva, no teu desejo não anseio por morrer: morrendo no teu desejo desejo, em carne, viver Ma, viva, nel tuo desiderio non anelo la morte: morendo nel tuo desiderio voglio, nella carne, vivere E se o viver se confunde, assegurando a esperança, toda a mudança pressente o que a verdade não muda, nem a carne representa, nem abriga o maior tempo, nem desabriga a mudança E se il vivere si confonde, assicurando la speranza, ciò che cambia presagisce quello che la verità non cambia, nè la carne rappresenta, nè accoglie il tempo più lungo, nè rifiuta il cambiamento E, meu amado, o desejo: o caminho mais suave para o céu em que te sonho: dizme onde devo determe, dizme onde devo perderme, pois que perderte: o inferno E, mio amato, il desiderio: il cammino più soave per il cielo dove ti sogno: dimmi dove mi devo fermare dimmi dove mi devo perdere visto che perderti: è l’inferno Que a morte não surja doce nem chegue nunca a chegar Che la morte non sorga dolce nè giunga mai ad arrivare Nestes versos te mantenho, neles te faço viver In questi versi ti conservo in loro ti faccio vivere E para sempre serás, mesmo se em carne morreres E sarai per sempre, anche se nella carne morirai E, vivo, no meu desejo, desobrigarás a morte, desobrigarás o tempo, assegurando a esperança do mais eterno presente: E, vivo, nel mio desiderio, libererai la morte, libererai il tempo assicurando la speranza del presente più eterno: o do céu em que nos sonho quello del cielo dove ci sogno Por minha crença e vontade, por meu amor e meus modos, pelo abismo de amarte Per mio credo e volontà, per il mio amore e i miei modi, per l’abisso di amarti – DANTE RESPONDE A BEATRIZ DANTE RESPONDE A BEATRIZ Irei por montes do que é alma tua e em teus olhos verei, amada alma, Andrò per monti di quello che è l’anima tua e nei tuoi occhi vedrò, anima amata, o centro dos meus olhos: a mais perfeita esfera como a íris do mundo que te habita il centro dei miei occhi: la più perfetta sfera come un iride del mondo che ti abita Guardarei os teus sonhos com o manto mais brando do pensar Conserverò i tuoi sogni come un manto più lieve del pensiero E das fronteiras que mais longe forem heide trazerte flores, e mel, e riso E dalle frontiere, le più lontane, ti porterò fiori, e miele, e riso Pressentirás, en tão, o que a nem Deus ousara confessar: Vedrai, allora, quello che nemmeno a Dio ho osato confessare: che Dio avrebbe ceduto al tuo sguardo dando in cambio Gloria e Tempo que Deus sucumbiria ao teu olhar, ou por eles trocava Glória e Tempo – 17 Romania RUXANDRA CESEREANU Poetessa, prosatrice e saggista. Attualmente è Professore Ordinario presso la Cattedra di Letterature Comparate, Facoltà di Lettere dell’Università di Cluj (Romania). Fa parte dello staff del Centro di Ricerca sull’Immaginario "Phantasma" della medesima Università, dove tiene atelier di scrittura creativa (poesia, prosa, film). È caporedattrice della rivista letteraria «Steaua». Ha pubblicato undici volumi di poesia: Zona vie (La zona viva, 1993), Grădina deliciilor (Il giardino delle delizie, 1993), Cădere deasupra oraşului (Caduta sopra la città, 1994), Oceanul Schizoidian (L’Oceano Schizoidiano, 1998, II ed. 2006), Femeia-cruciat (La Donna-Crociato, Antologia, 1999), Veneţia cu vene violete. Scrisorile unei curtezane (Venezia con le vene viola. Lettere di una cortigiana, 2002), Kore-Persefona (Kore-Persefone, 2004), Submarinul iertat (Il sottomarino perdonato, in collaborazione con Andrei Codrescu, 2007), COMA (COMA, 2008), Ţinutul Celălalt (L’Altro Territorio, in collaborazione con Marius Conkan, 2011), California pe Someș (California sul Someș, 2014); sette volumi di prosa: Călătorie prin oglinzi (Viaggio attraverso gli specchi, 1989), Purgatoriile (I Purgatori, 1997), Tricephalos (Tricephalos, 2002), Nebulon (Nebulon, 2005), Naşterea dorinţelor lichide (La nascita dei desideri liquidi, 2007), Angelus (2010), Un singur cer deasupra lor (Un solo cielo sopra di loro, 2013). Quattro volumi dei suoi volumi di poesia sono stati tradotti in lingua inglese: Schizoid Ocean (Binghamton, 1997), Lunacies (New York, 2004), Crusader Woman (Boston, 2008), Forgiven Submarine (Boston, 2009). Nel 2012 è stata pubblicata presso la Casa Editrice Aracne di Roma un volume antologico in lingua italiana COMA tradotto da Giovanni Magliocco, nel 2015 sarà pubblicato un secondo volume di poesie tradotto in italiano Venezia dalle vene viole. Lettere di una cortigiana, sempre nella traduzione di Magliocco. Ha partecipato a numerosi Festival letterari e ad incontri poetici in Italia con recital di poesia: a Venezia, Torino, Genova, Padova, Firenze, Arezzo, Roma, Bari, Gavoi e Cosenza. Traduzione di Giovanni Magliocco. Ph © Catalina Flaminzeanu. 18 franjurii frange am încercat să nu vorbesc despre moarte să nu o amîn în măruntaie să nu o preschimb într–o materie ultragiată să nu greşesc faţă de ea viaţa mea a fost cu franjuri obişnuiţi am fost uneori fericită alteori bolnavă m–a durut pielea am iubit am urât am iubit am luat–o de la capăt am şi cântat cu vocea mea groasă am şi plâns puţin m–am parfumat cu givenchy am mirosit a cadavru proaspăt am fost un carusel sclipicios ca un licurici pe piedestal apoi într–o zi am zărit o luminăntre coapse şi printre degete răsfirânduse mam dus după lumina aceea dincolo de ferestrele casei mele dincolo de oraş de patrie de onoare dincolo de numele meu şi de cine sunt eu şi doar găsindu–mă dincolo singură şi femeie am înţeles că nu mă mai pot întoarce vreodată cu adevărat. ho cercato di non parlare della morte di non averla nelle viscere di non tramutarla in una materia oltraggiata di non sbagliare nei suoi confronti la mia vita ha avuto frange usuali a volte sono stata felice e a volte malata mi ha fatto male la pelle ho amato ho odiato ho amato ho ricominciato tutto daccapo ho anche cantato con la mia voce roca e ogni tanto ho pianto mi sono profumata con il givenchy e ho emanato odore di cadavere fresco sono stata un carosello scintillante come una lucciola su un piedistallo poi un giorno ho intravisto una luce spargersi fra le cosce e fra le dita sono andata dietro quella luce al di là delle finestre della mia casa al di là della città della patria dell’onore al di là della mia identità e del mio nome e solo quando mi sono trovata da quell’altra parte donna e sola ho compreso che davvero non potrò ritornare mai più. florăreasa la fioraia cred că eşti