la domenica - La Repubblica

la domenica
DI REPUBBLICA
DOMENICA 22 MARZO 2015 NUMERO 524
Cult
La copertina. Videogiochi, addio vecchi eroi
Straparlando. Andrea Carandini: “ Così scavo in me stesso”
Mondovisioni. Un trampolino a Oslo
Il primo aprile 1965
nasceva la rivista
che rivoluzionò il fumetto
(e un po’ anche l’Italia)
50
anni
1 APRILE 1965, LA PRIMA COPERTINA DI “LINUS”. PER GENTILE CONCESSIONE DELL’EDITORE BALDINI&CASTOLDI
di
NA TALIA ASPESI
MPROVVISAMENTE, IN QUEL LUMINOSO 1965,
i fumetti diventarono chic, preziose
opere di contenuto artistico, sociale, politico, letterario, che richiedevano l’attenzione degli intellettuali più brillanti, in quel tempo una vera folla di giovani e
giovanilisti combattivi, più o meno comunisti o socialisti e superbamente nazionalpopolari, appassionati alla cultura accademica
e a quella di massa. Era un gioco, un piacere,
un divertimento, però sottoposto all’approfondimento di una curiosità colta e impaziente. Questi coraggiosi innovatori erano tutti uomini, ma il luogo in cui l’idea di Linus era nata, era in mano alle donne. Era la
MilanoLibri, di fianco alla Scala, quindi nel
centro più solenne della città e le intraprendenti signore erano Anna Maria Gandini,
Laura Lepetit e Vanna Vettori (presto ritiratasi) che la rilevano nell’aprile del 1962. E
che organizzano, con il metodo lanciato da
Feltrinelli, una libreria che non faccia sog-
I
gezione, con i libri esposti sui tavoli in modo
che si possano prendere in mano e leggere:
Feltrinelli ha addirittura avuto il coraggio di
metterci un juke-box in libreria. Le signore
della MilanoLibri viaggiano, e tornano a Milano cariche di tomi stranieri illustrati e curiosi. Cominciano a importare dagli Stati
Uniti, con crescente successo, i libri a strisce
disegnati da Charles M. Schulz, con le storie
dei Peanuts. Sono in lingua originale, ma pare che anche chi l’inglese lo balbetta non rinunci alle avventure infantili di Charlie
Brown, di Lucy, di Linus, del cane Snoopy.
Attorno ai Peanuts si riunisce un gruppo di
amici mai sazi di cultura, novità, cazzeggio e
bevute al bar. E l’animatore è Giovanni Gandini, marito di Anna Maria, che lavora alla
casa editrice Ricordi nel settore audiovisivo,
con Nanni Ricordi, e che Paolo Interdonato,
autore della memorabile biografia dedicata
a Linus, definisce “un funambolo capace di
rimanere in bilico per un tempo apparentemente infinito, sull’effimero e sul bello”.
SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE
L’attualità
“Vi aspetto”
Zineb sfida
gli
integralisti
L’immagine
A Ellis
Island
i fantasmi
di JR
Next
Noi, traditi
da internet
L’incontro
Chi ha
paura
di Mr.
Deaver?
U MB E RTO E CO
E NON VADO ERRATO siamo rimasti
solo in quattro, testimoni viventi
dei mirabili eventi che hanno portato alla nascita di Linus: Anna
Maria Gandini, Bruno Cavallone,
Vittorio Spinazzola ed io. Allora credevamo
solo di divertirci e, leggendo anche il bel libro
di Paolo Interdonato, (che dice tutto, veramente tutto, sulla storia di Linus), mi accorgo che stavamo facendo storia. Storia minore, certo, ma indubbiamente Linus ha contato molto per più di una generazione. Ricordo solo il mio disappunto quando avevo
cercato di avere i diritti per Charlie Brown da
pubblicare presso la Bompiani, e invece Giovanni Gandini mi aveva detto che li aveva già
ottenuti lui. Poco male, e la soddisfazione ha
vinto il disappunto: mi interessava più che
Charlie Brown apparisse in italiano che non
che apparisse presso l’editore per cui lavoravo. E così ho scritto la prefazione, credendo di dire cose scontate e invece trent’anni
S
dopo la New York Review of Books ha voluto
pubblicare quel saggetto come se fosse una
inedita riscoperta di Schulz. Nemo profeta in
patria, si vede. Eppure avevo appreso proprio da saggisti americani che i fumetti dovevano essere considerati con attenzione
critica. Di quei tempi ricordo con nostalgia le
serate passate al bar Oreste di piazza Mirabello (che poi nel mio Pendolo di Foucault ho
fatto diventare il bar Pilade sui Navigli).
Gandini ci portava tanti suoi amici, tra i quali ricordo (dati i recenti eventi) Wolinski (mi
aveva regalato una mia caricatura, che ho riscoperto con commozione proprio nei giorni
del massacro a Charlie Hebdo). Ma venivano anche Topor, Copi e altri. Il bar Oreste era
una sorta di osteria galattica alla Star Wars,
dove apparivano sessantottini, giornalisti
rappresentanti del sistema ormai in eschimo, belle ragazze che battevano soavemente il pube contro il flipper senza farlo andare
in tilt, e un venditore di cravatte che tutti riconoscevano come una spia della polizia.
SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE
la Repubblica
LA DOMENICA
DOMENICA 22 MARZO 2015
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Le copertine. 1965 - 2015
BARBARELLA
(CHESTER GOULD) OTTOBRE 1967
LI’L ABNER
(AL CAPP) FEBBRAIO 1968
VALENTINA
(GUIDO CREPAX) GENNAIO 1969
DICK TRACY
(CHESTER GOULD) LUGLIO 1970
CORTO MALTESE
(HUGO PRATT) GIUGNO 1974
Le signore della MilanoLibri, Odb, Eco
e poi i Peanuts, Popeye, Doonesbury
Storia di una rivista nata col pollice in bocca
<SEGUE DALLA COPERTINA
N A T A LI A S P E S I
LA PRIMA - 1 APRILE 1965
LINUS (CHARLES SCHULZ)
CON LA SUA IMMANCABILE COPERTA
E IL POLLICE IN BOCCA
È IL PERSONAGGIO DEI PEANUTS
SCELTO PER LA PRIMA COPERTINA
DELLA STORICA RIVISTA
TTORNO a lui altri giovani appassionati di storie disegnate a quadri e quadretti. Franco Cavallone, futuro potente notaio, che inventa il linguaggio italiano dei Peanuts; suo fratello Bruno, impegnato nella carriera accademica alla facoltà di giurisprudenza a Milano e traduttore dell’opossum Pogo. Gli altri sono un procuratore legale, Ranieri Carano, un grafico dello studio Unimak,
Salvatore Gregorietti, il critico letterario Vittorio Spinazzola,
Umberto Eco, semiologo e in quegli anni condirettore della Bompiani e Oreste del Buono, scrittore, direttore di giornali, critico,
traduttore, giornalista. Si unisce a loro l’avvocato Francesco
Mottola, il più accanito appassionato dei Peanuts. Si accavallano i progetti. Eco vorrebbe prendere i Peanuts per la Bompiani,
ma gli amici sono più veloci, nasce l’editrice Milano Libri che pubblica nel 1963 il primo libro
dei Peanuts tradotto in italiano, Arriva Charlie Brown!. Poi finalmente si concretizza un progetto molto audace, una rivista mensile di superfumetti! Il primo numero esce l’1 aprile 1965,
e non è un pesce, uno scherzo. È un terremoto nel mondo sotterraneo dei divoratori di strisce
che non devono più occultare quella passione ma possono vistosamente esibirla: leggere Linus
diventa sin dai primi numeri un gesto colto e alla moda. Oggi Interdonato, che di professione è
un prezioso consulente informatico, «a modo» dice lui, occhioni neri e riccioli neri, ricorda: «Avevo dieci anni alla fine degli anni ’70, mio padre mi regalò un pacchetto di vecchi Linus presi su
una bancarella e da quel momento la mia vita cambiò». Ormai il consulente informatico è diventato un dizionario, un archivio, un laboratorio, un’inarrivabile memoria dei fumetti di tutto il mondo, Paperino e Manga compresi. Dice
Anna Maria Gandini: «Io mi ero un po’ stancata
di parlare sempre di Linus, e non gli ho detto
niente: ha fatto tutto da solo un lavoro enorme
di ricerca, un libro perfetto».
La Milano di quella seconda metà degli anni
‘60 è speciale, vive forse il suo momento più vivace e culturalmente appassionato. Giorgio
Marconi apre il suo Studio e nella prima mostra,
nel 1965, espone giovani artisti italiani che diventeranno famosi, Tadini, Adami, Schifano,
Del Pezzo. L’anno prima, alla Biennale di Venezia, è arrivata la pop art portata dalla Cia. Le ragazze hanno tagliato le gonne tra la disperazione dei padri, ancora non pensano al femminismo ma la Lepetit ha già fondato una piccola casa editrice, La Tartaruga, che pubblica solo testi scritti da donne. La gente legge, si ferma alle edicole per vedere se ci sono novità, prende
coraggio e entra nelle librerie: tra i libri italiani
più venduti, in quegli anni, La noia di Moravia,
Il giardino dei Finzi Contini di Bassani, La tregua di Levi, Il male oscuro di Berto. Ma vendono
anche saggi importanti di Marcuse, Foucault,
A
Quando
ilfumetto
diventò
grande
LA PROSSIMA - 1 APRILE 2015
50 ANNI DI PERSONAGGI (S. PONCHIONE)
WOLINUS
(GEORGES WOLINSKI) FEBBRAIO 2015
CUL DE SAC
(RICHARD THOMPSON) DICEMBRE 2008
Levi Strauss, Reich. In edicola si installano gli
Oscar Mondadori e il primo titolo, Addio alle armi di Hemingway, vende duecentottantamila
copie e I Malavoglia di Verga supera il milione.
Per i divoratori di fumetti ci sono anche quelli
dei supereroi, Batman e Nembo Kid, da anni i ragazzini si dividono tra Topolino della Mondadori e Tex dei Bonelli, tuttora il fumetto più venduto in Italia. Tre anni prima di Linus, le geniali sorelle Giussani hanno inventato Diabolik e,
dice lo studioso Interdonato, «in formato tascabile, pensando ai pendolari che ogni giorno arrivano dalla Nord e che loro vedono dalla finestra di casa».
Il primo numero di Linus dalla grande copertina verde e a sessantaquattro pagine, è frutto
di accese discussioni tra i suoi ideatori, che a differenza di altri fumettari danno molta importanza all’autore: contiene i Peanuts di Schulz;
Crazy Cat di Harriman, triangolo amoroso in cui
il cane ama il gatto che ama il topo armato di un
mattone, odiato dal cane: ‘Li’l Abner’ di All
Capp, allegro scontro tra una comunità rurale
felice e miliardari spietati; e infine Popeye cioè
Braccio di ferro firmato dal primo autore, Segar,
che nel 1946 era già apparso sulla rivista sofisticata Il Politecnico di Vittorini. Un mese dopo
entrerà gloriosamente nella rivista il primo disegnatore italiano, Guido Crepax, con la sua bella e misteriosa Valentina, prima e forse ultima
portatrice di erotismo gentile in un mondo maschile. I primi anni della rivista sotto la direzione di Giovanni Gandini sono anche i più felici. Linus, che pareva isolato dal mondo dentro i suoi
mondi a fumetti, comincia ad essere tempestato di lettere: sono i giovani a scrivere e quindi la
rivista, dubbiosa, deve aprirsi a ciò che in quel
momento più interessa ai giovani: la politica.
