la domenica DI REPUBBLICA DOMENICA 22 MARZO 2015 NUMERO 524 Cult La copertina. Videogiochi, addio vecchi eroi Straparlando. Andrea Carandini: “ Così scavo in me stesso” Mondovisioni. Un trampolino a Oslo Il primo aprile 1965 nasceva la rivista che rivoluzionò il fumetto (e un po’ anche l’Italia) 50 anni 1 APRILE 1965, LA PRIMA COPERTINA DI “LINUS”. PER GENTILE CONCESSIONE DELL’EDITORE BALDINI&CASTOLDI di NA TALIA ASPESI MPROVVISAMENTE, IN QUEL LUMINOSO 1965, i fumetti diventarono chic, preziose opere di contenuto artistico, sociale, politico, letterario, che richiedevano l’attenzione degli intellettuali più brillanti, in quel tempo una vera folla di giovani e giovanilisti combattivi, più o meno comunisti o socialisti e superbamente nazionalpopolari, appassionati alla cultura accademica e a quella di massa. Era un gioco, un piacere, un divertimento, però sottoposto all’approfondimento di una curiosità colta e impaziente. Questi coraggiosi innovatori erano tutti uomini, ma il luogo in cui l’idea di Linus era nata, era in mano alle donne. Era la MilanoLibri, di fianco alla Scala, quindi nel centro più solenne della città e le intraprendenti signore erano Anna Maria Gandini, Laura Lepetit e Vanna Vettori (presto ritiratasi) che la rilevano nell’aprile del 1962. E che organizzano, con il metodo lanciato da Feltrinelli, una libreria che non faccia sog- I gezione, con i libri esposti sui tavoli in modo che si possano prendere in mano e leggere: Feltrinelli ha addirittura avuto il coraggio di metterci un juke-box in libreria. Le signore della MilanoLibri viaggiano, e tornano a Milano cariche di tomi stranieri illustrati e curiosi. Cominciano a importare dagli Stati Uniti, con crescente successo, i libri a strisce disegnati da Charles M. Schulz, con le storie dei Peanuts. Sono in lingua originale, ma pare che anche chi l’inglese lo balbetta non rinunci alle avventure infantili di Charlie Brown, di Lucy, di Linus, del cane Snoopy. Attorno ai Peanuts si riunisce un gruppo di amici mai sazi di cultura, novità, cazzeggio e bevute al bar. E l’animatore è Giovanni Gandini, marito di Anna Maria, che lavora alla casa editrice Ricordi nel settore audiovisivo, con Nanni Ricordi, e che Paolo Interdonato, autore della memorabile biografia dedicata a Linus, definisce “un funambolo capace di rimanere in bilico per un tempo apparentemente infinito, sull’effimero e sul bello”. SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE L’attualità “Vi aspetto” Zineb sfida gli integralisti L’immagine A Ellis Island i fantasmi di JR Next Noi, traditi da internet L’incontro Chi ha paura di Mr. Deaver? U MB E RTO E CO E NON VADO ERRATO siamo rimasti solo in quattro, testimoni viventi dei mirabili eventi che hanno portato alla nascita di Linus: Anna Maria Gandini, Bruno Cavallone, Vittorio Spinazzola ed io. Allora credevamo solo di divertirci e, leggendo anche il bel libro di Paolo Interdonato, (che dice tutto, veramente tutto, sulla storia di Linus), mi accorgo che stavamo facendo storia. Storia minore, certo, ma indubbiamente Linus ha contato molto per più di una generazione. Ricordo solo il mio disappunto quando avevo cercato di avere i diritti per Charlie Brown da pubblicare presso la Bompiani, e invece Giovanni Gandini mi aveva detto che li aveva già ottenuti lui. Poco male, e la soddisfazione ha vinto il disappunto: mi interessava più che Charlie Brown apparisse in italiano che non che apparisse presso l’editore per cui lavoravo. E così ho scritto la prefazione, credendo di dire cose scontate e invece trent’anni S dopo la New York Review of Books ha voluto pubblicare quel saggetto come se fosse una inedita riscoperta di Schulz. Nemo profeta in patria, si vede. Eppure avevo appreso proprio da saggisti americani che i fumetti dovevano essere considerati con attenzione critica. Di quei tempi ricordo con nostalgia le serate passate al bar Oreste di piazza Mirabello (che poi nel mio Pendolo di Foucault ho fatto diventare il bar Pilade sui Navigli). Gandini ci portava tanti suoi amici, tra i quali ricordo (dati i recenti eventi) Wolinski (mi aveva regalato una mia caricatura, che ho riscoperto con commozione proprio nei giorni del massacro a Charlie Hebdo). Ma venivano anche Topor, Copi e altri. Il bar Oreste era una sorta di osteria galattica alla Star Wars, dove apparivano sessantottini, giornalisti rappresentanti del sistema ormai in eschimo, belle ragazze che battevano soavemente il pube contro il flipper senza farlo andare in tilt, e un venditore di cravatte che tutti riconoscevano come una spia della polizia. SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE la Repubblica LA DOMENICA DOMENICA 22 MARZO 2015 32 Le copertine. 1965 - 2015 BARBARELLA (CHESTER GOULD) OTTOBRE 1967 LI’L ABNER (AL CAPP) FEBBRAIO 1968 VALENTINA (GUIDO CREPAX) GENNAIO 1969 DICK TRACY (CHESTER GOULD) LUGLIO 1970 CORTO MALTESE (HUGO PRATT) GIUGNO 1974 Le signore della MilanoLibri, Odb, Eco e poi i Peanuts, Popeye, Doonesbury Storia di una rivista nata col pollice in bocca <SEGUE DALLA COPERTINA N A T A LI A S P E S I LA PRIMA - 1 APRILE 1965 LINUS (CHARLES SCHULZ) CON LA SUA IMMANCABILE COPERTA E IL POLLICE IN BOCCA È IL PERSONAGGIO DEI PEANUTS SCELTO PER LA PRIMA COPERTINA DELLA STORICA RIVISTA TTORNO a lui altri giovani appassionati di storie disegnate a quadri e quadretti. Franco Cavallone, futuro potente notaio, che inventa il linguaggio italiano dei Peanuts; suo fratello Bruno, impegnato nella carriera accademica alla facoltà di giurisprudenza a Milano e traduttore dell’opossum Pogo. Gli altri sono un procuratore legale, Ranieri Carano, un grafico dello studio Unimak, Salvatore Gregorietti, il critico letterario Vittorio Spinazzola, Umberto Eco, semiologo e in quegli anni condirettore della Bompiani e Oreste del Buono, scrittore, direttore di giornali, critico, traduttore, giornalista. Si unisce a loro l’avvocato Francesco Mottola, il più accanito appassionato dei Peanuts. Si accavallano i progetti. Eco vorrebbe prendere i Peanuts per la Bompiani, ma gli amici sono più veloci, nasce l’editrice Milano Libri che pubblica nel 1963 il primo libro dei Peanuts tradotto in italiano, Arriva Charlie Brown!. Poi finalmente si concretizza un progetto molto audace, una rivista mensile di superfumetti! Il primo numero esce l’1 aprile 1965, e non è un pesce, uno scherzo. È un terremoto nel mondo sotterraneo dei divoratori di strisce che non devono più occultare quella passione ma possono vistosamente esibirla: leggere Linus diventa sin dai primi numeri un gesto colto e alla moda. Oggi Interdonato, che di professione è un prezioso consulente informatico, «a modo» dice lui, occhioni neri e riccioli neri, ricorda: «Avevo dieci anni alla fine degli anni ’70, mio padre mi regalò un pacchetto di vecchi Linus presi su una bancarella e da quel momento la mia vita cambiò». Ormai il consulente informatico è diventato un dizionario, un archivio, un laboratorio, un’inarrivabile memoria dei fumetti di tutto il mondo, Paperino e Manga compresi. Dice Anna Maria Gandini: «Io mi ero un po’ stancata di parlare sempre di Linus, e non gli ho detto niente: ha fatto tutto da solo un lavoro enorme di ricerca, un libro perfetto». La Milano di quella seconda metà degli anni ‘60 è speciale, vive forse il suo momento più vivace e culturalmente appassionato. Giorgio Marconi apre il suo Studio e nella prima mostra, nel 1965, espone giovani artisti italiani che diventeranno famosi, Tadini, Adami, Schifano, Del Pezzo. L’anno prima, alla Biennale di Venezia, è arrivata la pop art portata dalla Cia. Le ragazze hanno tagliato le gonne tra la disperazione dei padri, ancora non pensano al femminismo ma la Lepetit ha già fondato una piccola casa editrice, La Tartaruga, che pubblica solo testi scritti da donne. La gente legge, si ferma alle edicole per vedere se ci sono novità, prende coraggio e entra nelle librerie: tra i libri italiani più venduti, in quegli anni, La noia di Moravia, Il giardino dei Finzi Contini di Bassani, La tregua di Levi, Il male oscuro di Berto. Ma vendono anche saggi importanti di Marcuse, Foucault, A Quando ilfumetto diventò grande LA PROSSIMA - 1 APRILE 2015 50 ANNI DI PERSONAGGI (S. PONCHIONE) WOLINUS (GEORGES WOLINSKI) FEBBRAIO 2015 CUL DE SAC (RICHARD THOMPSON) DICEMBRE 2008 Levi Strauss, Reich. In edicola si installano gli