moartea care va veni în formă de bărbat pentru că moartea nu poate fi decât un bărbat singur zgribulit şi beat în nici un caz moartea nu este femeie nici măcar suprafemeie cu trupul perfect ascuţit ondulat doar bărbat poate fi bărbat matur cu sexul mat florăreasa de mine nu îl aşteaptă săi cadă la pat balena sinucigaşă îl zăreşte la mare depărtare cum stă şi bea tequila cu mişcări încetinite dintr–o sticlă pe sfert sunt deja drogată după el bărbatul mahmur părăsit de alte femei dar deloc fragil ori steril cu tărie de beznă cu gust de sticlă pisată după o noapte de dragoste la distanţă îl simt ca o ghirlandă pe şold precum metisele din hawai descolăcesc părul în şuviţe de şopârlă ca săl clocesc până va fi fluture cap de mort în uterul meu de iasomien saramură stă bărbatul care e moartea şi bea tequila îl zăresc de departe îi fac semn de rămas bun cu năframa el coboară pe scara rulantă spre mine apoi aprinde un licurici şi–mi arde părul tăiat părul ars pentru el pentru moartea mea bărbătească de bărbat. credo che tu sia la morte che verrà sotto forma di uomo perché la morte non può che essere un uomo solo ubriaco e intirizzito dal freddo in nessun caso la morte è una donna nemmeno una superdonna dal corpo affilato ondulato perfetto solo un uomo può essere un uomo maturo col sesso opaco la fioraia che c’è in me non vuole ancora farci l’amore la balena suicida lo scorge a grande distanza mentre da una bottiglia mezza vuota beve lentamente tequila sono già drogata di lui dell’uomo ubriaco abbandonato da altre donne ma per niente sterile o fragile ha il potere dell’oscurità e il sapore del vetro tritato dopo una notte d’amore a distanza è una ghirlanda sui miei fianchi come le hawaiane sciolgo i capelli in ciocche di lucertola per covarlo finché non sarà una farfalla testa di morto nel mio utero di gelsomino in salamoia c’è l’uomo che è la morte e beve tequila lo scorgo da lontano e con il fazzoletto gli dico addio sulla scala mobile scende verso di me poi accende una lucciola e mi brucia i capelli tagliati i capelli bruciati per lui per la mia morte virile per la mia morte maschile. tăgăduirile smentite nu e vina mea că am sânge şi carne de femeie ori că rostesc cuvintele femeieşte crud înseamnă să îţi tai părul să îţi simţi limba în gură o tulpină crestată să rămâi în tristeţe ca într–un ou cleios să faci abstinenţă–n zadar nu sunt foarte tânără nici foarte bătrână beau cafea în fiecare dimineaţă şi spun o rugăciune de întreţinere mă agăţ de ultimele fâşii ale nopţii peste oraş viaţa se scurge prin conducte membranele incolore şi reci străbat gura ca nişte păpuşi logodite din când în când o înmormântare de serviciu cineva a murit nu ştiu unde era alcoolic murdar nedorit avea plămânii înveliţi în fum cubanez încep să fac dansul crabului ghemuită sub un cort de argint acolo pot sta agăţată de corali pot uita de obiecte oameni şi animale acolo dumnezeu stă ca o matahală fără să ştie ce caută. non è colpa mia se ho sangue e carne di donna o se pronuncio le parole in modo femminile crudele significa tagliarti i capelli sentire la tua lingua in bocca un tronco scorticato rimanere nella tristezza come in un uovo vischioso fare invano astinenza non sono giovanissima e neanche troppo vecchia bevo caffè ogni mattina e dico una preghiera per sopravvivere mi aggrappo agli ultimi scampoli della notte che fluttuano sulla città la vita scorre giù nei condotti le membrane fredde e incolori come bambole fidanzate attraversano la bocca ogni tanto un funerale ordinario è morto qualcuno non so dove era alcolizzato sporco indesiderato i polmoni avvolti in spirali di fumo cubano sotto una tenda d’argento comincio a fare la danza del granchio là posso aggrapparmi ai coralli posso dimenticare oggetti uomini e animali là dio resta immobile come un colosso senza sapere che cosa sta cercando. 19 Slovacchia IVAN ŠTRPKA Ivan Štrpka (1944, Hlohovec, Slovacchia occidentale). Poeta, saggista, autore di prose e testi in musica, traduttore dallo spagnolo e dal portoghese (Cervantes, Borges e Pessoa fra gli autori da lui tradotti). Il suo debutto avviene negli anni sessanta con pubblicazioni in antologie della giovane poesia slovacca. Nel 1964 fonda il gruppo poetico dei Corridori Solitari. Con la sua prima raccolta (La breve infanzia dei lancieri, 1969) vince il prestigioso premio letterario Ivan Krasko per l’opera prima affermandosi come la più grande promessa della giovane poesia slovacca. La sua fama in patria è stata in continua ascesa, specialmente da quando ha iniziato a scrivere i testi per le canzoni del famoso cantautore slovacco, Dežo Ursiny, un mito paragonabile a quello di Fabrizio de André in Italia. Ha pubblicato finora 10 raccolte di poesie e vinto numerosi premi. In Italia ha partecipato come ospite d’onore al festival di Genova e a molti altri incontri di poesia ed è apprezzato da importanti poeti italiani (fra cui anche lo scomparso Edoardo Sanguineti). E’ stato tradotto in tedesco, portoghese, bulgaro, rumeno e inglese. In Italia, è uscito il volume La mano silenziosa. Dieci Elegie. [Con testo a fronte]. A cura di Alessandra Mura. Lithos Editrice, Roma 2014. È tra le voci più alte della poesia slovacca contemporanea. 20 L’archivio è in fiamme. Nona elegia E i bambini svaniscono in fretta dalle piste di pattinaggio aperte e illuminate sotto un cielo nudo nel cuore dei luoghi vivi: un ghiaccio scarabocchiato con pallidi lampi si impadronisce delle guizzanti silhouette: e appena sotto, garage deserti con luce corrosiva inghiottono ognuno la propria ombra e anche il suo nudo grido e ancora più in fondo, sotto, in un’aria di echi scura e misteriosa spuntano uccelli speculari – il furioso strepito della primavera germoglia in loro fino all’ultimo ossicino bianco e irreale: un’erba indecifrabile si aggrappa spasmodica all’evidente invisibilità delle sue radici La deterritorializzazione perdura in uno specchio rovesciato: mentre il cuore batte e corpi sfocati di ragazzi con il respiro spezzato da folli, lunghe, spaventose e inarrestabili fughe (per ritornare al punto di partenza, indietro, attraverso i territori liquidi delle proprie grida) nell’ultimo frammento di nuda realtà riescono a sfuggire a un frastuono che giunge in senso opposto con l’intensità di treni indistinti e vicinissimi in cui sfavilla sempre più grande l’Angelo originale dell’abisso: mentre il cuore batte: mentre ancora su