Iniziano dialoghi e polemiche. “È chiaro che All
Capp è fascista...”, “Vi raccomando, non fate della politica...”. Risponde il giornale: Linus non è
una rivista rivoluzionaria, si accontenta di ironizzare sul costume e forse anche sulle strutture sociali cercando di divertire. Ma il fuori si intrufola per forza tra Pogo e Barbarella, tra Dick
Tracy e Wolinski, tra Copi e Topor, che si installano a casa Gandini trovandosi benissimo a Milano. Poi, agli inizi dei ’70 «i lettori scomparvero da un giorno all’altro» racconterà anni dopo
LABIRINTI
(LORENZO MATTOTTI) LUGLIO 1997
ERITREO CAZZULATI
(ENZO LUNARI) NOVEMBRE 1996
la Repubblica
DOMENICA 22 MARZO 2015
LUCY E SNOOPY
(CHARLES SCHULZ) SETTEMBRE 1975
I LIBRI
“LINUS - STORIA DI UNA RIVOLUZIONE NATA
PER GIOCO” DI PAOLO INTERDONATO (RIZZOLI
LIZARD, 256 PAGINE, 20 EURO) IN USCITA
AD APRILE, VERRÀ PRESENTATO A MILANO
ALLA LIBRERIA UTOPIA MARTEDÌ PROSSIMO
ALLE 18. “LE SEICENTO COPERTINE DI LINUS”
(BALDINI&CASTOLDI, 608 PAGINE, 50 EURO)
SARÀ INVECE IN LIBRERIA I PRIMI DI MAGGIO
Oreste del Buono che nel 1972 aveva rilevato la
direzione di Linus venduto alla Rizzoli perché
Gandini non si divertiva più e al mensile non bastava il meraviglioso chiacchiericcio in libreria
ma aveva bisogno di una struttura aziendale.
«Restavano solo i vecchi perché i ragazzi se ne
erano andati in massa…». Erano cominciate le
agitazioni studentesche, e può darsi che i giovani lettori non si fossero stancati di Linus, forse «quelli in prima fila nelle agitazioni, nel tentativo di rinnovare e cambiare la palude, e che
erano stati nostri lettori avevano trovato qualcosa di meglio, di più importante da fare che leggerci». Ricorda Anna Mari Gandini: «I ragazzi
che erano venuti spesso in libreria coi soldi di
papà, tornarono annunciando un esproprio proletario. Ma io non li lasciavo uscire senza pagare. E pagavano».
A cinquant’anni dalla sua nascita in una Milano viva, giovane, piena di un futuro che poi
non c’è stato, adesso, in un mondo totalmente
cambiato, in una Milano intristita e spaventata, Linus è ancora vivo, diretto da Stefania Rumor, edito da Baldini & Castoldi. Ci sono ancora i Peanuts, anche se Schulz non c’è più, Pogo,
Doonesbury, Dilbert, ma anche personaggi
meno storici come Konrad & Paul, di Ralf König, una coppia omosessuale sempre in canottiera. La copertina di aprile, disegnata da Sergio Ponchione, contiene centodiciotto personaggi dei fumetti linusiani, e a maggio,
per festeggiare, la Baldini & Castoldi
pubblicherà un libro con le sue seicento copertine.
Il fumetto è eterno, è soprattutto maschio: i fumettologi scrivono saggi sull’oceanico argomento, i fumettomani spaziano dalle strisce
storiche alle graphic novel
per il secondo anno candidate allo Strega, e Il Fatto suggerisce alla giuria del premio
“i quindici buoni motivi” per
cui quest’anno Dimentica il
mio nome di Zerocalcare “deve vincere”. Tra l’altro perché,
“l’autore scava nel vissuto”.
B.C.
(JOHNNY HART) OTTOBRE 1976
GIRAFFE
(MORDILLO) DICEMBRE 1978
<SEGUE DALLA COPERTINA
ORESTE DEL BUONO
U MB E R T O E CO
I
O SONO UN CONVERTITO A CHARLIE BROWN.
All’inizio non mi piaceva affatto. Intanto il
mio interesse per i fumetti era diretto al
genere avventuroso e Charlie Brown non
mi divertiva. Trovavo persone che
ridevano, leggendo Charlie Brown, e cercavo
questa parte di comico senza trovarla. Però a
un certo punto è avvenuta proprio una specie
di rivelazione: ho scoperto che i fumetti di
Charlie Brown sono assolutamente realistici. È
avvenuta addirittura un’identificazione:
Charlie Brown sono io. Da questo punto ho
incominciato a capirlo. Altro che comico, era
tragico, una tragedia continua. Ed ecco
finalmente ne ho cominciato a ridere.
Un fumetto come diagnosi, prognosi ed
esorcismo.
(Dall’intervista di Umberto Eco a Elio Vittorini
e Oreste del Buono sul primo numero di Linus.
Sotto il direttore della rivista con la redazione
e con il suo successore, Fulvia Serra)
ANDINI ERA UN VULCANO di idee e
G
© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA
KRAZY KAT
(GEORGE HERRIMAN) GIUGNO 1996
IL DR RIGOLO
(PERICOLI E PIRELLA) NOVEMBRE 1976
Folgorato
Ma nella Milano
sulla via
del barOreste
di Charlie Brown splendeva il sole
© COURTESY SALVATORE GREGORIETTI
POGO
(WALT KELLY) NOVEMBRE 1974
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trascinava tutti. Tutti ha
trascinato, non solo nell’impresa
Linus ma sino all’esperimento
gloriosamente fallimentare del
Giornalone, e scopriva a mano a mano, dopo
Pogo Possum, Krazy Kat, Li’l Abner e sodali,
anche Crepax, Girighiz, Pratt e altri.
L’ultima volta che ho visto Giovanni, a Venezia,
non riusciva quasi più a parlare e risolveva
rebus e parole crociate, intrattenendosi sui più
difficili. Forse, se avesse avuto tempo, avrebbe
fondato una rivista di enigmistica autre. Come
sarebbe stata poteva dirlo solo lui, e ha portato
il suo segreto con sé.
Ranieri Carano traduceva quasi tutto, Vittorini
e del Buono davano inizio a una lettura colta del
fumetto classico (e Vittorini lo aveva fatto sin
dai tempi del Politecnico), Franco Cavallone,
con le sue orecchie da personaggio di Walt
Disney, ricreava Charlie Brown in un italiano
schulziano. Poi, dopo la pubblicazione
americana del mio saggio, ho incontrato a
Parigi Schulz che, come prima domanda, mi ha
domandato “Che cosa pensa di Gesù Cristo?”,
segno che non avevo sbagliato a leggere i suoi
fumetti come un testo che manifestava
qualche preoccupazione (come dire?)
spirituale.
Vecchi tempi, quando Snoopy rievocava una
notte buia e tempestosa, ma per noi erano
giorni solari. Rivisitarli è una gioia, oltre che un
dovere. E un modo di ritrovarsi, oggi, tra
superstiti.
(Dall’intervento tenuto in occasione
del convegno organizzato
dall’Università Statale di Milano
sui “Cinquant’anni di Linus” il 5 marzo scorso)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
CALVIN & HOBBS
(BILL WATTERSON) SETTEMBRE 1995
I PEANUTS
(CHARLES SHULZ) APRILE 1995
MAUS
(ART SPIEGELMAN) MARZO 1991
CIPPUTI
(ALTAN) DICEMBRE 1980
BOBO
(SERGIO STAINO) AGOSTO 1982
DOMANI
SU REPTV NEWS (ORE 19.45, CANALE 50
DEL DIGITALE E 139 DI SKY) NATALIA
ASPESI RACCONTA LA MILANO DI LINUS
DOONESBURY
(GARRY TRUDEAU) NOVEMBRE 1990
la Repubblica
LA DOMENICA
DOMENICA 22 MARZO 2015
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L’attualità. Sotto tiro
Il giorno dell’agguato a “Charlie Hebdo” non era andata in redazione
La sua colpa è di aver scritto, insieme a Charb, “La vita di Maometto”
Ma soprattutto è quella di essere donna, marocchina e atea: “Tutte cose
insopportabili per gli integralisti”. Che ora l’hanno condannata a morte
LE IMMAGINI
AN AI S G I N O R I
PARIGI
ERO A CASABLANCA.
MANDAI IL MIO
ARTICOLO, MA NON
RICEVETTI RISPOSTA...
ORA PER GLI JIHADISTI
UCCIDERMI
NON È UN’OPZIONE
MA UN OBBLIGO.
CAPITOLARE SAREBBE
DA VIGLIACCHI
E POI NON SERVIREBBE
A NIENTE. E ALLORA
ECCOMI: VI ASPETTO
HARLIEÈUNADONNA che cammina stretta tra due guardie del corpo, mentre altri poliziotti bloccano al traffico un’intera strada
per isolare e proteggere la macchina sulla quale deve salire.
«Adesso faccio parte del piccolo e maledetto club di persone
da abbattere solo per quello che dicono o scrivono». Per lei non
c’è stato neppure bisogno di una fatwa, un editto religioso. È
bastato un hashtag, diventato in poche ore il più popolare sui
siti jihadisti: #obligation de tuer zineb el rhazoui pour venger
le prophète, “obbligo di ucciderla per vendicare il Profeta”:
«Non è un’opzione ma proprio un obbligo». Zineb El Rhazoui
arriva scortata nella sede di Libération, dietro place de la République. Sale all’ultimo piano, entra nella stanza hublot, come l’oblò dal quale si vede tutta Parigi, in quella che da un paio di mesi è la redazione provvisoria di Charlie Hebdo. Il giorno prima è stata costretta ad annullare l’incontro con Repubblica, le autorità le hanno chiesto di abbandonare in poche ore il suo domicilio per trasferirsi in un luogo segreto e sicuro. «Devo risolvere una serie infinita di piccoli e grandi problemi. Non sono preoccupata per me, ma per chi mi sta accanto». Nei siti jihadisti è citato anche suo marito, lo scrittore marocchino Jaouad Benaissi. «Non lavora a Charlie, non è un
personaggio pubblico ma si ritrova suo malgrado travolto da questa shit storm».
Prima di riuscire a parlare con Zineb ci sono vari filtri, perquisizioni. Fino a qualche settimana fa, nessuno o quasi conosceva il suo volto. Ora la sua foto accompagna le minacce di
morte che circolano in Rete. Sono appelli precisi, dettagliati. «In mancanza di una pallottola o di esplosivo, viene suggerito di isolarmi e schiacciarmi la testa con dei sassi, sgozzarmi,
darmi fuoco. E se proprio non c’è altro da fare, bruciare la mia casa». Snocciola le diverse possibilità come se parlasse di un’altra persona, con un misto di ironia e sfida. «Bene, stronzi, vi
aspetto» ha reagito in televisione, subito dopo la notizia dell’hashtag minatorio, a febbraio. Ora tutto è diventato meno virtuale.
