MotoGP - Moto.it

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Numero 199
19 Maggio 2015
97 Pagine
MotoGP Francia
Lorenzo vince
a Le Mans, Rossi
secondo. Articoli,
commenti e pagelle
Periodico elettronico di informazione motociclistica
Novità
Nuovo Yamaha
NMAX 125, urban
scooter entry level
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Prove
Kawasaki Z300, una
bicilindrica che
completa la serie Z.
E’ comoda e facile
| PROVA SUPER SPORTIVA |
YAMAHA
YZF-R3
da Pag. 2 a Pag. 15
All’Interno
NEWS: Ducati Scrambler by Radikal Chopper | M. Clarke Gli ultimi dischi rotanti da gran premio | N. Cereghini Il nostro
GP quotidiano | MOTOGP: Nico intervista Vitto Guareschi | SBK: Biaggi wild card a Misano? | MX USA: Ryan Dungey
Yamaha YZF-R3
PREGI
Erogazione motore e ABS di serie
DIFETTI
Cupolino poco protettivo
Prezzo 5.390 €
PROVA SUPER SPORTIVA
YAMAHA YZF-R3
Con la entry level YZF-R3, Yamaha completa la
gamma della serie R. Una supersportiva facile e
adatta anche a chi vuole iniziare a muovere i primi
passi in pista, ma qui - e solo qui le sospensioni sono un po’ morbide.
Costa 5.390 euro
di Thomas Bressani
Foto Alessio Barbanti e
Sebas Romero
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Periodico elettronico di informazione motociclistica
Prove
Media
P
rima del suo arrivo, se si voleva iniziare a muovere i primi
passi in moto, dopo il classico
cinquantino preso a quattordici anni, lo step necessario
da fare era magari pregare
che i genitori ci comprassero il tanto desiderato
125, la nave scuola che ti insegnava a prendere
confidenza con il mondo delle moto sportive da
strada. Ma se si voleva passare a qualche cosa
di più “da grande” ci si trovava di fronte a delle
vere e proprie superbike da 120 cv per le 600 o
addirittura 200 cv per una vera 1000. Forse un
salto un po’ troppo grande da affrontare per un
ragazzo, che metteva subito in ansia da prestazione. Senza contare le disposizioni in termini di
limitazioni alla guida per i neopatentati. Ed ecco
che oggi a porre rimedio a questo problema ci
pensa Yamaha con la sua nuova YZF-R3, insieme
4
alle sue strette concorrenti KTM RC 390, Kawasaki Ninja 300 e Honda CBR 300. Tutte medie
sportive adatte a un gruppo di neofiti motociclisti che vogliono si iniziare ad avere a che fare
con un supersportiva derivata dal mondo delle
corse, ma allo stesso tempo da poter utilizzare
con tutta tranquillità e che inizi ad insegnargli a
muovere i primi passi non solo in strada ma magari anche in pista. La Yamaha YZF-R3 va a inserirsi a gamba tesa tra la YZF-R125 e sua sorella
maggiore YZF-R6, con richiami stilistici che la
fanno assomigliare alla più grande della famiglia,
la YZF-R1. Pensata per tutti quei ragazzi aspiranti motociclisti, ma che strizza l’occhio anche
alle giovani ragazze con ancora la passione nel
cuore per le due ruote supersportive, che sono
in possesso della patente A2 e che non possono
guidare moto superiori ai 35 kW (48 cavalli) di
potenza. Il suo DNA è ben chiaro e lo si percepi-
sce al primo colpo d’occhio osservandola bene.
Carena con doppio faro anteriore e presa d’aria
centrale, linee sportive proiettate in avanti per
accentuare ancora di più la sua voglia di sportività e un codino rialzato a punta, abbastanza comodo per trasportarci un passeggero. Una moto
polivalente che permette di divertirsi su strada e
tra i cordoli della pista, in tutta sicurezza, senza
mai lasciarti prendere in contro piede. Per questo motivo è nato e si corre solamente in Francia
per il momento, in Italia arriverà probabilmente
nel 2016, un campionato R3 Cup e siamo pronti
a scommettere che la versione da gara farà gola
a molti.
Il motore
Il cuore pulsante della supersportiva Yamaha
YZF-R3 è dotato di alcune delle tecnologie che
possiamo ritrovare sulle sorelle maggiori R6 e
R1. E’ un nuovo 4T bicilindrico fronte marcia da
321 cc, bialbero e 4 valvole per cilindro. Il bicilindrico della casa dei tre diapason è caratterizzato
da un rapporto alesaggio e corsa di 68,0x44,1
mm e di un rapporto di compressione 11,2:1,
questo gli permette di erogare una potenza di
30,9 kW (42 cv a 10.750 giri), con una coppia
di 29,6 Nm (3 kgm a 9.000 giri). Grazie a queste caratteristiche del motore, i tecnici Yamaha
hanno potuto realizzare una moto godibile tutti
i giorni, permettendo al pilota di poterla guidare
in modo fluido ai bassi regimi ma che all’occorrenza, a giri elevati, sa essere reattivo e pronto.
Tutto questo è stato permesso grazie a un corpo farfallato downdraft e a un angolo più stretto
delle valvole di aspirazione e di scarico. C’è tutta
la tecnologia delle serie R di cilindrata superiore
e lo si può notare grazie alla distribuzione diretta, come sulla sorella maggiore R1, all’adozione
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tutto montato su una piastra superiore di sterzo
in alluminio. Sul retrotreno troviamo invece una
sospensione posteriore di tipo Monocross dall’escursione di 125 mm. I cerchi, d’aspetto racing
tipico della serie R, sono caratterizzati dal disegno a 10 razze in alluminio: montano pneumatici
Michelin Pilot Street da 110/70-17 all’anteriore
e 140/70-17 al posteriore. Piccola sì, ma con un
impianto frenate di tutto rispetto che garantisce
frenate decise quando serve ma che non mette
mai in crisi, grazie ad un disco flottante da 298
mm con pinze a due pistoncini all’anteriore e
220 mm con pinza a un pistoncino al posteriore.
E l’ABS? Naturalmente è di serie. Ricchissima di
informazioni e molto bella e ben leggibile la strumentazione, completa di contagiri analogico,
tachimetro digitale, non manca l’indicatore di
marcia, spia carburante, l’indicatore di temperatura del liquido di raffreddamento, indicazioni dei
consumi, orologio e tripmaster. Tutto in R1 style.
di pistoni forgiati in alluminio, all’utilizzo delle
bielle in acciaio al carburo e all’utilizzo di leggeri
cilindri DiaSil che riducono il consumo di olio ottimizzando la dispersione del calore. L’erogazione
del motore è molto equilibrata, soprattutto tra i
bassi e gli alti regimi, grazie ad un albero motore
fasato di 180 grad. Alle basse velocità, soprattutto nell’uso cittadino, l’erogazione risulta sempre
molto gestibile. Questo grazie anche all’utilizzo
di pulegge progressive adottate sul comando del
gas e sul corpo farfallato, permettendo anche ai
meno esperti nella guida di non trovarsi mai in
difficoltà.
La ciclistica
Se il motore da 321 cc svolge un ruolo importante
nella personalità della R3, ha pure una funzione
portante per il telaio tubolare in acciaio dal carat6
Prove
Solo due le colorazioni disponibili, la classica
Race Blu Yamaha e la più aggressiva Black, che
a nostro parere potrebbe far gola ai più giovani.
Il prezzo è di 5.390 euro e per averla bisognerà
aspettare ancora pochi giorni, giusto la fine di
aprile.
Su strada
Il test della nostra prova inizia lungo le strade cittadine nella provincia di Tarragona, Spagna, ed
è qui che la supersportiva YZF-R3 si presenta a
noi con l’aria da grande, e da una che non teme il
confronto con le sue sorelle maggiori della serie
R. Saliamo in sella e subito ci troviamo a nostro
agio, l’impostazione di guida è comoda, l’altezza
della sella permette anche ai meno alti di poter
toccare a terra tranquillamente, i semi manubri
rialzati e leggermente aperti garantiscono manovre anche da fermo in pochissimo spazio e a
basse velocità, complice anche il grande angolo
teristico design a diamante. Le ridotte dimensioni della supersportiva garantiscono un peso di
169 kg con il pieno e permettono così una guida
agile e reattiva, questo è permesso anche grazie
all’inclinazione del cannotto di sterzo di 25,5°, a
un interasse corto di 1.380 mm, alla dimensione dei pneumatici di 17 pollici, a un’altezza della
sella di 780 mm e - cosa molto importante - alla
distribuzione dei pesi che si avvicina molto a un
50/50 tra avantreno e retrotreno. La YZF-R3 non
ha soltanto l’animo da grande supersportiva ma
anche l’aspetto, con il suo forcellone lungo ben
573 mm, come sulla YZF-R1. Un forcellone lungo,
qui dal disegno asimmetrico, garantisce maggiore stabilità sul dritto e sulla ruota posteriore
la potenza viene trasferita in maniera ottimale.
Il reparto sospensioni è costituito dalla forcella
con steli da 41 mm e escursione di 130 mm, il
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Prove
tiva R3. La concentrazione si sposta maggiormente sulla guida lasciando che il motore, mai
brusco e sempre pronto e fluido, passi quasi in
secondo piano, ma sempre pronto quando si decide di spalancare e sempre in modo graduale.
Iniziamo a spingere un po’ e portiamo la YZF-R3
attorno agli 8.000 giri, tirando fuori tutto il carattere della serie R. Le sospensioni, dalla taratura
morbida, reagiscono bene alle varie sconnessioni dell’asfalto, così come anche il freno anteriore
che garantisce frenate decise quando serve ma
che non mette in crisi e con un ABS mai invasivo. Unico difetto è la mancanza di un registro di
regolazione per la leva del freno. Ottimo il lavoro
del mono posteriore, anche negli avvallamenti,
così come la sospensione posteriore. Dopo tutte
queste curve, che fanno girare la testa, ma che
ci hanno fatto godere fino a fondo l’agilità della
di sterzata di 68° e il peso quasi impercettibile. Il
triangolo di seduta sembra studiato ad hoc per
noi e anche dopo alcune ore in sella non ci sentiamo per niente affaticati, anzi il piacere di guida
è tale che ci fermeremmo soltanto per il pieno di
benzina. Dopo un primo tratto cittadino iniziamo
finalmente a mettere le ruote lungo un susseguirsi di curve, larghe e strette, che permettono
alla nostra R3 di tirar fuori tutto l’animo racing
racchiuso all’interno del bicilindrico frontemarcia. L’asfalto perfetto catalano è il terreno ideale
per la nostra supersportiva e dopo aver preso
confidenza anche con i pneumatici di primo equipaggiamento, i Michelin Pilot Street, rimaniamo
sorpresi da come gli inserimenti in curva siano
del tutto naturali, senza mai allargare la traiettoria e lasciando libero sfogo al puro divertimento.
Scendere in curva risulta naturale ed istintivo,
come se la R3 la guidassimo da sempre, merito
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soprattutto del bilanciamento dei pesi che si fa
sentire sin da subito. Gli innesti del cambio sono
precisi e la frizione dolce, la rapportata delle prime marce è abbastanza corta, questo ci permette di poter viaggiare anche alle basse velocità a
marce alte, senza dover utilizzare troppo spesso
il cambio per ricorrere a un rapporto più basso
in caso si voglia effettuare un sorpasso. Le vibrazioni sono impercettibili sia sulle pedane che sul
manubrio, bisogna proprio essere super sensibili
per sentirne la loro presenza. La R3 ci ricorda ben
presto che per potersi divertire con lei bisogna
farla girare oltre i 6.000 giri, range sopra al quale
ci si inizia a divertire seriamente, con un motore
che non strappa mai, sempre lineare su tutta la
curva di erogazione e che non mette mai in crisi.
Qui iniziamo a danzare lungo tutta una serie di
bellissime curve, i cambi di direzione non ci sono
mai stati così facili come in sella alla superspor9
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R3, ci lanciamo lungo un tratto di autostrada per
raggiungere finalmente il tanto atteso circuito di
Calafat. Inseriamo la sesta marcia, ma il busto
semi dritto ci fa capire che il riparo dall’aria su
spalle e collo, offerto dal piccolo cupolino, non è
del tutto protettivo e quindi decidiamo di accucciarci dietro al plexiglas per un riparo ottimale.
Se la cava bene anche in pista
Eccoci arrivati in pista, un tracciato corto ma
tecnico, dove i troppi cavalli non servono ed è
qui la supersportiva R3 entra in gioco, facendoci capire subito quale è il suo ruolo tra i cordoli,
permettendoci di concentrarci maggiormente
sulla guida piuttosto che sui cavalli da gestire. Gli
pneumatici Michelin Pilot Street non sono di certo le calze più adatte per questo uso e sarebbe
consigliato montare delle gomme ad hoc per l’uso in pista. Entrati sul rettilineo iniziamo a far girare alta la nostra YZF-R3, mantenendo sempre
la lancetta del contagiri al di sopra degli 8.000,
range sul quale la R3 acquista decisamente un
buon carattere, con una linearità e scorrevo10
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Prove
lezza che non mette mai in crisi il pilota. Se su
strada l’impianto frenante ci ha soddisfatto pienamente, qui in pista rimaniamo piacevolmente
sorpresi nel notare come non soffra le troppe
sollecitazioni, con una frenata ben modulabile
quando si va ad agire sulla leva del freno anteriore e con un ABS timido ma che si fa sentire quando è necessario. Forcella e mono svolgono bene
il loro compito, senza mai risentire dei continui
trasferimenti di carico e permettendo di chiudere bene le curve senza nessuna tendenza ad allargare le traiettorie ma consentendoci cambi di
direzione molto rapidi. Una volta presa la giusta
confidenza se si vuole iniziare a spingere sempre
più forte, con un cambio che non sbaglia mai un
inserimento di marcia, sarebbe opportuno usare una taratura delle sospensioni leggermente
più rigida. Questo ci fa ricordare che siamo pur
sempre in sella ad una supersportiva nata per un
uso di tutti i giorni e per piloti ancora alle prime
armi che vogliono muovere i primi passi in pista. Tiriamo dunque le somme e mettiamoci nei
panni di chi questa moto la vorrebbe acquistare
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Periodico elettronico di informazione motociclistica
dopo aver avuto sotto mano una sportiva 125.