Oscar Mondadori e il primo titolo, Addio alle armi di Hemingway, vende duecentottantamila copie e I Malavoglia di Verga supera il milione. Per i divoratori di fumetti ci sono anche quelli dei supereroi, Batman e Nembo Kid, da anni i ragazzini si dividono tra Topolino della Mondadori e Tex dei Bonelli, tuttora il fumetto più venduto in Italia. Tre anni prima di Linus, le geniali sorelle Giussani hanno inventato Diabolik e, dice lo studioso Interdonato, «in formato tascabile, pensando ai pendolari che ogni giorno arrivano dalla Nord e che loro vedono dalla finestra di casa». Il primo numero di Linus dalla grande copertina verde e a sessantaquattro pagine, è frutto di accese discussioni tra i suoi ideatori, che a differenza di altri fumettari danno molta importanza all’autore: contiene i Peanuts di Schulz; Crazy Cat di Harriman, triangolo amoroso in cui il cane ama il gatto che ama il topo armato di un mattone, odiato dal cane: ‘Li’l Abner’ di All Capp, allegro scontro tra una comunità rurale felice e miliardari spietati; e infine Popeye cioè Braccio di ferro firmato dal primo autore, Segar, che nel 1946 era già apparso sulla rivista sofisticata Il Politecnico di Vittorini. Un mese dopo entrerà gloriosamente nella rivista il primo disegnatore italiano, Guido Crepax, con la sua bella e misteriosa Valentina, prima e forse ultima portatrice di erotismo gentile in un mondo maschile. I primi anni della rivista sotto la direzione di Giovanni Gandini sono anche i più felici. Linus, che pareva isolato dal mondo dentro i suoi mondi a fumetti, comincia ad essere tempestato di lettere: sono i giovani a scrivere e quindi la rivista, dubbiosa, deve aprirsi a ciò che in quel momento più interessa ai giovani: la politica. Iniziano dialoghi e polemiche. “È chiaro che All Capp è fascista...”, “Vi raccomando, non fate della politica...”. Risponde il giornale: Linus non è una rivista rivoluzionaria, si accontenta di ironizzare sul costume e forse anche sulle strutture sociali cercando di divertire. Ma il fuori si intrufola per forza tra Pogo e Barbarella, tra Dick Tracy e Wolinski, tra Copi e Topor, che si installano a casa Gandini trovandosi benissimo a Milano. Poi, agli inizi dei ’70 «i lettori scomparvero da un giorno all’altro» racconterà anni dopo LABIRINTI (LORENZO MATTOTTI) LUGLIO 1997 ERITREO CAZZULATI (ENZO LUNARI) NOVEMBRE 1996 la Repubblica DOMENICA 22 MARZO 2015 LUCY E SNOOPY (CHARLES SCHULZ) SETTEMBRE 1975 I LIBRI “LINUS - STORIA DI UNA RIVOLUZIONE NATA PER GIOCO” DI PAOLO INTERDONATO (RIZZOLI LIZARD, 256 PAGINE, 20 EURO) IN USCITA AD APRILE, VERRÀ PRESENTATO A MILANO ALLA LIBRERIA UTOPIA MARTEDÌ PROSSIMO ALLE 18. “LE SEICENTO COPERTINE DI LINUS” (BALDINI&CASTOLDI, 608 PAGINE, 50 EURO) SARÀ INVECE IN LIBRERIA I PRIMI DI MAGGIO Oreste del Buono che nel 1972 aveva rilevato la direzione di Linus venduto alla Rizzoli perché Gandini non si divertiva più e al mensile non bastava il meraviglioso chiacchiericcio in libreria ma aveva bisogno di una struttura aziendale. «Restavano solo i vecchi perché i ragazzi se ne erano andati in massa…». Erano cominciate le agitazioni studentesche, e può darsi che i giovani lettori non si fossero stancati di Linus, forse «quelli in prima fila nelle agitazioni, nel tentativo di rinnovare e cambiare la palude, e che erano stati nostri lettori avevano trovato qualcosa di meglio, di più importante da fare che leggerci». Ricorda Anna Mari Gandini: «I ragazzi che erano venuti spesso in libreria coi soldi di papà, tornarono annunciando un esproprio proletario. Ma io non li lasciavo uscire senza pagare. E pagavano». A cinquant’anni dalla sua nascita in una Milano viva, giovane, piena di un futuro che poi non c’è stato, adesso, in un mondo totalmente cambiato, in una Milano intristita e spaventata, Linus è ancora vivo, diretto da Stefania Rumor, edito da Baldini & Castoldi. Ci sono ancora i Peanuts, anche se Schulz non c’è più, Pogo, Doonesbury, Dilbert, ma anche personaggi meno storici come Konrad & Paul, di Ralf König, una coppia omosessuale sempre in canottiera. La copertina di aprile, disegnata da Sergio Ponchione, contiene centodiciotto personaggi dei fumetti linusiani, e a maggio, per festeggiare, la Baldini & Castoldi pubblicherà un libro con le sue seicento copertine. Il fumetto è eterno, è soprattutto maschio: i fumettologi scrivono saggi sull’oceanico argomento, i fumettomani spaziano dalle strisce storiche alle graphic novel per il secondo anno candidate allo Strega, e Il Fatto suggerisce alla giuria del premio “i quindici buoni motivi” per cui quest’anno Dimentica il mio nome di Zerocalcare “deve vincere”. Tra l’altro perché, “l’autore scava nel vissuto”. B.C. (JOHNNY HART) OTTOBRE 1976 GIRAFFE (MORDILLO) DICEMBRE 1978 <SEGUE DALLA COPERTINA ORESTE DEL BUONO U MB E R T O E CO I O SONO UN CONVERTITO A CHARLIE BROWN. All’inizio non mi piaceva affatto. Intanto il mio interesse per i fumetti era diretto al genere avventuroso e Charlie Brown non mi divertiva. Trovavo persone che ridevano, leggendo Charlie Brown, e cercavo questa parte di comico senza trovarla. Però a un certo punto è avvenuta proprio una specie di rivelazione: ho scoperto che i fumetti di Charlie Brown sono assolutamente realistici. È avvenuta addirittura un’identificazione: Charlie Brown sono io. Da questo punto ho incominciato a capirlo. Altro che comico, era tragico, una tragedia continua. Ed ecco finalmente ne ho cominciato a ridere. Un fumetto come diagnosi, prognosi ed esorcismo. (Dall’intervista di Umberto Eco a Elio Vittorini e Oreste del Buono sul primo numero di Linus. Sotto il direttore della rivista con la redazione e con il suo successore, Fulvia Serra) ANDINI ERA UN VULCANO di idee e G © RIPRODUZIONE RISERVATA © RIPRODUZIONE RISERVATA KRAZY KAT (GEORGE HERRIMAN) GIUGNO 1996 IL DR RIGOLO (PERICOLI E PIRELLA) NOVEMBRE 1976 Folgorato Ma nella Milano sulla via del barOreste di Charlie Brown splendeva il sole © COURTESY SALVATORE GREGORIETTI POGO (WALT KELLY) NOVEMBRE 1974 33 trascinava tutti. Tutti ha trascinato, non solo nell’impresa Linus ma sino all’esperimento gloriosamente fallimentare del Giornalone, e scopriva a mano a mano, dopo Pogo Possum, Krazy Kat, Li’l Abner e sodali, anche Crepax, Girighiz, Pratt e altri. L’ultima volta che ho visto Giovanni, a Venezia, non riusciva quasi più a parlare e risolveva rebus e parole crociate, intrattenendosi sui più difficili. Forse, se avesse avuto tempo, avrebbe fondato una rivista di enigmistica autre. Come sarebbe stata poteva dirlo solo lui, e ha portato il suo segreto con sé. Ranieri Carano traduceva quasi tutto, Vittorini e del Buono davano inizio a una lettura colta del fumetto classico (e Vittorini lo aveva fatto sin dai tempi del Politecnico), Franco Cavallone, con le sue orecchie da personaggio di Walt Disney, ricreava Charlie Brown in un italiano schulziano. Poi, dopo la pubblicazione americana del mio saggio, ho incontrato a Parigi Schulz che, come prima domanda, mi ha domandato “Che cosa pensa di Gesù Cristo?”, segno che non avevo sbagliato a leggere i suoi fumetti come un testo che manifestava qualche preoccupazione (come dire?) spirituale. Vecchi tempi, quando Snoopy rievocava una notte buia e tempestosa, ma per noi erano giorni solari. Rivisitarli è una gioia, oltre che un dovere. E un modo di ritrovarsi, oggi, tra superstiti. (Dall’intervento tenuto in occasione del convegno organizzato dall’Università Statale di Milano sui “Cinquant’anni di Linus” il 5 marzo scorso) © RIPRODUZIONE RISERVATA CALVIN & HOBBS (BILL WATTERSON) SETTEMBRE 1995 I PEANUTS (CHARLES SHULZ) APRILE 1995 MAUS (ART SPIEGELMAN) MARZO 1991 CIPPUTI (ALTAN) DICEMBRE 1980 BOBO (SERGIO STAINO) AGOSTO 1982 DOMANI SU REPTV NEWS (ORE 19.45, CANALE 50 DEL DIGITALE E 139 DI SKY) NATALIA ASPESI RACCONTA LA MILANO DI LINUS DOONESBURY (GARRY TRUDEAU) NOVEMBRE 1990 la Repubblica LA DOMENICA DOMENICA 22 MARZO 2015 34 L’attualità. Sotto tiro Il giorno dell’agguato a “Charlie Hebdo” non era andata in redazione La sua colpa è di aver scritto, insieme a Charb, “La vita di Maometto” Ma soprattutto è quella di essere donna, marocchina e atea: “Tutte cose insopportabili per gli integralisti”. Che ora l’hanno condannata a morte LE IMMAGINI AN AI S G I N O R I PARIGI ERO A CASABLANCA. MANDAI IL MIO ARTICOLO, MA NON RICEVETTI RISPOSTA... ORA PER GLI JIHADISTI