La convivenza forzata con gli agenti, i traslochi imposti nella notte, qualsiasi movimento, incontro, sottoposto a verifiche. La libertà non è più quella di prima. Zineb controlla ogni parola. «Ok, ho sbagliato a dire
stronzi. Non bisogna insultare. Diciamo integralisti, ok?».
Alle undici del mattino ha già finito
il primo pacchetto di sigarette slim
alla menta. «Per gli integralisti rappresento una visione insopportabile». È donna, giovane, nata a Casablanca il 19 gennaio 1982, è una musulmana atea, una sociologa delle religioni
che ha deciso di lavorare in un settimanale satirico, laico e anarchico. Dentro
C
ZINEB EL RHAZOUI,
33 ANNI,
SOCIOLOGA
DELLE RELIGIONI
E GIORNALISTA
DI “CHARLIE
HEBDO”,
QUI SOPRA,
AL CENTRO
DELLA FOTO,
DURANTE
IL CORTEO
PARIGINO
DELL’11 GENNAIO
SCORSO.
IN BASSO
A SINISTRA
UN SUO RITRATTO
a Charlie Hebdo è l’unica a parlare arabo, ha
fatto l’esegesi di libri antichi e riservati agli
specialisti dell’Islam. «Sono la prova vivente
che non esiste lo scontro di civiltà, ma la scontro tra una barbarie e la civiltà». Come tante
bambine marocchine, Zineb è cresciuta seguendo l’educazione islamica obbligatoria a
scuola. «Ma non eravamo costrette a mettere il velo, né c’erano classi separate tra maschi e femmine, come vorrebbero fare gli integralisti oggi». A diciotto anni è arrivata a
Parigi per fare l’università, si è iscritta al master di sociologia delle religioni all’Ehess, la
scuola di scienze sociali dove sono passati Lévi-Strauss, Bourdieu, Foucault. Ha vissuto
due anni in Egitto, insegnando all’università del Cairo, prima di decidere di tornare in
Marocco, nel 2007. «Sentivo che era lì che dovevo fare le mie battaglie». Zineb scrive su
Le Journal Hebdomadaire, giornale francofono e indipendente. Insieme a un gruppo
di amici fonda “Mali”, acronimo di Mouvement alternatif pour les libertés individuelles, che in arabo marocchino significa anche
“Cosa c’è che non va?”. Nel 2009 il Mali organizza un picnic all’aperto durante il periodo di Ramadan per protestare contro l’articolo 222 del codice penale che mette in pri-
Je suis
Zineb
la Repubblica
DOMENICA 22 MARZO 2015
gione chiunque mangi pubblicamente durante il digiuno religioso. Zineb e gli altri militanti vengono arrestati, poi rilasciati. L’anno dopo, la polizia entra nella redazione de
Le Journal Hebdomadaire, mette i sigilli.
Nel 2011, con le primavere arabe, diventa
portavoce del “movimento del 20 febbraio”,
data della prima di una serie di manifestazioni per chiedere riforme democratiche.
Presto i contestatori si dividono, la repressione si fa più dura. Zineb decide di lasciare
Casablanca per la Slovenia dov’è stata inserita nel programma “Icorn”, l’International
Cities of Refuge Network, che dà rifugio a
scrittori e giornalisti perseguitati. «Se fossi
rimasta in Marocco sarei davvero finita nei
guai» ricorda fumando un’altra sigaretta.
È durante la sua fuga che incontra la banda di Charlie Hebdo. Una giornalista del settimanale la intervista a Parigi sulle primavere arabe. Due giorni dopo è a pranzo con i
vignettisti Charb e Riss. Zineb comincia a
mandare articoli sul mondo arabo, su quella
che chiama «decostruzione dell’ideologia
integralista», offre una sponda erudita per
rispondere alle critiche che il giornale riceve
dal 2006, quando pubblicò le vignette danesi su Maometto. Una mattina il direttore
Charb chiama Zineb in Slovenia: «E se raccontassimo chi era davvero Maometto? Tutti conoscono la vita di Gesù o Mosè, nessuno
quella del messaggero di Allah». Lei scrive i
testi, lui disegna. Una cosa seria, senza caricature né battute. La biografia a fumetti, allegata al giornale, diventa un libro, con note
bibliografiche in cui l’autrice rimanda agli
antichi racconti sulla vita del Profeta. «Non
abbiamo inventato nulla, anche perché la vita di Maometto è già abbastanza straordinaria così». Il Profeta è rappresentato con l’omino giallo, feticcio di Charb.
Il 7 gennaio scorso Zineb era nella casa di
famiglia in Marocco. Aveva messo la sveglia
presto, doveva mandare una proposta di articolo prima della riunione di redazione. La
sua email è rimasta senza risposta. Zineb ha
continuato per tutto il giorno a chiamare
Charb, anche se ormai sapeva che era morto. Non voleva crederci. Era lui il più coraggioso di tutti. Ogni volta che si trovava davanti a un problema, gridava ai colleghi «Allah Akbar!». Un giorno Zineb gli chiese di
smetterla. «Quando verranno per ucciderti
non sapremo se è uno scherzo» gli aveva detto. A dicembre, avevano pranzato insieme
prima delle vacanze. Il vignettista-direttore
ironizzava sulle difficoltà finanziarie del
giornale, sulle questue cui era costretto
presso le istituzioni per sopravvivere. «Mi ritrovo a battere come una puttana» le aveva
detto. La redazione è sempre stata molto
maschile, osserva Zineb, «ma col tempo
Charlie ha imparato a essere femminista.
Noi ragazze siamo riuscite a farci rispettare». Qualche settimana fa sono venute a Parigi delle guerrigliere curde che combattono
l’Is. «Gli integralisti le temono più degli uomini. Sono convinti che se vengono uccisi da
una donna non avranno lo statuto di martiri
e quindi niente Paradiso, niente vergini: una
fregatura, insomma».
Ogni tanto vede Tignous o Charb all’angolo della strada, in mezzo alla folla. Allucinazioni. «Non abbiamo avuto il tempo di elaborare il lutto». Della paura non vuole parlare. «Sono finita in mezzo a una guerra, sarebbe da vigliacchi capitolare per salvare la
pelle. E comunque non servirebbe». Sta preparando il prossimo articolo. La traduzione
commentata di un questionario dell’Is a
proposito della vendita di donne. Ne racconta qualche estratto. «”Se compro due sorelle
posso fare sesso con tutte e due?”. Risposta
del Califfato: “No, una può essere compagna,
l’altra domestica”. “Se una delle mie schiave
ha un bambino, posso rivenderlo?”. “Sì”.
“Quando compro una donna posso fare l’amore subito?”, “Se non è vergine bisogna
aspettare che abbia il ciclo per essere sicuri
che non sia incinta”». L’articolo di Zineb
uscirà presto su Charlie Hebdo. Era la proposta che aveva mandato a Charb il 7 gennaio. «Ho interpretato il silenzio come un sì».
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Il mio Georges
mi dà ancora
la buonanotte
MA R Y S E W OL I NSKI
ONOBBI GEORGES nel maggio
C
IL LIBRO
ZINEB HA SCRITTO
I TESTI PER LA “VITA
DI MAOMETTO”
DISEGNATA
DA CHARB,
IL DIRETTORE
DI “CHARLIE
HEBDO” UCCISO
DA DUE TERRORISTI
INSIEME AD ALTRE
UNDICI PERSONE
IL 7 GENNAIO
SCORSO DURANTE
L’ATTACCO
ALLA RIVISTA
SATIRICA
del 1968. Fu amore a prima
vista. Lui era praticamente
l’opposto di tutti gli altri
uomini che avevo
conosciuto, ed era l’opposto di tutto
quello che i miei genitori avrebbero
desiderato per me. Ero cresciuta in una
famiglia cattolicissima, severissima:
ridere e scherzare era qualcosa che
semplicemente non si faceva, da noi.
Georges mi faceva ridere.
Avevamo gli stessi valori — tolleranza,
libertà, pace, uguaglianza — ma non
avevamo necessariamente le stesse idee.
A volte, quando ero seduta alla scrivania,
a casa, lui veniva, si sedeva accanto a me
e cominciava a disegnarmi. In molte
delle sue vignette c’era una donnina
bionda: quella ero io. I suoi colleghi mi
dicevano: «Ah! Eccoti di nuovo Maryse! Ti
ha messa di nuovo in un suo disegno!».
Ma se pensava che il disegno non mi
sarebbe piaciuto, allora disegnava una
donnina mora, così non avrei potuto
35
riconoscermi.
Non aveva mai disegnato Maometto. Le
sue vignette erano più a tema politico o
sessuale, perciò almeno io non avevo la
minima idea che ci fosse un pericolo in
agguato. E invece in un recente numero
di Charlie Hebdo Riss, il nuovo direttore,
ha parlato dei dubbi di Georges. Pare che
facesse domande tipo «stiamo mettendo
in pericolo la nostra vita?».
Georges è rimasto innamorato fino alla
fine. C’era in particolare una cosa che
faceva che mi strappava sempre un
sorriso. Nei giorni in cui non ci
vedevamo, o se la sera dovevo uscire, mi
lasciava dei piccoli bigliettini, dei post-it.
Poteva esserci scritto “Oggi ho fatto
questo o quello”, oppure se quella sera
avevo una riunione difficile magari mi
scriveva una cosa come «Un bacio al tuo
bellissimo sorriso». Quello che ho fatto —
perché come potete immaginare, dopo
quarantasette anni, ora che se ne è
andato è un momento difficilissimo per
me — è stato attaccare tutti questi postit, uno dopo l’altro, in giro per
l’appartamento. L’ultimo che vedo prima
di andare in camera da letto dice:
«Buonanotte tesoro».
(Traduzione di Fabio Galimberti)
Maryse Wolinski è la moglie di Georges
Wolinski, ucciso nella redazione
di Charlie Hebdo il 7 gennaio 2015.
Questo testo è tratto da un’intervista
a ©BBC World Service ed è pubblicato
per gentile concessione dell’autrice
© RIPRODUZIONE RISERVATA
la Repubblica
LA DOMENICA
DOMENICA 22 MARZO 2015
36
L’immagine. Parlare al muro
©JR / FOTO ARCHIOVIO: NATIONAL PARK SERVICE, STATUE OF LIBERTY NATIONAL
SBARCO.
L’ARRIVO DEI MIGRANTI A ELLIS ISLAND IN UNA FOTO D’ARCHIVIO. ACCANTO, GRANDE, LA STESSA FOTO RIVISITA DA JR
©JR / FOTO ARCHIOVIO: NATIONAL PARK SERVICE, STATUE OF LIBERTY NATIONAL
INDESIDERABILI.
UNA DONNA ATTENDE SDRAIATA SU UNA PANCA LA NAVE CHE LA RIPORTERÀ INDIETRO. QUI SOPRA COME LA RICORDA JR
NONNA.