Abbiamo percorso tratti cittadini, una bella serie
di curve su alcuni passi di montagna, per finire
la nostra giornata tra i cordoli della pista di Calafat. Possiamo dunque dire che questa nuova
Yamaha YZF-R3 potrà dare e far togliere molte
soddisfazioni a chi ha già una minima esperienza
in moto e anche a chi, magari, si avvicina per la
prima volta ad una supersportiva. Una moto per
tutti e tutte, che sa farsi apprezzare sin da subito
per le sue doti ciclistiche ed estetiche nell’uso di
tutti i giorni. Una compagna di giochi per chi vorrà iniziare a divertirsi in modo sicuro e non troppo impegnativo in pista. Piccola si, ma solo nella
cilindrata e con quella caratteristica R che ci fa
ricordare da quale nobile famiglia deriva.
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SCHEDA TECNICA
ABBIGLIAMENTO
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Prove
Casco X-lite
Giubbotto Dainese
Guanti Oj Atmosfere
Metropolitane - Alpinestars
Jeans Spidi
Tuta Dainese
Stivali Dainese
Yamaha YZF-R3 5.390 euro
Cilindrata 321 cc
Tempi 4
Cilindri 2
Raffreddamento a liquido
Avviamento elettrico
Alimentazione iniezione
Frizione multidisco
Potenza 42 cv - 31 kw - 10.750 rpm
Coppia 3 kgm - 30 nm - 9.000 rpm
Emissioni Euro 3
Numero marce 6
Capacità serbatoio carburante 14 lt
ABS Sì
Pneumatico anteriore 110/70-17M/C 54H
Pneumatico posteriore 140/70-17M/C 66H
Peso in ordine di marcia 169 Kg
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Kawasaki Z300
PREGI
Finiture e erogazione motore
DIFETTI
Spazio riservato al passeggero
Prezzo 5.190 €
PROVA NAKED
KAWASAKI Z300
Dopo la baby Ninja, sulle strade dal 2012, la Casa di
Akashi sfrutta il propulsore bicilindrico 300 anche per
la nuova naked Z300 che, insieme alla Z250SL, va a
completare la gamma della Z Series. Comoda per chi
guida, lo è un po’ meno per il passeggero. E’ già nelle
concessionarie a 5.190 euro
di Cristina Bacchetti
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Media
Piccola ma grande accortezza: i deflettori laterali
convogliano l’aria calda proveniente dal motore
lontano dal conducente e la ventola – quando si
attiva – la spinge verso il basso, per evitare fastidiosi spifferi bollenti, soprattutto nelle soste ai
semafori o nel traffico. Rivista la sagomatura dei
collettori dello scarico 2 in 1: senza alcuna carena
a nasconderli nella parte frontale della moto, si
sono fatti belli anche loro. Scarico che tra l’altro
non disdegna di dire la sua, tirando fuori un bel
vocione a tutti i regimi; ma chi non si accontenta
può sostituirlo con un bell’Akaprovic che le dona
quel tocco di cattiveria in più, disponibile tra gli
optional.
stabilità anche nella guida un po’ più brillante.
Obiettivo raggiunto anche con l’aiuto di un buon
reparto sospensioni, affidato all’anteriore a una
forcella telescopica da 37 mm Showa e al posteriore al mono Uni-Trak Kayaba caricato a gas e
regolabile nel precarico. I cerchi da 17 pollici a 10
razze calzano pneumatici da 110/70 all’anteriore e 140/70 al posteriore. Ultimo ma non ultimo
l’impianto frenante, che vede all’anteriore un
disco singolo da 290 mm e al posteriore uno da
220 mm, entrambi a margherita, il tutto assistito
dall’ormai immancabile ABS. Nulla di invariato
quindi, rispetto alle dotazioni sotto pelle della
Ninja 300.
Telaio a diamante,
ciclistica e componenti Ninja
La nostra prova su strada
Il telaio a diamante è composto da tubi in acciaio
ad alta resistenza, fazzoletti di rinforzo e supporti motore in gomma. La ricercata rigidità, testata
in circuito, punta a raggiungere il massimo della
E
ccola lì, appollaiata sul cavalletto laterale tra le sorelle della famiglia Z: Z250SL, Z800, Z1000.
Sarà il faro che la ricorda, il serbatoio da 17 litri, il codino all’insù, tant’è che al primo colpo
d’occhio è difficile distinguere la Z300 dalla sorella maggiore Z800. E invece sono un cinquantina i chili in meno, 500 i centimetri cubi e 65 i
cavalli che separano le prestazioni delle due verdi naked. Ma è proprio puntando su questa linea
da giapponesina cattiva che Kawasaki si cimenta
nell’arduo compito di stuzzicare la voglia di due
ruote dei più giovani, seguendo quanto già fatto
con la Ninja 300 ma con un progetto ancora più
azzeccato. Sì, perché se il momento delle carenate sportive è passato e resta nel cuore di pochi
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Prove
Bella è bella, a nostro avviso, ben fatta ancor di
più: trovarle un difetto, a prima vista, è davvero
difficile. Allora andiamo a spulciare tutti i dettagli
ai quali si presta normalmente meno attenzione,
niente. Pedane, blocchetti al manubrio, piastra di
appassionati e pistaioli, per le nude continua il
periodo positivo e la Z300 è davvero un’ottima
candidata per puntare al cuore dei futuri biker,
ma – come vi racconteremo nella nostra prova
- non solo.
Un due cilindri da 296 cc
Il cuore della Z300 è lo stesso che batte sotto
la carena della Ninja: un bicilindrico parallelo da
296 cc, 4 tempi, raffreddato a liquido. La potenza, superiore a quella delle concorrenti di stessa
cubatura – fatta eccezione per la KTM Duke 390
da 44 cavalli- è di 39 cavalli (29 kW) a 11.000
giri, la coppia massima di 27 Nm a 10.000 giri.
I pistoni hanno un nuovo rivestimento in Alumite, materiale che protegge dalle alte temperature garantendo nel contempo maggiore durata.
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Prove
aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa
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sterzo, cavi e cavetti: tutto risponde a standard
qualitativi elevati, nessuna differenza con le attenzioni riservate dai tecnici di Akashi alle altre
moto della famiglia Z. Bella anche la strumentazione, anch’essa rubata alla baby Ninja e in linea
con quella della gamma sportiva Kawa, dove lo
schermo LCD riporta tutte le informazioni utili: tachimetro analogico, orologio, indicatore di
carburante, doppio contachilometri parziale e
indicatore di consumo. Le spie di segnalazione,
indicatori di direzione e luci vanno a completare il quadro comandi. Il peso non è da reginetta
delle smilze, ma i 170 kg in ordine di marcia - con
ABS - non sono comunque male, soprattutto
perché ben distribuiti e facili da gestire in fase
di manovra grazie alla sella posta a 785 mm di
altezza: piedi a terra assicurati per tutte le taglie.
La posizione di guida è comoda, nonostante la
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seduta un filo rigida, con le pedane e il manubrio
bello largo ben posizionati. Se volete un consiglio
spassionato però, montate una bella cover monoposto – disponibile tra gli altri accessori – ed
evitate alla fidanzata di doversi appollaiare alle
vostre spalle in uno spazio sacrificato e “diversamente comodo”. Ma veniamo al dunque, giro
di chiave e vi raccontiamo come va questa Z300.
Una moto cittadina? Non solo. Anzi, definirla così
è senza dubbio riduttivo. Buona parte del nostro
test si è svolta ben fuori dalla città, in collina, tra
chilometri e chilometri di curve ininterrotte sulle colline del Monferrato, dove la verdina ha rivelato una spiccata attitudine al divertimento e
ha tirato fuori l’indole sportiva degna della sigla
che porta sulle carene. Il tutto però in sicurezza
e con un occhio di riguardo per i neofiti: una frizione morbidissima – che stacca un po’ troppo in
là, bisogna farci la mano – un cambio silenzioso,
morbido e preciso negli innesti, e soprattutto un
motore dall’erogazione lineare e sempre pronta,
che non mette in crisi in caso di cambi di marcia
repentini, sorpassi o tratti in salita. Un propulsore facile per chi è alle prime armi, ma godurioso
anche per il motociclista più navigato: come accennavamo all’inizio della prova, questa Zetina
si propone sì per accompagnare i motociclisti di
domani nel mondo delle due ruote, ma sarà di sicuro apprezzata anche da chi torna in sella dopo
qualche anno di stop o da chi desidera muoversi in città e fuori con un mezzo davvero facile e
dai bassi consumi. Non abbiamo avuto modo di
testarne la velocità di punta ma ricordiamo che,
nella prova della Ninja 300 sulle autostrade tedesche libere da limiti, la piccolina aveva sfiorato i 180 chilometri orari. Non esattamente una
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entry-level quindi: per quello c’è l’ancor più facile
Z250SL, della quale potrete leggerete a breve la
prova completa qui su Moto.it. Buono il comportamento della ciclistica: la Z300 affronta senza
problemi il misto stretto così come i curvoni veloci, nei quali ondeggia un po’ solo quando le si
va a tirare davvero il collo. Un assetto rigido che
strizza l’occhio alla guida sportiva ma non va a
inficiare il comfort, messo alla prova solo dalla
posizione parecchio caricata sull’anteriore, che
a lungo andare va a pesare su braccia e polsi; nulla di strano, è il prezzo della sportività. In
compenso non si avvertono vibrazioni nemmeno dopo parecchio tempo passato in sella, né al
manubrio né tantomeno sulle pedane. Bene anche i freni, solo un po’ blando il posteriore, e una
lode al comportamento dell’ABS che tira sempre
fuori dai guai, soprattutto quando non invadente
come questo Nissin che ci ha assistito sulle strade bagnate teatro della nostra prova in compagnia di questa sbarazzina naked. Lasciarla? Un
dispiacere. Ci sarebbe piaciuto scorrazzare ancora un po’ tra le colline, col fare smaliziato che
la contraddistingue.
Prove
Kawasaki Z300 5.190 euro
Cilindrata 296 cc
Tempi 4
Cilindri 2
Raffreddamento a liquido
Avviamento elettrico
Alimentazione iniezione
Frizione multidisco
Potenza 39 cv - 29 kw - 11.000 rpm
Coppia 3 kgm - 27 nm - 10.000 rpm
Emissioni Euro 3
Numero marce 6
Capacità serbatoio carburante 17 lt
ABS No
Pneumatico anteriore 110/70-17M/C 54S
Pneumatico posteriore 140/70-17M/C 66S
Peso in ordine di marcia 168 Kg
ABBIGLIAMENTO
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SCHEDA TECNICA
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Casco Suomy
Giacca Alpinestars Stella T-GP
Plus R Air
Guanti Alpinestars Stella SP-8
Jeans Alpinestars
Scarpe TCX X-Street
Prezzi e colorazioni
La Z300 è già nelle concessionarie a 5.190 euro
con ABS di serie, le colorazioni disponibili sono il
classico verde e nero (Candy Flat Blazed Green
/ Metallic Spark Black) oppure il più elegante grigio opaco (Metallic Raw Graystone / Metallic Flat
Spark Black).
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Periodico elettronico di informazione motociclistica
Media
News
km al litro nel ciclo Wmtc (World Motorcycle
Test Cycle). L’alimentazione è a iniezione elettronica e il pistone è forgiato. Il radiatore di raffreddamento è collocato lateralmente al motore
permettendo di avere una pedana poggiapiedi
più spaziosa. Il telaio in tubi di acciaio si avvale
di una forcella tradizionale di una coppia di ammortizzatori posteriori. Il monodisco anteriore,
come il posteriore, misura 230 mm è il sistema
ABS è di serie. Le ruote da 13 pollici sono di compromesso fra comfort, tenuta e ingombro, tanto
che sotto la doppia sella c’è spazio per il casco
integrale e altri piccoli oggetti.
NUOVO YAMAHA
NMAX 125
Sarà in vendita a giugno il nuovo scooter cittadino Yamaha. Ha ruote
da 13 pollici e un inedito motore 125 dotato di distribuzione a fasatura
variabile in funzione di consumi contenuti
L’
offerta degli scooter Yamaha 2015
vedrà aggiungersi a giugno un nuovo modello 125. Si tratta di NMAX
125, definito da Yamaha come un
urban scooter entry level, che esteticamente ricorda un po’ a serie XMAX e che si presenta con
contenuti interessanti e, stando all’aspetto, con
un prezzo prevedibilmente competitivo. Il costo
in realtà non è stato ancora comunicato, ma le
scelte costruttive ci fanno pensare che i 4.290
euro del cugino XMAX 125 saranno distanti. Sono
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quattro le colorazioni disponibili (rosso, titanio,
nero e bianco), la strumentazione è Lcd e il faro
anteriore ha tre luci Led Il motore 125 è una nuova unità a quattro tempi e con raffreddamento a
liquido caratterizzata dalla distribuzione monoalbero a 4 valvole con fasatura e alzata variabili
per le due valvole di aspirazione. Una soluzione
che, da una parte dovrebbe aiutare un poco l’erogazione della coppia, mentre dall’altra è stata
sfruttata per contenere i consumi di carburante:
Yamaha dichiara infatti di aver raggiunto i 45,7
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Media
quello frenante. Quindi ho lavorato solamente
sulla parte estetica e sulle ruote: se avessi avuto più tempo dei quindici giorni che ci ho messo
avrei aggiunto altri piccoli dettagli. Una cosa che
mi ha colpito della Scrambler Ducati è la sua cura
costruttiva, nonostante non sia una moto costosa, anche in zone nascoste che si potrebbero
trascurare». La sua Scrambler, si distingue per
le sovrastrutture in alluminio, soprattutto per la
coda corta, e la verniciatura bicolore – curata da
Cisko - che lascia in vista zone di alluminio lucidato. Nella linea si nota qualche richiamo a una
sua recente Kawasaki W800 café racer. Curato
anche il disegno del faro e del suo supporto. Le
ruote a raggi JoNich Wheels montano i pneumatici di serie, mentre il forcellone e il motore sono
stati accuratamente lucidati per dare risalto alla
News
lega d’alluminio. Informazione per chi fosse interessato ad averne una uguale firmata Radikal
Chopper: si può valutare il costo della preparazione in circa 7.000 euro. L’assenza di porta targa, frecce e retrovisori è solo momentanea, sottolinea Radaelli “perché aggiungerò altre cose
avendo più tempo...”.
