n w.a ww fo et.in k tirac Anno 3 - Numero 23 14 maggio 2015 SALONE INTERNAZIONALE DEL LIBRO TORINO Racket e antiracket nei LIBRI IN PRIMO PIANO NEWS NOVE VOLUMI PER DIRE NO ALLE MAFIE VIESTE VITTORIA QUANDO IL CORAGGIO È DONNA CASAL DI PRINCIPE ACCORDO COMUNE-FAI CONTRO IL RICATTO DEI CLAN NEWSLETTER ANTIRACKET 2015 | NUMERO 23 | 14 MAGGIO 2015 4 FOCUS I processi dell’Antiracket La presa di coscienza contro il fenomeno mafioso 5 NEWS Libri dell’Antiracket, poker di presentazioni in Calabria 6 L’ANNIVERSARIO/1 Il sacrificio di Domenico Noviello tra memoria e impegno 7 L’ANNIVERSARIO/2 Maurizio Estate, il volto della Napoli onesta 9 L’ACCORDO Casal di Principe, un patto per dire no alla camorra 11 SICILIA Rodolfo Guajana: Protagonisti del cambiamento 14 STORIE ANTIRACKET Vieste, la scelta di Vittoria Vescera una donna in prima linea contro i clan 15 L’ASSOCIAZIONE Agisa, il presidio antiusura compie 12 anni DIRETTORE EDITORIALE TANO GRASSO DIRETTORE RESPONSABILE GIUSEPPE CRIMALDI REDAZIONE TINA CIOFFO, CARMEN DEL CORE, DANIELE MARANNANO AMMINISTRAZIONE Corso Umberto I, 22 80122 Napoli Tel. 081 5519555 EMAIL [email protected] [email protected] NEWSLETTER ANTIRACKET 2 4 7 8 12 IN ATTESA DI REGISTRAZIONE PRESSO IL TRIBUNALE DI NAPOLI NEWSLETTER ALLEGATA E SCARICABILE DAL SITO WWW.ANTIRACKET.INFO speciale “Salone del Libro” Per una cultura dell’antimafia: l’Arcipelago della FAI DI GIUSEPPE CRIMALDI C onoscere per meglio combattere. “Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene”, amava ripetere Paolo Borsellino nella consapevolezza che la lotta alla criminalità organizzata non può ridursi a questione riservata solo a chi è chiamato a combatterla in quelle trincee di frontiera che possono essere le Procure o i Tribunali. Creare una nuova cultura della legalità è un dovere, una sfida che si rinnova. E allora, se fosse necessario trovare uno slogan capace di illustrare l’obiettivo che si voleva raggiungere realizzando una collana di libri dedicata alla lotta alle mafie, in fondo basterebbero solo poche parole: conoscere per meglio combattere. Nasce così, con questa finalità, il progetto editoriale curato dalla Federazione italiana delle associazioni antiracket: nove volumi tutti incentrati sulle tematiche delle estorsioni, dell’usura e di quell’associazionismo che ogni giorno lavora al fianco delle vittime di mafia, camorra e ‘ndrangheta. Inseriti nella collana “Arcipelago”, edita da Rubbettino, i nove libri (che sono stati realizzati nell’ambito delle azioni Pon Sicurezza) sbarcano quest’anno al Salone del Libro di Torino. Un progetto ambizioso, ma anche e soprattutto un obiettivo centrato. Un’opera preziosa, soprattutto perché offre l’istantanea più aggiornata e reale di ciò che le mafie sono diventate e di quello che si è fatto, e si continua a fare, per contrastarle. Non solo nella fase repressiva. Già, perché al centro di un mondo che troppo spesso rimane in penombra - quello delle vittime - resta quell’associazionismo che fa della concretezza operativa il proprio inderogabile obiettivo. Basta scorrere i titoli dei volumi per farsi un’idea del percorso editoriale scelto e curato dal presidente onorario della FAI, Tano Grasso: “Mai più soli”, che raccoglie gli atti di un convegno tenutosi a Napoli il 16 giugno del 2014 sul tema “Le vittime di estorsione e di usura nel procedimento penale” (arricchito da uno scritto del presidente del Senato Pietro Grasso); “Le estorsioni in Campania: il controllo dello spazio sociale tra violenza e consenso”, con prefazione di Franco Roberti; “Storia del movimento antiracket. 1990 -2015”, di Filippo Conticello, con la prefazione de commissario nazionale antiusura e antiracket Santi Giuffrè; “Non è più quella di una volta. La mafia e le attività estorsive in Sicilia”, di Antonio La Spina, Giovanni Frazzica, Valentina Punzo e Attilio Scaglione; “Il sistema delle estorsioni in Puglia. Potere e legittimazione”, di Andrea Apollonio e Giovanna Montanaro; “L’efficacia della normativa antiracket. Una valutazione della legge 44/1999”, di Antonio La Spina e Attilio Scaglione; “Una guerra civile mite. I processi dell’antiracket 1990-2015”, di Vincenzo Vasile e Mariagrazia Gerina; “L’usura in Campania”, di Giacomo di Gennaro. Tutte opere che immaginare come destinate ad un pubblico di soli addetti ai lavori” sarebbe un errore. Basta sfogliare “Mai più soli” per intuire come invece (e ben al di là delle ricerche, delle analisi e degli studi basati su fonti statistiche e giudiziarie aggiornatissime) ci sia qell’altra metà del cielo che è la vittima dei fenomeni mafiosi. “Le problematiche che riguardano la vittima di racket - spiega Tano Grasso - sono molte e l’associazione sta al loro fianco dalla denuncia fino alla fine del processo proprio per sostenerle in un periodo molto complicato. Da questo punto di vista i risultati della FAI negli anni sono stati importanti”. La collana che sarà presentata al Salone del Libro