ARRIVATA A NEW YORK DALLA CECOSLOVACCHIA. A DESTRA, LA SUA GIGANTOGRAFIA NELL’OSPEDALE ABBANDONATO
I fantasmi
diEllis Island
la Repubblica
©JR
DOMENICA 22 MARZO 2015
37
“All’inizio
ci chiamavano
vandali, oggi
artisti. Almeno
è più facile spiegare
a mia madre
quello che faccio”
IL LIBRO E LA MOSTRA
“THE GHOST OF ELLIS ISLAND” (DAMIANI,
120 PAGINE, 29 EURO) SARÀ IN LIBRERIA
IN LINGUA INGLESE ALL’INIZIO DI APRILE.
PER VISITARE IL PROGETTO “UNFRAMED ELLIS
ISLAND”: WWW.SAVEELLISISLAND.ORG.
QUI SOPRA JR AL LAVORO
D A R I O P AP P A L A RDO
©JR / FOTO ARCHIOVIO: LIBRARY OF CONGRESS
T
Vecchie foto di migranti tappezzano le stanze vuote
dell’ospedale sull’isola “delle lacrime”, a New York
L’autore è JR, inafferrabile star della Street Art
UTTO NASCE DA UNA MACCHINA FOTOGRAFICA abbandonata sul metrò di Parigi. Un ragazzo di diciassette anni la trova, la accende e, da quel momento, smette di essere un graffitaro come tanti e diventa JR. Scatta
ritratti di giovani delle banlieue, li lascia in giro per Parigi: diventano
la serie Portrait of a Generation e sollevano l’attenzione sulle periferie, ancora prima dei tumulti del 2005. Quel ragazzo continua a fare lo
stesso negli slum di Nairobi, nelle favelas di Rio. Tra degrado e spazzatura dispone gli occhi enormi degli ultimi: poveri, donne, bambini,
quelli che non entrano nelle gallerie dello star system. Oggi, a trentadue anni, quello che ormai è uno street artist solo fino a un certo punto, è conteso da musei e collezionisti di tutto il mondo, ha esposto alla
Tate e alla Biennale di Venezia: in questi giorni è protagonista di una
grande retrospettiva a Hong Kong, l’editore Phaidon gli dedica la prima importante monografia, mentre il mese prossimo presenterà al Tribeca Film Festival il cortometraggio Les Bosquets.
Ma, soprattutto, JR ha riaperto gli spazi storici dell’ospedale di Ellis Island, New York, firmando
un progetto che ha riattivato un’area rimasta chiusa per sessant’anni. Era lì che si decideva il destino di tanti migranti in cerca del sogno americano. Circa un milione e duecentomila persone
(il dieci per cento dei dodici milioni sbarcati a Ellis Island), dagli inizi del Novecento agli anni
Trenta, hanno vissuto in quelle stanze: tremilacinquecento hanno concluso lì la loro vita; trecentocinquanta vi sono nati. Dai loro letti si poteva vedere la Statua della libertà. Come racconta con spettacolari immagini il volume in uscita all’inizio di aprile da Damiani, The Ghosts of Ellis Island (ci sono anche i disegni di Art Spiegelman), JR ha ritrovato quei fantasmi negli archivi. Ha selezionato, ristampato e ingigantito fotografie dell’epoca. Quelle persone — pazienti, medici, infermieri — ora si riaffacciano negli stessi ambienti dove hanno vissuto. Sulle pareti, sulle
finestre, sui pavimenti campeggiano i loro ritratti a ritrovare il tempo perduto. A Ellis Island, JR
ha dedicato anche un cortometraggio con Robert De Niro, che ha appena finito di girare. Mentre vola verso Hong Kong, l’artista che, sulla scia di Banksy, da quindici anni riesce a mantenere segreto il suo nome, risponde alle domande.
Come descriverebbe quello che fa?
«Il mio lavoro mette insieme fotografia, col- Quando ho iniziato, quello che facevo veniva
lage e… persone. È soprattutto un’impresa di chiamato semplicemente “vandalismo”. Ma
gruppo. Amo coinvolgere gente da ogni parte appena ho capito di poter dire di essere un ardel pianeta. Da ragazzo, partecipando alla cul- tista mi è riuscito più facile spiegare a mia matura dei graffiti, ammiravo ogni writer che dre che cosa faccio».
Perché ha scelto di restare ancora anoniaveva il coraggio di scalare i palazzi solo per lasciare il proprio nome. In seguito, ho adattato
mo?
questo tipo di filosofia a un lavoro un po’ diver«Perché in tanti paesi gran parte del mio laso: abbandonare negli spazi aperti, non il mio voro è tuttora illegale. E comunque, proprio
nome, ma fotografie di persone».
perché ho iniziato nell’anonimato non vedo
Qual è l’origine del progetto per Ellis perché ora debba far sapere di più di me».
Island?
Non pensa che la Street Art sia ormai diventata un fenomeno di mercato?
«Quattro anni fa la mia produttrice, Jane Rosenthal, mi regalò un libro dedicato all’ospe«Sì, è completamente cambiata negli ultimi
dale dimenticato di Ellis Island: lo trovai molto dieci anni. Ma la trovo sempre interessante e,
affascinante. Avrei voluto subito andare lì e la- comunque, gli artisti che hanno una visione
vorarci, ma c’è voluto qualche anno prima che più ampia degli altri resistono».
potessi iniziare. Adesso che quello spazio è
Che rapporti ha con il re della Street Art,
aperto al pubblico, la gente può di nuovo camBanksy?
minare nelle stanze dell’ospedale rimaste co«Ottimi. Ho sempre amato il suo lavoro, è
sì, con tutti i segni del tempo, e guardare le im- stato lui il primo a segnalarmi attraverso la Lamagini sui muri messe da me e che, a loro vol- zarides Gallery di Londra, quando avevo venta, lentamente vanno in rovina».
titré anni».
Come ha realizzato praticamente l’instalQuali altri artisti segue?
lazione?
«Tanti. Blu è uno dei miei preferiti. Poi amo
«Ho incollato alle pareti le foto che ho tro- molto il lavoro di Prune Nourry, Vik Muniz, Olivato negli archivi della biblioteca di Ellis ver Jeffers…».
Island. Questa iniziativa si inserisce all’inDove vive? Com’è casa sua?
terno di un progetto più ampio che ho chia«Vivo per lo più a New York, ma viaggio per
mato Unframed e che ho inaugurato cinque dieci mesi all’anno con i miei amici e il mio
anni fa usando fotografie ritrovate negli ar- team. Instagram è il posto più facile per trochivi dei musei».
varmi».
Ha appena finito di girare un corto con De
Che cos’ha sul suo comodino?
Niro. Ha intenzione di passare al cinema?
«Ecco, a proposito, dovrei proprio procurar«Ho iniziato a girare brevi film quando ave- mi un comodino».
vo vent’anni. Nel 2010 è uscito nelle sale un doMa uno street artist è ispirato anche dalle
letture?
cumentario intitolato Women Are Heroes.
Questo con De Niro è il mio primo film di fiction:
«In questi giorni leggo Jiro Taniguchi, l’auvolevo parlare di immigrazione, mettendo in tore giapponese di graphic novel».
parallelo storie legate a Ellis Island con altre di
Qual è il suo prossimo progetto?
«Adoro non conoscere quale sarà il prossimo
oggi. Lo sto montando adesso. Vedremo».
passo che farò. Mi rassicura sapere che tutto riCome è diventato un artista?
«Non ho mai capito veramente di essere di- mane sempre così precario».
ventato un artista… È la gente che me lo dice.
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la Repubblica
LA DOMENICA
DOMENICA 22 MARZO 2015
38
Spettacoli. Grandi dittatori
RAMBO
UNO DEI PERSONAGGI
DI HOLLYWOOD PIÙ AMATI
DA KIM JONG-IL,
CHE ADORAVA ANCHE
MUSICAL, WESTERN
E THRILLER
IL DVD
USCITO NEGLI USA
A DICEMBRE
TRA LE MINACCE ,
“THE INTERVIEW”,
SU KIM JONG-UN
CON JAMES FRANCO,
SARÀ DISTRIBUITO IN DVD
IN ITALIA DAL 25 MARZO
SHIN E CHOI
ERANO DIVORZIATI
QUANDO FURONO
RAPITI DA KIM JONG-IL
(QUI SOTTO).
SI RISPOSARONO
DOPO LA FUGA
DA PYONGYANG
IL LIBRO
TUTTI INSIEME
KIM JONG-IL TRA CHOI
E SHIN AL PARTY
ORGANIZZATO
PER LA COPPIA
SUDCOREANA
NEL MARZO 1983
“A KIM JONG-IL
PRODUCTION” DI PAUL
FISCHER (VIKING,
368 PAGINE) USCIRÀ
IN ITALIA A SETTEMBRE
PER BOMPIANI
CHOI EUN-HEE
007
DIVA IN COREA
DEL SUD FU FATTA
RAPIRE DA KIM
JONG-IL. OGGI HA
QUASI NOVANTA
ANNI
TRA I FILM PREFERITI
DA KIM JONG-IL
ANCHE LA SAGA
DI JAMES BOND
Il Godzilla
comunista
La storia incredibilmente vera di Kim Jong-il
che per un buon film avrebbe fatto qualunque cosa
la Repubblica
DOMENICA 22 MARZO 2015
39
CINEFILO
PADRE DELL’ATTUALE
DITTATORE KIM JONG-UN,
E FIGLIO DI KIM IL-SUNG,
KIM JONG-IL FU UN GRANDE
APPASSIONATO DI CINEMA:
SI VANTAVA DI POSSEDERE
UNA COLLEZIONE FATTA
DI OLTRE VENTIMILA PELLICOLE
THE FLOWER GIRL
IL FILM
PIÙ IMPORTANTE
DELLA CARRIERA
CINEMATOGRAFICA
DI KIM JONG-IL:
FU UN SUCCESSO
IN TUTTA L’ASIA
PULGASARI
È IL GODZILLA
COMUNISTA: IL FILM
PIÙ FAMOSO DEI SETTE
GIRATI DA SHIN SANG-OK
IN COREA DEL NORD
SHIN SANG-OK
ERA IL PIÙ FAMOSO
REGISTA DI SEUL
QUANDO NEL 1978
VENNE FATTO RAPIRE
DA KIM JONG-IL.
È MORTO NEL 2006
VITTORIO ZUCCONI
S
HIN
SI
SVEGLIÒ
dentro un sacco
di quelli per i cadaveri, forato
giusto per lasciarlo respirare nella stiva
puzzolente di
una nave. Choi,
sua moglie, riprese i sensi in
un’alcova con
baldacchino, fra lenzuola di seta e tende di
broccato, dentro un castello da ultimo imperatore. «Dev’essere un incubo» pensò
Shin, scrocchiando la tela cerata della sua
bara. «Sono finita sul set di un film» pensò
Choi accarezzando con le dita la morbidezza squisita delle sete. Tutti e due, senza saperlo, avevano ragione. Lui, il più famoso regista cinematografico sudcoreano con trecento titoli alle spalle, e lei, la più luminosa
delle dive di Seul, erano stati drogati e rapiti per conto del futuro despota nordcoreano
Kim Jong-il per costuire una Hollywood a
Pyongyang e trasformare il tragico “Regno
dell’Eremita Rosso” in una superpotenza
del grande schermo.