smorte carte da parati appare e si perde in fuggevoli disegni un dedalo di vie tutte nuove e sconosciute, a sorpresa si intrecciano e si dipanano in un crescente terrore fresco e silenzioso, proprio davanti a noi ignoti videoclip della durata di un secondo, sempre nuovi, nuove tratte intersecanti di una metro in cui il pelo di animali tutti lisci piano piano si drizza e il sudore si rapprende sul cranio d’oro di coloro che hanno fatto in tempo a cambiare direzione e tranquilli si fanno strada nell’aria sibilante proprio sotto le nostre teste una dopo l’altra le crepe corrodono ansiose il vetro di finestre crepuscolari in corti di pietra: il silenzio si ammassa nelle botti arrugginite, nelle grondaie vuote, nelle fontane, nei volti incrinati di immutabili e dimenticate ninfe, nelle consuete allegorie dell’ottusa sensualità di piccoli demoni, agli angoli della bocca la lapidea saliva di gioie acquatiche, nel muto sogghigno dei tempi del declino e della fine dell’impero maniacodepressivo e oligofrenico: sulla cima della sete & di fontane inaridite al centro di cittadine di provincia brilla sempre quel ragazzo nudo di bronzo riverso sulla schiena dell’aquila con una coppa vuota nella mano sinistra tesa verso il nudo cielo; in una sorta di semidimenticata quasisacralità di un gesto di sacrificio & autopurificazione, pieno di inverosimili inganni, illusioni ottiche, beffe, inchini, trucchi, trame artificiose e ombre prolungate di opere liriche, di cinema, di scale mobili, di botole & patiboli stipati di attori fino all’orlo di un’esplosione in cui si mescolano un potente annebbiamento e un lieve furore: in una sorta di quasisacralità seminuda del risveglio & del possesso onnicomprensivo combattono per la vita e per la morte Fantasmi di nude pareti contro Fantasmi di canali spenti e ammutoliti: si lanciano uno sull’altro e anche, in speculare sincronia, ognuno dentro di sé dietro di sé contro di sé fuori di sé, fino all’ultima goccia di vittoriosa disperazione per aver annientato se stessi, fino al fiele di una totale sconfitta al centro della propria armata irreale: Centauro imbizzarrito di biciclette infantili, incessante ed estatica forza della fuga. Un genere di corpo veloce, una fisicità diversa. Il luccichìo inatteso di uno sguardo estraneo emana un’umida fiamma. Un manoscritto annerito con cura riga per riga dalla stessa mano nel suo archivio notturno segreto. Tracce evanescenti sulla superficie (dell’estate). “Il visibile e l’invisibile divengono categorie del discorso architettonico. In un’epoca in cui così tanti spazi per uffici e abitazioni sono in cerca di affittuari, il vuoto pone di nuovo la domanda.” Un’aria alza un vortice di polvere edilizia. Il sipario abbonda in oro. L’orchestra nella buca si addor menta. Gli esperti della Società internazionale necronautica (vedi www. international necronautical society) in una rigorosa ricognizione aerea per determinare e rimuovere i tessuti necrotizzati della memoria hanno scoperto una sede centrale “dell’abisso delle informazioni (abyss of information)” in un territorio dov’è più intensa la com parsa (di memoriali) di morti (lungo la tratta Prinz Albrecht Terrain – Belbelplatz – Zimmer Strasse 8691 – Zen tralfriedhof – Lichtenberg – Leipziger Strasse) in zone visibili di Europolis, che ricomincia sempre dalla superficie tra le tracce evanescenti di coloro che ora giacciono supini nell’erba di Tier garten sotto un cielo completamente vuoto. Che cosa c’è ancora dentro milioni di silenziose scatole di scarpe? Quale muro continua a crollare nell’ombra delle nostre teste? Il Capitolium esulta nel sole obliquo del regno. Un intenso ronzio risuona dall’alveare di vetro. L’asse nordsud arde sotto la cenere della steppa interna della città. Il Checkpoint Charlie si è perso sul posto. L’immagine di un’identità che cresce in mezzo all’area vuota e folle dell’INFO BOX irradia i colori del sangue. Spira un’antica passione senza oggetto: un guerriero di pura astrazione, un segno ondulato in cui possiamo identificare il corpo, attraversa al galoppo i nostri luoghi ogni momento: la mente lo cancella, il respiro lo inghiotte. Il libro è aperto: mentre il cuore batte: ha incassato il colpo: in esso è reale. Il lampo apocalittico di un’illusione infesta la torre: la violenza impallidisce: la mano destra sul foglio annerisce bruscamente. La ferita da taglio è splendida. Il volto trasuda. Il petto legge, la mano penetra nel fuoco che sentiamo ardere dentro. Agli angoli dei palazzi la memoria si proietta su ombre in movimento che si incollano ai bordi di strade indefinite, così come il grido “per sempre” resta incollato al bordo di labbra aride. La lingua si oppone in una sorta di semisvelata quasivelatezza i soldati di entrambe le Reti impenetrabili nella lenta e comune trance di una stanchezza che si autoassale combattono furiosamente per dietro i denti, la parola langue. Le fontane si sono asciugate alle soglie della primavera. Il bambino si nasconde: mentre il cuore batte. E una chiazza di sangue estraneo brilla sulla fronte. assorbire vasti e nebulosi piani di comunicazione senza memoria e senza un solo comune ricordo ricevuto o inviato, nel cuore di luoghi vivi e fra stelle incompiute, arrampicandosi attraverso la botola della realtà verso segnali vuoti: I media tacciono. Il cielo è piatto. Il sole non sorge, solo un fuoco scoppietta, fondendo lentamente sulla pietra. Il calore germoglia, la deterritorializzazione continua: un sibilo tra le divinità, un’intermittenza tra le frequenze. Buia notte, buia intesa, buia contrada & droga instancabile, apparizione illusoria e tremolante il bambino si nasconde in un luogo che non c’è. Gli strati impercettibilmente si raggruppano, il ghiaccio in silenzio scompare. nell’angolo più vicino: sulla sua mano sinistra di carta, vuota e senza scrittura, scivola fluido tutto il nostro delirio. Nessuna annotazione. Il presente perdura in un luogo che non c’è e il suo sole non si spegne neanche per un attimo. Strappiamo la mappa della nostra veglia. Perdiamo facilmente la traccia in un sogno estraneo. Terrore silenzioso che cresce dalle secche & dalla chiusura. L’aria ha ripreso vita: senza il guanto nudo il presente perdura solo fisicamente. La trasparente mano silenziosa si dirige verso un grido infantile, in un luogo che ancora non esiste e il giorno vi matura dentro come un movimento nell’uovo: archivio