di Torino raccoglie, insomma, un insieme di esperienze diverse e destinate a creare quella rete che - consentendo alle associazioni di far uscire dall’isolamento le vittime della criminalità organizzata in Campania, Calabria, Puglia e Sicilia - si trasformano nel collante tra vittima e Stato. NEWSLETTER ANTIRACKET 3 focus I processi dell’Antiracket Il prima e il dopo NOTE BIOGRAFICHE DEGLI AUTORI E DI TINA CIOFFO ra il 1973 quando Leonardo Vitale, il primo pentito della storia mafiosa palermitana della famiglia di “Altarello di Baida”, parlò di estorsione. In seguito ad una vera e propria crisi di coscienza rivelò alla polizia e poi alla magistratura l’esistenza di quella che già allora veniva chiamata ‘cosa nostra’, descrivendo l’organizzazione del racket a Palermo e precisando il carattere non di protezione ma di controllo del territorio con la cosiddetta ‘messa a posto’. E’ già da Vitale che la storia processuale di condanna del fenomeno estorsivo sarebbe potuta cambiare ed invece così non lo è stato per altro tempo ancora. «In effetti – spiega Vincenzo Vasile coautore insieme a Mariagrazia Gerina del ‘I Processi dell’antiracket’, firmato per la collana ‘Arcipelago- Mafie, economia, impresa’ edita da Rubbettino- per dei riferimenti precisi nei processi dobbiamo arrivare al 1991, anno che segna uno spartiacque non solo nella sensibilità sociale verso il fenomeno ma anche nelle aule di tribunale. Le dichiarazioni di Vitale non fecero scattare alcun tipo di indagine, nessuno, allora, seppe cogliere appieno l’importanza delle sue confessioni e la mafia continuò ad agire indisturbata, rafforzandosi all’interno e crescendo in violenza ed in ferocia. Nessuna inchiesta su quegli imprenditori che dieci anni dopo Giovanni Falcone descrisse non più come vittime ma come complici del sistema mafioso facendone nomi e cognomi». «Non si indagava e anzi – spiega ancora Vasile- con l’ordinanza del giudice istruttore Luigi Russo a Catania che assolveva dal reato di collusione con la mafia dei grandi imprenditori catanesi pur non avendo loro denunciato e che avevano addirittura associato e assunto come dipendenti esponenti della mafia catanese, venne addirittura teorizzato “lo stato di necessità” secondo il quale gli imprenditori non potevano denunciare costretti ad esimersi non solo dalla violenza mafiosa e perché non vi era di uscita. Questo almeno è quello che la stessa magistratura diceva mettendo nero su bianco». Il libro di Vasile e Gerina che così come gli altri otto volumi della collana Arcipelago, realizzata nell’ambito delle azioni Pon Sicurezza diretta da Tano Grasso, sarà presentato al Salone del Libro di Torino, il 14 maggio, è la sistematizzazione di tutti i documenti processuali che hanno riguardato il movimento antiracket anche quando la stessa estorsione veniva reputata «un oggetto misterioso, una nota di colore nell’affresco della storia mafiosa». Il 1991 con le prime denunce, la costituzione di parte civile nel processo e da lì la prima associazione antiracket a Capo d’Orlando segna uno spartiacque: “lo stato di necessità” di cui aveva parlato il giudice Russo si inverte e si dimostra che ci si può liberare dal racket portando alla condanna dei mafiosi. Vasile e Gerina che hanno analizzato venti processi ripercorrono attraverso le fasi dibattimentali la percezione del racket, dalla Sicilia alla Calabria e poi alla Campania ed in Puglia. NEWSLETTER ANTIRACKET 4 V incenzo Vasile, giornalista-scrittore. Laureato in filosofia, ha insegnato per 4 anni giornalismo all’Università di Messina. Ha lavorato per diversi anni per l’Unità, come caporedattore, inviato di guerra e quirinalista durante i mandati di Oscar Luigi Scalfaro, Carlo Azeglio Ciampi e Giorgio Napolitano. Dal 1972 al 1984, a capo della redazione dell’Unità di Palermo, aveva, tra l’altro, seguito e pubblicato per primo sulla stampa nazionale le prime inchieste del giudice Giovanni Falcone. Ha collaborato alla trasmissione Telefono Giallo di Corrado Augias per Raitre. Ha collaborato dal 2001 al 2011 - come consulente e redattore di dossier di documentazione - a tutte le edizioni delle trasmissioni di Raitre Blunotte, e Lucarelliracconta di Carlo Lucarelli. Ha pubblicato numerosi saggi ed è uno degli autori del Dizionario enciclopedico delle mafie Castelvecchi, Roma, 2013. Ha scritto anche il romanzo “noir” Notizie esplosive, Pironti, Napoli 1993 (sulle stragi e sulla vicenda dei “corvi” di Palermo) . E’ autore con Maria Martinelli del documentario Viaggio nel mondo dell’estorsione - 1. l’Antiracket. M ariagrazia Gerina Giornalista professionista dal 2002, è una giornalista freelance. Scrive per l’Espresso e per il Fatto Quotidiano. Ha lavorato per molti anni all’Unità come redattore ordinario, poi in quella di Pubblico come caposervizio. Ha scritto un libro su Walter Veltroni pubblicato da Sperling & Kupfer. Ha girato un documentari sulla rinuncia di Benedetto XVI e l’elezione di Papa