Pier Francesco Caliari, direttore generale di
Eicma, ha ricordato come le moto «...nell’officina di Andrea cambiano e si trasformano, senza
però perdere la propria anima. Andrea è un customizer che si distingue per stile e gusto, le sue
moto hanno grande carattere e sono costruite
con passione e cura».
La Scrambler di Radikal Chopper sarà una delle
protagoniste ai prossimi eventi ai quali parteciperanno Eicma e Ducati.
DUCATI SCRAMBLER
BY RADIKAL CHOPPER PER EICMA
di Maurizio Gissi | E’ stata presentata la special su base Ducati
Scrambler realizzata da Andrea Radaelli di Radikal Chopper: aveva vinto
il contest Custom International Bike Show 2014 organizzato da Eicma
E’
stato lo spazio di Deus Café, nella
sede milanese di Deus Ex Machina, a
ospitare giovedì sera un evento Eicma
dedicato alla customizzazione. La serata ha visto la presentazione della bella special
su base Ducati Scrambler realizzata da Andrea
Radaelli di Radikal Chopper. Il noto preparatore milanese aveva vinto il contest Custom International Bike Show 2014, tenutosi lo scorso
28
novembre al Salone di Milano, regolando una
decina di customizer con la sua Harley-Davidson
FL. Il premio del contest era costituito da una
Ducati Scrambler da poter personalizzare secondo il proprio stile. La moto, come ha sottolineato Andrea Radaelli «Non è stata modificata a
livello ciclistico, se non sfilando appena gli steli
della forcella, perché da guidare andava già bene
così. Nessuna modifica all’impianto elettrico e a
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INCIDENTI IN MOTO
LE NOSTRE INFRASTRUTTURE COLPEVOLI
IL DOPPIO DELLA MEDIA EUROPEA
di Maurizio Gissi | Secondo gli ultimi dati disponibili sugli incidenti
avvenuti in Italia, si nota da una parte la riduzione di vittime e di feriti su
motocicli e ciclomotori, ma anche che la responsabilità attribuibile alle
infrastrutture è doppia rispetto alla media europea
L
e statistiche relative agli incidenti
che hanno visto coinvolti sulle nostre
strade i guidatori, e i passeggeri, di
ciclomotori, moto e scooter raccontano che negli ultimi cinque anni il numero delle vittime è diminuito del 37,9%, mentre se si
30
guarda all’ultimo decennio la riduzione è stata
del 45,4%. Valori superiori alla diminuzione del
parco circolante conosciuta dal 2007 a oggi e
anche alla più contenuta diminuzione d’uso delle
due ruote che la crisi degli ultimi anni ha provocato e che soltanto nell’ultimo anno – stando ai
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Attualità
consumi di carburante - pare aver recuperato. Il
calo c’è stato, complici tante ragioni come la migliore sicurezza dei mezzi più recenti, la maggiore diffusione di caschi qualitativamente migliori e
di protezioni omologate; ci piace pensare che sia
dipeso anche da una maggiore consapevolezza e
prudenza da parte di motociclisti e automobilisti
ma, comenque sia, moltissimo resta da fare. Dati
statistici del 2013 alla mano, sono gli ultimi analizzati, emerge che in Italia il numero delle vittime
su due ruote è di una ogni 9.400 veicoli circolanti. Nel 2013 le vittime alla guida di ciclomotori
sono state 133 – nessuna variazione rispetto al
2012 – mentre i feriti sono diminuiti del 15,1%
scendendo a 15.739.
In Italia nel 2013 il parco circolante dei ciclomotori era di poco superiore a due milioni di unità.
Le vittime alla guida, o come passeggeri, di moto
e scooter sono state invece 774, ovvero il 13,5%
in meno rispetto all’anno precedente, mentre i
feriti sono stati 45.519, in calo dell’8,9% rispetto
al 2012. Il parco motocicli circolante nel 2013 era
di poco inferiore a 6,5 milioni di unità. Nel rapporto fra circolante e vittime siamo subito alle
spalle dei Paesi europei più virtuosi. Dove invece
la situazione peggiora è nella corresponsabilità
attribuibile alle infrastrutture: secondo lo studio
MAIDS, ovvero Motorcycles Accidents In Depth
Study, le condizioni inadeguate delle infrastutture italiane sono state corresponsabili nel 25%
degli incidenti. Uno su quattro, circa il doppio
della media europea. Nel corso del 2013 la presenza di ostacoli accidentali o fissi sulle nostre
strade ha provocato la morte di 89 utenti di due
ruote (motocilisti nel 27% dei casi) e il ferimento
di altri 1.811. Un serio programma di intervento
su strade, protezioni salva motociclisti e segnaletica ridurrebbe quindi significativamente le
vittime alla guida delle due ruote e, come sottolinea l’ANCMA, “Un impegno della sfera pubblica
comporterebbe anche un forte contenimento
dei costi sociali provocati dagli incidenti stradali:
quelli a carico dei motociclisti ammontano a 4,8
miliardi di euro”.
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La bellissima Guazzoni 125 bicilindrica da Gran Premio del 1970 era dotata di un disco rotante (e di un carburatore) a ciascun lato del motore
TECNICA E STORIA
GLI ULTIMI DISCHI ROTANTI
DA GRAN PREMIO
di Massimo Clarke | I dischi rotanti hanno vissuto anni di fulgore e sono
stati adottati da importanti costruttori di tutto il mondo dopo che
avevano dimostrato la loro validità già agli inizi del Novecento
C
ome abbiamo scritto approfonditamente nella prima parte dedicata
alla storia dei motori a disco rotante
nei gran premio, Walter Kaaden ha
mostrato la strada a tutti, con le sue velocissime MZ dotate di cilindri con tre travasi, scarico
a camera di espansione e ammissione a disco
32
In una versione dell’eccellente motore Saetta 100 da kart il disco è stato collocato frontalmente,
con asse di rotazione perpendicolare all’asse dell’albero a gomito. Il comando è a cinghia dentata
Yamaha da Gran Premio, ma evidentemente non
conoscevano ancora bene la tecnologia dei due
tempi da competizione. La defezione di Degner
è stata un brutto colpo per la MZ che da allora
in poi ha diminuito il suo impegno in campo internazionale, pur procedendo con lo sviluppo dei
motori da corsa. Ormai però anche gli altri stavano rapidamente imparando a sfruttare le onde di
pressione e a utilizzare al meglio quanto offerto
dalla aspirazione a disco rotante.
Suzuki rilancia
rotante. Nel 1961 la casa di Zschopau avrebbe sicuramente conquistato il titolo mondiale se il suo
pilota di punta, Ernst Degner, non fosse scappato ad ovest per passare alla Suzuki, portando
con sé i segreti delle straordinarie due tempi
tedesche. Per la verità quell’anno impiegavano
valvole a disco rotante tanto la Suzuki quanto la
Tecnica
La Suzuki ha conquistato il suo primo titolo iridato nel 1962 e si è imposta addirittura in due
classi l’anno successivo. Oramai la strada era
indicata. E infatti tutte le moto a due tempi che
hanno conquistato il titolo mondiale negli anni
Sessanta (ben 15) hanno adottato l’aspirazione a disco rotante. Da noi i pionieri sono stati la
Parilla, per merito dell’ing. Cesare Bossaglia, e
Francesco Villa. Rispetto alla classica soluzione
con ammissione in terza luce, i vantaggi erano
considerevoli. Tanto per cominciare, l’ammissione nella camera di manovella risultava svincolata dal movimento del pistone. Ciò consentiva di aumentare notevolmente la durata della
fase di aspirazione semplicemente anticipando
l’apertura della luce. La fasatura poteva diventare nettamente asimmetrica. Con la soluzione
tradizionale questo non sarebbe stato possibile.
Infatti se in un motore con aspirazione in terza
luce si aumenta l’anticipo di apertura della luce,
si incrementa in egual misura il ritardo di chiusura. Oltre un certo valore di quest’ultimo però
non è possibile andare. Di conseguenza la massima durata della fase viene ad essere limitata.
L’ammissione a disco rotante consente di superare in larga misura il problema. È possibile
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Tecnica
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bbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbbb
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L’ultimo 125 da competizione della BBFT, realizzato da Ivo Tosi, aveva il disco (in fibra di carbonio!)
sul dorso del basamento, comandato mediante ingranaggi
aumentare l’anticipo di apertura della luce, e
quindi la durata della fase, mantenendo invariato
il ritardo di chiusura (evitando pertanto che esso
risulti eccessivo). Alcuni esempi possono qui
essere utili. Nei motori di serie con ammissione
in terza luce (da tempo scomparsi dalla scena
in quanto sostituiti da quelli con ammissione lamellare) la durata della fase di aspirazione era
dell’ordine di 140°-160°. Nelle (poche) moto da
competizione che impiegavano questa soluzione
i valori erano più alti; le ultime Yamaha TZ arrivavano addirittura dalle parti di 200°-205°. Nei
motori di serie con ammissione a disco rotante
la durata della fase di aspirazione era dell’ordine
di 175°-195°. Nella mitica Suzuki 500 RG Gamma
della seconda metà degli anni Ottanta quest’ultimo valore veniva ottenuto con un anticipo di
140° e un ritardo di 55° (195°). Le moto da corsa
arrivavano dalle parti di 230° (180° + 50°).
34
Da MZ al tandem Kawasaki
Altri vantaggi importanti che l’aspirazione controllata da valvola a disco offre rispetto alla tradizionale soluzione in terza luce sono costituiti
dalla grande rapidità di apertura e di chiusura
della luce e dalla assenza di ostruzioni o di restrizioni nel condotto. Per contro, la disposizione del
disco, montato direttamente su una estremità
dell’albero a gomito, comporta la necessità di
piazzare lateralmente il carburatore. Si può ovviare piazzando quest’ultimo sul dorso del basamento (sempre con il disco laterale), ma ciò
peggiora la respirazione del motore in quanto il
condotto diventa lungo e assume un andamento svantaggioso. La cosa è accettabile per motori da enduro e da cross, non certo per quelli
da GP e per gli stradali sportivi. Ad ogni modo,
la presenza di un carburatore montato su di un
coperchio laterale del basamento non pone
La tipica, e semplicissima, conformazione di una valvola a disco rotante è chiaramente osservabile in questa foto.
Consente di ottenere una fasatura di aspirazione fortemente asimmetrica
problemi particolari, a livello di ingombro, per
i motori monocilindrici. Nei bicilindrici però le
cose possono cambiare. Occorre montare un
carburatore a ogni lato del basamento, cosa che
in genere è OK nelle 125 (tanto di serie quanto da
competizione) e può essere senz’altro accettabile nelle stradali anche di cilindrata notevolmente
superiore; non si può dire però proprio lo stesso
per quanto riguarda le moto da Gran Premio di
250 cm3 e oltre. Viene penalizzata la penetrazione aerodinamica, in quanto la sezione frontale
diventa molto considerevole, con una larghezza
che può addirittura avvicinarsi a quella di una
moto maggiormente frazionata e/o di cilindrata
nettamente superiore. Questo ha portato la MZ
a realizzare un motore con i cilindri disposti “in
tandem”, nel quale cioè si impiegavano due alberi a gomito individuali, in presa tra loro, e c’erano
due camere di manovella, disposte una davanti
all’altra. In pratica, è come se a un monocilindrico ne venisse aggiunto un altro, prolungando il
basamento. Le moto della casa tedesca dotate
di cilindri in tandem sono rimaste allo stadio di
prototipo (la 125 è apparsa nel 1969 e la 250 nel
1971). Questa stessa architettura è stata però
ripresa qualche anno più tardi con eccezionale
successo dalla Kawasaki con la KR (realizzata
in versioni di 250 e di 350 cm3, ha conquistato
ben otto titoli iridati) e dalla Rotax con il bicilindrico tipo 256, di 250 cm3. Sempre restando
nell’ambito delle competizioni al massimo livello,
nella classe 500 l’ammissione a disco rotante ha
mostrato ciò che consentiva di ottenere con le
splendide Suzuki a quattro cilindri in quadrato;
a lungo grandi protagoniste della scena, queste moto hanno consentito a piloti come Sheene, Uncini e Lucchinelli di conquistare quattro
mondiali. Per le 500 in seguito è cominciato un
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molto consistenti. Particolarmente famosi (e
di loro si è parlato anche in Europa) sono stati i motori a due cilindri paralleli realizzati dalla
Bridgestone e dalla Kawasaki. Quest’ultima ha
ottenuto ottimi risultati anche in campo sportivo
con le sue A1 Samurai di 250 cm3 e A7 Avenger
di 350 cm3 apparse rispettivamente nel 1966 e
nel 1967. Negli anni Settanta hanno realizzato
ottime moto da fuoristrada con questo tipo di
ammissione la Maico e la Gilera. In seguito, ampia diffusione hanno avuto i monocilindrici Rotax
a disco costruiti in cilindrate comprese tra 125
e 280 cm3; anche in questo caso si trattava di
ottimi prodotti, nati fondamentalmente per impiego fuoristradistico. Nella seconda metà degli
anni Ottanta ha fatto addirittura scalpore la straordinaria Suzuki RG 500 Gamma, una vera race
replica con quattro cilindri in quadrato e ammissione a disco rotante. Si è trattato dell’ultimo
grande esempio di impiego di questa soluzione
su un modello stradale.