Poco conosciuta fuori dalle Coree, dove le
novecento pagine delle memorie del regista
non erano mai state tradotte, l’incredibile
avventura di Shin e Choi è ora diventata un
libro, A Kim Jong-il Production (Viking).
Fortuita coincidenza, il libro scritto da Paul
Fisher usciva negli Usa proprio nei giorni in
cui esplodeva il caso del film, The Interview,
il rozzo polpettone satirico sul dittatore
nordcoreano (il 25 marzo il dvd arriva anche
in Italia) che, secondo l’Fbi, ha provocato la
rappresaglia informatica contro i computer
della casa di produzione costringendo poi la
Sony a cancellarne la distribuzione nei normali circuiti. E se leggere la storia di Shin e
Choi somiglia alla sceneggiatura di un film è
perché tutto, dalla loro vita, al rapimento, alle torture, alla fuga verso la libertà si muove
dentro l’ossessione maniacale per il cinema
del padre dell’attuale dittatore.
Era il 1978 quando Shin Sang-ok, regista
ormai avviato sul viale del tramonto, e la
donna dalla quale era da tempo divorziato,
la stella un po’ cadente Choi Eun-hee, accettarono uno dei non più frequenti inviti a un
festival cinematografico, a Hong Kong. Nessuno dei due sapeva che l’altro sarebbe stato presente e ancora meno poteva immaginare che oltre il trentottesimo parallelo,
Kim Jong-il, l’allora figlio del dittatore comunista in carica Kim Il-sung e padre dell’attuale Kim Jong-un (i Kim sono come i Bush, ce n’è sempre uno al potere) aveva messo gli occhi e i propri agenti su di loro. Furono rapiti in albergo. Lui chiuso in quella bara
di tela cerata e poi trasportato in nave, lei
messa in barella come una malata grave e
poi fatta volare su un aereo privato. Per i cinque anni a venire Shin e Choi avrebbero vissuto le loro vite da separati in Corea del Nord.
Lei, ancora affascinante a cinquant’anni,
adorata dal figlio del “Grande Leader” che
ne aveva assaporato tutti i film, era ospite
prigioniera nel suo faraonico appartamento
dal quale poteva uscire soltanto per partecipare alle cene eleganti del divino rampollo,
guardare film con lui, ascoltare le ribalde avventure della sua corte. Lui, Shin, era meno
coccolato: dopo un tentativo di fuga, fu rinchiuso in un gulag e tenuto in vita dentro una
cella di un metro e mezzo per un metro nutrito con una dieta a base di riso, mais e fagioli — non molto peggiore di quella di un
nordcoreano medio. Ebbe però uno straordinario privilegio: quello di non essere giustiziato come i suoi compagni di prigionia. A
salvarlo fu, appunto, la divorante passione
per il cinema di Kim Jong-il. Il papà gli aveva
regalato la direzione dell’Agenzia di Stato
per il Cinema e la Propaganda e lui aveva già
accumulato una collezione fatta di ventimila film. Adorava tutta la serie degli 007, i western, i vari Rambo, i Venerdì 13 e i musical.
Un genere, quest’ultimo, che aveva onorato
producendo un marmoreo polpettone patriottico di duecentoquaranta minuti, quattro ore, dall’accattivamete titolo di Mare di
Sangue sull’occupazione giapponese. Ma
nonostante tutto ciò il resto del mondo continuava a ignorare la cinematografia nordcoreana. Un vuoto insopportabile per l’erede al trono di Pyongyang, al quale i due
Amava Hollywood,
i suoi 007, Rambo
e tutte le Love story
Al “Caro Leader”
nordcoreano
mancavano solo
regista e diva
Nessun problema:
li fece rapire
e li costrinse poi
a lavorare per lui
Cominciò così
l’avventura
di Shin e Choi,
star del cinema
nella Seulanni ’70
Mentre arriva in dvd
“The Interview”
(minacciato
dagli hacker
di Pyongyang)
per la prima volta
un libro la racconta
ostaggi avrebbero dovuto porre rimedio.
Sbigottiti, Shin e Choi si ritrovarono una
sera l’uno di fronte all’altra nel palazzo del loro carceriere-mecenate, scoprendo solo allora che da cinque anni vivevano entrambi —
lei nella reggia, lui nel gulag — in Corea del
Nord. La proposta del futuro dittatore fu di
quelle che non si possono rifiutare: produrre
film da esportare, o fare una pessima fine. A
loro disposizione fu messa una bizzarra Cinecittà: la scuola delle spie. Il luogo in cui il
regime preparava agenti maschi e femmine
da inviare nel mondo e insegnava loro come
truccarsi, travestirsi, posare. Dunque, come
recitare. Dal lavoro del regista, e della ex moglie tornata primadonna, nacquero sette
memorabili produzioni. Film di spionaggio,
come Emissario senza ritorno e Fuggitivo,
con immancabile lieto fine: la cattura e l’esecuzione degli agenti imperialisti. Drammoni di forte contenuto rivoluzionario come
Sale, esibito e premiato al Festival di Mosca
nel quale Choi vinse una sorta di Oscaroski
sovietico come migliore attrice. Quindi, per
commuovere e allietare le masse nordcoreane, interrompendo la sequela di mattoni
propagandistici, Kim volle concedere una
versione sentimentale delle sue amate commedie musicali, intitolata, per non lasciare
dubbi sul contenuto, Amore, Amore, Amore
Mio. Un successo enorme. Che non gli bastò.
Invidioso dei successi giapponesi nella fantascienza, il giovane Kim, figlio di Kim e padre dell’attuale Kim, tentò la carta dei filone
Godzilla, facendo creare ai due il mostro Pulgasari, un mostruoso Pinocchione vendicatore scolpito da un umile falegname e cresciuto a dismisura per diventare il protettore degli umili e il castigatore dei ricchi signorotti feudali. È diventato un film di culto
per il pubblico americano sofferente di insonnia, trasmesso alle ore piccole da canali
locali come oggetto di spasso e di ridicolo.
Fu il successo a tradire Kim, ormai divenuto “Caro Leader”. Convinto che Choi e
Shin si fossero convertiti al socialismo coreano, permise loro di viaggiare in Europa
per diffondere i prodotti della Hollywood
Rossa. Ma a Vienna, i due dopo la proiezione di un loro film tentarono la fuga pur sapendo che niente avrebbe salvato il loro
collo se li avessero ripresi. Con una corsa in
auto per le vie della capitale austriaca, inseguiti dai loro carcerieri e dalla polizia,
riuscirono a raggiungere l’ambasciata
americana e a chiedere asilo politico. Nessuno filmò o raccontò per il cinema quell’ultima avventura che sarebbe stato il miglior thriller della loro vita, ora finalmente
narrata nel libro da Fisher.
Come nella più cinematografica delle love story Choi e Shin si risposarono e tentarono di ricominciare a lavorare. Prima a Beverly Hills, dove lui diresse Il racconto dell’inverno con lo pseudonimo di Simon
Sheen, e poi in patria, a Seul, dove lei ancora vive, prossima ai novant’anni. Prima di
morire, Shin ricevette la medaglia di Eroe
della cultura dal presidente sudcoreano
che gli confessò, a bassa voce, di avere più
volte visto Pulgasari.
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la Repubblica
LA DOMENICA
DOMENICA 22 MARZO 2015
40
Next. Distopie
I guru
delusi
Connessi
SECONDO LE ULTIME
PROIEZIONI FORNITE
DALLE NAZIONI UNITE
ENTRO IL 2018 OLTRE
IL 60 % DEGLI ABITANTI
DEL MONDO (SU 7 MILIARDI
DI PERSONE) SARÀ ONLINE
EVGENY MOROZOV
GEERT LOVINK
JARON LANIER
L’ESPERTO BIELORUSSO
AFFRONTA IL TEMA
DELLE PROMESSE MANCATE
NEL LIBRO “L’INGENUITÀ
DELLA RETE.
IL LATO OSCURO
DELLA LIBERTÀ
DI INTERNET” (CODICE, 2011)
TRASFORMARE
I SOCIAL MEDIA
PRIMA CHE SIANO LORO
A CAMBIARE NOI:
“OSSESSIONI COLLETTIVE”
(UBE, 2012) SI INTITOLAVA
IL LIBRO DEL TEORICO
OLANDESE
SVILUPPATORE DI SOFTWARE
E “PADRE” DELLA REALTÀ
VIRTUALE, NE “LA DIGNITÀ
AI TEMPI DI INTERNET”
(IL SAGGIATORE, 2014)
METTE IN LUCE
LE DISEGUAGLIANZE
NATE CON LA RETE
FR ANCESCA DE BE NED ET T I
NTERNET CI RENDE PIÙ LIBERI? UN’ILLUSIONE. Più uguali? Una falsa promessa. Più ric-
I
chi? Sì, non tutti però: pochi, anzi pochissimi. Così parla chi di internet è considerato la coscienza critica, «un outsider che viene dall’interno» come si definisce lui stesso. Se vent’anni fa, infatti, Andrew Keen avviava una sua impresa
proprio nella Silicon Valley oggi è un noto autore e pubblica (in Italia con Egea)
un libro intitolato Internet non è la risposta. Quasi la terza puntata di una trilogia: nel 2007 ci fu The Cult of the Amateur, una critica dei contenuti generati dagli utenti del web e della cultura libera. Nel 2012 fu la volta di Digital Vertigo, un’analisi sferzante dei social media. La terza puntata chiude il cerchio:
con The Internet Is Not The Answer, Keen ci sbatte in faccia tutte le contraddizioni dell’era digitale. Siamo impigliati in una Rete degli ideali traditi: «Nessuno meglio di voi italiani, figli del realismo politico alla Machiavelli, può davvero capirmi», dice Keen a Repubblica. «Internet non è più quel bene pubblico che era quando nacque, ai tempi di Tim Berners-Lee. Quella che ci hanno presentato come una rivoluzione democratica, una svolta verso una maggiore uguaglianza, ora è ricchezza e potere in
mano a pochi. Un sistema sempre più distante dalle persone». Ma come, lei sostiene seriamente che la Rete non ha reso più democratico l’accesso alla conoscenza? «Se è per questo
nel mare di contenuti online si trova di tutto, anche propaganda di aziende, governi e — per
dire — dell’Is. Voglio dire che trovare di tutto sul web non ci aiuta di per sé a conoscere e comprendere la complessità del reale, anzi. E poi ovviamente non dico che bisogna fare a meno
di internet: ho qui con me un cellulare ultimo modello e un pc...».