Bergoglio, prodotto da una società di produzione indipendente e acquistato da Rai Cinema. news Libri dell’Antiracket Presentazione in Calabria DI TINA CIOFFO P oker di presentazioni di libri per il movimento antiracket in Calabria. “Mai più soli - Le vittime d’estorsione e d’usura nel procedimento penale” a cura di Tano Grasso con uno scritto del presidente del Senato Piero Grasso e “Tra convenienza e sottomissione estorsioni in Calabria” di Enzo Ciconte e con la prefazione di Federico Cafiero de Raho, entrambi della collana Arcipelago edita da Rubbettino, sono stati presentati a Catanzaro e Reggio Calabria. Un doppio appuntamento il 28 aprile (di mattina presso l’Università Magna Grecia di Catanzaro e di pomeriggio presso “l’A di Gourmet”, ristorante di Filippo Cogliandro chef antiracket), che ha coinvolto con un taglio trasversale degli interventi il mondo dell’associazionismo, della magistratura e del giornalismo. «Di alibi non ce ne sono davvero più», ha affermato Ottavio Sferlazza, procuratore della Repubblica di Palmi. Con la partecipazione dell’associazione antiracket si realizza in effetti una significativa modificazione ambientale dentro la stessa aula di giustizia. «La legislazione – ha aggiunto Sferlazza- ha fatto passi da gigante con un costante rapporto e dialogo tra associazioni antiracket che vivono il territorio e forze dell’ordine che garantisce il successo nella lotta alle mafie». Per un calabrese come Ciconte, in un’intervista rilasciata già gennaio per LineaDiretta «la Calabria sembra che sia staccata dal resto del Paese basta guardare come i riflettori si accendano puntualmente, magari in occasione di un blitz, di un’operazione della magistratura, poi una volta finito l’effetto quei riflettori si spengono e tutto torna come prima». Del suo ultimo libro se ne è parlato il 12 gennaio, in un doppio appuntamento, sia a Catanzaro e Reggio Calabria. Questi libri potranno essere scaricati dal sito www.antiracket.info NEWSLETTER ANTIRACKET 5 l’anniversario/1 Il sacrificio di Domenico Noviello tra memoria e impegno DI TINA CIOFFO I l 16 maggio come ogni anno, dal 2008 ad oggi, il movimento antiracket nazionale ricorderà Domenico Noviello, imprenditore sanciprianese trasferitosi a Baia Verde, località di Castel Volturno che fu ucciso perché si era opposto al racket. Sarà commemorato alle ore 10.30 nella piazzetta a lui intitolata, con la presenza dei familiari, dei cittadini e dei rappresentanti delle istituzioni civili, militari e religiose. Un appuntamento che vuole fare memoria ma che vuole anche interrogarsi sui sette anni di storia trascorsi. Nel 2009, un anno dopo l’omicidio dell’imprenditore, a Castelvolturno, si è costituita la prima associazione antiracket, a lui intitolata. Quest’anno sarà il primo anniversario dopo la sentenza dello scorso novembre del processo di Corte di Assise con una pesante condanna per i sette imputati. L’obiettivo è proporre nel contempo, una riflessione continua sul significato della scelta di Noviello di opporsi alle richieste estorsive. Il 16 maggio presso la sala Don Peppe Diana della Scuola di Formazione del Corpo Forestale sarà presentato anche il progetto della cooperativa sociale costituita da Massimo Noviello, figlio di Domenico e da Gennaro Del Prete, figlio di Federico Del Prete un altro imprenditore antiracket che fu ucciso il 18 febbraio del 2002. Aveva denunciato il racket delle buste di plastica alla fiera settimanale di Mondragone. E per questo venne ucciso. Per l’iniziativa imprenditoriale che prevede la realizzazione di buste di plastica sono già stati stretti accordi con Novamont, l’azienda che produce materiali biodegradabili, per il supporto alla distribuzione e con diverse amministrazioni comunali per l’utilizzo dei sacchetti per la raccolta delle frazioni organiche delle raccolte differenziate. La start-up ha avuto il riconoscimento dell’Asips, l’azienda speciale della Camera di commercio di Caserta. NEWSLETTER ANTIRACKET 6 l’anniversario/2 Maurizio Estate, il volto pulito della Napoli onesta V DI Giuseppe crimaldi ivere e morire a Napoli è una condizione segnata da una linea di confine labilissima. Un elenco lunghissimo, quello delle vittime innocenti le cui esistenze sono state strappate dalla violenza cui pare condannata in eterno una città divisa nell’eterna lotta tra il bene e il male. E quando non è la camorra a sparare, allora ci pensa la microcriminalità. Il 17 maggio del 1993 Maurizio Estate era uscito di casa per andare a lavorare nell’officina di autolavaggio del padre. Aveva solo 22 anni, una ragazza con la quale si sarebbe sposato di lì a poco e mai avrrebbe potuto immaginare che quello sarebbe stato il suo ultimo giorno. Non era abituato a vedere “le cose storte”, Maurizio: lui certo non si girava dall’altra parte, non chiudeva gli occhi se gli capitava di assistere a qualcosa di sbalgliato. Esempio raro, in una città nella quale sono in tanti a credere che sia invece