UCCIDERMI NON È UN’OPZIONE MA UN OBBLIGO. CAPITOLARE SAREBBE DA VIGLIACCHI E POI NON SERVIREBBE A NIENTE. E ALLORA ECCOMI: VI ASPETTO HARLIEÈUNADONNA che cammina stretta tra due guardie del corpo, mentre altri poliziotti bloccano al traffico un’intera strada per isolare e proteggere la macchina sulla quale deve salire. «Adesso faccio parte del piccolo e maledetto club di persone da abbattere solo per quello che dicono o scrivono». Per lei non c’è stato neppure bisogno di una fatwa, un editto religioso. È bastato un hashtag, diventato in poche ore il più popolare sui siti jihadisti: #obligation de tuer zineb el rhazoui pour venger le prophète, “obbligo di ucciderla per vendicare il Profeta”: «Non è un’opzione ma proprio un obbligo». Zineb El Rhazoui arriva scortata nella sede di Libération, dietro place de la République. Sale all’ultimo piano, entra nella stanza hublot, come l’oblò dal quale si vede tutta Parigi, in quella che da un paio di mesi è la redazione provvisoria di Charlie Hebdo. Il giorno prima è stata costretta ad annullare l’incontro con Repubblica, le autorità le hanno chiesto di abbandonare in poche ore il suo domicilio per trasferirsi in un luogo segreto e sicuro. «Devo risolvere una serie infinita di piccoli e grandi problemi. Non sono preoccupata per me, ma per chi mi sta accanto». Nei siti jihadisti è citato anche suo marito, lo scrittore marocchino Jaouad Benaissi. «Non lavora a Charlie, non è un personaggio pubblico ma si ritrova suo malgrado travolto da questa shit storm». Prima di riuscire a parlare con Zineb ci sono vari filtri, perquisizioni. Fino a qualche settimana fa, nessuno o quasi conosceva il suo volto. Ora la sua foto accompagna le minacce di morte che circolano in Rete. Sono appelli precisi, dettagliati. «In mancanza di una pallottola o di esplosivo, viene suggerito di isolarmi e schiacciarmi la testa con dei sassi, sgozzarmi, darmi fuoco. E se proprio non c’è altro da fare, bruciare la mia casa». Snocciola le diverse possibilità come se parlasse di un’altra persona, con un misto di ironia e sfida. «Bene, stronzi, vi aspetto» ha reagito in televisione, subito dopo la notizia dell’hashtag minatorio, a febbraio. Ora tutto è diventato meno virtuale. La convivenza forzata con gli agenti, i traslochi imposti nella notte, qualsiasi movimento, incontro, sottoposto a verifiche. La libertà non è più quella di prima. Zineb controlla ogni parola. «Ok, ho sbagliato a dire stronzi. Non bisogna insultare. Diciamo integralisti, ok?». Alle undici del mattino ha già finito il primo pacchetto di sigarette slim alla menta. «Per gli integralisti rappresento una visione insopportabile». È donna, giovane, nata a Casablanca il 19 gennaio 1982, è una musulmana atea, una sociologa delle religioni che ha deciso di lavorare in un settimanale satirico, laico e anarchico. Dentro C ZINEB EL RHAZOUI, 33 ANNI, SOCIOLOGA DELLE RELIGIONI E GIORNALISTA DI “CHARLIE HEBDO”, QUI SOPRA, AL CENTRO DELLA FOTO, DURANTE IL CORTEO PARIGINO DELL’11 GENNAIO SCORSO. IN BASSO A SINISTRA UN SUO RITRATTO a Charlie Hebdo è l’unica a parlare arabo, ha fatto l’esegesi di libri antichi e riservati agli specialisti dell’Islam. «Sono la prova vivente che non esiste lo scontro di civiltà, ma la scontro tra una barbarie e la civiltà». Come tante bambine marocchine, Zineb è cresciuta seguendo l’educazione islamica obbligatoria a scuola. «Ma non eravamo costrette a mettere il velo, né c’erano classi separate tra maschi e femmine, come vorrebbero fare gli integralisti oggi». A diciotto anni è arrivata a Parigi per fare l’università, si è iscritta al master di sociologia delle religioni all’Ehess, la scuola di scienze sociali dove sono passati Lévi-Strauss, Bourdieu, Foucault. Ha vissuto due anni in Egitto, insegnando all’università del Cairo, prima di decidere di tornare in Marocco, nel 2007. «Sentivo che era lì che dovevo fare le mie battaglie». Zineb scrive su Le Journal Hebdomadaire, giornale francofono e indipendente. Insieme a un gruppo di amici fonda “Mali”, acronimo di Mouvement alternatif pour les libertés individuelles, che in arabo marocchino significa anche “Cosa c’è che non va?”. Nel 2009 il Mali organizza un picnic all’aperto durante il periodo di Ramadan per protestare contro l’articolo 222 del codice penale che mette in pri- Je suis Zineb la Repubblica DOMENICA 22 MARZO 2015 gione chiunque mangi pubblicamente durante il digiuno religioso. Zineb e gli altri militanti vengono arrestati, poi rilasciati. L’anno dopo, la polizia entra nella redazione de Le Journal Hebdomadaire, mette i sigilli. Nel 2011, con le primavere arabe, diventa portavoce del “movimento del 20 febbraio”, data della prima di una serie di manifestazioni per chiedere riforme democratiche. Presto i contestatori si dividono, la repressione si fa più dura. Zineb decide di lasciare Casablanca per la Slovenia dov’è stata inserita nel programma “Icorn”, l’International Cities of Refuge Network, che dà rifugio a scrittori e giornalisti perseguitati. «Se fossi rimasta in Marocco sarei davvero finita nei guai» ricorda fumando un’altra sigaretta. È durante la sua fuga che incontra la banda di Charlie Hebdo. Una giornalista del settimanale la intervista a Parigi sulle primavere arabe. Due giorni dopo è a pranzo con i vignettisti Charb e Riss. Zineb comincia a mandare articoli sul mondo arabo, su quella che chiama «decostruzione dell’ideologia integralista», offre una sponda erudita per rispondere alle critiche che il giornale riceve dal 2006, quando pubblicò le vignette danesi su Maometto. Una mattina il direttore Charb chiama Zineb in Slovenia: «E se raccontassimo chi era davvero Maometto? Tutti conoscono la vita di Gesù o Mosè, nessuno quella del messaggero di Allah». Lei scrive i testi, lui disegna. Una cosa seria, senza caricature né battute. La biografia a fumetti, allegata al giornale, diventa un libro, con note bibliografiche in cui l’autrice rimanda agli antichi racconti sulla vita del Profeta. «Non abbiamo inventato nulla, anche perché la vita di Maometto è già abbastanza straordinaria così». Il Profeta è rappresentato con l’omino giallo, feticcio di Charb. Il 7 gennaio scorso Zineb era nella casa di famiglia in Marocco. Aveva messo la sveglia presto, doveva mandare una proposta di articolo prima della riunione di redazione. La sua email è rimasta senza risposta. Zineb ha continuato per tutto il giorno a chiamare Charb, anche se ormai sapeva che era morto. Non voleva crederci. Era lui il più coraggioso di tutti. Ogni volta che si trovava davanti a un problema, gridava ai colleghi «Allah Akbar!». Un giorno Zineb gli chiese di smetterla. «Quando verranno per ucciderti non sapremo se è uno scherzo» gli aveva detto. A dicembre, avevano pranzato insieme prima delle vacanze. Il vignettista-direttore ironizzava sulle difficoltà finanziarie del giornale, sulle questue cui era costretto presso le istituzioni per sopravvivere. «Mi ritrovo a battere come una puttana» le aveva detto. La redazione è sempre stata molto maschile, osserva Zineb, «ma col tempo Charlie ha imparato a essere femminista. Noi ragazze siamo riuscite a farci rispettare». Qualche settimana fa sono venute a Parigi delle guerrigliere curde che combattono l’Is. «Gli integralisti le temono più degli uomini. Sono convinti che se vengono uccisi da una donna non avranno lo statuto di martiri e quindi niente Paradiso, niente vergini: una fregatura, insomma». Ogni tanto vede Tignous o Charb all’angolo della strada, in mezzo alla folla. Allucinazioni. «Non abbiamo avuto il tempo di elaborare il lutto». Della paura non vuole parlare. «Sono finita in mezzo a una guerra, sarebbe da vigliacchi capitolare per salvare la pelle. E comunque non servirebbe». Sta preparando il prossimo articolo. La traduzione commentata di un questionario dell’Is a proposito della vendita di donne. Ne racconta qualche estratto. «”Se compro due sorelle posso fare sesso con tutte e due?”. Risposta del Califfato: “No, una può essere compagna, l’altra domestica”. “Se una delle mie schiave ha un bambino, posso rivenderlo?”