in fiamme, tomba abbandonata dal corpo, vuota. Un fugace e casuale autoscatto fino alle ginocchia, (catturato) in uno specchio che si indurisce 21 Slovenia ALEŠ ŠTEGER Aleš Šteger (1973) è un poeta, saggista e romanziere di lingua slovena. Šteger appartiene alla generazione di scrittori che ha iniziato a pubblicare subito dopo la dissoluzione della Jugoslavia. La sua prima raccolta di poesie intitolata “Šahovnice ur“ (1995, Le scacchiere degli orologi) è andata esaurita in tre settimane dalla pubblicazione, facendo sì che l’autore diventasse uno dei più importanti esponenti della nuova generazione di artisti e scrittori sloveni. Le opere di Šteger sono state tradotte in 16 lingue, mentre le sue poesie sono apparse su riviste e quotidiani di rilievo internazionale come il The New Yorker, Die Zeit, Neue Zürcher Zeitung, TLS e molti altri. Tra i suoi tanti premi e riconoscimenti figura la sua traduzione in inglese di “Knjiga reči“ (The Book of Things, BOA Editions, 2010, Il libro delle cose) che ha vinto due importanti premi americani per la traduzione (il premio BTBA e AATSEL). Oltre a scrivere e a tradurre dal tedesco e dallo spagnolo, Šteger fa anche il direttore dei programmi della Casa Editrice Beletrina, di cui è stato uno dei cofondatori (www.beletrina.si). Šteger è stato anche l’ideatore ed è tuttora il direttore dei programmi del festival internazionale della poesia “Le giornate della poesia e del vino” (www.stihoteka.si). Il suo libro in prosa “Berlino“ è stato pubblicato in lingua italiana (casa editrice Zandonai, 2009). Per ulteriori informazioni sull’autore consultare il suo sito www.alessteger.com "A chi suonano gli anglei" traduzione di Michele Obit. "Uovo" traduzione di Jolka Milič. 22 *** *** Komu igrajo angeli? Tako skeptični so do samoinscenacij svetnikov, zazrtih v svoje krivde in pokore, v svoje poti do Boga, vrhovnega avtoerotika in ekshi bicionista. Blizu mu pride le zaščitnik drhtenja strun lutnje in pobrenkavanja gosli, Job, ki je dovolj uspešno trpel, da lahko sedaj varuje glasbo in muze. Skoraj tako gol kot Bellinijev Gospod v beneški Accademii. A chi suonano gli angeli? Così scettici sono rispetto alle automessinscene dei santi, che fissano le proprie colpe e penitenze, il proprio cammino a Dio, dell’autoerotomane supremo ed esibizionista. Gli si avvicina solo il protettore del tremito della corda del liuto e dello strimpellare del violino, Giobbe, che soffrì abbastanza per poter ora proteggere la musica e le muse. Quasi nudo come il Signore di Bellini nell’Accademia di Venezia. Brez razlike med glasom in telesom. Tako Hayden igra na saksofon v Hotelu Evropa Regina. Tuje se iz njegovih ust prelije po zlatih zavojih instrumenta, se od daleč pregrize skozi kožo in organe, vzniknile iz kosti. Vznikne, ne da bi karkoli preluknjalo, oživlja zrak v zamaknjenost, ustnik, glas, kot da zamika sebe, se zastavlja. Tipke. Ustnik. Veke. Glas. Tipke. Usta. Glas. Senza differenza tra voce e corpo. Così Hayden suona il sassofono nell’Hotel Europa Regina. Estraneo dalla sua bocca si riversa per le dorate curve dello strumento, si fa strada da lontano attraverso la pelle e gli organi che spuntano dalle ossa. Spunta senza perforare alcunché, ravviva l’aria nell’estasi, il boccaglio, la voce, come se sfalsasse se stessa, s’imposta. Tasti. Boccaglio. Palpebre. Voce. Tasti. Bocca. Voce. Ulice so tako ozke, da morata dva ob srečanju istočasno izdihniti, da prideta mimo. Le smrad in glas ohranjata pregled nad celoto. Utrujena že tretjič pri blodiva do istega kampanila. Brezizhodna zapognjenost. Ne da bi vztrepe tala malta, predre opeke opečnatega zidu ženski glas. Samoten napev. Sledi kratko pobrenkavanje strun in nikogaršnje prebujenje. Frekvenca, s katero niha vesolje. Kontrabas jo sedaj ujame. Če bi malo po jačal volumen ojačevalca, bi popokale membrane v zvočnikih, tako kot je počila membrana v desnem srednjem ušesu, ko sem se potapljal. Glasovi so me klicali globlje. In tam, na dnu, je ležala črna skrinjica, star tranzistor mo goče, črna luknja, ki ni oddajala ničesar, prehod, v katerem izgine vsak, tudi angelski napev. Le vie sono così strette che quando due si incontrano devono inspirare all’unisono, per poter passare. Solo il puzzo e la voce mantengono il controllo sull’insieme. Stanchi già per la terza volta vaghiamo sino allo stesso campanile. Una curvatura senza uscita. Senza far tremare la calce, sfonda il muro in mattoni la voce femminile. Un’aria solitaria. Segue un breve strimpellio di corde ed il risveglio di nessuno. Najbolj strašen trenutek, ko sem trileten prvič zaslišal posnetek svojega glasu. Pokril sem si ušesa in se kriče vrgel na tla. Kot kakšno reč me je razte lesilo, me obrnilo z notranjo stranjo navzven v svet. In ves svet je, nena vadno mrtev, smuknil vame. Ne tuljenje ne zatiskanje ušes nista mogla preprečiti nasilja tega obrata. V sebi še vedno slišim njegov odmev. Tipke. Usta. Glas. La frequenza con cui oscilla l’universo. Il contrabbasso adesso la coglie. Se appena un poco aumentassi il volume dell’amplificatore, le membrane negli autoparlanti si romperebbero come è esplosa la membrana nell’orecchio medio destro, quando mi stavo immergendo. Le voci mi chiamavano più in basso. E là, sul fondo, c’era una cassa nera, un vecchio transistor forse, un buco nero che non aveva trasmesso nulla, un passaggio nel quale tutto scompare, anche la melodia degli angeli. JAJCE Ko ga na robu ponve ubiješ, ne opaziš, Da jajcu v smrti priraste oko. Tako drobno je, da ne poteši Še tako skromnega jutranjega teka. Vidi čas, ki se ravnodušno seli skozi prostor? Zrkla, zrkla, počene lupine, kaos ali red? Il momento più terribile quando, a tre anni, per la prima volta sentii la registrazione della mia voce. Mi coprii le orecchie e gridando mi buttai a terra. Come fosse stato un oggetto mi aveva dissezionato, rivoltato dalla parte interna in fuori, nel mondo. E tutto il mondo, insolitamente morto, passava velocemente in me. Né l’urlio né il tapparsi le orecchie potevano impedire la violenza di questa evoluzione. In me ancora sento il loro eco. Tasti. Bocca. Voce. Velika vprašanja za tako drobno jajce Ob tako rani uri. In ti – res želiš odgovor? UOVO Ko sedeta, iz oči v oči, za mizo, Ga s kruhovo skorjo še pravočasno oslepiš. Quando l’uccidi sul margine del tegame, non ti accorgi Che all’uovo che sta morendo cresce un occhio. A že zre, že bolšči v ta tvoj svet. Kakšni so njegovi horizonti, srepenje čigavih perspektiv? Tanto minuto è, da non palcare Un così modesto appetito mattutino. Ma già osserva, già fissa questo tuo mondo. Quali sono i suoi orizzonti, lo sguardo bieco su quali prospettive? Vede il tempo, che imperturbabile si muove nello spazio? I bulbi oculari, i bulbi, i gusci rotti, caos o ordine? Grandi domande per un uovo così piccolo A quest’ora di primo mattino. E tu – davvero desideri una risposta? Quando vi sedete, faccia a faccia, dietro il tavolo, Con la crosta del pane puntualmente lo accechi. 