Prototipi, acqua e corse
Questa sezione di un monocilindrico Maico di 125 cm3 degli anni Settanta permette di
osservare chiaramente la disposizione del carburatore e del disco, unitamente all’andamento del condotto di aspirazione
predominio indiscusso delle valvole a lamelle,
ma nelle classi 125 e 250 l’Aprilia ha mantenuto alto il vessillo del disco rotante. L’ultimo titolo
iridato conquistato da una moto a due tempi, prima del ritorno al 4T reso obbligatorio dalla FIM, è
stato appunto ottenuto con un motore che aveva l’ammissione di questo tipo (ed erogava oltre
400 CV/litro!).
Dai GP alla serie
Visti i grandi successi che le valvole a disco rotante stavano ottenendo in campo agonistico,
nella prima metà degli anni Sessanta questi
36
dispositivi hanno iniziato ad essere adottati anche su svariate moto di serie. Da noi ha fatto
scalpore la Guazzoni Matta, apparsa nel 1965, il
cui motore di 50 cm3 non solo aveva l’ammissione a disco, ma anche lo scarico posteriore, proprio come le MZ! L’azienda milanese ha realizzato anche modelli di 100 e di 125 cm3 con identico
schema. In Giappone però di moto con tale tipo
di ammissione ne è stato realizzato un gran numero, da parte di tutti i principali costruttori di
modelli a due tempi. Si trattava tanto di mono
di piccola cilindrata quanto di bicilindrici, alcuni
dei quali sono stati venduti negli USA in numeri
Anche negli altri settori nei quali si impiegano
motori a due tempi le valvole a disco hanno trovato importanti applicazioni. In campo fuoribordistico Dieter Konig ha iniziato a interessarsi agli
otturatori rotanti già negli anni Cinquanta, ben
prima cioè di realizzare i suoi famosi quadricilindrici boxer con unico disco collocato sul dorso del basamento. Fin dai primi anni Sessanta
Cesare Bossaglia ha cominciato ad impiegare
in misura via via crescente l’ammissione a disco rotante in motori per kart. Questo grande
progettista ha anche realizzato un interessante
sei cilindri boxer per impiego automobilistico,
rimasto allo stadio di prototipo, con tre dischi
rotanti nella parte superiore del basamento, e
un bicilindrico per impiego fuoribordistico con
due dischi comandati da un alberello centrale.
La Jawa, che ha sempre mostrato un notevole
interesse per questo tipo di ammissione, ha ottenuto alcuni brevetti relativi a un monocilindrico
con disco nella parte superiore del basamento e
Tecnica
a un bicilindrico con unico disco rotante ad asse
perpendicolare rispetto a quello dell’albero a gomiti e azionamento affidato a un alberello mosso
tramite un rinvio a vite senza fine. Una soluzione
di questo genere è stata impiegata a lungo dalla
Rotax in un suo motore destinato alle motoslitte. Per quanto riguarda i monocilindrici, l’idea
di piazzare il disco non su di un fianco ma sul
dorso del carter, subito dietro la base del cilindro, è quella di ottenere una migliore ripartizione
del flusso gassoso in entrata, evitando che esso
possa tendere ad “alimentare” maggiormente
un lato della camera di manovella. Ha impiegato un disco centrale comandato da ingranaggi la
BBFT nel suo ultimo 125, realizzato ad Ivo Tosi e
rimasto allo stadio di prototipo. Una luce centrale può essere però scoperta e ostruita anche da
una valvola a disco, sempre con asse di rotazione perpendicolare a quello dell’albero a gomito,
spostata lateralmente rispetto al cilindro. Proprio questa disposizione è stata adottata dalla
CZ in un interessante prototipo per impiego fuoristradistico e dalla Aprilia per le sue ultime 125
ufficiali.
Nel primo caso l’alberello del disco prendeva il
moto direttamente dall’albero a gomito mentre
nel secondo veniva azionato dall’albero ausiliario
di equilibratura.
Per concludere, non si può non ricordare l’ultima realizzazione di quell’autentico geniaccio di
Helmuth Fath. Si trattava di un quadricilindrico
boxer di 500 cm3 che ha fatto la sua comparsa
nel 1972 e nel quale l’aspirazione era regolata da
due dischi, posti sul dorso del basamento, che giravano con velocità dimezzata rispetto all’albero
a gomiti.
Ognuno di essi scopriva (o ostruiva) contemporaneamente due luci, collocate in posizioni diametralmente opposte. In seguito, per ottenere
aperture e chiusure delle luci più rapide, il tecnico tedesco ha adottato una soluzione inusitata,
disponendo sopra ognuno di quelli già esistenti
un secondo disco, perfettamente coassiale ma
controrotante!
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comprarsi per la prima volta una motocicletta.
Nulla di male, s’intende, salvo qualche controindicazione. La totale assenza della benché minima cognizione tecnica, ad esempio, porta con
sé qualche insidia. Prima fra tutte, la scelta delle
gomme. Per chi in moto ci va per davvero, non
c’è bisogno di dirlo: le gomme sono fondamentali, che diamine. Ma se ogni scelta di carattere
tecnico è orientata nel senso della migliore resa
dal punto di vista estetico, qualche granchio capita di prenderlo. Quanta aggressività è in grado
di trasmettere una bella naked – cafe racer, brat,
classic o quel diavolo che è – con addosso un bel
paio di gomme tassellate? Ha grinta da vendere!
Quanto sta in strada? Neanche un po’. Eppure
capita di vederne, di special così. Stili che si accavallano, periodi storici che si sovrappongono
e un pizzico di fuori strada. Moto che ogni volta
fanno esclamare: «Ma perché?» Perché cercare
Costume
a tutti i costi di farsi male, oltre che di soffrire
(con selle scomodissime), imprecare (con manubri lontanissimi) e rimanere a piedi (con moto
di quaranta anni fa)?
Certo, anche l’occhio vuole la sua parte. Non a
caso più di un costruttore ha preso a realizzare pneumatici specificamente concepiti per le
moto d’ispirazione vintage. Le moderne tecniche
di costruzione incontrano così uno stile classico,
capace di garantire buone performance e bella figura. E quindi perché andarsene in giro con
una Guzzi degli anni ’80 – che uno sterrato non
l’ha mai visto neanche in cartolina e che un po’
scocciata lo diventa anche solo per rallentare sul
dritto – con un paio di gomme che manco Cairoli
su una pista sabbiosa? Si consumano, vibrano e
non stanno in strada. Contaminazione è la parola d’ordine, lo sappiamo. L’importante è che non
sia con l’asfalto.
IL TASSELLO
A TUTTI I COSTI
di Alberto Capra | Quando le mode, unite alla beata ignoranza,
portano a realizzazioni del tutto illogiche ed improbabili
A
vete presente le bici a scatto fisso?
Derivano dai modelli progettati per
le gare in pista. Hanno delle geometrie particolarmente radicali, sono
molto chiuse di sterzo e per questo agilissime.
Così tanto da diventare i mezzi preferiti da chi,
nel traffico, deve destreggiarsi quotidianamente per consegnare pacchi da una parte all’altra
della città. Le fixed – così sono conosciute oltre
oceano – sono le bici con cui i messenger di New
York corrono come pazzi per la Grande Mela.
38
Ed è proprio da alcune delle zone più modaiole
di Brooklyn che questo tipo di due ruote ha preso a diffondersi in giro per il mondo, divenendo
oramai una tendenza di largo consumo. Per il
fighetto d.o.c., come potrete immaginare, si
tratta di roba vecchia di qualche anno. Il posto
delle bici a scatto fisso è stato preso, per molti
di loro, proprio dalle nostre amate moto. Molte
persone, con questa scusa, si sono avvicinate a
un mondo che non conoscevano, dal quale erano magari soltanto affascinate, e hanno deciso di
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pesantemente in questo settore, e negli ultimi
12-18 mesi hanno letteralmente invaso i negozi
con prodotti sempre più specifici, nel tentativo di
aggiudicarsi una buona fetta della torta di utenti
delle BMW GS, Triumph Tiger, Ducati Multistrada, Suzuki DL e Kawasaki KLR. Il settore delle
stradali “On Highway” (che come al solito è dominato da Harley-Davidson) ha fatto invece registrare un buon +8,6%, mentre continua la crescita del settore fuoristrada “Off Highway” tipica
dei due trimestri a cavallo dell’inverno, quando
si vendono praticamente tutte le cross ed enduro competizione in circolazione. I numeri MIC
parlano di un incoraggiante +12,9%. Sempre in
crisi nera gli scooter, che dopo la gloriosa annata
del 2008 (quando la benzina negli USA era arrivata a dei costi inauditi - seppure ancora risibili
On the road
rispetto al’Europa) non sono mai più stati in grado di mostrare numeri interessanti. Il primo trimestre 2015 parla di un ulteriore calo delle vendite pari al -2,2%, per un totale di meno di 5.000
unità.
Personalmente non amo gli scooter, ma la loro
virtuale assenza da un mercato fatto da una popolazione di 300 milioni di abitanti sottolinea ancora una volta come le moto in USA siano solo
uno svago. Finché non diventeranno anche qui
il mezzo perfetto per risparmiare benzina e battere il traffico, le moto resteranno un business
relativamente piccolo. A questo proposito voglio
sottolineare i numeri totali di vendite per il primo
trimestre 2015: il totale è di 148.000 unità vendute, che scendono a 102.000 se togliamo gli
ATV ed UTV.
RIDE IN THE USA
CRESCONO LE CRUISER,
CALANO LE DUAL
di Pietro Ambrosioni | I dati di vendita statunitensi confermano
l’uso diportistico delle due ruote. E la totale assenza di scooter
C
on il solito mesetto di ritardo mi
sono arrivati i dati di vendita moto
per il mercato USA, forniti dal MIC
(Motorcycle Industry Council). Il
dato che balza subito all’occhio è la crescita
meno che esaltante del settore Dual - quello che
qui Oltreoceano chiamano Adventure Touring:
le vendite per il primo trimestre del 2015 hanno
40
fatto registrare una crescita del solo 1% per un
totale di 7.700 unità. Questa fascia di moto è stata infatti il segmento trainante negli ultimi 4 anni
qui in America e vedere che le vendite inizino stagnare non può che mettere in allarme non solo
le Case motociclistiche, ma anche e forse soprattutto i produttori di abbigliamento, caschi ed
accessori. Sono loro, infatti, che hanno investito
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NICO CEREGHINI
IL NOSTRO GP
QUOTIDIANO
Da casa al lavoro, un percorso che
conosciamo a memoria. Eppure
è più insidioso del GP d’Italia al
Mugello, perché la ripetizione degli
stessi gesti ci porta fatalmente ad
abbassare la guardia
Media
C
iao a tutti! Ieri
mattina sto trafficando nel box
quando sento
un
fracasso
allarmante di
plastica e acciaio, quel tipo di
fragore che fa una moto da 250
chili quando cade da fermo.
Avete presente? Brutta roba.
Esco ed ecco il mio vicino seduto a terra, la sua Honda VFR
1200 schiantata sul cemento.
Lo aiuto a sollevare la moto, i
42
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danni sono leggeri, ma com’è
successo? Lui non se lo sa spiegare, ha un rito che ripete ogni
volta. La sera, quando rientra,
appoggia la moto sul cavalletto laterale, apre il box, spinge
dentro la Honda a un metro dalla macchina, poi la parcheggia
sul cavalletto centrale lasciando il laterale divaricato. Lo sa,
una Honda con due cavalletti
in opera è un brutto vedere,
però al mattino apre il box, fa
scendere la moto dal cavalletto
centrale, la porta fuori a mano
e infine la inclina sulla stampella laterale aperta per chiudere
il box. Gli è comodo così. Da
anni gli stessi gesti, non si può
sbagliare. Ma questa volta il
laterale non era fuori e sbam.
Allora indaghiamo mentre lui si
riprende dallo shock e analizza
la sua Honda. Può aver ripiegato il laterale senza rendersene
conto, ma lo esclude. Ci medita sopra una decina di minuti
(oggi non abbiamo fretta) e alla
fine ricostruisce. Questa mattina ha spostato la bicicletta del
bambino tra l’auto e la moto,
per gonfiare le gomme, e cercando la valvola della ruota posteriore ha spostato la bici un
po’ indietro. Ecco l’arcano: la
bici, fatalità, deve aver agganciato il cavalletto laterale della
moto ripiegandolo all’interno.
Non c’è altra spiegazione. E la
dettagliata vicenda mi serve
per mandarvi un messaggio.
Spesso è proprio nella ruoutine, nelle operazioni ripetute
tutti i giorni, che si nascondono
i maggiori pericoli. Perché lì la
nostra attenzione è debole, andiamo a memoria, diamo per
scontate un mucchio di cose.
Viceversa quando affrontiamo
una giornata speciale, o quando facciamo per esempio una
strada nuova, la coscienza è
vigile e i nostri riflessi sono
brillanti. Fateci caso. Andando
al lavoro sappiamo già dove
troveremo la coda e dove la
strada sarà libera, quale incrocio è trafficato e quale invece
è sempre sgombro, dove c’è il
cantiere per la metropolitana,
il tombino sporgente, la bella
curva ben pavimentata per una
pieghetta appena appena, che
dia senso alla giornata. Quante volte vi stupite per essere
già arrivati alla meta? Quante
volte vi siete detti: “quei duecento metri là non li ho proprio
registrati”? Chissà dove eravate, con la testa. La verità è che
il percorso casa/lavoro è più
insidioso del GP d’Italia al Mugello.
Editoriale
SPESSO È PROPRIO NELLA
RUOUTINE, NELLE OPERAZIONI
RIPETUTE TUTTI I GIORNI, CHE SI
NASCONDONO I MAGGIORI
PERICOLI
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SPECIALE MOTOGP
GP DI FRANCIA
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JORGE LORENZO
VINCE IL GP DI FRANCIA
di Giovanni Zamagni | Lorenzo vince il GP di Francia.
Completano il podio di Le Mans Rossi e Dovizioso
S
econdo trionfo consecutivo per
Jorge Lorenzo, davanti a Valentino
Rossi e Andrea Dovizioso. Nel GP di
Francia solo quarto Marc Marquez
dopo un incredibile duello con un entusiasmante
Andrea Iannone. 16esimo, dopo una caduta, il rientrante Dani Pedrosa: è crisi Honda. Sembrava
imbattibile dopo le prove, al di là del terzo tempo
in qualifica, e così è stato: Lorenzo ha dominato dal primo all’ultimo giro, per un successo che
sigilla definitivamente la fine della sua crisi – se
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mai lo è stato -, esalta la Yamaha, alla quarta
vittoria in cinque GP e dice che Rossi e Lorenzo,
adesso staccati di 15 punti, sono in questo momento i grandi favoriti a succedere a un Marquez
in evidente difficoltà. In testa alla prima curva,
dove si è rischiato per un carenata tra Iannone
e Marquez, che poi ha tentato un sorpasso impossibile cercando di infilarne tre, ma finendo
inevitabilmente lungo, Lorenzo ha potuto fare la
gara che preferisce, imponendo un ritmo asfissiante, che solo Rossi ha cercato, a metà gara di
arginare. Ma è bastato che Valentino guadagnasse un paio di decimi, perché Lorenzo replicasse,
mettendo subito fine alle illusioni del compagno
di squadra. «Ottima partenza, ho superato Dovizioso all’esterno, ero davanti, ho messo un po’ di
margine tra me e lui, poi mi hanno segnalato che
Rossi era secondo e ho spinto per conservare il
margine: un’altra vittoria importantissima per il
campionato» gioisce il fenomeno spagnolo, che
con due successi consecutivi diventa il primo avversario di Rossi.