La critica di Keen si spinge dunque oltre, e investe la società frutto dell’era digitale nel suo
complesso. L’economia decentralizzata della condivisione, tanto per cominciare, quella che
avrebbe dovuto abbattere ogni gerarchia, è diventata di fatto una «economia a ciambella»:
poche grandi aziende come Google, Facebook e Amazon monopolizzano il business dell’informazione. E dunque Keen punta il dito contro il «sistema del “chi vince piglia tutto” in
cui solo l’uno per cento gode di grandi profitti» mentre il restante novantanove frana,
illusioni comprese. Un caso esemplare si trova proprio nella Silicon Valley: nel cuore pulsante della Rete in dodici anni sono andati
perduti quarantamila posti di lavoro, in due
i senzatetto sono aumentati del venti. È la
“distopia della Baia”, come la chiama Timothy Egan. Quanto al futuro, il divario economico-sociale tra ineguali legato a internet
diventerà ancora più profondo. Spiega Keen
che con il diffondersi dell’internet delle cose,
dei big data, dell’intelligenza artificiale, dell’automazione, aumenteranno sia i problemi che i disoccupati. Se non bastassero le
proteste “anti robot” che già presidiano l’America o l’allarme lanciato dal premio Nobel
Paul Krugman, allora ecco i numeri: l’Università di Oxford prevede che l’informatizzazione costerà il posto di lavoro a centoquaranta milioni di lavoratori della conoscenza. Il quarantasette per cento dei lavori
svolti oggi dagli americani potrebbe scomparire nei prossimi venti anni. «Pensi a come
verrà travolto il settore della moda e del design: un campo in cui l’Italia ora eccelle. Tutto cambierà: neanche i ristoranti saranno
più gli stessi». Quanto alla privacy e al con-
trollo basteranno le macchine che si guidano da sole, come la Google car, a tracciare
ogni nostro spostamento, e dunque grandi
fabbriche che fanno soldi con i nostri dati ci
costringeranno in una repubblica di cristallo. L’incubo non è nuovo: somiglia al distopico Cerchio di Dave Eggers. «L’ho letto — dice Keen — e mi è piaciuto. Quella sì che è una
distopia. E io, ci tengo a dirlo, non sono né distopico né luddista: negli Stati Uniti quando
critichi questo sistema vieni subito etichettato così. Io non faccio altro che puntare il dito su problemi reali. Ma in effetti anche nella finzione di Eggers c’è molto di reale. Se
guardiamo oltre il falso dogma libertario, ci
accorgeremo che più usiamo internet meno
valore ci porta».
Una critica al tipo di società nato con la Rete che si avvicina molto a quella del papà della realtà virtuale, Jaron Lanier, di cui non a
caso Keen ammette di essere «un grande
fan». Anche Lanier è un “outsider da dentro”, anche lui reclama più equità scagliandosi contro il sistema perverso in cui cediamo gratis dati e dignità a vantaggio di pochi
colossi. Sembra proprio, come direbbe Evgeny Morozov, che internet stia «perdendo
la sua ingenuità»: mentre esce dalla sua ado-
lescenza, le voci critiche si addensano. Un coro di “traditi” la cui delusione è palpabile,
quasi toccante: «Quanto abbiamo perduto la
via, fratelli e sorelle!», scrivono Doc Searls e
David Weinberger nelle loro nuove tesi sulla Rete. Sono tesi e sentimenti della maturità: forse è la stessa «nostalgia dell’ottimismo» di cui parla Keen. Per lui internet non
è la risposta, ma si ostina a credere che sia
«ancora un’ottima domanda». Come salvarla, la forza dirompente di quel punto interrogativo? Secondo Keen, con nuove regole:
«L’Europa è stata d’esempio quando ha cercato di frenare le concentrazioni monopolistiche come Microsoft, e lo è tuttora occupandosi del diritto all’oblìo. Dai governi dobbiamo pretendere regole compatibili con
l’innovazione, ma che al contempo limitino
i trust, ci tutelino dal controllo dei dati e dal
loro uso sfrenato. Io non sono contro il mercato: io sono contro il mercato sregolato».
Non è contro internet, è contro un internet
senza regole. L’illusione del web come prateria libera e selvaggia ormai lascia l’amaro
in bocca. Come dicevano Deleuze e Guattari
“non credere mai che uno spazio nomade sia
sufficiente a salvarci”.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Ci aveva promesso
libertà, eguaglianza
e ricchezza. E invece
l’era digitale crea
disoccupazione,
controllo e povertà
È quanto sostengono
sempre più guru
della prima ora
Come Andrew Keen
Traditi
dainternet
la Repubblica
DOMENICA 22 MARZO 2015
Big Data
41
Internet delle cose
NEL 2012-2013 ABBIAMO
PRODOTTO TANTI DATI
QUANTI L’UMANITÀ
NEL 90 % DELLA SUA
INTERA STORIA. NEL 2014
GOOGLE VALEVA 400 MILIARDI
E CONTROLLAVA IL 65 %
DELLE RICERCHE ONLINE
(IN SPAGNA E ITALIA IL 90)
OGGI FACEBOOK
RACCOGLIE I DATI DI
OLTRE 1,4 MILIARDI
DI UTENTI E GOOGLE
PROCESSA PIÙ DI 24 PETABYTE
DI DATI AL GIORNO. CON L’INTERNET
DELLE COSE AUMENTERANNO
I DATI CHE LE GRANDI AZIENDE
CONTROLLANO
CARLO FORMENTI
“FELICI E SFRUTTATI.
CAPITALISMO DIGITALE
E ECLISSI DEL LAVORO”
(EGEA, 2011). È IL TITOLO
ESEMPLIFICATIVO
DEL VOLUME
IN CUI AFFRONTA
LE MUTAZIONI IN CORSO
Quelli che
I don’t like
R I C C A R D O S T A G LI A N Ò
Monopoli
UN’ECONOMIA IN CUI
“CHI VINCE PIGLIA
TUTTO”, CON POCHI
MONOPOLI DOMINANTI,
DOVE AUMENTANO LE DISPARITÀ
TRA L’ÉLITE (L’1 %) E TUTTI
GLI ALTRI. LA CLASSE MEDIA
SOFFRE, POVERTÀ
E DISEGUAGLIANZA AUMENTANO
DAVE EGGERS
IL SOGNO DI MAE,
LAVORARE NEL WEB,
DIVENTA IL SUO INCUBO:
SI INTITOLA
“IL CERCHIO”
(MONDADORI, 2014)
IL ROMANZO SUL
CONTROLLO TOTALE
Povertà
NELLA SOLA BAIA
DI SAN FRANCISCO,
CUORE PULSANTE DELLA
SILICON VALLEY, IN 12 ANNI
SI È AVUTA UNA PERDITA
DI 40MILA POSTI DI LAVORO.
TRA IL 2011 E IL 2013, I SENZATETTO
SONO AUMENTATI DEL 20%
(FONTE: CHAPMAN UNIVERSITY)
SISTONO TANTI MODI di guardare alle
cose. Così, quando nell’autunno
2011 il corso di intelligenza
artificiale tenuto a Stanford da
Sebastian Thrun e Peter Norvig, le
Madonna e Lady GaGa dell’informatica, va
online e fa registrare 175 studenti in classe e
oltre centomila collegati via web, i più
festeggiano il record della classe più popolosa
della storia. Mentre una minoranza di
guastafeste fa notare un paio di ovvietà: perché,
potendo seguire il numero uno al mondo, dovrei
accontentarmi del secondo, del terzo, e via
scendendo? E ancora: se due prof star possono
insegnare a milioni di ragazzi, chi avrà più
bisogno delle moltitudini di docenti
normodotati? È la winner takes all economy,
bellezza! Resa possibile da internet per cui
servire un cliente o un miliardo diventa solo
questione di allargare la banda o aggiungere un
server. Ovvero quello che, in un libro recente,
Jeremy Rifkin definisce La società a costo
marginale zero. Di cui “l’eclissi del capitalismo”
nel sottotitolo non dovrebbe passare
inosservato. Il volume di Andrew Keen, qui a
fianco intervistato, non è che l’ultimo di una
serie critica, un viaggio nel lato oscuro della
forza internettiana. Il più rilevante dei quali è
probabilmente The Second Machine Age
(uscirà per Feltrinelli) in cui Erik Brynjolfsson e
Andrew McAfee del Mit spiegano come, dal
2000, la produttività ha continuato a crescere
(grazie al web e all’automazione) ma per la
prima volta l’occupazione non l’ha seguita
perché le macchine distruggono più posti di
quanti ne creino. Che è la preoccupazione che
Keen — assieme a una schiera che va dal Nobel
Paul Krugman all’autore di The Average is Over,
Tyler Cowen — riprende e corrobora. Siamo
passati dal sogno che tutti potessero diventare
miliardari col web all’incubo di una classe media
sempre più proletarizzata che, un like alla volta,
costruisce le fortune di Zuckerberg, profeta
della condivisione tranne quando si tratta dei
suoi soldi. Ed è vero che oggi un adolescente da
Canicattì può entusiasmarsi seguendo
Thrun&Norvig. Magari diventa ricercatore, che
un tempo significava farcela. Ma era prima che i
compiti li correggesse un algoritmo. E che due
prof da soli servissero una classe per cui, sino a
ieri, ne servivano un migliaio.
E
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ERIK BRYNJOLFSSON
ANDREW MCAFEE
IN “THE SECOND
MACHINE AGE” (2014)
UNA DIAGNOSI
ACCURATA
DELLA SOCIETÀ
DI INTERNET
NELL’ERA
DI AUTOMAZIONE
E IPERCONNESSIONE
NICHOLAS CARR
COME IL WEB CAMBIA
IL NOSTRO MODO
DI PENSARE
E L’ECONOMIA:
SONO I TEMI
AFFRONTATI
NE “IL LATO OSCURO
DELLA RETE” (ETAS, 2008)
Disoccupazione
CON COMPUTERIZZAZIONE
E INTELLIGENZA
ARTIFICIALE, 140 MILIONI
DI LAVORATORI NEL MONDO
RISCHIANO IL POSTO.
IL 47 % DEI LAVORI SVOLTI
OGGI DAGLI AMERICANI
POTREBBE SPARIRE
NEI PROSSIMI VENT’ANNI
la Repubblica
LA DOMENICA
DOMENICA 22 MARZO 2015
42
Sapori. Detox
CON LA NUOVA
STAGIONE
ZUPPE E BRASATI
SMETTONO
DI TENTARCI
MENTRE ABBIAMO
BISOGNO DI LEGUMI
E CARNI BIANCHE,
CEREALI INTEGRALI
E VERDURE
AL VAPORE. SOLO
COSÌ IL NOSTRO
CORPO POTRÀ
RIPARTIRE
È primavera.
Voglia di leggerezza
tra verdure e crudité
LICIA GRANELLO
VEGLIATEVI BAMBINE”, cantava melodioso e tentatore Alberto Rabagliati pensando alla primavera.
L’inverno dà gli ultimi colpi di coda, ma ormai è
sconfitto dal calendario, che ieri ci ha introdotti
nella stagione del risveglio. Guardinga o sfacciata,
timida o splendente, la primavera non ammette
indolenze da parte di nessuno: piante, animali, o
umani che siano. Quel che inverno intorpidisce,
primavera titilla: corpo e umore, buoni propositi e
palato. Se nei mesi freddi assommiamo virus e surplus alimentari, l’alzarsi delle temperature provoca un’inversione del senso di marcia. Abbiamo voglia di cibi leggeri, freschi, colorati, fragranti. Nello stesso momento, quello che ci ingolosiva tra un brivido e un cappotto, smette di tentarci, che siano zuppe o brasati, sughi carichi o tortellini in brodo. Mentre smaltiamo gli avanzi di panettone arrivati al passo d’addio
e sbriciolature di torroni sopravvissute al Carnevale, già pensiamo al piacere di una frittata d’erbette o al profumo meraviglioso del risotto con gli asparagi selvatici.