23 Spagna ERIKA MARTÍNEZ Erika Martínez (Spagna 1979) é laureata in Filologia Spagnola e teoria della letteratura presso l’Università di Granada. Il suo primo libro di poesie Color Carne (Pre-texto 2009) Ha avuto il Premio di Poesia della Radio Nazionale Di Spagna. Il suo secondo libro , El Falso Techo ( Pre –Texto , 2013) é stato scelto tra i migliori cinque libri di poesia dai critici de El Cultural ed è satto nominato al Premio della Critica. È anche autrice del libro di aforismi Lenguaraz (Pre-Texto , 2011) e i suoi aforismi sono stati inclusi nelle antologie Pensar por lo breve (Trea , 2013)di José Ramón González, y L’aforisma in Spagna (Torino, 2014), di Fabrizio Caramagna. Nel 2013 ha pubblicato il saggio Entre bambalinas: poetas argentinas tras la última dictadura (Iberoamericana-Vervuert). Web: www.erikamartinez.es. Traduzione di Matteo Lefevre. Ph © Lucia Martinez. 24 LA CASA ENCIMA (El falso techo, PreTextos, 2013) LA CASA ADDOSSO (El falso techo, PreTextos, 2013) Tantos siglos removiendo esta tierra que atravesó el ganado y alimentó al ganado y a los hombres que regaron esta tierra con el curso negro de su sangre −la sangre cambia de color cuando sale del cuerpo−. Tantos siglos alineando ladrillos, aquí hubo un establo sobre el que se construyó una iglesia sobre la que se construyó una fábrica sobre la que se construyó un cementerio sobre el que se construyó un edificio de protección oficial. Tantas mujeres fregando sus baldosas, pariendo en sus baldosas, escondiendo la mierda debajo de las baldosas que pisaron sus hijos ebrios y sus sobrios maridos que trabajaron y fornicaron por el bien de un país en el que no creían. Tantos siglos para que yo, miembro de una generación prescindible, pierda la fe en la emancipación, mire el techo de mi dormitorio y se me venga la casa encima. Tanti secoli smuovendo questa terra che ha solcato il bestiame e ha alimentato il bestiame e gli uomini che hanno irrigato questa terra con il corso nero del loro sangue − Il sangue cambia colore quando fuoriesce dal corpo −. Tanti secoli allineando mattoni, qui ci fu una stalla sopra cui fu costruita una chiesa sopra cui fu costruita una fabbrica sopra cui fu costruito un cimitero sopra cui fu costruito un edificio delle case popolari. Tante donne a pulire le sue piastrelle, a partorire sulle sue piastrelle, a nascondere la merda sotto le piastrelle che calpestarono i loro figli ebbri e i loro sobri mariti che hanno lavorato e fornicato per il bene di un paese in cui non credevano. Tanti secoli perché io, membro di una generazione prescindibile, perda la fede nell’emancipazione, guardi il tetto della mia camera e mi cada la casa addosso. CARGA Y DESCARGA CARICO E SCARICO Los técnicos de equipaje caminan erguidos, a cámara lenta, con la figura desdibujada por el calor de los motores. Llevan cascos amarillos para aislarse de un estruendo que tampoco se escucha dentro del avión: película muda a ambos lados de la ventanilla. Los técnicos de equipaje vienen de Bolivia, Marruecos, Zambia. Cargan, descargan maletas que han hecho tantos kilómetros como ellos pero mucho más rápido. Las maletas no necesitan pasaportes, visados, asilo: tienen código de barras. Los técnicos de equipaje se fajan la cintura como un luchador de sumo antes de salir al ring. Son hermosos como eran hermosos los proletarios de Pasolini, que los imaginó hedonistas con un clasismo a su manera. Pasolini al que escupieron, postraron, lincharon, Pasolini que también era hermoso a su manera. Los técnicos de equipaje visten monos azules aunque la empresa que los contrata cultiva el respeto a la diferencia. Cuando salen llevan todos los mismos vaqueros, zapatillas, camisetas estampadas. El capitalismo es un uniforme. Los técnicos de equipaje son muy feos porque lo perdieron todo y viajaron para comer basura, para cargar, descargar maletas hasta volverse feos. Miran a los pasajeros que los miran a través de la ventanilla y piensan: qué hermosos, qué feos son mientras trasladan nuestras maletas con souvenires procedentes de Bolivia, Marruecos, Zambia, donde fuimos a hacer juegos de supervivencia. Los técnicos de equipaje saben que cuatro maletas pesan igual que el cuerpo de un técnico de equipaje. Gli addetti ai bagagli camminano eretti, al rallentatore, con la sagoma indistinta per il calore dei motori. Portano caschi gialli per isolarsi da un frastuono che neanche si sente da dentro l’aereo: film muto da entrambi i lati del finestrino. Gli addetti ai bagagli vengono da Bolivia, Marocco, Zambia. Caricano, scaricano valigie che hanno fatto tanti chilometri come loro ma molto più in fretta. Le valigie non hanno bisogno di passaporti, visti, asilo: hanno il codice a barre. Gli addetti ai bagagli si fasciano la cintola come un lottatore di sumo prima di salire sul ring. Sono belli come erano belli i proletari di Pasolini, che li immaginò edonisti con un certo classismo a modo suo. Pasolini che fu sputato, abbattuto, linciato, Pasolini che pure era bello a modo suo. Gli addetti ai bagagli vestono tute azzurre sebbene la ditta che li contratta coltivi il rispetto delle differenze. Quando escono portano tutti gli stessi jeans, le stesse scarpe e le stesse magliette. Il capitalismo è un’uniforme. Gli addetti ai bagagli sono piuttosto brutti perché hanno perso tutto e viaggiato come immondizia, per caricare, scaricare valigie fino a diventare brutti. Guardano i passeggeri che li guardano attraverso il finestrino e pensano: che belli, che brutti che sono mentre trasportano le nostre valigie con souvenir provenienti da Bolivia, Marocco, Zambia, dove siamo stati a fare corsi di sopravvivenza. Gli addetti ai bagagli sanno che quattro valigie pesano come il corpo di un addetto ai bagagli. PORQUE NO ALCANZO PERCHE’ NON CI RIESCO El número que me apuntaste sobre la mano se desdibuja como lo importante en el avispero de los conceptos. Il numero che mi hai annotato sulla mano si sfoca come ciò che è importante nel vespaio dei concetti. Esta es mi tara: uso muletas para llegar a los objetos que todo lo contienen. Questa è la mia tara: uso stampelle per giungere agli oggetti che tutto contengono. Mi abuela con alzhéimer lo sabía. De repente me acuerdo de aquel hombre tan preocupado por comprender que se hizo lobotomizar. Mia nonna con l’alzheimer lo sapeva. D’improvviso mi ricordo di quell’uomo tanto preoccupato di comprendere che si fece lobotomizzare. Yo supe lo que era importante. ¿Y dónde estás ahora que tengo que pedírtelo? Estoy cansada. Ven, alcánzame esa silla. Io ho saputo ciò che era importante. E dove sei adesso che devo chiedertelo? Sono stanca. Vieni, avvicinami la sedia. 