CINQUE PODI SU CINQUE
PER ROSSI
Partito dalla seconda fila con il settimo tempo,
avvilito dopo un warm up in affanno, Valentino ha
compiuto l’ennesima impresa, grazie a una moto
completamente rivoluzionata. Quinto al secondo
giro alle spalle di Marquez, quarto al terzo, Rossi ha conquistato il secondo posto al 13esimo
MotoGP
giro, dando l’impressione di potersi avvicinare
a Lorenzo. Pur spingendo forte, non è riuscito a
ricucire lo strappo e nel finale si è limitato – si fa
per dire – a controllare Dovizioso, per un secondo posto che significa cinque podi in cinque gare:
Rossi c’è. «Abbiamo sofferto troppo in prova, ma
in gara mi sentivo bene: sono partito al buio, ci ho
messo 2-3 giri per capire il comportamento della
moto. Ho visto che ero competitivo, ho fatto una
bella battaglia con le Ducati, ho provato a prendere Lorenzo, ma non è bastato. Un’altra gara
positiva, un’altra prova consistente» si frega le
mani il capoclassifica del mondiale.
DOVIZIOSO: E SONO QUATTRO
Se Rossi festeggia il quinto podio consecutivo,
Dovizioso può gioire per il quarto podio in cinque gare: come dire, ancora una volta Andrea è
andato forte. Molto forte. «Avevamo problemi di
aderenza, dopo 10 giri faticavo a controllare la
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MotoGP
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moto. Ho provato a tenere il passo di Rossi, ma
non è stato possibile: è comunque un risultato
positivo» analizza a caldo. E ha ragione, perché
anche se ha perso il secondo posto nel mondiale,
ha confermato di essere uno dei grandi protagonisti.
capivo quanto frenavo.
Poi sono arrivati Smith e Marquez, è stata una
gran battaglia: sarebbe stato bellissimo stargli
davanti, ma ci saranno altre occasioni» ha detto
sfinito Iannone, che ha fatto la storia di questo
GP.
IANNONE COMMOVENTE
CRISI HONDA
Così come lo è Andrea Iannone, quinto al traguardo con una spalla sub-lussata quattro giorni
fa. Ma Iannone non ha solo entusiasmato per il
risultato, ma, soprattutto, per l’incredibile sfida
con Marquez: tra il 24 e il 25esimo giro i due si
sono passati una decina (!) di volte, con Andrea
capace di replicare a ogni attacco di Marc, che
per stargli davanti ha preso dei rischi pazzeschi.
«Faccio fatica a raccontare la gara, una condizione fisica molto critica, ho pensato di fermarmi:
a 10 giri dalla fine non avevo più sensibilità, non
48
Viceversa, Marquez, con il quarto posto a 19”890,
conferma che la Honda quest’anno non è quella
dell’anno scorso: lui prova a metterci una pezza,
ma anche il suo talento, in questo momento, non
riesce a colmare il distacco con la Yamaha.
Un’esagerazione? Forse, ma Pedrosa 16esimo
dopo una caduta al secondo giro, Crutchlow e
Redding ritirati per altre scivolate dicono che
questa moto è difficilissima da guidare.
E per stare davanti a un malconcio Iannone, Marquez ha dovuto prendere rischi pazzeschi.
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MotoGP
VALENTINO ROSSI
“BELLO ARRIVARE COSÌ AL MUGELLO”
di Giovanni Zamagni | In grande difficoltà fino al warm up («stavolta la
vedevo nera») Valentino ha fatto l’ennesimo miracolo in gara,
conquistando un secondo posto da applausi. E il prossimo GP si
corre in Italia: il campione della Yamaha ci arriva da primo in classifica
e con cinque podi in cinque gare
N
Non era andato forte nemmeno
nel warm up del GP di Francia:
sembrava in grande difficoltà, ma Valentino Rossi è stato
un’altra volta grandissimo. «Bisognava rischiare e l’abbiamo
fatto» dice sornione per commentare l’ennesimo “miracolo
tecnico” impossibile da giustificare, perché non c’è una spiegazione logica a un pilota che
“litiga” con la moto venerdì,
sabato, domenica mattina, per
poi essere velocissimo domenica pomeriggio.
«Stavolta la vedevo nera. Ero
convinto di poter essere competitivo nel warm up, invece ero
lontano e solo settimo. Il team
è stato bravissimo: abbiamo
deciso di rischiare stravolgendo la moto, con una modifica
teoricamente valida, ma senza
nessuna possibilità di verifica
50
prima della gara. Sono partito
a scatola chiusa, ma bisognava
rischiare e le sensazioni sono
state subito positive: mi sono
divertito e ho conquistato un
secondo posto che avrei firmato con il sangue prima del via.
Ho anche pensato di andare a
riprendere Lorenzo, ma lui aveva preparato il GP meglio di me
e non è stato possibile batterlo,
ma la mia M1 in gara si guidava
bene. In qualifica soffriamo un
po’, anche Lorenzo, che è uno
specialista del giro secco, non
riesce ad essere efficace, ma
sulla distanza la Yamaha è molto competitiva».
Perché arrivate alla giusta
messa a punto solo la domenica?
«Piacerebbe anche a me arrivarci molto prima, anche per-
ché così Silvano Galbusera (il
capotecnico, NDA) non perderebbe mesi di vita quando
ci danno dei secondi così facilmente come è avvenuto venerdì e sabato».
Hai sperato nella vittoria?
«Sì, anche se dopo tre curve
avevo già un secondo di distacco da Lorenzo, più o meno lo
stesso svantaggio che avevo
a metà gara. Quando sono riuscito a superare le Ducati, dopo
una bella battaglia, lo vedevo, non era lontano, ma Jorge
qui era in versione “Martillo”:
quando è così è difficile batterlo. Ho comunque conquistato
20 punti fondamentali per il
campionato ed è importante
che siamo arrivati alla giusta
messa a punto: ci siamo arrivati tardi, ma ci siamo arrivati.
51
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Quando sono partito non sapevo bene chi sarebbe stato il mio
avversario: Marquez, Iannone,
o Dovizioso? Poi ho iniziato a
pensare a Lorenzo, perché era
sempre lì. Bisognerebbe riuscire a essere più competitivi
in prova e partire più avanti in
qualifica, ma quando si prendono 20 o più punti è sempre
qualcosa di speciale».
Hai preso dei rischi con Marquez.
«Ho fatto un piccolo errore
in frenata e a quel punto ero
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nella così detta terra di nessuno, perché se avessi frenato
più forte avrei perso facilmente
il controllo dell’anteriore e avrei
finito per coinvolgere anche
Marc. Così ho deciso di mollare i freni e ho dovuto chiudere
un po’ bruscamente: gli chiedo
scusa. Nel 2014 loro (la Honda,
NDA) aveva un grande vantaggio in frenata, adesso siamo
molto più vicini».
Credi che Marquez sia in crisi?
«Marc è dietro in classifica
soprattutto per i 20 punti persi
in Argentina. Qui è arrivato dietro, ma può succedere a tutti:
non mi stupirei se al Mugello
vincesse. Credo che io, Lorenzo, Marquez e Dovizioso, che è
veloce e costante, ci giocheremo il titolo, anche se adesso il
pilota più in forma è Jorge».
A proposito del Mugello: cosa
ti aspetti?
«Sicuramente è bello arrivare
al GP di casa in questa situazione, in testa al campionato e
con cinque podi in cinque gare.
Il problema è che è la pista favorita di Jorge, lì va veramente
forte: speriamo, per la Yamaha,
di ripetere il risultato di oggi,
naturalmente a posizioni invertite…».
Cosa puoi dire della squadra?
«Sono stati grandissimi: fare
una modifica così importante e
“prenderci” non è facile, avremmo potuto tranquillamente finire quinti. Io sono stato bravo a
guidarla e ad abituarmi subito,
ma loro sono stati bravi a scegliere la modifica giusta. Dopo il
warm up ero preoccupato, non
pensavo di riuscire a salire sul
podio, perché anche Dovizioso
era più veloce di me».
Una provocazione: invece di
grande squadra non si potrebbe parlare di “pessima” squadra che non riesce a trovare
subito la giusta direzione?
«Direi di no. E’ più colpa del pilota, ci ho messo troppo a capire la via da seguire, ma l’importante è che ci siamo arrivati.
Prendiamo molto come riferimento i dati dell’anno scorso,
MotoGP
ma la M1 2015 è molto differente: evidentemente non è corretto fare riferimento al 2014».
E’ più difficile lottare contro il
compagno di squadra o contro Marquez con la Honda?
«Non fa nessuna differenza.
Con il compagno di squadra
senti di più la sfida, perché ha
la tua stessa moto e se ti arriva
davanti vuol dire che è stato più
bravo.
C’è anche il rovescio della medaglia, perché dici: se lo fa lui lo
posso fare anch’io».
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DUCATI
OTTIMA MOTO, GRANDI PILOTI
di Giovanni Zamagni | La GP15 si conferma competitiva e veloce e i
due Andrea la sfruttano al meglio: Dovizioso è al quarto podio in cinque
gare, Iannone è capace di sorpassi e numeri alla Marquez, nonostante i
problemi fisici. Per vincere manca ancora qualcosa, ma si parla di
dettagli
A
ndrea Dovizioso ottiene sempre il
massimo risultato possibile, Andrea
Iannone è capace di sorpassi da
brividi, anche in condizioni fisiche
tutt’altro che ottimali: la GP15 anche in Francia si
è dimostrata una gran moto, ma i suoi due piloti
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la sfruttano al meglio. Difficile dire quale dei due
Andrea abbia fatto l’impresa più grande: Dovizioso ha conquistato il quarto podio in cinque gare,
Iannone ha dato spettacolo in una sfida perfino
commovente con Marquez. Bravissimi entrambi.
«Dopo le prove – attacca il Dovi – non mi ero
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fatto illusioni, ma speravo di potermela giocare.
La realtà è che siamo molto competitivi, ci manca davvero poco, ma non siamo ancora pronti
per giocarci la vittoria. Parliamo di dettagli, piccole cose, ma che a questo livello fanno la differenza. Aver conquistato quattro podi in cinque
gare è qualcosa di grande, ma non dobbiamo dimenticarci che la GP15 ha disputato solo cinque
GP, non la conosciamo perfettamente, né il motore né la ciclistica: dobbiamo lavorare, trovare
quel qualcosa che ci manca per poterci giocare
veramente le vittorie e il campionato».
Al Mugello, molti sono convinti che la Ducati
sarà favorita, ma Dovizioso non si fa troppe
illusioni.
«Sicuramente saremo competitivi, perché abbiamo fatto i test settimana scorsa e siamo
andati forte, ma non credo alle favole, non si
MotoGP
possono fare miracoli: se qui ci mancava qualcosa, ci mancherà anche là. Come velocità sul
giro siamo messi molto bene, come conferma
anche la prestazione di oggi nei primi giri, ma ci
manca un po’ di costanza, consumiamo troppo
la gomma posteriore e fatichiamo a tenere il ritmo. Ripeto, piccoli dettagli, ma fondamentali con
il livello della MotoGP».
IANNONE: “FOSSI STATO A POSTO, AVREI BATTUTO MARQUEZ”
Alla soddisfazione di Dovizioso si aggiunge
l’orgoglio di Iannone per una prestazione veramente da applausi con una spalla sub-lussata
soltanto sei giorni fa al Mugello.
«E’ stata una gara difficilissima, forse la più dura
della mia vita. Ho fatto le infiltrazioni e sapevo che all’inizio avrei potuto guidare bene, ma
ero anche conscio che la forza sarebbe stata
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MotoGP
limitata, non potevo spingere sulla sinistra. Dopo
dieci giri ho cominciato a soffrire tantissimo,
ho perso su Lorenzo e Dovizioso, ho sforzato la
parte destra per compensare la poca forza della sinistra: così ho perso sensibilità in frenata,
mi sembrava di staccare fortissimo, invece non
frenavo abbastanza. Ho fatto degli errori ed era
anche pericoloso, perché non avevo un buon
controllo della moto. Ho anche pensato di fermarmi, ma ho provato a rallentare per qualche
giro per recuperare forze. Così Marquez e Smith
mi hanno raggiunto, ma ho dato tutto in una bellissima lotta con Marquez: più di così non potevo
fare. Ho portato Marc a sbagliare un po’ di volte
e a fatto fatica ad andarmi via: fossi stato a posto
fisicamente l’avrei battuto».
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SPUNTI, CONSIDERAZIONI, DOMANDE
DOPO IL GP DI FRANCIA
di Giovanni Zamagni | Cosa è cambiato per Lorenzo? Quali sono stati
i punti chiave del GP di Francia? Dopo Le Mans si può parlare di crisi
Honda? Come sta Pedrosa?
I
n difficoltà nei primi tre GP, imbattibile a
Jerez e a Le Mans: cosa è cambiato per
Jorge Lorenzo?
Risponde Lorenzo: «Niente. Il pilota conta,
ma è importante anche la moto: io ho messo insieme tutti i pezzi del mosaico e adesso posso dimostrare il mio valore. La Yamaha è molto simile
a quella del Qatar, ma da Jerez siamo riusciti a
migliorare l’entrata in curva, ad essere più efficaci in frenata, ad essere costante anche con le
gomme usate. Nelle ultime due gare sono stato
molto veloce, ma Rossi lo è dall’inizio dell’anno:
non sarà facile recupere i 15 punti in classifica».
Quali sono stati i punti chiave di questa gara?
- La partenza e la prima curva: Lorenzo è scattato benissimo, ha superato sullo slancio Marquez
e alla chicane ha passato all’esterno Dovizioso.
Non ci fosse riuscito, avrebbe faticato di più a tenere a bada Rossi;
- La competitività di Rossi: in grande difficoltà
fino a dopo il warm up, Valentino ha ritrovato
competitività grazie a una mossa della squadra.
«E’ stato cambiato il bilanciamento della moto»
ha detto genericamente senza entrare nel dettaglio;
- Le difficoltà della Honda: al contrario, Marquez
sembrava aver trovato nel warm up una messa
a punto efficace, ma in gara tutto è andato male.