Quella che scambiamo per una questione di gola, è in realtà un’esigenza specifica del corpo, un’urgenza di detossinazione a fronte di tutti i carichi, alimentari e non, accumulati in
inverno. Il nutrizionista milanese Vanni
Zacchi snocciola i comandamenti del buon rapanelli e insalatine di primo taglio, da abmangiare marzolino: «Più frutta e verdu- binare con agnello, coniglio, pollo (a patto
ra, meno cibi grassi, affettati (per via di che arrivino da allevamenti felici), qualche
grassi ossidati e contenuto di sale), carni caprino fresco e pesce azzurro a go-go.
rosse, formaggi e ovviamente gli zuccheri,
I cuochi di nuova generazione stanno
a maggior ragione quelli raffinati. Ma è im- prendendo dimestichezza con un concetto
portante sapere che questo cambio di ali- storicamente estraneo all’alta cucina, ovmentazione è funzionale all’alcalinizza- vero la liberazione degli ortaggi dal ghetto
zione dei tessuti, perché riassestando il dei contorni. Pressati dal crescere lento e
rapporto acido-basico facciamo stare bene inesorabile di vegetariani e vegani, ristoil nostro corpo. Abbiamo bisogno di legu- ranti piccoli e grandi hanno cominciato a
mi, carni bianche, cereali integrali. Il tut- inserire nei menù piatti verdi, evoluzione
to, naturalmente, scegliendo il più possi- pensata e studiata di ricette sicuramente
bile alimenti biologici».
non punitive, dalla parmigiana di melanUna primavera alcalinizzante, insomma. zane al gioioso esercito delle frittate. Altra
In prima fila, il trionfo delle crudité, le cot- soluzione, aumentare in modo significatiture al vapore e sotto vuoto, mentre il pas- vo la quota di verdure, scardinando la pessaggio sulla griglia produce i coddetti ages sima tendenza che ci vede agli ultimi posti
— prodotti finali di glicazione e lipossida- nel consumo di ortaggi, effetto della crisi,
zione — che intossicano gli organi. Certo, è certo, ma soprattutto di perdita di cultura
più rapido tagliare un paio di fette di salame alimentare. Se poi, tra un centrifugato e
che preparare un pinzimonio di verdure. Ma una pasta integrale ai carciofi, riuscite a inun minimo di organizzazione domestica gollare una tazza di tè verde, il vostro fegapermette di avere facilmente a disposizione to ringrazierà commosso.
finocchi e carote, sedano e zenzero fresco,
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“S
Il concorso
Il borgo di Buccheri, duemila
abitanti nella campagna
di Siracusa, è la capitale
mondiale dell’extravergine:
tre i Sol d’Oro (su cinque sezioni)
conquistati nella nuova
edizione del concorso
internazionale,
legato a Sol&Agrifood,
in programma da oggi a Verona
VOL-AU-VENT ALLA CREMA DI PISELLI E FAVE
Lo chef-patron
Marco Stabile, de “L’Ora d’Aria”
di Firenze, è il nuovo presidente
della sezione italiana
dei Jeunes Restaurateurs
d’Europe, l’associazione
nata nel 1974 a Parigi
che riunisce 332 chef-patron
under quaranta
tra i più bravi e innovativi
del continente
La ricetta
Un timballo tiepido
con ricotta e tarassaco
INGREDIENTI PER 4 PERSONE
200 G. DI RICOTTA; 200 G. DI TARASSACO; 50 ML. DI EXTRAVERGINE
AROMATIZZATO CON AGLIO ORSINO; 500 G. DI ASPARAGI;
1/2 LITRO DI BRODO VEGETALE; 1 PATATA; 6 G. DI LIEVITO DI BIRRA;
1/2 CUCCHIAINO DI MALTO; 1 CUCCHIAIO DI EXTRAVERGINE; FARINA
INTEGRALE QB; SEMI DI SESAMO, GIRASOLE, LINO, ZUCCA; 4 UOVA DI QUAGLIA
Il personaggio
La food blogger americana
Vani Hari — foodbabe.com —
è stata inserita da “Time”
tra i personaggi di internet
più influenti del mondo
(54 milioni di contatti
nel 2014). Il blog indaga
su etichette e composizione
dei cibi, promuovendo
petizioni online
er i cracker, in una ciotola acqua (120 ml.), lievito, malto, extravergine e farina per formare un impasto elastico. Coprire con la pellicola e far riposare un’ora. Tirare sfoglie sottilissime, spennellarle con un albume sbattuto e decorare coi semini. Infornare 10’ a 180°. Per la vellutata,
tagliare a rondelle gli asparagi, tenendo da parte le punte. Versare in una casseruola olio, asparagi e la patata a
cubetti, coprire con il brodo, bollire 15’ e frullare. Spadellare il tarassaco sbollentato e strizzato con l’olio aromatizzato. Quand’è tiepido, unire la ricotta. Con un
coppapasta, creare quattro timballi. Sbollentare 2’
le punte di asparagi, cuocere in camicia le uova di
quaglia. Adagiare i timballi nei piatti, irrorare con
la vellutata bollente, rifinendo con punte di asparagi, uova di quaglia e cracker.
P
LA CHEF
FABRIZIA MEROI
GUIDA LA CUCINA
DEL “LAITE”
DI SAPPADA,
NELLE DOLOMITI
BELLUNESI,
DOVE PROPONE
UNA CUCINA
LEGATA
AI PRODOTTI LOCALI
COME
NELLA RICETTA
PER I LETTORI
DI REPUBBLICA
INVOLTINI RICOTTA E ASPARAGI SELVATICI
la Repubblica
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8
43
La mia eterna
battaglia
tra la dieta
e il frigorifero
ingredienti
per otto piatti
BUD SP E NCE R
ALLA VITA NON NE ESCI VIVO,
disse qualcuno. Mi sforzai
inutilmente di ricordare chi,
ma la sua identità mi
eludeva tanto quanto il
sonno. D’altra parte crogiolarmi in
domande oziose, era sempre meglio che
dover ammettere a me stesso la vera
ragione della mia veglia notturna: avevo
fame! Ottantacinque non sono una
bazzecola, ma non lo era nemmeno quel
concerto di orchestrali indigenti che
avevo nella pancia, e i languori di
stomaco — ci avete mai fatto caso? — ti
aumentano non quando sai che non c’è
nulla da addentare, bensì quando sei a
pochi metri da un frigorifero così
capiente che potrebbe servire a modello
per una pubblicità sui frigoriferi capienti.
I rumori provenienti da quell’antro
oscuro che è il mio stomaco affamato:
quella era la reale causa d’insonnia, e la
dieta forzata cui ero stato sottoposto
costituiva l’unica controindicazione di
quelle ottantacinque primavere testé
menzionate. Il dietologo era stato ferreo
sulla prescrizione della dieta, sulle dosi e
le qualità di cibo da ingerire al mattino, a
pranzo e alla sera; di conseguenza Maria
s’era fatta vicario del dietologo in casa,
appuntandosi tutto e costringendomi ad
attenermi alla promessa. “Per il mio
bene”, of course. Provai allora a chiudere
gli occhi e contare le pecore , ma quando
arrivavano a saltare lo steccato erano già
diventate costolette profumate! Allora,
mi misi a ripensare ai miei film, cosa che
di solito mi concilia il sonno, ma in mente
mi venivano soltanto i catering del set.
Come animati da una volontà propria, i
miei piedoni presero però la direzione
opposta e, mentre il mio “Io” cosciente si
aspettava di vedere la camera, il mio
“Super-io”... o il mio stomaco, a volerla
dire brutalmente, mi condusse in cucina.
Accostai la porta, accesi la luce e mi
strofinai le mani andando verso il frigo
come se... come se... be’, diciamo che se
quel frigo fosse stato Tokyo, io sarei stato
Godzilla: ho reso l’idea? Non c’era
nemmeno un lucchetto — una volta i
miei famigliari giunsero anche a questo.
Insomma fra me e le vivande solo il
semplice gesto di allungare la mano, ed è
sorprendente come ogni buon proposito
vada a farsi friggere quando la febbre del
cibo ti pervade. Ma io sapevo bene che
non era solo gola: non sono stato io a
dotarmi di questo corpaccione esigente e
se non ci avessi messo qualcosa dentro,
non avrei potuto dormire. Non volevo
spazzolare tutto, solo un pezzettino, una
briciolina, ripeteva Bud a Carlo,
mentendogli spudoratamente. Non
ricordo quale filosofo disse che è morale
ciò che, dopo averlo compiuto, ci fa stare
bene, mentre è immorale ciò che ci crea
pentimenti. Ma io sapevo che dopo mi
sarei sentito non bene, ma benissimo, e
che... ...vuoto... VUOTO! Il filo dei miei
pensieri s’interruppe nel constatare che
non c’era niente nel frigo, a parte un
foglietto con la calligrafia di Maria:
“VIENI A DORMIRE!“.
D
CRUDITÉ ALLA MAIONESE DI SOIA
TORTINE DI MAIS AL PROFUMO DI LIMONE
Germogli
Alici
Presenti nel “Grande Erbario
della Medicina Cinese” del 2700 a.C.,
sono un’incredibile riserva di vitamine,
enzimi, oligoelementi e aminoacidi,
a patto di mangiarli crudi. In insalata
Le reginette del pesce azzurro
si distinguono per salubrità a prezzi
bassi. Ricche di acidi grassi Omega Tre,
calcio, fosforo, ferro. L’ideale
è mangiare anche il fegato. In tortiera
GERMOGLIAMO
VIA CASALNOCETO 35
ROMA
TEL. 320-0844751
PESCHERIA CERNAIA
VIA CERNAIA 32
TORINO
TEL. 011-5621169
Legumi
Centrifugati
Piselli, fave, fagioli, ceci, lenticchie,
soia sono la più ricca fonte di proteine
vegetali. Hanno funzione alcalinizzante
e aiutano a ridurre la quantità di grassi
nel sangue. Ottima la crema di ceci
Dallo storico antiossidante ACE –
arancia, carota e limone – a quello
depurativo (ananas, sedano e mela):
i mix di frutta e verdura aromatizzati
con erbe e oli essenziali
AZIENDA AGRICOLA MICHELE FERRANTE
VICO DEGLI ORTI 2
CONTRONE (SA)
TEL. 0828-772122
BIOESSERÌ
VIA DE AMICIS 45
MILANO
TEL. 02-36699215
Ricotta
Cereali integrali
Ricavata dalla ri-cottura del siero
di latte, ideale per veicolare l’olio
di semi di lino, prezioso antiossidante
Meglio da latte di capra. Cremosa
su spaghetti con le zucchine
Riso e frumento, segale e mais, farro,
orzo e avena: grazie alla coltivazione
biologica si utilizzano i chicchi
nella loro integrità bioattiva, ovvero
crusca, endosperma (amidi) e germe
CASERA DEL DELFINATO
CASCINA COCCARDA 28
GIAVENO (TO)
TEL. 333-1523802
L’ANTICO PANE A LEGNA
LOCALITÀ BRACCIO
MONTERIGGIONI (SI)
TEL. 0577-594266
Costolette di agnello
Crudité
La meno seriale delle carni bianche –
a differenza del super industrializzato
pollo – è un’ottima risorsa di proteine
animali non gravate dai grassi e quindi
più digeribile. Perfette alla scottadito
La verdura marzolina (carciofi, carote,
rapanelli, broccoli, asparagi selvatici,
valeriana, finocchi) copre il fabbisogno
di vitamine e sali minerali, anche
in funzione depurativa. In pinzimonio
BIO COOPERATIVA TERRE DEL SANNIO
VIA II TRAVERSA PAGLIARELLE 6
SANTA CROCE DEL SANNIO (BN)
TEL. 328-1380910
AZIENDA AGRICOLA IO BIO
VIA TOGLIATTI 1/A
GALLO (FE)
TEL. 0532-820305
(Da Mangio ergo sum
Edizioni Npe, dicembre 2014)
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la Repubblica
LA DOMENICA
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L’incontro. Bestseller
È VERO, ALL’INIZIO
LE MIE STORIE
NON FACEVANO
PER NULLA PAURA
FINO A QUANDO
NON RACCONTAI
DI UN MARITO
CHE FINGE
DI SALVARE
LA MOGLIE MENTRE
IN REALTÀ VUOLE
FARLA FUORI.