25 Svezia EVA STRÖM Eva Ström, nata a Stoccolma (Svezia), è oggi una delle voci poetiche più importanti e note non solo in Svezia, ma in tutta la Scandinavia. Scrittrice, giornalista, traduttrice e critica letteraria, ha studiato medicina ed ha lavorato in ospedale prima di dedicarsi a tempo pieno alla letteratura. La sua professione di medico è spesso percepibile nei suoi testi, dove il lessico scientifico ha lasciato interessanti tracce. Ha esordito nel 1977 con la raccolta Den brinnande zeppelinaren ed ha raggiunto il successo con Steinkind, nel 1979. Dal 2010 è membro dell’Accademia delle Scienze Svedese. Ha ricevuto numerosi premi, tra i quali Aftonbladets litteraturpris nel 1983, Erik Lindegren-Priset nel 1994, Aniara-Priset nel 1994, Gerard Bonniers lyrikpris nel 2005, Tegnérpriset nel 2010, Pär Lagerkvistpriset nel 2013. Traduzione di Maria Cristina Lombardi. 26 Rött vill till rött Il rosso vuole il rosso Hinnan, slöjan, gallret, persiennen slöjan, gallret, persiennen, hinnan gallret, slöjan, persiennen, hinnan slöjan, gallret, hinnan, persiennen La membrana, il velo, la grata, la persiana Il velo, la grata, la persiana, la membrana La grata, il velo, la persiana, la membrana Il velo, la grata, la membrana, la persiana Jag står och ser på gallret, persiennen Jag står och ser på slöjan, hinnan Jag står och ser på persiennen, hinnan Jag står och ser på slöjan, persiennen Sto a guardare la grata, la persiana Sto a guardare il velo, la membrana Sto a guardare la persiana, la membrana Sto a guardare il velo, la persiana Rött vill till rött, till slöjan, hinnan, linjen Vill spädas ut och blötas upp och spädas Rött vill till vätskan, till lymfa och osmos Il rosso vuole il rosso, il velo, la membrana, la linea Vuole diluirsi, bagnarsi e diluirsi Il rosso vuole il liquido, la linfa e l'osmosi Rött vill till rött och upphävas i slöjan och genomdränkas och osmotiskt spädas Rött blir till rött, till vätska och osmos. Il rosso vuole il rosso e dissolversi nel velo impregnarsi e per osmosi diluirsi Il rosso si fa rosso, liquido e osmosi. Skönheten La bellezza Skönheten är fruktansvärd jag såg den plötsligt i mitt eget ansikte – ginsten blommade, du hade också sett, och förstått La bellezza è terribile, d’un tratto l’ho vista sul mio volto – la ginestra fioriva, l’hai vista anche tu, e hai capito alla dessa blommor som slår ut och slår ut, det är ingenting som jag kan hålla tillbaka, liljekonvaljerna som växer i skuggan de blommande kastanjerna den brinnande ginsten tutti questi fiori che sbocciano via via, nulla che io possa arginare, mughetti che crescono nell’ombra castagni in fiore la ginestra in fiamme jag lägger huvudet trött på en kudde trött av ingenting, trött av en upptäckt, över mig dånar världen, och jag är på väg mot en stillhet, en tystnad större än den hos en brinnande zeppelinare. stanca poggio la testa su un cuscino, stanca di nulla, stanca di una scoperta, sopra di me tuona il mondo, ed io cammino verso l’immobilità, un silenzio più grande di quello di un dirigibile in fiamme. Låta pennan gå Far scorrere la penna Så skönt att klottra på papper låta pennan gå utan att tänka sig för njuta av strecken, det svarta i det vita varken tänka eller inte tänka bara låta handen och tanken löpa jämsides ett tag, i otakt ett tag så löper handen före tanken så löper tanken före handen så löper de jämsides så tröttnar de Bello scarabocchiare sul foglio far andare la penna senza pensare godere del tratto, del nero sul bianco nè pensare, nè non pensare solo far scorrere mano e pensiero un po’ allineati, un po’ fuori tempo ora la mano corre prima della mente ora corre la mente prima della mano poi corrono insieme poi si stancano en hare sicksackade över gärdena i fjolårslövsfärg syntes han först inte sen blev han skugga fick kontur och väsen tills han åter uppslukades av den skymningsgrå markfärgen una lepre zigzagava per i campi prima non si vedeva nel colore delle foglie dell’anno scorso poi divenne ombra prese contorni ed essenza fino di nuovo ad essere inghiottita dal grigio crepuscolare del terreno så skönt att klottra på papper låta något, vad som helst dyka upp ur det gråa som haren utan förvarning okänt störta iväg åt ett håll man inte förstår slukas upp, försvinna bello scarabocchiare sul foglio far spuntare qualcosa, qualsiasi cosa dal grigio come la lepre senza preavviso ignari lanciarla in una direzione che non capiamo farla inghiottitire, sparire medan huset fann lä i nordanvinden där det hukade bakom berget nertryckt av ekens näve riste det ändå i byarna svanarna parade sig väsande galopperade på vattenspegeln lyfte smattrande med utspända vingar men haren med sitt ensamma bruna öga och pennan som löper över papperet i kakelugnarnas vedsång löper och löper gör halt mentre la casa si rifugiò nel vento del Nord, dove si chinò dietro la montagna, pressata dal pugno della quercia, si ergeva tuttavia nei villaggi i cigni si accoppiavano gridando galoppando sullo specchio d’acqua si alzarono sbattendo le ali spiegate ma la lepre col suo occhio bruno e solitario e la penna che corre sulla carta nel triste canto del camino corre e corre si ferma si prepara per la notte come un animale sta solo ferma zampetta qui intorno e si addormenta. stannar upp gör sig i ordning för natten som ett djur bara stannar upp trampar runt och somnar. 