«Ho lottato più con la moto che con gli avversari,
non avevo feeling, faticavo in entrata di curva. Un
problema che non avevo solo io, ma tutti i piloti
Honda. Ho rischiato di cadere 3-4-5 volte e così
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MotoGP
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ho rallentato; poi, con lo svuotarsi del serbatoio
la situazione è migliorata, fino alla bella sfida con
Iannone: è stato l’unico momento divertente del
GP» ha detto Marquez, sempre sorridente, ma
anche preoccupato per la situazione.
A questo punto, si può parlare di crisi Honda?
Sì, stando ai numeri, no secondo il team principal Livio Suppo. «L’anno scorso – è la sua tesi
– quando tutti dicevano che la Honda aveva un
gran margine, noi dicevamo che non era così, che
molto dipendeva dai piloti e dalle piste. E’ così
anche quest’anno: sappiamo tutti come è andata, Marc avrebbe potuto vincere le prime tre gare
e ci è mancato Pedrosa. Quello di Le Mans è un
tracciato favorevole alla Yamaha, in altri circuiti
saremo noi più competitivi». Quattro vittorie su
cinque GP della Yamaha, Crutchlow, Redding e
Pedrosa a terra nello stesso GP devono però fare
suonare un campanello d’allarme.
Ma qual è il vero problema della Honda?
I piloti, all’unisono, dicono che la RC213V è molto
difficile da guidare. «Si muove troppo: per un giro
riesci a controllarla, ma sulla distanza fai fatica»
dice Marquez, che, a sorpresa, a Le Mans ha
corso con uno dei telai scartati a Sepang a inizio stagione. Dato che Pedrosa usa una ciclistica
piuttosto differente, ma lamenta gli stessi problemi, ecco che il vero punto debole sembra essere il motore. «Che però, per regolamento, non
si può modificare» sottolinea Marquez. Dentro al
box sono tutti convinti che il quattro cilindri sia
troppo potente, addirittura ingestibile, come peraltro aveva subito evidenziato Marquez quando
lo aveva provato a Valencia a fine 2014. Da allora
sono stati fatti dei correttivi, ma non sufficienti
per renderlo trattabile: non sarà facile intervenire. «Ma la Honda è la Honda, qualcosa deve fare»
afferma il fenomeno spagnolo.
Rossi ha detto che dopo poche curve aveva già
un secondo di svantaggio, più o meno lo stesso
che aveva a metà gara: ha ragione?
Sì, come conferma il cronologico dei tempi. Alla
fine del primo giro Rossi era quinto a 1”449 da
Lorenzo, diventati 2”286 alla fine del terzo, con
Valentino in quarta posizione.
Al 13esimo giro, Rossi è riuscito a portarsi in seconda posizione, a 1”882 dal compagno di squadra. Poi, dal 19esimo giro, quando ha visto che
Jorge era ormai imprendibile, Valentino ha rallentato: se fosse partito più avanti, avrebbe forse
potuto giocarsi la vittoria.
Dani Pedrosa ha finito 16esimo dopo una caduta al secondo giro mentre era settimo: in che
condizioni fisiche?
Piuttosto buone, considerando l’operazione e
il rientro dopo oltre un mese di assenza. «Sono
contento delle mie condizioni: dopo un po’ di giri
stavo meglio e questo è senz’altro positivo, considerando anche che, dopo la caduta, il gas non
tornava più indietro e per chiuderlo dovevo fare
un ulteriore movimento».
Cosa è successo ad Aleix Espargaro, ritiratosi
al terzo giro?
Si è rotta la frizione.
Giri veloci in gara.
Rossi 1’32”879 (al quarto giro); Lorenzo 1’33”004
(2); Iannone 1’33”035 (6); Dovizioso 1’33”039
(4); Marquez 1’33”310 (2); Smith 1’33”559 (2);
Crutchlow 1’33”585 (3); P.Espargaro 1’33”940
(2); Pedrosa 1’34”083 (26); Redding 1’34”226
(3).
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MotoGP
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LE PAGELLE
DEL GP DI FRANCIA
di Giovanni Zamagni | Lorenzo è un Martello a Le Mans, 10. A Rossi 9, da
applausi; Dovozioso, 8, in gran forma anche in Francia. 7 a Marquez che
mette una pezza alle difficoltà HRC
10
JORGE LORENZO
Da due GP, nessuno riesce a mettergli
le ruote davanti in gara. Veloce, determinato,
sicuro, efficace: sembra il pilota del 2013 o addirittura quello del 2010, quando aveva costretto un certo Valentino Rossi ad andarsene dalla
Yamaha. Quando è così in forma diventa (quasi)
imbattibile: in questo momento sembra inarrestabile. Martello.
60
9
VALENTINO ROSSI
Un altro miracolo tecnico dopo il warm up,
un altro podio conquistato chissà come. «Questa
volta la vedevo nera» ha ammesso, ma la squadra, l’esperienza, la capacità di prendersi dei
rischi, l’abilità nel gestire una situazione complicata hanno fatto ancora una volta la differenza.
Due vittorie, un secondo e due terzi posti per un
totale di cinque podi in cinque gare: da applausi.
ANDREA DOVIZIOSO
In prova aveva illuso di poter lottare per la
vittoria, tanto che molti lo vedevano come favorito. La gara ha raccontato un’altra storia, ha
detto che la Ducati è molto competitiva, ma non
ancora abbastanza per potersela giocare contro
questa Yamaha (e i suoi piloti) così in forma. Ha
perso il secondo posto in campionato, ma è comunque sempre protagonista. In grande forma.
7
MARC MARQUEZ
Ha ragione Dovizioso quando dice che «ci
mette una pezza, nasconde con il suo talento
le difficoltà della moto». Probabilmente è così
dall’anno scorso, i sui risultati sono stati superiori al reale potenziale della Honda. Non si risparmia mai, ci prova sempre, anche con qualche
rischio di troppo, come ha fatto nell’impossibile
staccata alla prima curva, quando ha provato a
infilarne tre in un colpo solo, finendo inevitabilmente lungo, o nella battaglia ravvicinata con
Iannone. Una provocazione: e se fosse come
Stoner con la Ducati? Arrembante.
9
ANDREA IANNONE
Una gara pazzesca, con dei sorpassi incredibili: nessuno, forse nemmeno Rossi, è così
pronto a replicare agli attacchi di Marquez, a rispondere colpo su colpo con la stessa durezza
e determinazione al fenomeno spagnolo. Commovente.
7
BRADLEY SMITH
Il distacco è molto elevato, si è fatto battere
da Iannone infortunato, ma ha fatto il suo senza
sfigurare.
Gli va riconosciuta una grande determinazione.
Concreto.
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MotoGP
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4
POL ESPARGARO
Sembra in involuzione continua, non riesce
ad esprimere il suo talento. Addormentato.
7
YONNY HERNANDEZ
In prova è spesso più lento del compagno di
squadra, ma in gara si difende bene, anche se
non è velocissimo. Ha ottenuto il suo miglior risultato stagionale. In crescita.
5
to.
MAVERICK VINALES
Fatica a mettersi in mostra. All’inseguimen-
6
DANILO PETRUCCI
Ha preso tre secondi dal compagno di squadra, più esperto e con una Ducati più copetitiva
62
della sua. Ma in gara deve fare meglio. Da giro
singolo.
7
DANI PEDROSA
Voto di incoraggiamento, la MotoGP e la Honda hanno bisogno del miglior “robottino”: ben
tornato.
9
YAMAHA M1
In prova fatica, perché, come sottolinea Rossi, anche lo specialista Lorenzo non riesce ad
essere super velocissimo in qualifica. Ma in gara
è indubbiamente il punto di riferimento, come
confermano quattro vittorie su cinque.
8
CAL CRUTCHLOW
E’ caduto all’ottavo giro mentre era settimo,
anche lui tradito dall’avantreno della Honda. In
difesa.
DUCATI GP15
Un’altra conferma che la GP15 è nata bene e
può essere competitiva su tutte le piste. In questo momento è più equilibrata della Honda: chi
l’avrebbe mai detto?
4
5
5
STEFAN BRADL
Va piano e cade: difficile fare peggio.
HONDA RC213V
Mai vista così in difficoltà: Crutchlow, Redding e Pedrosa a terra per la chiusura dell’anteriore, Marquez lontanissimo dai primi e sempre
appeso a un filo fin da venerdì. In qualifica, il fenomeno spagnolo riesce sempre a fare qualcosa
di speciale, ma in gara nemmeno lui può fare più
di tanto.
5
SUZUKI GSX-RR
Questa volta ha faticato anche in qualifica. E
si è pure rotta in gara.
4
APRILIA RS-GP
Bautista 15esimo a 1’05”515, Melandri 18esimo (e ultimo al traguardo) doppiato. E non è
che sul singolo giro vada meglio: Bautista ha
fatto segnare il 17esimo miglior tempo in gara
in 1’34”863, 1”984 più lento di Rossi. Distacchi
abissali.
63
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MotoGP
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MotoGP Francia
Classifica
Generale
64
Classifica
GP
Pos.
Pilota
Punti
Pos.
Pilota
Punti
1
Valentino ROSSI
102
1
Jorge LORENZO
25
2
Jorge LORENZO
87
2
Valentino ROSSI
20
3
Andrea DOVIZIOSO
83
3
Andrea DOVIZIOSO
16
4
Marc MARQUEZ
69
4
Marc MARQUEZ
13
5
Andrea IANNONE
61
5
Andrea IANNONE
11
6
Cal CRUTCHLOW
47
6
Bradley SMITH
10
7
Bradley SMITH
46
7
Pol ESPARGARO
9
8
Pol ESPARGARO
35
8
Yonny HERNANDEZ
8
9
Aleix ESPARGARO
31
9
Maverick VIÑALES
7
10
Maverick VIÑALES
27
10
Danilo PETRUCCI
6
11
Danilo PETRUCCI
25
11
Nicky HAYDEN
5
12
Yonny HERNANDEZ
20
12
Loris BAZ
4
13
Scott REDDING
13
13
Hector BARBERA
3
14
Hector BARBERA
13
14
Eugene LAVERTY
2
15
Dani PEDROSA
10
15
Alvaro BAUTISTA
1
16
Nicky HAYDEN
8
17
Loris BAZ
6
18
Jack MILLER
6
19
Hiroshi AOYAMA
5
20
Alvaro BAUTISTA
3
65
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MotoGP
STORIE DI MOTOGP
ROMAGNOLI: A LE MANS ALLA PARI
Il capo tecnico di Danilo Petrucci, Daniele Romagnoli, analizza curva
per curva il circuito del GP di Francia e spiega vantaggi e svantaggi delle
diverse moto a Le Mans
I
l capo tecnico di Danilo Petrucci analizza
curva per curva il circuito del GP di Francia
e spiega vantaggi e svantaggi delle diverse moto a Le Mans. Un tracciato che però
Romagnoli (Team Pramac) ritiene non sfavorire
nessuna moto anche se storicamente è nella lista
Yamaha. Il circuito francese non ha infatti curve
“stop-start”, quel genere di curve con ripartenza
66
dalla pima marcia che non piacciono alla M1. Si è
parlato anche di Ducati e del continuo crescendo della GP15. Secondo Daniele Romagnoli potremmo vedere una rossa sul gradino più alto del
podio al Mugello. Non si poteva non fare il punto
anche sulla situazione di Petrucci: sempre più
veloce e competitivo in prova, ma che ancora in
gara fatica ad avere cura delle gomme.
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MotoGP
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NICO INTERVISTA VITTO GUARESCHI
DUCATI MOTOGP, VR46 E
PREZIOSI-DALL’IGNA
Vitto Guareschi ora si dedica alla concessionaria di famiglia, ma fino
a poco tempo fa è stato in Ducati Corse e Sky Racing Team VR46.
Nell’intervista di Nico Cereghini ha rilasciato dichiarazioni interessanti
D
a quando è uscito dal Team Sky
VR46 alla fine dell’anno scorso, Vittoriano “Vitto” Guareschi è ritornato
a occuparsi a tempo pieno della concessionaria di famiglia.
Ovvero la Guareschi Moto, che vende, ripara e
prepara le Moto Guzzi da una cinquantina d’anni
a Parma. Che è poi la città dove Vitto è nato nel
1971.
Fratello di Gianfranco, anche lui ex pilota, è stato pilota di livello internazionale: due volte vicecampione nel mondiale Supersport 600 nel 1997
68
e 1998. E’ diventato poi collaudatore di lusso
delle Ducati da corsa, SBK e MotoGP, dal 2001
al 2009, portando al debutto la Desmosedici nel
2002. Dal 2009 all’inizio del 2014 è stato direttore sportivo nel team Ducati MotoGP, e poco
dopo è passato, con il ruolo di team manager, al
neonato Sky Racing Team VR46.
In occasione dell’ASI Moto Show, tenutosi a Varano de’ Melegari lo scorso fine settimana, Nico
Cereghini lo ha intervistato sui trascorsi in Ducati Corse, nel Team VR46 e su altre questioni. Ne
sono scaturite osservazioni interessanti.
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Superbike
ANDREA DOSOLI
“VOGLIAMO RIPORTARE UN POCO
DI BLU NEL PADDOCK DELLA SBK”
di Carlo Baldi | Dosoli è al lavoro per sviluppare in pista la nuova YZF R1
e portarla poi in Superbike. Yamaha pronta a supportare un team
esistente, magari con Pata come main sponsor
A
Andrea Dosoli ha senza dubbio
una lunga esperienza nel racing, sia in Moto2 con il team
Forward che in MotoGP con il
team Hayate Kawasaki, pilota Marco Melandri. In seguito
però è approdato in Superbike,
inizialmente con la stessa Yamaha e ancora con Melandri e
successivamente con il BMW
Motorrad team dove il suo destino si è ancora una volta incrociato con quello del pilota di
Ravenna. Alcuni mesi fa Dosoli
è stato richiamato dalla casa
dei tre diapason e nominato
Road Racing Project Manager,
vale a dire responsabile dello
sviluppo in pista della nuova
Yamaha YZF-R1M, nonché del
centro di R&D Racing Yamaha che ha sede in Germania
ed è nato per supportare tutti
70
i team che utilizzano la nuova
superbike di Iwata. Abbiamo
incontrato il manager italiano
a Imola in occasione del quinto
round del mondiale Superbike,
per comprendere quale potrà
essere il futuro di Yamaha nei
campionati delle derivate dalla serie, anche alla luce delle
voci che parlano di un rientro
ufficiale in Superbike nel 2016.