. “Sì”. “Quando compro una donna posso fare l’amore subito?”, “Se non è vergine bisogna aspettare che abbia il ciclo per essere sicuri che non sia incinta”». L’articolo di Zineb uscirà presto su Charlie Hebdo. Era la proposta che aveva mandato a Charb il 7 gennaio. «Ho interpretato il silenzio come un sì». © RIPRODUZIONE RISERVATA Il mio Georges mi dà ancora la buonanotte MA R Y S E W OL I NSKI ONOBBI GEORGES nel maggio C IL LIBRO ZINEB HA SCRITTO I TESTI PER LA “VITA DI MAOMETTO” DISEGNATA DA CHARB, IL DIRETTORE DI “CHARLIE HEBDO” UCCISO DA DUE TERRORISTI INSIEME AD ALTRE UNDICI PERSONE IL 7 GENNAIO SCORSO DURANTE L’ATTACCO ALLA RIVISTA SATIRICA del 1968. Fu amore a prima vista. Lui era praticamente l’opposto di tutti gli altri uomini che avevo conosciuto, ed era l’opposto di tutto quello che i miei genitori avrebbero desiderato per me. Ero cresciuta in una famiglia cattolicissima, severissima: ridere e scherzare era qualcosa che semplicemente non si faceva, da noi. Georges mi faceva ridere. Avevamo gli stessi valori — tolleranza, libertà, pace, uguaglianza — ma non avevamo necessariamente le stesse idee. A volte, quando ero seduta alla scrivania, a casa, lui veniva, si sedeva accanto a me e cominciava a disegnarmi. In molte delle sue vignette c’era una donnina bionda: quella ero io. I suoi colleghi mi dicevano: «Ah! Eccoti di nuovo Maryse! Ti ha messa di nuovo in un suo disegno!». Ma se pensava che il disegno non mi sarebbe piaciuto, allora disegnava una donnina mora, così non avrei potuto 35 riconoscermi. Non aveva mai disegnato Maometto. Le sue vignette erano più a tema politico o sessuale, perciò almeno io non avevo la minima idea che ci fosse un pericolo in agguato. E invece in un recente numero di Charlie Hebdo Riss, il nuovo direttore, ha parlato dei dubbi di Georges. Pare che facesse domande tipo «stiamo mettendo in pericolo la nostra vita?». Georges è rimasto innamorato fino alla fine. C’era in particolare una cosa che faceva che mi strappava sempre un sorriso. Nei giorni in cui non ci vedevamo, o se la sera dovevo uscire, mi lasciava dei piccoli bigliettini, dei post-it. Poteva esserci scritto “Oggi ho fatto questo o quello”, oppure se quella sera avevo una riunione difficile magari mi scriveva una cosa come «Un bacio al tuo bellissimo sorriso». Quello che ho fatto — perché come potete immaginare, dopo quarantasette anni, ora che se ne è andato è un momento difficilissimo per me — è stato attaccare tutti questi postit, uno dopo l’altro, in giro per l’appartamento. L’ultimo che vedo prima di andare in camera da letto dice: «Buonanotte tesoro». (Traduzione di Fabio Galimberti) Maryse Wolinski è la moglie di Georges Wolinski, ucciso nella redazione di Charlie Hebdo il 7 gennaio 2015. Questo testo è tratto da un’intervista a ©BBC World Service ed è pubblicato per gentile concessione dell’autrice © RIPRODUZIONE RISERVATA la Repubblica LA DOMENICA DOMENICA 22 MARZO 2015 36 L’immagine. Parlare al muro ©JR / FOTO ARCHIOVIO: NATIONAL PARK SERVICE, STATUE OF LIBERTY NATIONAL SBARCO. L’ARRIVO DEI MIGRANTI A ELLIS ISLAND IN UNA FOTO D’ARCHIVIO. ACCANTO, GRANDE, LA STESSA FOTO RIVISITA DA JR ©JR / FOTO ARCHIOVIO: NATIONAL PARK SERVICE, STATUE OF LIBERTY NATIONAL INDESIDERABILI. UNA DONNA ATTENDE SDRAIATA SU UNA PANCA LA NAVE CHE LA RIPORTERÀ INDIETRO. QUI SOPRA COME LA RICORDA JR NONNA. ARRIVATA A NEW YORK DALLA CECOSLOVACCHIA. A DESTRA, LA SUA GIGANTOGRAFIA NELL’OSPEDALE ABBANDONATO I fantasmi diEllis Island la Repubblica ©JR DOMENICA 22 MARZO 2015 37 “All’inizio ci chiamavano vandali, oggi artisti. Almeno è più facile spiegare a mia madre quello che faccio” IL LIBRO E LA MOSTRA “THE GHOST OF ELLIS ISLAND” (DAMIANI, 120 PAGINE, 29 EURO) SARÀ IN LIBRERIA IN LINGUA INGLESE ALL’INIZIO DI APRILE. PER VISITARE IL PROGETTO “UNFRAMED ELLIS ISLAND”: WWW.SAVEELLISISLAND.ORG. QUI SOPRA JR AL LAVORO D A R I O P AP P A L A RDO ©JR / FOTO ARCHIOVIO: LIBRARY OF CONGRESS T Vecchie foto di migranti tappezzano le stanze vuote dell’ospedale sull’isola “delle lacrime”, a New York L’autore è JR, inafferrabile star della Street Art UTTO NASCE DA UNA MACCHINA FOTOGRAFICA abbandonata sul metrò di Parigi. Un ragazzo di diciassette anni la trova, la accende e, da quel momento, smette di essere un graffitaro come tanti e diventa JR. Scatta ritratti di giovani delle banlieue, li lascia in giro per Parigi: diventano la serie Portrait of a Generation e sollevano l’attenzione sulle periferie, ancora prima dei tumulti del 2005. Quel ragazzo continua a fare lo stesso negli slum di Nairobi, nelle favelas di Rio. Tra degrado e spazzatura dispone gli occhi enormi degli ultimi: poveri, donne, bambini, quelli che non entrano nelle gallerie dello star system. Oggi, a trentadue anni, quello che ormai è uno street artist solo fino a un certo punto, è conteso da musei e collezionisti di tutto il mondo, ha esposto alla Tate e alla Biennale di Venezia: in questi giorni è protagonista di una grande retrospettiva a Hong Kong, l’editore Phaidon gli dedica la prima importante monografia, mentre il mese prossimo presenterà al Tribeca Film Festival il cortometraggio Les Bosquets. Ma, soprattutto, JR ha riaperto gli spazi storici dell’ospedale di Ellis Island, New York, firmando un progetto che ha riattivato un’area rimasta chiusa per sessant’anni. Era lì che si decideva il destino di tanti migranti in cerca del sogno americano. Circa un milione e duecentomila persone (il dieci per cento dei dodici milioni sbarcati a Ellis Island), dagli inizi del Novecento agli anni Trenta, hanno vissuto in quelle stanze: tremilacinquecento hanno concluso lì la loro vita; trecentocinquanta vi sono nati. Dai loro letti si poteva vedere la Statua della libertà. Come racconta con spettacolari immagini il volume in uscita all’inizio di aprile da Damiani, The Ghosts of Ellis Island (ci sono anche i disegni di Art Spiegelman), JR ha ritrovato quei fantasmi negli archivi. Ha selezionato, ristampato e ingigantito fotografie dell’epoca. Quelle persone — pazienti, medici, infermieri — ora si riaffacciano negli stessi ambienti dove hanno vissuto. Sulle pareti, sulle finestre, sui pavimenti campeggiano i loro ritratti a ritrovare il tempo perduto. A Ellis Island, JR ha dedicato anche un cortometraggio con Robert De Niro, che ha appena finito di girare. Mentre vola verso Hong Kong, l’artista che, sulla scia di Banksy, da quindici anni riesce a mantenere segreto il suo nome, risponde alle domande. Come descriverebbe quello che fa? «Il mio lavoro mette insieme fotografia, col- Quando ho iniziato, quello che facevo veniva lage e… persone. È soprattutto un’impresa di chiamato semplicemente “vandalismo”. Ma gruppo. Amo coinvolgere gente da ogni parte appena ho capito di poter dire di essere un ardel pianeta. Da ragazzo, partecipando alla cul- tista mi è riuscito più facile spiegare a mia matura dei graffiti, ammiravo ogni writer che dre che cosa faccio». Perché ha scelto di restare ancora anoniaveva il coraggio di scalare i palazzi solo per lasciare il proprio nome. In seguito, ho adattato mo? questo tipo di filosofia a un lavoro un po’ diver«Perché in tanti paesi gran parte del mio laso: abbandonare negli spazi aperti, non il mio voro è tuttora illegale. E comunque, proprio nome, ma fotografie di persone». perché ho iniziato nell’anonimato non vedo Qual è l’origine del progetto per Ellis perché ora debba far sapere di più di me». Island? Non pensa che la Street Art sia ormai diventata un fenomeno di mercato? «Quattro anni fa la mia produttrice, Jane Rosenthal, mi regalò un libro dedicato all’ospe«Sì, è completamente cambiata negli ultimi dale dimenticato di Ellis Island: lo trovai molto dieci anni. Ma la trovo sempre interessante e, affascinante. Avrei voluto subito andare lì e la- comunque, gli artisti che hanno una visione vorarci, ma c’è voluto qualche anno prima che più ampia degli altri resistono». potessi iniziare. Adesso che quello spazio è Che rapporti ha con il re della Street Art, aperto al pubblico, la gente può di nuovo camBanksy? minare nelle stanze dell’ospedale rimaste co«Ottimi. Ho sempre amato il suo lavoro, è sì, con tutti i segni del tempo, e guardare le im- stato lui il primo a segnalarmi attraverso la Lamagini sui muri messe da me e che, a loro vol- zarides Gallery di Londra, quando avevo venta, lentamente vanno in rovina». titré anni». Come ha realizzato praticamente l’instalQuali altri artisti segue? lazione? «Tanti. Blu è uno dei miei preferiti. Poi amo «Ho incollato alle pareti le foto che ho tro- molto il lavoro di Prune Nourry, Vik Muniz, Olivato negli archivi della biblioteca