27 Svizzera DRAGICA RAJČIĆ Dragica Rajčić è nata nel 1959 a Spalato (Croazia) e vive in Svizzera dal 1978. Dopo aver svolto vari lavori a domicilio, nel 1988 ritorna in Croazia, dove fonda la rivista “Glas Kastela”. Nel 1986 pubblica la sua prima raccolta di poesie in tedesco Halbgedichte einer Gastfrau, St. Gallen, Narziss & Ego. Nel 1991, allo scoppio della guerra, torna in Svizzera con i figli. Si stabilisce a San Gallo, dove lavora come redattrice di una rivista per emigrati e come animatrice socioculturale. Rajčić è autrice di poesie, romanzi, racconti e opere teatrali, scritti sia in tedesco sia in croato. E' stata insignita del Münchner Adelbert-von-Chamisso-Förderpreis e del Premio Letterario Internazionale Merano Europa. Rajčić spinge i propri testi ai confini della lingua: le sue poesie infrangono le regole dell’ortografia e della grammatica – e proprio per questo riesce a trarre nuovi significati dalle parole e a gettare uno sguardo nuovo sulla realtà. Nota alle traduzioni di Giuseppe Sofo. Tradurre Dragica è un'esperienza di intimo contatto con la lingua, con le sue debolezze e le sue possibilità. E riprodurre le sue parole e la sua lingua impari, ma forse per questo così affascinante e così adatta a descrivere il nostro tempo, è una sfida costante. L'esperimento che ho tentato in questi testi segue due percorsi paralleli: dal punto di vista sintattico e grammaticale ho cercato di incorporare nei testi gli errori più comuni dei croati che apprendono l'italiano, grazie alla lettura di diversi studi di linguistica e al confronto sia con croati che apprendono l'italiano, che con italiani che conoscono la lingua croata (tra questi errori, il non accordo tra soggetto e verbo di “la gente parlano”, o l'aggiunta di qualche riflessivo di troppo, tra cui quello di “si spera”, entrambi dovuti all'influenza della lingua croata, così come le preposizioni semplici a sostituire quelle articolate e la mancanza di alcuni articoli); dal punto di vista fonetico, ho fornito a Dragica i testi tradotti in italiano “corretto” – se ha un senso parlare di correttezza nella lingua, e credo non l'abbia, perché la lingua e la poesia nascono entrambe deviando da una norma precedentemente stabilita – e ho registrato una sua lettura di questi testi, per incorporare alcuni errori di pronuncia (ad esempio “gverra” per “guerra”, la perdita di alcune doppie, l'aggiunta di una “j” per spezzare un dittongo) e alcuni lapsus che mi sono sembrati rivelatori (ad esempio “un lacrima”, invece di “una”). Il risultato sono cinque testi che cercano di riprodurre lo straniamento iniziale del lettore di lingua tedesca che affronta per la prima volta la poesia di Dragica, e possibilmente anche la familiarità che si sviluppa successivamente, quando ci rendiamo conto che queste nuove lingue non solo non sono sbagliate, ma coesistono nello stesso spazio e nello stesso tempo della lingua standard, nello stesso spazio e tempo in cui noi viviamo e leggiamo. Vorrei ringraziare Dragica per avermi prestato la sua voce e avermi permesso di riscriverla. Traduzione dal tedesco di Giuseppe Sofo. Traduzione dal croato di Sarah Zuhra Lukanić. 28 ********** ********** Der krieg ist zu ende. Der bruder entwickelt Bilder in der dunkelheit. Der bruder lernt übergelaufenem hund Angst zu verlieren. Die Mutter wacht in der nacht auf Stille erschrekt. La gverra è finita. Il fratello sviluppa foto nell'oscurità. Il fratello insegna al cane passato al nemico a perdere la paura. La madre si sveglia nella notte il silenzio spaventa. Der Vater verkauft geschicten von gestern und heute siegesreich Il padre vende storie di ieri e di oggi piene di vittorie. die Frauen haben auf niemandem zu warten, le donne non hanno nessuno da aspettare. Der Sohn spielt Hände hoch. Die Tochter umwickelt ein stein falls es traurig wird zeihnet sie ihm ein träne Il figlio gioca a mani in alto. La figlia fascia un sasso e nel caso si intristisce gli disegna un lacrima Ein Haus Nirgends Una casa, in nessun luogo wenn stück für stück glaube von Worten herunter fehlt was mache ich dort was mache ich da ich sammle Silben baue ihnen ein haus nirgends quando pezzo per pezzo la fede cade giù da le parole cosa ci faccio qvì cosa ci faccio qvà racolgo sillabe costruisco loro una casa, in nessun luogo Izbjeglice noći uvij nas u predah neposluhni nas mi smo zadnji dok svijet spava snom nepravednika. Profughi la notte avvolgici nella sosta non ci ascoltare noi siamo gli ultimi mentre il mondo dorme con i sogni dell’ingiusto Caro mio noi abitiamo nella stanza del tempo tu guardi i monti presenti da allora io vorrei pronunciare (il più importante) arrestare l’apparente fermezza della materia noi possiamo morire caro mio nel miraggio dell’eternità Dragi mi živimo u sobi vremena ti gledaš brda stoje odtada ja bih rekla (najvažnije) zaustavila prividnu stabilnost materije mi žemo umrijeti dragi u opsjeni vječnosti Parlano d'integrazijone Sie reden von Integracion Da lei i fiori crescono lentamente troppo lentamente forse non capiscono greco i fiori del negozieto Fischer Turnista ventanni desolanti a lo stesso posto dietro a filatoio Suo figlio cameriere fuma erba lei tace e si spera di morire in Grecia ma la gente parlano e parlano Bei Ihr Blumen wachsen langsam zu langsam vielleicht verstehensie nich Griechis Blumen aus Fischer Ledeli Schichtarbeiterin trostlos zwanzig Jahre auf dem gleichen Platz hinter Spienmaschine Ihr Sohn Kellner raucht Grass sie schweigt und hoft in Grichland zu sterben aber sie reden und reden 29 Ungheria ANDRÁS FERENC KOVÁCS Nato a Satu Mare (Marosvásárhely, Romania) il 17 luglio del 1959. Ha preso il diploma di maturità nel 1978 presso il Liceo Ferenc Kölcsey. Hanno cominciato pubblicare le sue poesie dal 1977. Dal 1981 cominciavano a uscire anche le sue poesie per bambini. Si è laureato nel 1984 alla facoltà di lettere e filosofie di lingue ungherese e francese a Cluj-Napoca (Kolozsvár, Romania). Tra il 1984 e il 1991 era insegnante ad Avramesti (Szentábrahám, in Romania, regione di Transilvania) e a Simonesti (Siménfalva, in Romania, regione di Transilvania), e professore al Liceo Balázs Orbán di Székelykereszt (in Romania, terra dei Siculi). Dal 1990 è redattore del settore poetico della rivista letteraria “Látó” (Vedente). Tra il 1991 e il 2002 era professore di drammaturgia presso l’Università Teatrale di Satu Mare. Nel 1997 per un anno era direttore della compagnia teatrale Miklós presso il Teatro Nazionale di Satu Mare. Dal 2008 è diventato il redattore capo incaricato della “Látó”. Mentre scrive saggi e studi letterari, principalmente fa traduzioni in ungherese dal rumeno e dal francese. Le