meglio “farsi i fatti propri”. La cronaca di quella maledetta giornata inizia con l’arrivo di un cliente nell’autolavaggio di via Vetriera, quartiere Chiaia - considerato il “salotto buono” di Napoli, ma non per questo immune dai fenomeni criminali - il titolare di un’agenzia immobiliare che aveva portato la 500 della figlia in officina. Sono le 16,30, e all’improvviso si materializzano due ragazzi su una Vespa: Maurizio intuisce che non hanno buone intenzioni, e infatti pochi secondi dopo uno dei due si avventa sul clliente per strappargli l’orologio che ha al polso. Uno scippo. Maurizio interviene, proprio non se la sente di voltarsi dall’altra parte, e lo stesso fa suo padre. Rincorre a piedi i due balordi che fuggono verso le Rampe Brancaccio, e per poco non riesce a bloccarli. Sicuramente ne vede almeno uno in faccia, e sicuramente almeno uno vede in faccia lui. Il ragazzo seduto sul sellino posteriore si gira e lo minaccia: “Bastardo, fatti i cazzi tuoi”: ormai la Vespa è già lontana e il cuore di Maurizio batte a cento all’ora per l’inutile corsa nel ten- tativo di bloccare i rapinatori. Sembra tutto finito, ma non è così. E mezz’ora dopo, quando il 22enne è ormai tornato a lavorare nell’autolavaggio, si consuma la tragedia. Alle 17 nell’officina si presenta un giovane con un giubbotto blu. Impugna una pistola, si dirige verso Maurizio e fa fuoco: un proiettile centra il cuore di Maurizio. Inutile ogni tentativo di rianimarlo. Morire per aver tentato di sventare uno scippo: anche questo raccontano le cronache della Malanapoli. L’assassino verrrà poi arrrestato, e si scopre che ha solo 17 anni. Riconosciuto colpevole e condannato a 21 anni di carcere, Luigi Ragosta è stato scarcerato ancor prima che scontasse tutta la pena. Circostanza, questa, che ha determinato indignazione e non poche (e comprensibili) polemiche. Nel 1993 il presidente Scalfaro ha insignito la memoria di Maurizio Estate con la Medaglia d’Oro al valor Civile. Nel 2005 il Comune di Napoli gli ha intitolato una piazza nel quartiere di Scampia. A lui sono stati inoltre dedicati i giardini nei pressi di Via Vetreria, luogo dell’accaduto. Trentadue anni dopo quella tragedia il sorriso, lo sguardo solare e buono di Maurizio sono ancora vivi nella memoria di tanti. E non soltanto di chi lo ha conosciuto. Il 10 aprile del 2014 la FAI ha voluto dedicargli la nuova associazione antiracket del Vomero, presieduta dal nipote Davide Estate. Anche la FAI, insieme ad altre associazioni il 18 maggio commemorerà la figura di questo giovane eroe in una manifestazione che si terrà a Napoli. NEWSLETTER ANTIRACKET 7 LA GUIDA PER IL CONSUMATORE CRITICO ANTIRACKET 2070 OPERATORI ECONOMICI ANTIRACKET 01/2015 NEWSLETTER ANTIRACKET 8 l’accordo Casal di Principe, verso l’associazione antiracket DI TINA CIOFFO U n patto antiracket siglato a Casal di Principe, nell’aula consiliare dedicata a don Giuseppe Diana, tra Tano Grasso presidente onorario della FAI ed il sindaco Renato Natale, è un nuova pietra miliare nella sfida del movimento cominciato a Capo d’Orlando 25anni fa. La convenzione firmata il 7 maggio non è semplicemente un’iniziativa di sensibilizzazione. In questo angolo di mondo, troppe volte presente nelle cronache giudiziarie per gli effetti, interessi e traffici del clan dei Casalesi, in ballo c’è tutto. Dalla speranza dei cittadini alla credibilità istituzionale dell’ente e para istituzionale della Federazione antiracket. «Un passo importante per noi così ottemperiamo anche a quel patto di legalità che fu firmato da circa 20 sindaci, nel 2009, nella palestra dell’ITC di Casal di principe. Un’assunzione di responsabilità che abbiamo voluto assolutamente rispettare perché non abbiamo più tempo per raggiungere la normalità», è stato il commento di Natale. «Se non riusciamo a formare un’associazione antiracket a Casal di Principe dovremo mettere in discussione tutto il modello avviato già a Capo d’Orlando nel 1990» è stata l’immediata risposta di Grasso. Nel 2009, alla vigilia del 15esimo anniversario dell’uccisione di don Diana, il sacerdote casalese ammazzato dalla camorra il 19 marzo del 1994, le fasce tricolori dell’agro aversano si impegnarono a mettere in pratica tutta una serie di iniziative a difesa della legalità. L’indomani ci fu una marcia di 40mila persone e vennero consegnate le medaglie d’oro al valor civile alla memoria di due imprenditori antiracket: Federico del Prete (ucciso in via Baracca il 18 febbraio 2002) e Domenico Noviello (assassinato a Castelvolturno il 16 maggio 2008). Da allora sul campo dell’antiracket niente si è più mosso. «Il nostro impegno con la comunità casalese è un impegno d’onore, serio e difficile. Aspettavo il momento per farlo dal 2008, da quando ci fu la festa della polizia con l’allora capo Antonio Manganelli. E’ in quella occasione che sentii una ragazza dire Casalesi è il nome di un popolo e non di un clan. Capì i danni delle gene- ralizzazioni