di Ellis ver Jeffers…». Island. Questa iniziativa si inserisce all’inDove vive? Com’è casa sua? terno di un progetto più ampio che ho chia«Vivo per lo più a New York, ma viaggio per mato Unframed e che ho inaugurato cinque dieci mesi all’anno con i miei amici e il mio anni fa usando fotografie ritrovate negli ar- team. Instagram è il posto più facile per trochivi dei musei». varmi». Ha appena finito di girare un corto con De Che cos’ha sul suo comodino? Niro. Ha intenzione di passare al cinema? «Ecco, a proposito, dovrei proprio procurar«Ho iniziato a girare brevi film quando ave- mi un comodino». vo vent’anni. Nel 2010 è uscito nelle sale un doMa uno street artist è ispirato anche dalle letture? cumentario intitolato Women Are Heroes. Questo con De Niro è il mio primo film di fiction: «In questi giorni leggo Jiro Taniguchi, l’auvolevo parlare di immigrazione, mettendo in tore giapponese di graphic novel». parallelo storie legate a Ellis Island con altre di Qual è il suo prossimo progetto? «Adoro non conoscere quale sarà il prossimo oggi. Lo sto montando adesso. Vedremo». passo che farò. Mi rassicura sapere che tutto riCome è diventato un artista? «Non ho mai capito veramente di essere di- mane sempre così precario». ventato un artista… È la gente che me lo dice. © RIPRODUZIONE RISERVATA la Repubblica LA DOMENICA DOMENICA 22 MARZO 2015 38 Spettacoli. Grandi dittatori RAMBO UNO DEI PERSONAGGI DI HOLLYWOOD PIÙ AMATI DA KIM JONG-IL, CHE ADORAVA ANCHE MUSICAL, WESTERN E THRILLER IL DVD USCITO NEGLI USA A DICEMBRE TRA LE MINACCE , “THE INTERVIEW”, SU KIM JONG-UN CON JAMES FRANCO, SARÀ DISTRIBUITO IN DVD IN ITALIA DAL 25 MARZO SHIN E CHOI ERANO DIVORZIATI QUANDO FURONO RAPITI DA KIM JONG-IL (QUI SOTTO). SI RISPOSARONO DOPO LA FUGA DA PYONGYANG IL LIBRO TUTTI INSIEME KIM JONG-IL TRA CHOI E SHIN AL PARTY ORGANIZZATO PER LA COPPIA SUDCOREANA NEL MARZO 1983 “A KIM JONG-IL PRODUCTION” DI PAUL FISCHER (VIKING, 368 PAGINE) USCIRÀ IN ITALIA A SETTEMBRE PER BOMPIANI CHOI EUN-HEE 007 DIVA IN COREA DEL SUD FU FATTA RAPIRE DA KIM JONG-IL. OGGI HA QUASI NOVANTA ANNI TRA I FILM PREFERITI DA KIM JONG-IL ANCHE LA SAGA DI JAMES BOND Il Godzilla comunista La storia incredibilmente vera di Kim Jong-il che per un buon film avrebbe fatto qualunque cosa la Repubblica DOMENICA 22 MARZO 2015 39 CINEFILO PADRE DELL’ATTUALE DITTATORE KIM JONG-UN, E FIGLIO DI KIM IL-SUNG, KIM JONG-IL FU UN GRANDE APPASSIONATO DI CINEMA: SI VANTAVA DI POSSEDERE UNA COLLEZIONE FATTA DI OLTRE VENTIMILA PELLICOLE THE FLOWER GIRL IL FILM PIÙ IMPORTANTE DELLA CARRIERA CINEMATOGRAFICA DI KIM JONG-IL: FU UN SUCCESSO IN TUTTA L’ASIA PULGASARI È IL GODZILLA COMUNISTA: IL FILM PIÙ FAMOSO DEI SETTE GIRATI DA SHIN SANG-OK IN COREA DEL NORD SHIN SANG-OK ERA IL PIÙ FAMOSO REGISTA DI SEUL QUANDO NEL 1978 VENNE FATTO RAPIRE DA KIM JONG-IL. È MORTO NEL 2006 VITTORIO ZUCCONI S HIN SI SVEGLIÒ dentro un sacco di quelli per i cadaveri, forato giusto per lasciarlo respirare nella stiva puzzolente di una nave. Choi, sua moglie, riprese i sensi in un’alcova con baldacchino, fra lenzuola di seta e tende di broccato, dentro un castello da ultimo imperatore. «Dev’essere un incubo» pensò Shin, scrocchiando la tela cerata della sua bara. «Sono finita sul set di un film» pensò Choi accarezzando con le dita la morbidezza squisita delle sete. Tutti e due, senza saperlo, avevano ragione. Lui, il più famoso regista cinematografico sudcoreano con trecento titoli alle spalle, e lei, la più luminosa delle dive di Seul, erano stati drogati e rapiti per conto del futuro despota nordcoreano Kim Jong-il per costuire una Hollywood a Pyongyang e trasformare il tragico “Regno dell’Eremita Rosso” in una superpotenza del grande schermo. Poco conosciuta fuori dalle Coree, dove le novecento pagine delle memorie del regista non erano mai state tradotte, l’incredibile avventura di Shin e Choi è ora diventata un libro, A Kim Jong-il Production (Viking). Fortuita coincidenza, il libro scritto da Paul Fisher usciva negli Usa proprio nei giorni in cui esplodeva il caso del film, The Interview, il rozzo polpettone satirico sul dittatore nordcoreano (il 25 marzo il dvd arriva anche in Italia) che, secondo l’Fbi, ha provocato la rappresaglia informatica contro i computer della casa di produzione costringendo poi la Sony a cancellarne la distribuzione nei normali circuiti. E se leggere la storia di Shin e Choi somiglia alla sceneggiatura di un film è perché tutto, dalla loro vita, al rapimento, alle torture, alla fuga verso la libertà si muove dentro l’ossessione maniacale per il cinema del padre dell’attuale dittatore. Era il 1978 quando Shin Sang-ok, regista ormai avviato sul viale del tramonto, e la donna dalla quale era da tempo divorziato, la stella un po’ cadente Choi Eun-hee, accettarono uno dei non più frequenti inviti a un festival cinematografico, a Hong Kong. Nessuno dei due sapeva che l’altro sarebbe stato presente e ancora meno poteva immaginare che oltre il trentottesimo parallelo, Kim Jong-il, l’allora figlio del dittatore comunista in carica Kim Il-sung e padre dell’attuale Kim Jong-un (i Kim sono come i Bush, ce n’è sempre uno al potere) aveva messo gli occhi e i propri agenti su di loro. Furono rapiti in albergo. Lui chiuso in quella bara di tela cerata e poi trasportato in nave, lei messa in barella come una malata grave e poi fatta volare su un aereo privato. Per i cinque anni a venire Shin e Choi avrebbero vissuto le loro vite da separati in Corea del Nord. Lei, ancora affascinante a cinquant’anni, adorata dal figlio del “Grande Leader” che ne aveva assaporato tutti i film, era ospite prigioniera nel suo faraonico appartamento dal quale poteva uscire soltanto per partecipare alle cene eleganti del divino rampollo, guardare film con lui, ascoltare le ribalde avventure della sua corte. Lui, Shin, era meno coccolato: dopo un tentativo di fuga, fu rinchiuso in un gulag e tenuto in vita dentro una cella di un metro e mezzo per un metro nutrito con una dieta a base di riso, mais e fagioli — non molto peggiore di quella di un nordcoreano medio. Ebbe però uno straordinario privilegio: quello di non essere giustiziato come i suoi compagni di prigionia. A salvarlo fu, appunto, la divorante passione per il cinema di Kim Jong-il. Il papà gli aveva regalato la direzione dell’Agenzia di Stato per il Cinema e la Propaganda e lui aveva già accumulato una collezione fatta di ventimila film. Adorava tutta la serie degli 007, i western, i vari Rambo, i Venerdì 13 e i musical. Un genere, quest’ultimo, che aveva onorato producendo un marmoreo polpettone patriottico di duecentoquaranta minuti, quattro ore, dall’accattivamete titolo di Mare di Sangue sull’occupazione giapponese. Ma nonostante tutto ciò il resto del mondo continuava a ignorare la cinematografia nordcoreana. Un vuoto insopportabile per l’erede al trono di Pyongyang, al quale i due Amava Hollywood, i suoi 007, Rambo e tutte le Love story Al “Caro Leader” nordcoreano mancavano solo regista e diva Nessun problema: li fece rapire e li costrinse poi a lavorare per lui Cominciò così l’avventura di Shin e Choi, star del cinema nella Seulanni ’70 Mentre arriva in dvd “The Interview” (minacciato dagli hacker di Pyongyang) per la prima volta un libro la racconta ostaggi avrebbero dovuto porre rimedio. Sbigottiti, Shin e Choi si ritrovarono una sera l’uno di fronte all’altra nel palazzo del loro carceriere-mecenate, scoprendo solo allora che da cinque anni vivevano entrambi — lei nella reggia, lui nel gulag — in Corea del Nord. La proposta del futuro dittatore fu di quelle che non si possono rifiutare: produrre film da esportare, o fare una pessima fine. A loro disposizione fu messa una bizzarra Cinecittà: la scuola delle spie. Il luogo in cui il regime preparava agenti maschi e femmine da inviare nel mondo e insegnava loro come truccarsi, travestirsi, posare. Dunque, come recitare. Dal lavoro del regista, e della ex moglie tornata primadonna, nacquero sette memorabili produzioni. Film di spionaggio, come Emissario senza ritorno e Fuggitivo, con immancabile lieto fine: la cattura e l’esecuzione degli agenti imperialisti. Drammoni di forte contenuto rivoluzionario come Sale, esibito e premiato al Festival di Mosca nel quale Choi vinse una sorta di Oscaroski sovietico come migliore attrice. Quindi, per commuovere e