UNA COSA
CHE POTREBBE
ACCADERE A TUTTI
Da bambino divorava i racconti di Poe e di Fleming: “Mi sudavano
le mani, mi batteva il cuore e restavo incatenato al libro”. Studiando giurisprudenza ha poi “imparato l’arte della precisione”. Mentre in uno studio legale di Wall Street ha finalmente scoperto il
crimine in serie: “Certo, le banche!”. Oggi, dopo trentacinque titoli in ventisette anni e venti milioni di copie vendute in centocinquanta paesi, l’autore del “Colni e vittime. Mio richiamo costante è Bob Dylan, in particolare il suo Tomorrow is a Long Time. E comunque delle canzoni sono solo un complice: mi
al testo, anche se finora ne ho scritti almeno duecento». Un pericololezionista di ossa” svela la sua limito
sissimo paroliere seriale: «Anche qui, purtroppo, non sono diventato un vero musicista, anche se all’università mi distraevo volentieri dai polverosi
di legge con le canzoni di Joni Mitchell o Paul Simon: ah, Mrs. Robinvera passione: Bob Dylan. “Mi studi
son, ah Il laureato! Ma, pensi, non sono diventato neppure un avvocato. Ho
debuttato invece come giornalista, ancorché esperto in questioni legali. Poi
in un grande studio di Wall Street. Ed è proprio lì che ho cominpiacerebbe, prima o poi, scrive- hociatolavorato
a occuparmi di crimini seriali, cioè — ride ancora — di banche! Ma la
giurisprudenza ha anche un altro merito nel mio lavoro di scrittore: no, non
ha insegnato a scrivere, ma a condurre ricerche sì. E anche a praticare la
re un romanzo su una chitarra. mi
precisione».
Quanto alla vocazione a suspense e sangue sparso si era rivelata ben prima: «Infatti. Già da ragazzino ero attratto dai gialli e dai racconti di paura:
Che uccida, naturalmente”
divoravo Poe, Fleming, Wilkie Collins, il pioniere del poliziesco britannico: fu
Jeffery
Deaver
M AR I O SER EN EL LI N I
COURMAYER
IL SEMINTERRATO. Doveva andare nel seminterrato. Chloe odiava quel posto…”. Prima di incontrare Jeffery Deaver è inevitabile ripensare all’incipit e allo stile tagliente, a rapido bisturi, del nuovo
thriller, L’ombra del collezionista, come Rizzoli ha
tradotto The Skin Collector. La sconvolgente sequenza iniziale del tatuaggio velenoso, ricamo allucinato dettato dall’alto, pulsa ancora nelle tempie
dopo una lettura a rompicollo: cinquanta pagine la prima notte, le altre quattrocentocinquanta la seconda. Ma per fortuna col viso affilato e levigato da
samurai occidentale, nella hall il sessantacinquenne Deaver sorride,
parla e sorseggia non veleno ma prosecco. Guest star dello scorso
ventiquattresimo Noir in festival, premiato con il Raymond
Chandler Award da Dario Argento, alla cerimonia ha sorpreso
tutti interpretando con voce di miele una canzone da lui stesso
scritta, Sarò la tua ombra, e disseppellendo un inatteso latino:
«Tibi gratias agimus hoc de insigni honore» (“Ringraziamo per
questo premio illustre”). Del resto il latino ricorre nelle sue pagine in puntuali classificazioni botaniche (l’Actaea pachypoda, dai
micidiali “occhi di bambola”…), ed è pure oggetto di scherno («Con
il latino sembra di masticare sassi: benedetti gli italiani e i rumeni per
averci tolto le castagne, e la lingua, dal fuoco»). Anche la musica, da
Deaver praticata part time, è irrisa in qualche strappo hip hop dei
suoi thriller: Piedipiatti/sbirro in strada/ ti multa e spedisce a
casa/ o ti sbatte in gattabuia/ con i tuoi diritti in baia. Insomma mister Deaver, dopo trentacinque titoli in ventisette anni e venti milioni di copie vendute, continua a sfi-
“M
EZZOGIORNO.
PERCHÉ LINCOLN RHYME, IL MIO DETECTIVE,
È PARAPLEGICO? MA PERCHÉ ERO STUFO
DELLO STEREOTIPO DEL SUPERPOLIZIOTTO
DAGLI ATLETISMI MIRABOLANTI
VOLEVO CONCENTRARMI SUL CERVELLO
dare sia il latino che il canto, entrambi fabbriche di
suspense, per chi vi si avventura come per chi la
ascolta? «Fu il mio professore a insistere perché imparassi questa lingua antica: mi sarebbe stata utile, disse, nella vita come nella scrittura. E infatti lo è stata. Mi ha
aiutato sia nell’architettura mentale e nella struttura delle
frasi che nella conoscenza della vostra cultura, fin dalle sue
radici. Non sono però, ahimè, diventato un Cicerone bis. E
quanto alle canzoni, mi è sempre piaciuto combinare metrica e musica. Molto di più — ride — che abbinare assassi-
la mia prima lettura, avevo undici anni. Sentivo che quella è la scrittura che
ti fa sudare le mani, che ti fa battere il cuore e che alla fine ti incatena al libro». Eppure agli inizi, mister Deaver, gli infiammati dai suoi di libri non è
che fossero poi tanti: non le è mai sorto il dubbio che tra studi in legge, giornalismo e passione per la musica il brivido potesse non essere il suo mestiere? «È vero, che frustrazione tremenda. I miei primi libri non facevano paura a nessuno. Finché, però, non ho scritto una storia dove pareva che il marito volesse salvare la moglie, mentre si capiva che aveva in mente l’esatto contrario. Mia moglie lo lesse a letto e la notte mi svegliò di colpo: “Per almeno
un mese non potrò più dormire con te”. Quella notte capii che avevo centrato il bersaglio. Poi è arrivato Il collezionista di ossa. E adesso, francamente
no, non ho più paura che i miei romanzi non facciano paura».
Oggi, tradotto in venticinque lingue e pubblicato in centocinquanta Paesi, è uno degli autori di thriller più amati al mondo. «Sono uno che semplifica
e sottrae. Ogni emozione, anche il terrore, chiede l’essenziale. Se facciamo
vedere laghi di sangue, non per questo avremo scritto un buon libro o girato
un buon film. Prendiamo Hitchcock, maestro d’angoscia: è il contrario del cinema-autopsia. A guidare le sue storie è la suspense, quella di tutti i giorni,
quella che fa normalmente parte della nostra vita. Non c’è nulla di più terrificante che trovarsi davanti a situazioni che potrebbero essere successe o
succedere a chiunque di noi».
Deaver scrive dappertutto, anche in treno, anche in taxi. In Italia la Bur ha
appena pubblicato Il manoscritto di Chopin, mosaico di quattordici autori di
thriller da lui orchestrato, ma lui è già immerso nel nuovo racconto annunciato da noi per il 2016: «Sarà un romanzo storico ambientato proprio qui, in
Italia: ci lavoro da più di un anno e mezzo. Sono molto legato al vostro Paese:
dal ‘97, nelle mie abituali centomila miglia annuali, ci faccio sempre uno
stop. Del resto è proprio all’Italia che devo i miei primi riconoscimenti. E qui
ho alcuni dei miei affetti letterari e cinematografici: Eco, Benigni e, naturalmente, Fellini. Inoltre da voi ci sono almeno sessanta milioni di possibili personaggi: non potrò metterli tutti nella mia storia, è vero, ma ne farò comun-
ABITO IN PIENA BOSCAGLIA, IN NORTH
CAROLINA. A CASA MI ASPETTANO
I MIEI SETTE CANI, FORSE OTTO,
UNO DEVE ESSERE NATO MENTRE ERO VIA.
E POI CI SONO I GATTI, I CRICETI E I PESCI
que una grande famiglia, la più ampia possibile».
Il suo focolare americano è oggi formato da sette cani, che l’attendono nella sua villa in North Carolina, appena fuori Washington: «Forse adesso sono di più. C’era un parto annunciato alla mia
partenza. E comunque ho pure gatti, criceti, pesci. Abito in piena
boscaglia: l’ideale per una vita ecologica, fuori degli schemi metropolitani». Deaver pare fuori schema anche in letteratura. Ha prodotto negli Usa un libro esclusivamente “radiofonico”, The Starling Project, per il
sito Audible: «Mi ha sempre attratto la possibile confluenza dei media. Così come mi piacerebbe, prima o poi, scrivere un libro su una chitarra
che uccide. E Sarò la tua ombra, la canzone che
vi ho cantato qui a Courmayer, potrebbe essere
un ottimo punto di partenza. Starei anche pensando di mettere il thriller al servizio del videogame. Che ne dice?». L’ideale per il suo detective di successo, Lincoln Rhyme, la cui postazione
elettronica è già parente del videogame. Ma perché è tetraplegico? «Ero stanco dello stereotipo
stantìo del superpoliziotto dagli atletismi mirabolanti: mens sana in corpore sanissimo. Mi sono concentrato sul cervello: un personaggio di sola testa,
di pura attività mentale, costretto dai limiti fisici a
risolvere enigmi sfruttando il pensiero nelle sue doti di velocità e previsione». Proprio come un ragazzino incollato al videogame: «Il thriller restituito
alla sua essenza, all’esercizio cerebrale». Mr Deaver, Negotium ibi terminetur. «Sì, il nostro incontro finisce qui. Ma lo ricordi, io sono sempre
per la sintesi: factum est».
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