e ora con questa amministrazione comunale e con questo sindaco siamo pronti a cominciare il percorso», ha detto il presidente onorario della FAI, facendo riferimento alla frase che venne pronunciata da Raffaella Mauriello, allora studentessa al quinto anno dell’Itc Guido Carli. Partiranno attività di sensibilizzazione negli istituti scolastici, tra i cittadini e saranno organizzate manifestazioni per incoraggiare le denunce. «Attività facili- ha chiarito ancora Grasso- ma quello che non è affatto semplice è costituire a Casal di Principe un’associazione antiracket così come abbiamo già fatto ad Ercolano con una significativa riduzione dei crimini cominciata dalla denuncia collettiva degli operatori economici che hanno deciso non abbassare la testa». «Non ci credo che a Casal di Principe ci siano solo imprenditori che con la camorra ci hanno fatto affari, è fisiologicamente impossibile. Sappiamo che c’è il rischio di incontrare coloro che vogliono solo rifarsi la verginità ma abbiamo anticorpi sufficienti, lo abbiamo dimostrato con i fatti di Casapesenna quando imprenditori collusi avrebbero voluto una nuova identità senza però meritarla», ha ammesso Grasso. L’appuntamento è tra un anno, per un primo bilancio, per un primo pit stop prima, ci si augura nel casalese, di tagliare il nastro di una nuova realtà. NEWSLETTER ANTIRACKET 9 napoli #noninvano: 106 foto per ricordare le vittime innocenti D DI CARMEN DEL CORE iceva Marco Tullio Cicerone che come il volto è l’immagine dell’anima, così gli occhi ne sono gli interpreti. Questa frase mi è tornata alla mente la prima volta che ho visto le foto che caratterizzano la mostra #NONINVANO, promossa dalla Fondazione Polis della Regione Campania, dall’associazione Libera e dal Coordinamento campano dei familiari delle vittime innocenti della criminalità. Non si tratta di immagini qualunque. Sono 106 foto di vittime innocenti della criminalità, 212 occhi di martiri della nostra terra, di persone “morte per la democrazia del nostro Paese”, come ama ripetere il fondatore di Libera don Luigi Ciotti. Quei volti, affissi a Napoli sulle quattro facciate di Palazzo Santa Lucia e su quella di Palazzo Reale in Piazza del Plebiscito, sono le immagini delle anime dei nostri cari, ai quali la brutalità e l’efferatezza del crimine ha sottratto il futuro ma non potrà mai sottrarre il sorriso. Andate a vederle quelle foto: troverete volti sorridenti e sguardi luminosi perché i nostri cari profumano di vita. Non siamo di fronte a un paradosso. Le vittime innocenti della criminalità, tutte, quelle uccise perché avevano osato sfidare la camorra o morte nell’assolvimento del proprio dovere, quelle assassinate dal terrorismo o dalla criminalità cosiddetta comune che di comune non ha un bel niente quando un essere umano priva della vita un suo simile, simboleggiano realmente l’esistenza, fatta di valori semplici ed essenziali, di sogni e aspirazioni, di dolore e voglia di riscatto. Quei volti, quegli occhi, quei sorrisi sono un monito per le Istituzioni e un grido di allarme per i cittadini, spesso distratti, ignari di quello che accade intorno a loro in quest’epoca che tende a bruciare tutto in fretta, compreso il senso della memoria. Il titolo del progetto racchiude in sé la molteplicità di significati e di ideali che lo caratterizzano: #NONINVANO, perché le nostre vittime non sono state uccise invano. Noi, familiari delle vittime innocenti della criminalità, lo ripetiamo ogni giorno, lo diciamo nelle scuole, ai ragazzi, ai più giovani e ai meno giovani. È questa convinzione assoluta che guida il nostro percorso, che ha fatto nascere un Coordinamento regionale unico in Italia, che anima il nostro impegno e dà un senso profondo e autentico alla nostra sopravvivenza. Nel volto di mio fratello Daniele e delle altre 105 vittime c’è l’immagine di anime candide che hanno pagato con l’estremo sacrificio la sfortuna di essere nate in una terra che non ha saputo proteggerle. Negli occhi di mio fratello Daniele e delle altre 105 vittime c’è la fierezza di essere nel giusto, di aver dato la vita per un ideale, di aver stimolato le coscienze delle forze sane della società, che non possono e non devono più voltarsi altrove o mostrare indifferenza. Noi ne siamo certi: i nostri cari sono morti #NONINVANO. Chiediamo a tutti i passanti di soffermarsi su quei volti e su quegli occhi, anche per pochi istanti, perché parlano ad ognuno di noi e ci indicano la strada. Li abbiamo affidati alle preghiere di Papa Francesco, venuto a Napoli il 21 marzo scorso, una data non casuale perché da 20 anni simbolo della Memoria e dell’Impegno per le vittime innocenti di criminalità. “Papa Bergoglio ci invita a guardare il Cielo senza trascurare le cose della Terra”, ha affermato con forza don Luigi Ciotti. I volti dei nostri cari sono il miglior viatico per saldare la Terra e il Cielo, per unire impegno e speranza e realizzare il sogno di una Napoli e di