allietare le masse nordcoreane, interrompendo la sequela di mattoni propagandistici, Kim volle concedere una versione sentimentale delle sue amate commedie musicali, intitolata, per non lasciare dubbi sul contenuto, Amore, Amore, Amore Mio. Un successo enorme. Che non gli bastò. Invidioso dei successi giapponesi nella fantascienza, il giovane Kim, figlio di Kim e padre dell’attuale Kim, tentò la carta dei filone Godzilla, facendo creare ai due il mostro Pulgasari, un mostruoso Pinocchione vendicatore scolpito da un umile falegname e cresciuto a dismisura per diventare il protettore degli umili e il castigatore dei ricchi signorotti feudali. È diventato un film di culto per il pubblico americano sofferente di insonnia, trasmesso alle ore piccole da canali locali come oggetto di spasso e di ridicolo. Fu il successo a tradire Kim, ormai divenuto “Caro Leader”. Convinto che Choi e Shin si fossero convertiti al socialismo coreano, permise loro di viaggiare in Europa per diffondere i prodotti della Hollywood Rossa. Ma a Vienna, i due dopo la proiezione di un loro film tentarono la fuga pur sapendo che niente avrebbe salvato il loro collo se li avessero ripresi. Con una corsa in auto per le vie della capitale austriaca, inseguiti dai loro carcerieri e dalla polizia, riuscirono a raggiungere l’ambasciata americana e a chiedere asilo politico. Nessuno filmò o raccontò per il cinema quell’ultima avventura che sarebbe stato il miglior thriller della loro vita, ora finalmente narrata nel libro da Fisher. Come nella più cinematografica delle love story Choi e Shin si risposarono e tentarono di ricominciare a lavorare. Prima a Beverly Hills, dove lui diresse Il racconto dell’inverno con lo pseudonimo di Simon Sheen, e poi in patria, a Seul, dove lei ancora vive, prossima ai novant’anni. Prima di morire, Shin ricevette la medaglia di Eroe della cultura dal presidente sudcoreano che gli confessò, a bassa voce, di avere più volte visto Pulgasari. © RIPRODUZIONE RISERVATA la Repubblica LA DOMENICA DOMENICA 22 MARZO 2015 40 Next. Distopie I guru delusi Connessi SECONDO LE ULTIME PROIEZIONI FORNITE DALLE NAZIONI UNITE ENTRO IL 2018 OLTRE IL 60 % DEGLI ABITANTI DEL MONDO (SU 7 MILIARDI DI PERSONE) SARÀ ONLINE EVGENY MOROZOV GEERT LOVINK JARON LANIER L’ESPERTO BIELORUSSO AFFRONTA IL TEMA DELLE PROMESSE MANCATE NEL LIBRO “L’INGENUITÀ DELLA RETE. IL LATO OSCURO DELLA LIBERTÀ DI INTERNET” (CODICE, 2011) TRASFORMARE I SOCIAL MEDIA PRIMA CHE SIANO LORO A CAMBIARE NOI: “OSSESSIONI COLLETTIVE” (UBE, 2012) SI INTITOLAVA IL LIBRO DEL TEORICO OLANDESE SVILUPPATORE DI SOFTWARE E “PADRE” DELLA REALTÀ VIRTUALE, NE “LA DIGNITÀ AI TEMPI DI INTERNET” (IL SAGGIATORE, 2014) METTE IN LUCE LE DISEGUAGLIANZE NATE CON LA RETE FR ANCESCA DE BE NED ET T I NTERNET CI RENDE PIÙ LIBERI? UN’ILLUSIONE. Più uguali? Una falsa promessa. Più ric- I chi? Sì, non tutti però: pochi, anzi pochissimi. Così parla chi di internet è considerato la coscienza critica, «un outsider che viene dall’interno» come si definisce lui stesso. Se vent’anni fa, infatti, Andrew Keen avviava una sua impresa proprio nella Silicon Valley oggi è un noto autore e pubblica (in Italia con Egea) un libro intitolato Internet non è la risposta. Quasi la terza puntata di una trilogia: nel 2007 ci fu The Cult of the Amateur, una critica dei contenuti generati dagli utenti del web e della cultura libera. Nel 2012 fu la volta di Digital Vertigo, un’analisi sferzante dei social media. La terza puntata chiude il cerchio: con The Internet Is Not The Answer, Keen ci sbatte in faccia tutte le contraddizioni dell’era digitale. Siamo impigliati in una Rete degli ideali traditi: «Nessuno meglio di voi italiani, figli del realismo politico alla Machiavelli, può davvero capirmi», dice Keen a Repubblica. «Internet non è più quel bene pubblico che era quando nacque, ai tempi di Tim Berners-Lee. Quella che ci hanno presentato come una rivoluzione democratica, una svolta verso una maggiore uguaglianza, ora è ricchezza e potere in mano a pochi. Un sistema sempre più distante dalle persone». Ma come, lei sostiene seriamente che la Rete non ha reso più democratico l’accesso alla conoscenza? «Se è per questo nel mare di contenuti online si trova di tutto, anche propaganda di aziende, governi e — per dire — dell’Is. Voglio dire che trovare di tutto sul web non ci aiuta di per sé a conoscere e comprendere la complessità del reale, anzi. E poi ovviamente non dico che bisogna fare a meno di internet: ho qui con me un cellulare ultimo modello e un pc...». La critica di Keen si spinge dunque oltre, e investe la società frutto dell’era digitale nel suo complesso. L’economia decentralizzata della condivisione, tanto per cominciare, quella che avrebbe dovuto abbattere ogni gerarchia, è diventata di fatto una «economia a ciambella»: poche grandi aziende come Google, Facebook e Amazon monopolizzano il business dell’informazione. E dunque Keen punta il dito contro il «sistema del “chi vince piglia tutto” in cui solo l’uno per cento gode di grandi profitti» mentre il restante novantanove frana, illusioni comprese. Un caso esemplare si trova proprio nella Silicon Valley: nel cuore pulsante della Rete in dodici anni sono andati perduti quarantamila posti di lavoro, in due i senzatetto sono aumentati del venti. È la “distopia della Baia”, come la chiama Timothy Egan. Quanto al futuro, il divario economico-sociale tra ineguali legato a internet diventerà ancora più profondo. Spiega Keen che con il diffondersi dell’internet delle cose, dei big data, dell’intelligenza artificiale, dell’automazione, aumenteranno sia i problemi che i disoccupati. Se non bastassero le proteste “anti robot” che già presidiano l’America o l’allarme lanciato dal premio Nobel Paul Krugman, allora ecco i numeri: l’Università di Oxford prevede che l’informatizzazione costerà il posto di lavoro a centoquaranta milioni di lavoratori della conoscenza. Il quarantasette per cento dei lavori svolti oggi dagli americani potrebbe scomparire nei prossimi venti anni. «Pensi a come verrà travolto il settore della moda e del design: un campo in cui l’Italia ora eccelle. Tutto cambierà: neanche i ristoranti saranno più gli stessi». Quanto alla privacy e al con- trollo basteranno le macchine che si guidano da sole, come la Google car, a tracciare ogni nostro spostamento, e dunque grandi fabbriche che fanno soldi con i nostri dati ci costringeranno in una repubblica di cristallo. L’incubo non è nuovo: somiglia al distopico Cerchio di Dave Eggers. «L’ho letto — dice Keen — e mi è piaciuto. Quella sì che è una distopia. E io, ci tengo a dirlo, non sono né distopico né luddista: negli Stati Uniti quando critichi questo sistema vieni subito etichettato così. Io non faccio altro che puntare il dito su problemi reali. Ma in effetti anche nella finzione di Eggers c’è molto di reale. Se guardiamo oltre il falso dogma libertario, ci accorgeremo che più usiamo internet meno valore ci porta». Una critica al tipo di società nato con la Rete che si avvicina molto a quella del papà della realtà virtuale, Jaron Lanier, di cui non a caso Keen ammette di essere «un grande fan». Anche Lanier è un “outsider da dentro”, anche lui reclama più equità scagliandosi contro il sistema perverso in cui cediamo gratis dati e dignità a vantaggio di pochi colossi. Sembra proprio, come direbbe Evgeny Morozov, che internet stia «perdendo la sua ingenuità»: mentre esce dalla sua ado- lescenza, le voci critiche si addensano. Un coro di “traditi” la cui delusione è palpabile, quasi toccante: «Quanto abbiamo perduto la via, fratelli e sorelle!», scrivono Doc Searls e David Weinberger nelle loro nuove tesi sulla Rete. Sono tesi e sentimenti della maturità: forse è la stessa «nostalgia dell’ottimismo» di cui parla Keen. Per lui internet non è la risposta, ma si ostina a credere che sia «ancora un’ottima domanda». Come salvarla, la forza dirompente di quel punto interrogativo? Secondo Keen, con nuove regole: «L’Europa è stata d’esempio quando ha cercato di frenare le concentrazioni monopolistiche come Microsoft, e lo è tuttora occupandosi del diritto all’oblìo. Dai governi dobbiamo pretendere regole compatibili con l’innovazione, ma che al contempo limitino i trust, ci tutelino dal controllo dei dati e dal loro uso sfrenato. Io non sono contro il mercato: io sono