Dalle sue dichiarazioni è emerso che, contrariamente a quanto in molti potevano pensare,
non è ancora certo che la R1M
sarà al via del mondiale SBK nel
2016 e soprattutto che la casa
di Iwata non ha intenzione di
organizzare un proprio team
ufficiale, come era ad esempio
quello che vinse il mondiale con
Spies nel 2009. I tempi in Superbike sono cambiati e le case
cercano di appoggiarsi a strutture esistenti e consolidate,
con le necessarie capacità tecniche ed economiche, ai quali
offrire le proprie moto ufficiali e
tutto il supporto necessario per
lo sviluppo in pista, soprattutto
per quanto riguarda la parte
elettronica. Senza una casa
alle spalle i team non possono
competere ai massimi livelli
della Superbike e a loro volta
senza un team ben strutturato
le case non hanno intenzione
di investire di tirare fuori tutto
il budget necessario per gareggiare nel mondiale delle derivate dalla serie. Ne è un chiaro
esempio il team Aruba Ducati
che si è appoggiato alla struttura ed agli uomini della Feel
Racing e può contare sul supporto economico dell’azienda
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di Arezzo. Oppure l’Aprilia, che
ha affiancato il team Red Devils
di Andrea Petricca o ancora la
Honda, che da anni collabora
con il team Ten Kate, economicamente supportato da Pata,
azienda italiana del settore alimentare. E a proposito di Pata
sono molte le voci che parlano
della possibilità che l’azienda delle patatine, ovviamente
scontenta dei risultati del team
olandese, possa il prossimo
anno supportare il team Yamaha Superbike, che a questo
punto potrebbe anche essere una delle squadre che già
quest’anno sono appoggiate in
maniera ufficiale dalla casa dei
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tre diapason. Ammesso quindi
che lo sponsor ci sia e che la
struttura ed il team, si possano
trovare, mancherebbero i piloti. Visti i trascorsi di Dosoli e di
Melandri è ovvio che radio paddock abbia subito legato i due
personaggi, per quello che sarebbe un ennesimo ritorno. E a
dare adito a queste voci è stata
la presenza di Melandri a Imola.
Abbiamo visto il pilota di Ravenna ed il suo manager a colloquio con Dosoli a tarda sera,
nella hospitality Yamaha, ma il
manager italiano della casa di
Iwata ha ovviamente glissato
sull’argomento limitandosi a
commentare che, per quanto
ne sa lui, Marco ha ancora un
anno di contratto con Aprilia.
Riteniamo che abbia ragione e
che la visita di Melandri fosse
ad un vecchio amico e non al
suo futuro team manager. Però
come sappiamo “mai dire mai”.
Ci puoi spiegare quale sia l’attività racing di Yamaha legata
alla nuova R1?
«L’impegno di Yamaha nel
racing avviene attraverso Yamaha Europe ed è abbastanza
ampio. Supportiamo in modo
ufficiale 5 team in 4 campionati
diversi. Due team nel mondiale Endurance, il GMT94 campione del mondo Endurance
nel 2014 e YART (Yamaha
Austria Racing Team), il team
Milwaukee nel British Superbike (piloti Josh Brookes e Tommy Bridewell) il team MGM nel
IDM tedesco (piloti Max Neukirchner e Damian Cudlin) ed
il team MRS Yamaha nella Superstock 1000 FIM Cup (piloti
Florian Marino e Kev Coghlan).
Inoltre, tramite i nostri distributori, supportiamo altre squadre
in vari campionati sia nazionali
che internazionali, che non si
possono definire ufficiali ma
con le quali condividiamo le
informazioni e gli sviluppi della
nuova R1M. Il nostro obiettivo è
quello di dare accessibilità alla
tecnologia racing a più team,
per fare in modo che i piloti
possano esprimere il loro potenziale a pari condizioni. Vogliamo riportare un poco di blu
nel paddock e, come avrete notato, tutte le nostre moto hanno la stessa colorazione».
Questo per un futuro in SBK?
«Non è l’obiettivo principale.
Attualmente vogliamo creare
una base e ricostruire quello
che in passato è stato lo spirito racing Yamaha. Visto che
disponiamo di una moto nata
per la pista come è la nuova R1,
dobbiamo ricostruire una base
che parte da chi va a girare in
Superbike
pista, prosegue con il team privato e arriva al team del mondiale».
Siete soddisfatti di quanto
avete fatto sino ad ora?
«Siamo contenti del lavoro
svolto sulla nostra nuova moto,
che si è già dimostrata competitiva a livello Stock in Spagna,
ha vinto nel campionato francese e in quello tedesco. Nella Superstock 1000 FIM Cup
quest’anno il livello è molto
alto e ci scontriamo con realtà
supportate direttamente dalle
case, che dispongono di ottimi
piloti. In questo campionato
stiamo crescendo ed abbiamo
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Superbike
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già ottenuto un podio con Coghlan, ma vogliamo continuare
a crescere e a migliorare».
E la Superbike?
«Attualmente vogliamo offrire
ai piloti dei campionati nazionali ed internazionali la possibilità
di competere con la nostra R1
ai massimi livelli. E’ chiaro che
però, essendosi la moto dimostrata competitiva, ci siano delle aspettative soprattutto da
parte dei team e dei piloti che
la stanno utilizzando in pista.
Aspettative che si rivolgono
ovviamente al mondiale Superbike. Al momento non è ancora
stato deciso se Yamaha entrerà nel mondiale 2016. Diverse
squadre hanno dimostrato interesse nei confronti della nostra moto per quanto riguarda
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il massimo campionato delle
derivate dalla serie, ma ad oggi
non c’è ancora nulla di definitivo e di deciso».
Scarti quindi la possibilità di
vedere un team ufficiale Yamaha in Superbike?
«Al momento si. Stiamo valutando varie possibilità, ma penso che ci potremo appoggiare
a squadre di esperienza già
presenti nei campionati delle
derivate dalla serie, che abbiano non solo le capacità economiche ma soprattutto quelle
tecniche per utilizzare le nostre
moto.
Al momento però dobbiamo
ancora chiarire al nostro interno quali strategie attuare nei
prossimi anni riguardo a questo argomento».
Yamaha è impegnata pesantemente in MotoGP. Ci sono
le risorse per la SBK?
«Come ti dicevo, se entreremo
in sbk sarà per supportare un
team che abbia innanzitutto le
capacità tecniche necessarie
per competere ad alti livelli. In
seconda battuta dovrà ovviamente avere anche la struttura
e le risorse economiche necessarie, nonché piloti in grado
di sfruttare le potenzialità del
team e della moto.
Stiamo valutando varie competenze.
La speranza è di portare avanti
questo progetto per dimostrare ai massimi livelli quale sia il
grado di competitività della nostra YZF-R1M».
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audience per le trasmissioni di Italia1, con Mediaset che lascerebbe quindi volentieri a Max la
possibilità di abbandonare momentaneamente il
microfono, per impugnare la manopola del gas.
Per quanto riguarda l’Aprilia, consentire a Biaggi di gareggiare con la quattro cilindri di Noale in
versione 2015, darebbe l’esatto valore della nuova RSV4, che i regolamenti hanno rivoluzionato
rispetto alla moto campione del mondo lo scorso
anno. In altre parole Haslam e Torres stanno facendo un ottimo lavoro, ma soprattutto in gara
Max fornirebbe alla casa italiana dati importantissimi per rendere più competitiva la superbike
veneta. A differenza di Bayliss, altro ex di lusso
tornato a correre in Superbike nei round australiano e thailandese, Max non ha mai smesso di
scendere in pista e grazie ai test effettuati con
il team di sviluppo Aprilia non è solo in perfetta
forma fisica, ma ancora pienamente in grado di
sfruttare tutto il potenziale di una moto che lui
conosce come nessun altro, per averla sviluppata e portata al titolo mondiale. Il tracciato di Misano non è stato scelto a caso, in quanto questa
pista è sempre piaciuta a Max, che nei suoi ultimi
Superbike
anni di attività qui ha conquistato due doppiette
con la RSV4 (2010 e 2012) due secondi (2011)
posti sempre con la moto di Noale ed un terzo
posto (2008) con la Ducati privata Sterilgarda.
Tutto farebbe quindi pensare che a Misano rivedremo all’opera il sei volte campione del mondo,
se non fosse che invece il diretto interessato
ha pensato bene di smentire tutto su Twitter.
“Ciao ragazzi – ha scritto Max - visti i “rumors”
vi assicuro che sarò a Misano al 100% per la @
WorldSBK ma solo come commentatore TV per
@Sport_Mediaset !!” Solo pretattica? Che il Corsaro voglia mantenere sino all’ultimo la suspense
per un ritorno in grande stile? Una smentita che
serve solo per facilitare le trattative in corso con
i gli sponsor? Oppure Biaggi sta prendendo tempo per valutare attentamente se tornare o meno
a rimettersi in gioco in un campionato difficile e
quanto meno diverso rispetto a quello nel quale
ha gareggiato e vinto sino al 2012? Staremo a vedere. La nostra speranza è naturalmente quella
di rivedere in pista Biaggi nel round di Misano e
che arrivi quindi presto un comunicato ufficiale
che trasformi i rumors in notizie certe.
MAX BIAGGI
WILD CARD A MISANO?
di Carlo Baldi | Rivedremo Biaggi nel Mondiale Superbike? Sembra sia
stata presentata a Dorna una domanda di partecipazione per Max al
round di Misano, ma su Twitter il Corsaro smentisce
T
orna o non torna? Sembra che Dorna
abbia ricevuto una domanda di partecipazione da parte dell’Aprilia per
Max Biaggi, che tornerebbe quindi in
pista nel weekend del 19, 20 e 21 Giugno al Misano World Circuit, su una RSV4, nell’ottavo round
nel mondiale Superbike. A riportarlo è il Corriere
dello Sport in un articolo a firma Federico Porrozzi. Ovviamente non è ancora dato sapere se
Biaggi sarà il terzo pilota del team Aprilia Racing
76
– Red Devils o se invece sarà in un altro box, con
il team di sviluppo della casa di Noale con il quale
da mesi il Corsaro lavora per migliorare le prestazioni della RSV4 in versione 2015. Sarebbe
un ritorno con molti risvolti positivi e con i media
pronti ad amplificare il clamore che deriverebbe
dal rivedere in pista il sei volte campione del mondo. Una maggiore visibilità per il mondiale Superbike, una molto probabile maggiore affluenza di
pubblico in circuito e certamente una maggiore
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Motocross
FRANÇOIS LEMARIEY
“SPERO DI AVERE VILLOPOTO
ANCHE NEL 2016”
di Massimo Zanzani | Il 30enne team manager della squadra ufficiale
Kawasaki fa con noi il punto della situazione in merito
all’asso statunitense assente negli ultimi due GP
F
François Lemariey è da un paio
di anni alla guida del team ufficiale Kawasaki che quest’anno
ha sostituito Gautier Paulin con
Ryan Villopoto. Purtroppo, a
parte la soddisfacente vittoria
del GP di Thailandia, la prima
parte della MXGP non ha rispettato le profonde aspettative nate con l’arrivo del fuoriclasse statunitense messo KO
dalla spettacolare e inusuale
caduta del Trentino. La frattura del coccige lo ha costretto
infatti a saltare la trasferta di
Valkenswaard, ma poi anche
quella spagnola dello scorso
fine settimana. Nel paddock
di Talavera, abbiamo fatto con
Lemariey il punto della situazione per capire le condizioni di
Ryan e non solo.
«Dopo il GP del Trentino abbiamo controllato la situazione giorno per giorno che però
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purtroppo non migliorava - ha
spiegato il manager Kawasaki
- così abbiamo deciso di farlo
tornare negli USA per farlo lavorare con il suo staff medico.
Adesso aspettiamo di sentire
quali sono le possibilità, se può
rientrare per la gara in UK o se
deve saltare altri GP, ad oggi
ancora non lo sappiamo».
Ryan come si sente?
«Ovviamente è triste, per uno
che sta correndo per il Mondiale non può essere diverso. Tra
l’altro stava facendo bene anche in piste difficili come quella
di Arco purtroppo gli dispiace
saltare le gare ma c’è ancora
speranza di rimontare per puntare al titolo».
Il problema è il dolore che prova o ci sono altre conseguenze?
«La frattura è stabile, ma è in
una parte del corpo molto sensibile e dolorosa, e se si fa male
ancora nello stesso punto può
diventare un danno serio con
un ulteriore allungo dei tempi di
recupero. Quindi non ha senso
correre soffrendo e rischiando
un peggioramento, vogliamo
che torni in buona forma fisica».
Non molti sono riusciti a capirlo, come è potuto cadere in
quel modo?
«E’ difficile da spiegare, perché
non è stata una caduta normale. Credo sia stata la pressione nel voler avere la meglio su
Desalle col quale aveva avuto
uno scambio di posizioni, il suo
punto di forza è la motivazione
e forse è andato troppo veloce
in quel rettilineo per voler battere il belga e non ha saputo reagire ai dossi del terreno».
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In questa gara avete usato un
motore diverso perché voleva
più potenza, strana decisione
considerando il fondo estremamente sdrucciolevole del
circuito trentino.
«Abbiamo apportato delle modifiche importanti e abbiamo
fatto dei test anche nei GP
precedenti per trovare il setup
giusto per lui, per adattare il
suo stile di guida alle piste che
abbiamo qui in Europa. Abbiamo lavorato in collaborazione
con Giappone e Stati Uniti per
fornirgli la miglior moto possibile e stavamo andando bene,
purtroppo la caduta è arrivata
in un momento in cui eravamo
riusciti ad avere anche il setup giusto sulle sospensioni.
E’ un peccato che per ora non
possiamo vederlo all’opera
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perché ad Arco era contento della moto, si sentiva a suo
agio, aveva un buon tempo e
stava lottando con i migliori».
Un’altra stranezza è stato il
debutto nella sua avventura
iridata direttamente con il
primo GP saltando le gare di
inizio stagione che servono
per verificare il livello di competitività del pilota e la messa
a punto della moto.
«Ha scelto lui questo programma invernale perché in America non si fanno gare prima del
Supercross, si corre subito nel
campionato. Forse è stato un
nostro errore non insistere sul
fargli provare la moto in un’altra gara, ma è stata una decisione comune di partire subito
coi GP».