una Campania nelle quali in un tempo non lontano non dovremo più piangere il sacrificio di altri innocenti. Questo è il senso di #NONINVANO, di quei volti e di quegli occhi che riaprono ferite mai chiuse, danno senso al dolore e inneggiano alla vita. NEWSLETTER ANTIRACKET 10 sicilia Protagonisti del cambiamento Rodolfo Guajana I DI DANIELE MARANNANO mmaginate di vivere in una terra (in questo caso la Sicilia) in cui fare impresa non è solo una scommessa ma una battaglia continua contro la burocrazia, i trasporti e la quasi totale assenza di servizi. Immaginate quanto debba sudare un qualsiasi comune mortale, in queste condizioni, intanto per mettere su un’azienda e poi per tenerla a galla. E adesso immaginate di svegliarvi una notte di soprassalto perché dopo avere ricevuto pure una serie di minacce e avvertimenti, qualcuno ha deciso di distruggere col fuoco il frutto dei vostri (tanti, tantissimi) sacrifici. Per punire Rodolfo Guajana si erano attivati addirittura Salvatore e Sandro Lo Piccolo. Non un qualsiasi estortore o uno dei tanti capifamiglia della cosca di San Lorenzo o Tommaso Natale, ma addirittura due tra i più pericolosi latitanti (all’epoca dei fatti) della Sicilia. La risposta di Cosa nostra doveva essere eclatante perché eclatante, a sua volta, era stata la mancata adesione alle richieste dei boss. Erano passati tredici anni da quando gli avevano bruciato per la prima volta gli impianti. La seconda volta, quando gli fecero trovare anche una bottiglia incendiaria, Guajana capì che il racket era tornato all’attacco. Anche se nessuno gli aveva chiesto niente. Si presentò alle forze dell’ordine e poi decise di iscriversi all’associazione Addiopizzo. La risposta, purtroppo, non si fece attendere. Il suo «no» alla legge imposta da Salvatore e Sandro Lo Piccolo doveva essere stato netto e deciso se proprio i boss di San Lorenzo avevano voluto «che le modalità dell’incendio fossero particolarmente eclatanti». E se proprio Lo Piccolo jr, commentando davanti alla tv le immagini del gigantesco incendio appiccato dai suoi picciotti così come ordinato, disse al fedele Gaspare Pulizzi, diventato poi collaboratore di giustizia, che «il titolare della ditta Guajana aveva ricevuto richieste estorsive ma non si voleva piegare e per questa ragione era stato dato fuoco all’azienda. Anche per dare un esempio agli altri imprenditori». Dichiarazioni, quelle di Gaspare Pulizzi, che coincidono perfettamente con quelle di tutti gli altri pentiti del clan - da Francesco Franzese a Nino Nuccio passando per Andrea Bonaccorso - e che gli inquirenti hanno ritenuto più che sufficienti per emettere, tra gli altri, una serie di provvedimenti restrittivi a carico dei capimafia di Cruillas e San Lorenzo (Giancarlo Seidita e Massimo Troia) e di uno dei loro uomini di fiducia, Vittorio Bonura, utilizzato per le spedizioni punitive contro chi si ribellava al racket. L’imprenditore, secondo quanto ricostruito da uno dei pentiti, «aveva fatto sudare sette camicie» agli esattori del racket, ed era stato punito perché «più di una volta (...) c’erano andati i ragazzi e lui, tipo, che li mandava a fanculo». Guajana, che subito dopo l’attentato aveva detto di voler «perdonare da cristiano» coloro i quali avevano distrutto la sua azienda, esprime anche l’auspicio che i mafiosi possano «redimersi» e li invita «a mettere le loro intelligenze al servizio del bene e della legalità». Oggi Guajana non solo ha denunciato, ma si è pure costituito parte civile nel processo contro i suoi estortori e ha ottenuto uno spazio in cui riavviare (dal nulla) la sua azienda. «È giusto che chi deve pagare paghi - disse qualche anno fa -, ma nei loro confronti io non ho alcuna animosità. Io voglio vivere pacificamente, continuando a fare il mio lavoro. Ma tutti dobbiamo essere protagonisti di questo risorgimento, di questa rinascita, di questa liberazione». NEWSLETTER ANTIRACKET 11 NEWSLETTER ANTIRACKET 12 l’approfondimento In provincia di Palermo si apre un altro squarcio nel muro di omertà DI DANIELE MARANNANO C’ è il solito pizzo del tre per cento sugli appalti pubblici, c’è un pentito che parla da quasi un anno e oltre a ricostruire trame e misteri di un mandamento antico e potente disegna i contorni di un omicidio irrisolto. Ma in quello che sembra un copione letto e riletto centinaia di volte — l’ennesima ordinanza per mafia ed estorsioni notificata in provincia di Palermo — c’è una novità che sembra cominciare a prendere piede anche in un territorio tendenzialmente chiuso e ostile come quello dell’entroterra palermitano. Sono infatti tre, in questa operazione, gli imprenditori che si sono ribellati al pizzo contribuendo a far arrestare quattro persone tra Camporeale e Montelepre. Tre vittime che hanno aperto uno squarcio nel tradizionale muro di omertà rivolgendosi alle associazioni antiracket e confermando le ricostruzioni dei pentiti. L’indagine - una costola dell’operazione Nuovo mandamento