contro il mercato sregolato». Non è contro internet, è contro un internet senza regole. L’illusione del web come prateria libera e selvaggia ormai lascia l’amaro in bocca. Come dicevano Deleuze e Guattari “non credere mai che uno spazio nomade sia sufficiente a salvarci”. © RIPRODUZIONE RISERVATA Ci aveva promesso libertà, eguaglianza e ricchezza. E invece l’era digitale crea disoccupazione, controllo e povertà È quanto sostengono sempre più guru della prima ora Come Andrew Keen Traditi dainternet la Repubblica DOMENICA 22 MARZO 2015 Big Data 41 Internet delle cose NEL 2012-2013 ABBIAMO PRODOTTO TANTI DATI QUANTI L’UMANITÀ NEL 90 % DELLA SUA INTERA STORIA. NEL 2014 GOOGLE VALEVA 400 MILIARDI E CONTROLLAVA IL 65 % DELLE RICERCHE ONLINE (IN SPAGNA E ITALIA IL 90) OGGI FACEBOOK RACCOGLIE I DATI DI OLTRE 1,4 MILIARDI DI UTENTI E GOOGLE PROCESSA PIÙ DI 24 PETABYTE DI DATI AL GIORNO. CON L’INTERNET DELLE COSE AUMENTERANNO I DATI CHE LE GRANDI AZIENDE CONTROLLANO CARLO FORMENTI “FELICI E SFRUTTATI. CAPITALISMO DIGITALE E ECLISSI DEL LAVORO” (EGEA, 2011). È IL TITOLO ESEMPLIFICATIVO DEL VOLUME IN CUI AFFRONTA LE MUTAZIONI IN CORSO Quelli che I don’t like R I C C A R D O S T A G LI A N Ò Monopoli UN’ECONOMIA IN CUI “CHI VINCE PIGLIA TUTTO”, CON POCHI MONOPOLI DOMINANTI, DOVE AUMENTANO LE DISPARITÀ TRA L’ÉLITE (L’1 %) E TUTTI GLI ALTRI. LA CLASSE MEDIA SOFFRE, POVERTÀ E DISEGUAGLIANZA AUMENTANO DAVE EGGERS IL SOGNO DI MAE, LAVORARE NEL WEB, DIVENTA IL SUO INCUBO: SI INTITOLA “IL CERCHIO” (MONDADORI, 2014) IL ROMANZO SUL CONTROLLO TOTALE Povertà NELLA SOLA BAIA DI SAN FRANCISCO, CUORE PULSANTE DELLA SILICON VALLEY, IN 12 ANNI SI È AVUTA UNA PERDITA DI 40MILA POSTI DI LAVORO. TRA IL 2011 E IL 2013, I SENZATETTO SONO AUMENTATI DEL 20% (FONTE: CHAPMAN UNIVERSITY) SISTONO TANTI MODI di guardare alle cose. Così, quando nell’autunno 2011 il corso di intelligenza artificiale tenuto a Stanford da Sebastian Thrun e Peter Norvig, le Madonna e Lady GaGa dell’informatica, va online e fa registrare 175 studenti in classe e oltre centomila collegati via web, i più festeggiano il record della classe più popolosa della storia. Mentre una minoranza di guastafeste fa notare un paio di ovvietà: perché, potendo seguire il numero uno al mondo, dovrei accontentarmi del secondo, del terzo, e via scendendo? E ancora: se due prof star possono insegnare a milioni di ragazzi, chi avrà più bisogno delle moltitudini di docenti normodotati? È la winner takes all economy, bellezza! Resa possibile da internet per cui servire un cliente o un miliardo diventa solo questione di allargare la banda o aggiungere un server. Ovvero quello che, in un libro recente, Jeremy Rifkin definisce La società a costo marginale zero. Di cui “l’eclissi del capitalismo” nel sottotitolo non dovrebbe passare inosservato. Il volume di Andrew Keen, qui a fianco intervistato, non è che l’ultimo di una serie critica, un viaggio nel lato oscuro della forza internettiana. Il più rilevante dei quali è probabilmente The Second Machine Age (uscirà per Feltrinelli) in cui Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee del Mit spiegano come, dal 2000, la produttività ha continuato a crescere (grazie al web e all’automazione) ma per la prima volta l’occupazione non l’ha seguita perché le macchine distruggono più posti di quanti ne creino. Che è la preoccupazione che Keen — assieme a una schiera che va dal Nobel Paul Krugman all’autore di The Average is Over, Tyler Cowen — riprende e corrobora. Siamo passati dal sogno che tutti potessero diventare miliardari col web all’incubo di una classe media sempre più proletarizzata che, un like alla volta, costruisce le fortune di Zuckerberg, profeta della condivisione tranne quando si tratta dei suoi soldi. Ed è vero che oggi un adolescente da Canicattì può entusiasmarsi seguendo Thrun&Norvig. Magari diventa ricercatore, che un tempo significava farcela. Ma era prima che i compiti li correggesse un algoritmo. E che due prof da soli servissero una classe per cui, sino a ieri, ne servivano un migliaio. E © RIPRODUZIONE RISERVATA ERIK BRYNJOLFSSON ANDREW MCAFEE IN “THE SECOND MACHINE AGE” (2014) UNA DIAGNOSI ACCURATA DELLA SOCIETÀ DI INTERNET NELL’ERA DI AUTOMAZIONE E IPERCONNESSIONE NICHOLAS CARR COME IL WEB CAMBIA IL NOSTRO MODO DI PENSARE E L’ECONOMIA: SONO I TEMI AFFRONTATI NE “IL LATO OSCURO DELLA RETE” (ETAS, 2008) Disoccupazione CON COMPUTERIZZAZIONE E INTELLIGENZA ARTIFICIALE, 140 MILIONI DI LAVORATORI NEL MONDO RISCHIANO IL POSTO. IL 47 % DEI LAVORI SVOLTI OGGI DAGLI AMERICANI POTREBBE SPARIRE NEI PROSSIMI VENT’ANNI la Repubblica LA DOMENICA DOMENICA 22 MARZO 2015 42 Sapori. Detox CON LA NUOVA STAGIONE ZUPPE E BRASATI SMETTONO DI TENTARCI MENTRE ABBIAMO BISOGNO DI LEGUMI E CARNI BIANCHE, CEREALI INTEGRALI E VERDURE AL VAPORE. SOLO COSÌ IL NOSTRO CORPO POTRÀ RIPARTIRE È primavera. Voglia di leggerezza tra verdure e crudité LICIA GRANELLO VEGLIATEVI BAMBINE”, cantava melodioso e tentatore Alberto Rabagliati pensando alla primavera. L’inverno dà gli ultimi colpi di coda, ma ormai è sconfitto dal calendario, che ieri ci ha introdotti nella stagione del risveglio. Guardinga o sfacciata, timida o splendente, la primavera non ammette indolenze da parte di nessuno: piante, animali, o umani che siano. Quel che inverno intorpidisce, primavera titilla: corpo e umore, buoni propositi e palato. Se nei mesi freddi assommiamo virus e surplus alimentari, l’alzarsi delle temperature provoca un’inversione del senso di marcia. Abbiamo voglia di cibi leggeri, freschi, colorati, fragranti. Nello stesso momento, quello che ci ingolosiva tra un brivido e un cappotto, smette di tentarci, che siano zuppe o brasati, sughi carichi o tortellini in brodo. Mentre smaltiamo gli avanzi di panettone arrivati al passo d’addio e sbriciolature di torroni sopravvissute al Carnevale, già pensiamo al piacere di una frittata d’erbette o al profumo meraviglioso del risotto con gli asparagi selvatici. Quella che scambiamo per una questione di gola, è in realtà un’esigenza specifica del corpo, un’urgenza di detossinazione a fronte di tutti i carichi, alimentari e non, accumulati in inverno. Il nutrizionista milanese Vanni Zacchi snocciola i comandamenti del buon rapanelli e insalatine di primo taglio, da abmangiare marzolino: «Più frutta e verdu- binare con agnello, coniglio, pollo (a patto ra, meno cibi grassi, affettati (per via di che arrivino da allevamenti felici), qualche grassi ossidati e contenuto di sale), carni caprino fresco e pesce azzurro a go-go. rosse, formaggi e ovviamente gli zuccheri, I cuochi di nuova generazione stanno a maggior ragione quelli raffinati. Ma è im- prendendo dimestichezza con un concetto portante sapere che questo cambio di ali- storicamente estraneo all’alta cucina, ovmentazione è funzionale all’alcalinizza- vero la liberazione degli ortaggi dal ghetto zione dei tessuti, perché riassestando il dei contorni. Pressati dal crescere lento e rapporto acido-basico facciamo stare bene inesorabile di vegetariani e vegani, ristoil nostro corpo. Abbiamo bisogno di legu- ranti piccoli e grandi hanno cominciato a mi, carni bianche, cereali integrali. Il tut- inserire nei menù piatti verdi, evoluzione to, naturalmente, scegliendo il più possi- pensata e studiata di ricette sicuramente bile alimenti biologici». non punitive, dalla parmigiana di melanUna primavera alcalinizzante, insomma. zane al gioioso esercito delle frittate. Altra In prima fila, il trionfo delle crudité, le cot- soluzione, aumentare in modo significatiture al vapore e sotto vuoto, mentre il pas- vo la quota di verdure, scardinando la pessaggio sulla griglia produce i coddetti ages sima tendenza che ci vede agli ultimi posti — prodotti finali di glicazione e lipossida- nel consumo di ortaggi, effetto della crisi, zione — che intossicano gli organi. Certo, è certo, ma soprattutto di perdita di cultura più rapido tagliare un paio di fette di salame alimentare. Se poi, tra un centrifugato e che preparare un pinzimonio di verdure. Ma una pasta integrale ai carciofi, riuscite a inun minimo di organizzazione domestica gollare una tazza di tè verde, il vostro fegapermette di avere facilmente a disposizione to ringrazierà commosso. finocchi e carote, sedano e zenzero fresco, © RIPRODUZIONE RISERVATA “S Il concorso Il borgo di Buccheri, duemila