E così ci si è trovati al cancello
della prima manche del Qatar
che la moto gli si è spenta… E’
stato un suo errore o un problema della moto?
«Non saprei dire - è la risposta
“politically correct” - quello che
so è che nella seconda manche ha usato lo stesso setup,
non abbiamo cambiato nulla.
Bisogna considerare che Ryan
in quel momento era molto sotto pressione, non correva da
dieci mesi ed è stato per lui un
weekend molto stressante».
Un’altra cosa che lascia perplessi è il suo ripetuto lamentìo della formula di gara dei
GP che prevede anche una
manche il sabato: come mai
un campione del suo calibro
si senta in difficoltà a dover
girare un giorno in più?
«Ryan non è abituato a correre
due giorni, e la gara di qualificazione lo stanca per le gare ufficiali in quanto lui da sempre al
cento per cento, senza pensare
troppo. Invece qui serve un po’
di strategia per arrivare alla
domenica in piena forma. Alla
gara del sabato devi pensare se
è necessario conquistare una
buona posizione al cancello
oppure no, e dopo averlo deciso devi gestisci la manche nel
modo ottimale».
alla mano, ha tanta esperienza, sa quello che vuole e noi
facciamo del nostro meglio per
soddisfarlo. Sul lavoro è estremamente professionale, quando è in gara si focalizza molto
sulla pista e sul setup per avere
la miglior moto possibile e noi
organizziamo tutto in modo
che lui possa concentrarsi sulla
gara senza distrazioni. Per il resto ha una buona relazione con
il team e si sta godendo l’esperienza europea senza particolare stress».
Che differenze trovi fra l’anno
scorso con Paulin e quest’anno con Ryan?
«Con Gautier era più facile perché è francese come molti di
noi, anche se nel team parliamo
comunque in inglese perché
abbiamo anche degli italiani,
dei tedeschi e dei belgi.
Ma con Ryan c’è un bello scambio di esperienze perché lui ha
la sua americana e noi quella europea, impariamo l’uno
dall’altro e le cose funzionano.
A livello di lavoro comunque
non ci sono molte differenze perché sono entrambi due
campioni e sanno quello che
vogliono, ogni loro richiesta
cerchiamo di soddisfarla. Ryan
però è diverso perché da’ più
luce al team, è un ragazzo semplice e se dobbiamo dirci qualcosa lo facciamo senza problemi».
Sua moglie Kristen ha molta
influenza su di lui.
«Credo che sia un membro importante del “team Villopoto”,
per lui è una guida, gli organizza le giornate nel modo migliore e si prende completamente
cura di lui».
Com’è Ryan dietro le quinte?
«Come ho detto è un ragazzo
Motocross
Ti piacerebbe averlo ancora in
squadra il prossimo anno?
«Certo, anche perché attualmente ci sembra di essere in
una situazione incompiuta.
Abbiamo lavorato bene tutti
insieme per arrivare a un buon
risultato, stavamo appena iniziando ad ottenerlo, ma le cose
non sono filate nel verso giusto.
Ai tifosi so che manca e che
mancherebbe se non ci fosse il
prossimo anno, speriamo che
almeno adesso risolva i suoi
problemi e che torni presto.
Attualmente comunque non
conosciamo i suoi programmi,
e quello del 2016 noi lo faremo
partendo dalla sua decisione».
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MXGP IN SPAGNA
2015. LE FOTO PIÙ
SPETTACOLARI
Tony Cairoli torna alla vittoria in sella a una KTM 450.
Ecco gli scatti più belli della MXGP che raccontano il
fine settimana di gare in Spagna
di Massimo Zanzani
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Motocross
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Motocross
Media
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Motocross
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RYAN DUNGEY
“RISPETTO CAIROLI, UN TALENTO
IMMENSO. CORRERE IN MXGP?
PERCHÉ NO”
Supercross
Media
di Andrea Perfetti | Il pilota KTM ha vinto il Supercross 2015 e ci parla
della sua stagione formidabile, di Villopoto e del livello raggiunto dai
piloti europei. Con qualche sorpresa
R
yan Dungey nel
2015 entra nella
storia del fantastico campionato
Supercross AMA. Vince il suo
secondo titolo nella massima
categoria (la 450), bissando
il successo ottenuto nel 2010
con la Suzuki. Nel 2015 Ryan
incorona regina del Supercross
americano un’azienda europea, la KTM con cui corre dal
2012. È stato un anno trionfale
per la Casa di Mattighofen negli
USA. Ha dominato la 450 con
Dungey (KTM SX-F 450), ma si
è anche imposta nella 250 East
Coast con Marvin Musquin
(KTM SX-F 250) e ha rischiato
l’en-plein nella 250 West Coast
con Shane Mcelrath (KTM SX-F
250), che è comunque giunto
secondo. KTM si è confermata
leader quasi incontrastata in pista, consacrando la qualità del
prodotto, il talento dei piloti,
ma anche la bravura del team
manager Roger De Coster e di
tutti i ragazzi del reparto racing
americano (ve ne parleremo in
90
dettaglio nei prossimi giorni).
Ryan Dungey ha vinto il campionato indoor – quello più
seguito in America, ma molto
popolare in tutto il mondo – a
Houston, con ben tre gare di
anticipo. Fuori Roczen (infortunatosi a una caviglia), Stewart
(per doping) e Villopoto (che
corre in MXGP contro Tony
Cairoli), Ryan ha lottato con caparbietà e ha saputo rintuzzare
gli assalti dei giovani piloti Tomac, Peick, Seely e Grant. Dungey ha dimostrato di essere un
vero campione, amministrando
il proprio vantaggio e curando gli avversari, pronto a dare
la zampata vincente quando
necessario. Lo abbiamo incontrato durante la gara del New
Jersey, quando era già campione. Lo abbiamo trovato disteso,
sorridente e felice di scambiare
due battute con la stampa europea. Ci ha parlato della sua
stagione, ma anche della sfida
tra Cairoli (di cui si è dichiarato
amico) e Villopoto. Vale la pena
ascoltarlo, perché Ryan è oggi
un pilota maturo e il suo punto
di vista non è mai banale.
Ryan, complimenti per la tua
vittoria nel Supercross 450.
Quest’anno sei sembrato in
grande forma e assistito da
una moto assolutamente perfetta, con un gran motore e
una ciclistica davvero a punto. Su che cosa avete lavorato?
«La SX-F 450 si è rivelata la
moto perfetta per vincere il
Supercross. La moto in questi
tre anni ha ricevuto un lavoro di sviluppo superbo grazie
al reparto corse americano,
che ha scambiato le informazioni e le migliorie con quello
austriaco. In questo senso il
contributo mio come quello di
Antonio Cairoli sono stati molto importanti e hanno guidato
lo sviluppo della nuova moto.
È bello vedere come questi miglioramenti siano veramente
confluiti sulla moto entrata in
produzione quest’anno: la 450
ha un bilanciamento fantastico,
è leggera e mi diverto un sacco
a usarla».
La nuova moto
Hai provato a lungo la nuova moto prima di portarla in
gara?
«Direi di no, abbiamo dato le
indicazioni durante la stagione
alla KTM. Poi abbiamo provato
la nuova SX-F 450 solo per alcuni giorni, per affinare alcuni
setting col team. Il lavoro poi
prosegue durante le gare. Ma la
base è davvero eccellente».
Parlaci delle differenze tra
questo titolo e quello vinto
nel 2010.
«Per vincere quest’anno abbiamo lottato davvero tanto,
siamo scesi in pista in ogni gara
per vincere. È stato un campionato difficile. In America la sfida
del supercross è davvero tosta,
ti confronti con piloti agguerriti,
tutti vogliono arrivare davanti e
si preparano al meglio per farlo.
È il campionato di motocross
più prestigioso qui negli US, e
entrambe le vittorie sono im-
portanti. Quella del 2010 ha un
significato speciale perché è la
prima, ma quella di quest’anno
racchiude tutto l’impegno mio
e del team per arrivare alla vittoria. La volevamo e abbiamo
lottato in ogni gara per vincere».
La tua stagione è lunghissima: 17 gare Supercross e poi
via, quasi senza sosta, con le
12 gare outdoor. Come ti prepari e come ti senti ora?
«Sì, abbiamo una stagione
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Supercross
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logorante, con 17 gare Supercross, 12 di National. Poi ci
sono anche il Motocross delle
Nazioni e la Monster Cup. Ci vogliono anni per adattarsi a questo stress, non solo fisico ma
anche mentale. Devi prepararti
al meglio, ma devi anche capire
come dosare le tue energie. Altrimenti non ce la fai a finire la
stagione da vincente. In America un pilota professionista
ha una carriera faticosa e per
questo anche breve, arrivi a 30
anni e spesso devi dire basta».
Il Motocross
delle Nazioni
Hai parlato di Motocross delle
Nazioni. È ancora importante
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per voi americani?
«Certo che lo è e ci teniamo
moltissimo. Non ci interessa
fare la passerella, ma vogliamo
tenere alto il nome del nostro
Paese e far bella figura. So che
ogni anno, tra gli appassionati,
si scatena il dibattito su quale
sia il pilota più forte al mondo.
Ma non lo si può giudicare da
un evento che si apre e si chiude in un giorno, dove non c’è
possibilità di rimediare a un errore. Comunque confermo che
resta una gara a cui anche noi
americani teniamo parecchio.
Vogliamo andare per vincere,
c’è un sacco di gente. Non mi
piace però la sorta di giudizio
finale che pende sui piloti: dopo
un giorno ti eleggono campione o perdente. D’altra parte
succede lo stesso anche nelle
Olimpiadi, ti alleni per quattro
anni, ma poi ti giudicano in pochi secondi».
Il rapporto paterno
con Roger De Coster
Hai vinto entrambi i titoli Supercross con Roger De Coster. Avete un rapporto speciale, è una secondo papà per
te?
«Hai ragione, ho un rapporto
unico con lui. Lo conosco da
quando ero un bambino, è alla
base del mio successo sportivo. Mi ha aiutato tanto, è parte
della mia vita. Mi aiuta in tutto,
dalla moto alla preparazione
mentale. Il primo titolo con la
Suzuki è stato speciale, vincevo da rookie (esordiente, nda).
Ma questo, con la KTM, è ancora più speciale perché rappresenta la vittoria anche di Roger,
che ha scommesso sulla KTM e
sul lavoro dei ragazzi austriaci.
Roger è una persona fantastica
e si merita fino in fondo questo
successo».
Come l’hai conosciuto?
«Ero un pilota amatore di 15
anni e sono andato a parlare
da Roger, spinto da mio papà.
Gli ho chiesto di mettermi alla
prova, di guardare come guidavo. E la mia vita è cambiata, in
meglio ovviamente. È stato un
incontro figo!».
La strategia di gara
nel SX e il ruolo
di Aldon Baker
Ryan, parliamo della tua
strategia di gara. Mi ricordi il
nostro Cairoli. Nei primi giri
spesso te ne stai buono, lasci che gli altri si sfoghino. E
al momento giusti sferri l’attacco che ti porta in testa.
Sei molto lucido, attento alla
strategia. Ma come fai gestire
la pressione in gare così tirate?
«Non puoi controllare tutto.
Ma certamente mi alleno tan-
to durante la settimana per
partire primo. Se parti in testa,
sei giù fuori dai guai. Fai le tue
linee, eviti i contatti coi rivali.
Ma se sei in testa al campionato, ci sono anche giorni in cui
devi ragionare e capire quando è il caso di accontentarsi di
un buon risultato e lasciare la
vittoria a un altro. Comunque
partire dietro è spesso pericoloso, ci sono troppi contatti. Si
rischia la caduta».
Hai un trainer speciale, Aldon
Baker. Ma fa davvero la differenza per voi piloti?
«Sì, Aldon è il migliore. Ti affidi
a lui, gli dai la tua fiducia e non
devi pensare più a nulla. Orga93
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Supercross
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bbbbbbbbbbbbbbb
nizza lui la tua giornata e lo fa in modo perfetto.
Credo nel suo programma e nel suo lavoro. Lui
mi dice cosa devo fare, come mi devo allenare
e io lo seguo al 100%. Ho la mente sgombra da
ogni complicazione e penso solo ad ottenere
il massimo risultato, sia in allenamento che in
gara. Baker ha portato tanto equilibrio nella mia
carriera, in pista ma anche fuori».
Quest’anno ci sono state tante novità nella tua
vita. Moto nuova, ma anche nuova vita. Ti sei
sposato!
«Sì, ci siamo sposati in novembre, ma abbiamo
fatto solo 7 giorni di luna di miele. Ho una brava
moglie, che capisce il mio lavoro e mi supporta.
È la migliore, mi sta sempre vicino e sempre col
sorriso».
Gli avversari: da Stewart a Roczen
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Quest’anno sono usciti di scena Stewart, Roczen e Villopoto. Chi sarebbe stato l’avversario
più duro da battere?
«Il più forte è Villopoto. Lo conosco bene, abbiamo corso insieme a lungo e ci siamo allenati sulle
stesse piste. È solido, forte. Ma anche i giovani
si sono rivelati fortissimi. Tanti di loro si sono dimostrati capaci di vincere una singola gara. Ma
noi li abbiamo battuti, siamo stati più costanti e
concreti».
Il commento su
Villopoto e Cairoli
Cosa pensi della stagione europea di
Villopoto?
«Ryan ormai era appagato dalle vittorie in America, aveva bisogno di nuovi stimoli e di cambiare
dopo tanti anni da top rider nel Supercross. In
Europa ha però trovato condizioni così diverse.
Qui è tutto veloce, rapido. Da voi si inizia invece
a correre già il sabato. È una sfida bella tosta,
battere i piloti europei è molto difficile. Negli ultimi 5 anni sono cresciuti tantissimo. Sfortunatamente Villopoto è caduto ad Arco di Trento e
ha perso terreno, la stagione è compromessa.
Spero possa riprendersi al più presto. Rispetto
Antonio Cairoli e gli altri della MXGP, hanno un
talento immenso. Soprattutto gli 8 titoli di Cairoli
testimoniano che è un vero, grande campione».
Nei prossimi anni cosa farai? Pensi anche tu
alla MXGP?
«Ho firmato con KTM per correre in America
con loro altri due anni, fino al 2017. Poi valuterò
il da farsi, per ora resto concentrato sui prossimi
obiettivi. Non escludo nulla».
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