dell’aprile di due anni fa, con la quale i carabinieri arrestarono 61 tra boss e gregari ricostruendo gli assetti dei mandamenti di San Giuseppe Jato e Partinico - ha avuto infatti il contributo determinante del collaboratore di giustizia Giuseppe Micalizzi. Cambiano i personaggi ma il modus operandi e gli affari di Cosa nostra rimangono quelli di sempre. È una metamorfosi che lascia inalterati le tradizione e i cliché mafiosi in paesi e territori, spesso dimenticati, che seppure non siano al centro delle cronache quotidiane, sono luoghi in cui la criminalità organizzata continua a proliferare e a essere forte. Estorsioni, condizionamento nell’ambito degli appalti pubblici restano comunque il core business del mandamento mafioso storico di San Giuseppe Jato. Tuttavia spira da tempo un vento di cambiamento, fosse solo per la vigorosa azione repressiva, anche nella provincia di Palermo, dove la mafia ha storicamente mantenuto forte e saldo il controllo del territorio, forse più di quanto possa riuscire a fare, oggi, in città. Le estorsioni ricostruite nell’inchiesta sono state quelle subìte da un imprenditore agrigentino, impegnato tra il marzo 2007 ed il gennaio 2008 nell’esecuzione dei lavori di un appalto per l’importo di quasi 1,6 milioni nel Comune di Camporeale, in contrada Serpe. In questo caso la vittima fu costretta a sborsare alla famiglia mafiosa di Camporeale il 3% dell’importo e a subìre l’infiltrazione nell’appalto in questione da parte dell’impresa S.C. Costruzioni gestita da Antonino Cusumano, finito in carcere per estorsione. La seconda estorsione riguarda un altro imprenditore sempre agrigentino, che si era aggiudicato tra il luglio 2007 e il gennaio 2008 l’appalto della Provincia regionale di Palermo per 950 mila euro relativo alla strada 39 «Sirignano», che collega Camporeale ad Alcamo - costretto ad assumere operai e a rifornirsi di calcestruzzo da un impianto locale. Infine, l’ultimo episodio riguarda una ditta di Giardinello che stava realizzando cinque edifici privati in contrada Paterna, a Terrasini. È trascorso quasi un anno da quando Addiopizzo, in stretto raccordo con l’Arma e la Pro- cura, ha seguito e supportato passo dopo passo il percorso di collaborazione di operatori economici estorti da esponenti mafiosi del mandamento di San Giuseppe Jato. Non è stato e non è facile convincere commercianti e imprenditori a denunciare in territori periferici come quelli del Palermitano dove Cosa nostra continua a esercitare un forte controllo del territorio. NEWSLETTER ANTIRACKET 13 storie antiracket Vieste, la scelta di Vittoria una donna in prima linea contro i clan E’ DI TINA CIOFFO bionda, sempre dritta sulla schiena, composta e gentilmente accogliente, il suo aspetto farebbe pensare ad una donna del Nord. Forse un’insegnante di qualche college inglese o irlandese. E invece no. Vittoria Vescera, è un’imprenditrice dell’area garganica tra i posti più belli della Puglia e tra le meraviglie di Italia, ed in effetti il suo lavoro è anche il riflesso della sua anima ospitale. E’ proprietaria e direttrice di diverse strutture come il residence Villaggio Passo dell’Arciprete ed Il Castellino, aderenti alla rete del Consumo critico degli operatori che hanno deciso di opporsi al racket. Nel campo turistico si può dire che ci è nata. «Nel momento in cui a Vieste è affacciato il fenomeno turistico è sorto anche il nostro impegno come operatori del settori», racconta Vescera che dà immediatamente un’impronta familiare a tutto quello che la riguarda parlando con quella coralità del ‘noi’ che evidentemente sente come una certezza. Così come certezza di madre sono le sue due figlie, Maria e Michela, due gemelle di 19 anni. Quando la sua storia personale, fatta come per ognuno di sacrifici e scelte, di gioie e di dispiaceri, si è intrecciata con la cronaca pubblica e mediatica, Maria e Michela erano ancora piccole «e sono state tenute legittimamente al riparo ma poi sono cresciute e con loro c’è stata una condivisione assolutamente non traumatica», spiega l’imprenditrice mai sola e per quanto è possibile sempre accompagnata dal marito. Nel 2008, ogni giorno ci si svegliava con una sorpresa ai danni degli imprenditori: dai muri imbrattati alle scale di marmo rotte, dall’incendio ad un cantiere all’assassinio del suo cane fatto trovare impiccato. Nel 2011 le fiamme distrussero il ristorante “Lo Scialì” del lido “Oasi”. Il 18 dicembre del 2012 quattro colpi di pistola furono sparati contro l’auto di Vittoria, con una inquietante coincidenza tra le passeggiate antiracket svoltesi pochi giorni prima a Peschici e a Vieste, a Monte Sant’Angelo e a Foggia, tutte con la presenza del Prefetto e dei rappresentanti delle forze dell’ordine. A giugno c’era NEWSLETTER ANTIRACKET 14 già stato un altro attentato che le distrusse una Citroen 107. Una settimana prima era stata presa di mira l’auto del fratello. Nel 2008 e negli anni a seguire, il metodo per