sue poesie sono conosciute anche in inglese, bulgaro, ceco, estone, francese, croato, polacco, tedesco, italiano, russo, rumeno, svedese e sloveno. Dagli anni Novanta è uno dei poeti ungheresi contemporanei più noti, nominati ed esaminati. I suoi concetti principali riguardanti il senso sulla tradizione – come la perdita dell’identità, la memoria culturale, l’intertestualità, il protagonismo nella poesia – vogliono mettere in dubbio ed eliminare la posizione degli autori tradizionali, e ultimamente mettere in discussione la letterarietà, l’esistenza intertestuale e linguistica del testo letterario. La ricchezza letteraria di forma della sua poetica, che tra l’altro è senza precedenti nella letteratura contemporanea ungherese, viene accompagnata e approfondita dalle maschere e dai ritratti poetici coerentemente composti (cf. Jack Cole, Lázáry René Sándor, etc.). Nella sua dedizione alla forma è paragonabile a Csokonai e Kosztolányi, nella sua diversità invece a Weöres. I premi e riconoscimenti più importanti: 1983 – premio-debut dell’Associazione Nazionale dei Poeti e Scrittori (Romania) , 1992 – Premio Tibor Déry, 1993 – premio dell’Associazione Nazionale dei Poeti e Scrittori (Romania), 1994 – Premio Letterario Artisjus, 1994 – Premio Milán Füst, 1995 – Premio Alföld, 1996 – Premio Attila József, 1996 – Premio Kortárs , 1996 – Premio Endre Ady della Fondazione Soros, 1998 – Premio Tiszatáj, 2000 – Premio libro della Casa Editrice Jelenkor, 2003 – Premio Palládium, 2005 – Premio-biglia di vetro della Libreria degli Scrittori , 2006 – Premio Poeta di corona di alloro della Repubblica Ungherese, 2010 – Premio Kossuth. 30 Ophelio Barbaro csak rohan, rohan Ophelio Barbaro corre, corre Esőbe lépsz: rácsok mögött rohansz, Buszok tülkölnek, emberek vakognak. Cementpor, füst, korom, mocsok, vicsorgás, vad öklözésre gyürkőző szeráfok. Rohansz, rohansz a tócsák között inogva, kéregszín csuklyád homlokodra billen – ráncok, redők kikezdik arcodat… Sárló vizeknek hordaléka fortyog, roppant hullámok rázzák púpjukat, s egy széttüremlő, patkányszürke felhő fertőzetet lövell ki horpaszából… Nyers évoék, bérencek, bárgyú lármák, mitsemtudás, csikorduló fogak, és arcodon redők, foltok, barázdák. Vajon te vagy még? Mért loholsz? Hová? Levante táján szétrobbant a Nap… Szavak, szavak, szavak, szavak, szavak… Motordübörgés, rángás, rettegés. Szülőfölded sincs, semmi tartományod, jövőd, ha van, csupán egy más jelen, s a menny fonák hüvelykje rád vetül. Loholsz, rohansz… Vagy mintha csak rohannál? A zűrzavargó dolgok közrefognak, menekvésed már végtelen, merev, s mint Umbriában föstött angyaloknak csillagszilánk, föld sistereg szemedben… Esci sotto la piogga: corri dietro le sbarre. I bus strombettano, gli uomini squittiscono. Polvere di cemento, fumo, fuliggine, sporcizia, ghigno, serafini che si accingono al selvaggio pugliato. Corri, corri barcollando tra le pozze, il tuo cappuccio color corteccia sulla fronte – rughe, pieghe intaccano il tuo viso… Detriti di fanghiglia gorgogliano, onde immani si scrollano la gobba, una nuvola schiacciata, grigia come un ratto schizza contagio dalla grassella… Crudi evoè, sbirri, insulsi chiassi, ignoranza denti scricchiolanti, e sul tuo viso pieghe, macchie, solchi. Sei ancora tu? Perché ti affani? Dove? Verso Levante è scoppiato il Sole... Parole, parole, parole, parole... Rombo di motori, strappi, terrore. Non hai né paese né contrada, il futuro, se c’è, è solo un altro presente, e il pollice rovescio del cielo in alto. Ti affanni, corri... O solo come se corressi? Le cose tumultuanti ti circondano, la tua fuga è ormai infinita, dura, e come la scheggia di stelle degli angioletti umbri, la terra scoppietta nei tuoi occhi... Erdélyi töredék Frammenti Transilvanici Miként erdélyi templomok falán Freskók cafatja, csonkabonka festmény Kit már az Úr is régen elfelejtett, S nem látogatja többé fürge fénnyel Olyak leszünk mi: láthatatlanok, Lappangva mészben, szétmaró időkben Isten se tudja: megvagyunke még, S hogyan, miért, hány vak réteg mögött Várhatja ráncok hős föltámadását, Mosolynak könnyű táncát kérges arcunk, Ha megvagyon még s meg nem rontatott Olyak leszünk, mint megkopott legendák, Mártírok, szentek, üdvözült pogányok És poklok, mennyek, végítéletek És elkendőzött nagy kálváriák És krisztusos képeknek roncsai Olyak leszünk, csak megtört részletek: Nem kisdedek, királyok, Máriák, Csak törmelék, balsors diribdarabja: Nem vert hadak, csak súlyos vad paták, Sok megfutó láb, zászló, seb, kereszt Olyak leszünk: áldáshintő kezek, Hűlt semmiből pallost suhogtatók, Levágott törzsek, népek, végtagok, Fejek fölött szentlélek vagy szekerce Villantja szárnyát: megrepedt szemek, Redők, ruhák, gazdátlan glóriák Halomba hányva, összevisszaságban Olyak leszünk mind: szétmálló művek, De zűrzavarban méltó rendre vallók Ki fejti meg hiányzó részeinket, Ki rakja össze, festi hű egésszé, Ki lesz, ki rajtunk majd fölismeri Egy ismeretlen mester kézvonását? Come sul muro delle chiese transilvaniche Straccio degli affreschi, dipinto cioncomonco, Dimenticato da tanto anche da Dio, Che non lo visita più con agile luce – Così saremo noi: invisibili, Latenti nella calce, nei tempi corrodenti Nemmeno Dio lo sa se esistiamo ancora E come, e perché, e dietro quanto ciechi strati Può aspettare l’eroica resurrezione delle pieghe, Danza leggera nel sorriso il nostro ruvido viso, Se esiste ancora e non è stato fatto a pezzi – Così saremo, come leggende consumate, Martiri, santi, beati pagani E Inferni, Paradisi e Giudizi Universali E occultati grandi calvari E sfasciumi di quadri di Cristo – Così saremo, solo resti infranti: Non neonati, re, Marie, Solamente frantume, pezzettini di malasorte: Non battuti eserciti, solo pesanti zoccoli selvaggi, Tante gambe correnti, bandiera, ferita, croce – Saremo così: mani spargibenedizioni, Dal raffreddato nulla gli spadoni sfrusciano, Tribù massacrate, popoli, estremità, Sopra le teste lo spirito santo o l’accetta Guizza le ali: gli occhi spaccati, Pieghe, vestiti, glorie senza padroni Buttati in un mucchio nella confusione – Saremo tutti così: decomposte creazioni, Ma nello scompiglio confessori di un ordine degno – Chi decifrerà le nostre parti mancanti, Chi metterà insieme, e dipingerà fedelmente il tutto, Chi sarà che riconoscerà poi su di noi Il tocco di un sconosciuto maestro? 31
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