imporre le estorsioni agli operatori turistici di Vieste era la finta «guardianìa» imposta a forza di furti e danneggiamenti, dopo qualche mese però e già nel 2009, Vittoria Vescera insieme ad una decina di operatori aveva deciso come comportarsi. «Non abbiamo mai pagato niente e né abbiamo cercato riparo in società di vigilanza, così come invece avrebbero voluto chi aveva deciso di darci il tormento. In occasione della presentazione di una delle ultime denunce - racconta Vescera - il comandante provinciale dei Carabinieri di Foggia, Francesco Maria Chiaravallotti, ci parlò della possibilità di rivolgerci ad una associazione antiracket». Incontrarono Renato De Scisciolo, responsabile della FAI in Puglia, cominciando con lui quel percorso che a dicembre del 2009 portò alla costituzione dell’associazione antiracket di Vieste guidata da Giuseppe Mascia. Nata tra una riunione e l’altra mentre il fuoco di fila dell’estorsione colpiva uno dopo l’altro gli operatori turistici: in pochi mesi furono denunciati 155 atti intimidatori. Vescera è stata un’infaticabile organizzatrice di tutto il gruppo che, quando doveva testimoniare anche solo uno dei dieci commercianti che hanno denunciato e che si sono costituiti parte civile, partiva ogni volta da Vieste facendosi due ore di viaggio in pullman. «C’è stato un tam tam, le istituzioni ci sono state vicine, c’era una sensazione di impotenza che non era solo paura piuttosto incertezza per un fenomeno e dinamiche che non conoscevamo», spiega e aggiunge «da allora le cose sono migliorate. Abbiamo acquistato consapevolezza e gradualmente abbiamo riconquistato anche la tranquillità. Tutto il settore turistico ne ha beneficiato. La mia attività così come quella degli altri colleghi continua ad essere in attivo, segno che a vincere siamo stati noi e non certo chi voleva inquinare la nostra economia e le nostre esistenze». l’associazione FAI-Agisa, il presidio antiusura di Roma compie 12 anni D DI TINA CIOFFO al 2005 gestisce il primo sportello antiusura in Italia, lo “Sportello di aiuto per la prevenzione dell’usura” del Decimo Municipio di Roma. L’associazione Agisa onlus recentemente diventata FAI antiracket e antiusura ROMA - Agisa onlus, per una modifica allo statuto, è attiva nella prevenzione e nel contrasto dell’usura, e nel diffondere la cultura della legalità e del buon uso del denaro. Si è costituita il 29 maggio 2003 ed è formata da 13 soci, tra fondatori e ordinari. «Ci rivolgiamo a coloro che non hanno più accesso al credito da parte delle banche, a chi è caduto nelle grinfie degli usurai e vuole liberarsi dal loro gioco e a chi decide di denunciare tale reato. Ricordo infatti, che esiste un Fondo pubblico di Prevenzione e un Fondo di Solidarietà per le vittime dell’estorsione e dell’usura, a cui si può accedere con particolari requisiti», spiega Lucia Brandi a capo del coordinamento regionale delle associazioni antiracket della regione Lazio. Brandi è stata commerciante per 27 anni in Sicilia, dove dirigeva anche un’associazione antiracket e antiusura in provincia di Messina. Da anni, presenta presso le scuole primarie e secondarie del Lazio progetti per far emergere i naturali talenti degli studenti, ritenendo che il miglior insegnamento dei valori della legalità e del buon uso del denaro sia il coinvolgimento diretto dei giovani in situazioni che li vedano protagonisti. “Per un uso responsabile del denaro” e “Non mi gioco il futuro” sono un esempio dei corsi di formazione organizzati per le scuole del territorio. FAI antiracket e antiusura ROMA- Agisa onlus opera grazie al lavoro di 18 professionisti volontari tra cui: avvocati penalisti, avvocati civilisti, psicologi e counsellor, esperti aziendali, esperti bancari, commercialisti. L’obiettivo è far riconquistare un’esistenza dignitosa, riprendendo in mano la propria vita, a quei soggetti gravati da un indebitamento non più sostenibile e a chiunque sia caduto nella rete dell’usura. La sensibilizzazione alla denuncia che è da sempre un’attività centrale dell’associazione nel 2014 ha avuto un maggiore impulso con l’apertura di un Centro Informativo ed Operativo per imprese e famiglie per un sostegno mirato all’assistenza e all’ ascolto. Sono stati effettuati oltre 1.500 ascolti e ha assistito legalmente l’utenza in 16 procedimenti penali per usura, ottenendo condanne per gli usurai fino a oltre cinque anni. In sei processi si è costituita parte civile, ottenendo in due casi di grande rilevanza giudiziaria anche la costituzione della Provincia di Roma e di Roma Capitale. In Italia l’usura è un’emergenza almeno dall’inizio degli anni 90; la diffusione del fenomeno ha avuto un grande impulso a seguito della grave crisi economica del 1992 e più recentemente dopo la “tempesta finanziaria” in seguito al racket del 2008 delle banche d’affari statunitensi. NEWSLETTER ANTIRACKET 15 NEWSLETTER ANTIRACKET 16
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