abitanti nella campagna di Siracusa, è la capitale mondiale dell’extravergine: tre i Sol d’Oro (su cinque sezioni) conquistati nella nuova edizione del concorso internazionale, legato a Sol&Agrifood, in programma da oggi a Verona VOL-AU-VENT ALLA CREMA DI PISELLI E FAVE Lo chef-patron Marco Stabile, de “L’Ora d’Aria” di Firenze, è il nuovo presidente della sezione italiana dei Jeunes Restaurateurs d’Europe, l’associazione nata nel 1974 a Parigi che riunisce 332 chef-patron under quaranta tra i più bravi e innovativi del continente La ricetta Un timballo tiepido con ricotta e tarassaco INGREDIENTI PER 4 PERSONE 200 G. DI RICOTTA; 200 G. DI TARASSACO; 50 ML. DI EXTRAVERGINE AROMATIZZATO CON AGLIO ORSINO; 500 G. DI ASPARAGI; 1/2 LITRO DI BRODO VEGETALE; 1 PATATA; 6 G. DI LIEVITO DI BIRRA; 1/2 CUCCHIAINO DI MALTO; 1 CUCCHIAIO DI EXTRAVERGINE; FARINA INTEGRALE QB; SEMI DI SESAMO, GIRASOLE, LINO, ZUCCA; 4 UOVA DI QUAGLIA Il personaggio La food blogger americana Vani Hari — foodbabe.com — è stata inserita da “Time” tra i personaggi di internet più influenti del mondo (54 milioni di contatti nel 2014). Il blog indaga su etichette e composizione dei cibi, promuovendo petizioni online er i cracker, in una ciotola acqua (120 ml.), lievito, malto, extravergine e farina per formare un impasto elastico. Coprire con la pellicola e far riposare un’ora. Tirare sfoglie sottilissime, spennellarle con un albume sbattuto e decorare coi semini. Infornare 10’ a 180°. Per la vellutata, tagliare a rondelle gli asparagi, tenendo da parte le punte. Versare in una casseruola olio, asparagi e la patata a cubetti, coprire con il brodo, bollire 15’ e frullare. Spadellare il tarassaco sbollentato e strizzato con l’olio aromatizzato. Quand’è tiepido, unire la ricotta. Con un coppapasta, creare quattro timballi. Sbollentare 2’ le punte di asparagi, cuocere in camicia le uova di quaglia. Adagiare i timballi nei piatti, irrorare con la vellutata bollente, rifinendo con punte di asparagi, uova di quaglia e cracker. P LA CHEF FABRIZIA MEROI GUIDA LA CUCINA DEL “LAITE” DI SAPPADA, NELLE DOLOMITI BELLUNESI, DOVE PROPONE UNA CUCINA LEGATA AI PRODOTTI LOCALI COME NELLA RICETTA PER I LETTORI DI REPUBBLICA INVOLTINI RICOTTA E ASPARAGI SELVATICI la Repubblica DOMENICA 22 MARZO 2015 8 43 La mia eterna battaglia tra la dieta e il frigorifero ingredienti per otto piatti BUD SP E NCE R ALLA VITA NON NE ESCI VIVO, disse qualcuno. Mi sforzai inutilmente di ricordare chi, ma la sua identità mi eludeva tanto quanto il sonno. D’altra parte crogiolarmi in domande oziose, era sempre meglio che dover ammettere a me stesso la vera ragione della mia veglia notturna: avevo fame! Ottantacinque non sono una bazzecola, ma non lo era nemmeno quel concerto di orchestrali indigenti che avevo nella pancia, e i languori di stomaco — ci avete mai fatto caso? — ti aumentano non quando sai che non c’è nulla da addentare, bensì quando sei a pochi metri da un frigorifero così capiente che potrebbe servire a modello per una pubblicità sui frigoriferi capienti. I rumori provenienti da quell’antro oscuro che è il mio stomaco affamato: quella era la reale causa d’insonnia, e la dieta forzata cui ero stato sottoposto costituiva l’unica controindicazione di quelle ottantacinque primavere testé menzionate. Il dietologo era stato ferreo sulla prescrizione della dieta, sulle dosi e le qualità di cibo da ingerire al mattino, a pranzo e alla sera; di conseguenza Maria s’era fatta vicario del dietologo in casa, appuntandosi tutto e costringendomi ad attenermi alla promessa. “Per il mio bene”, of course. Provai allora a chiudere gli occhi e contare le pecore , ma quando arrivavano a saltare lo steccato erano già diventate costolette profumate! Allora, mi misi a ripensare ai miei film, cosa che di solito mi concilia il sonno, ma in mente mi venivano soltanto i catering del set. Come animati da una volontà propria, i miei piedoni presero però la direzione opposta e, mentre il mio “Io” cosciente si aspettava di vedere la camera, il mio “Super-io”... o il mio stomaco, a volerla dire brutalmente, mi condusse in cucina. Accostai la porta, accesi la luce e mi strofinai le mani andando verso il frigo come se... come se... be’, diciamo che se quel frigo fosse stato Tokyo, io sarei stato Godzilla: ho reso l’idea? Non c’era nemmeno un lucchetto — una volta i miei famigliari giunsero anche a questo. Insomma fra me e le vivande solo il semplice gesto di allungare la mano, ed è sorprendente come ogni buon proposito vada a farsi friggere quando la febbre del cibo ti pervade. Ma io sapevo bene che non era solo gola: non sono stato io a dotarmi di questo corpaccione esigente e se non ci avessi messo qualcosa dentro, non avrei potuto dormire. Non volevo spazzolare tutto, solo un pezzettino, una briciolina, ripeteva Bud a Carlo, mentendogli spudoratamente. Non ricordo quale filosofo disse che è morale ciò che, dopo averlo compiuto, ci fa stare bene, mentre è immorale ciò che ci crea pentimenti. Ma io sapevo che dopo mi sarei sentito non bene, ma benissimo, e che... ...vuoto... VUOTO! Il filo dei miei pensieri s’interruppe nel constatare che non c’era niente nel frigo, a parte un foglietto con la calligrafia di Maria: “VIENI A DORMIRE!“. D CRUDITÉ ALLA MAIONESE DI SOIA TORTINE DI MAIS AL PROFUMO DI LIMONE Germogli Alici Presenti nel “Grande Erbario della Medicina Cinese” del 2700 a.C., sono un’incredibile riserva di vitamine, enzimi, oligoelementi e aminoacidi, a patto di mangiarli crudi. In insalata Le reginette del pesce azzurro si distinguono per salubrità a prezzi bassi. Ricche di acidi grassi Omega Tre, calcio, fosforo, ferro. L’ideale è mangiare anche il fegato. In tortiera GERMOGLIAMO VIA CASALNOCETO 35 ROMA TEL. 320-0844751 PESCHERIA CERNAIA VIA CERNAIA 32 TORINO TEL. 011-5621169 Legumi Centrifugati Piselli, fave, fagioli, ceci, lenticchie, soia sono la più ricca fonte di proteine vegetali. Hanno funzione alcalinizzante e aiutano a ridurre la quantità di grassi nel sangue. Ottima la crema di ceci Dallo storico antiossidante ACE – arancia, carota e limone – a quello depurativo (ananas, sedano e mela): i mix di frutta e verdura aromatizzati con erbe e oli essenziali AZIENDA AGRICOLA MICHELE FERRANTE VICO DEGLI ORTI 2 CONTRONE (SA) TEL. 0828-772122 BIOESSERÌ VIA DE AMICIS 45 MILANO TEL. 02-36699215 Ricotta Cereali integrali Ricavata dalla ri-cottura del siero di latte, ideale per veicolare l’olio di semi di lino, prezioso antiossidante Meglio da latte di capra. Cremosa su spaghetti con le zucchine Riso e frumento, segale e mais, farro, orzo e avena: grazie alla coltivazione biologica si utilizzano i chicchi nella loro integrità bioattiva, ovvero crusca, endosperma (amidi) e germe CASERA DEL DELFINATO CASCINA COCCARDA 28 GIAVENO (TO) TEL. 333-1523802 L’ANTICO PANE A LEGNA LOCALITÀ BRACCIO MONTERIGGIONI (SI) TEL. 0577-594266 Costolette di agnello Crudité La meno seriale delle carni bianche – a differenza del super industrializzato pollo – è un’ottima risorsa di proteine animali non gravate dai grassi e quindi più digeribile. Perfette alla scottadito La verdura marzolina (carciofi, carote, rapanelli, broccoli, asparagi selvatici, valeriana, finocchi) copre il fabbisogno di vitamine e sali minerali, anche in funzione depurativa. In pinzimonio BIO COOPERATIVA TERRE DEL SANNIO VIA II TRAVERSA PAGLIARELLE 6 SANTA CROCE DEL SANNIO (BN) TEL. 328-1380910 AZIENDA AGRICOLA IO BIO VIA TOGLIATTI 1/A GALLO (FE) TEL. 0532-820305 (Da Mangio ergo sum Edizioni Npe, dicembre 2014) © RIPRODUZIONE RISERVATA la Repubblica LA DOMENICA DOMENICA 22 MARZO 2015 44 L’incontro. Bestseller È VERO, ALL’INIZIO LE MIE STORIE NON FACEVANO PER NULLA PAURA FINO A QUANDO NON RACCONTAI DI UN MARITO CHE FINGE DI SALVARE LA MOGLIE MENTRE IN REALTÀ VUOLE FARLA FUORI. UNA COSA CHE POTREBBE ACCADERE A TUTTI Da bambino divorava i racconti di Poe e di Fleming: “Mi sudavano le mani, mi batteva il cuore e restavo incatenato al libro”. Studiando giurisprudenza ha poi “imparato l’arte della precisione”. Mentre in uno studio legale di Wall Street ha finalmente scoperto il crimine in serie: “Certo, le banche!”. Oggi, dopo trentacinque titoli in ventisette anni e venti milioni di copie vendute in centocinquanta paesi, l’autore del “Colni e vittime. Mio richiamo costante è Bob Dylan, in particolare il suo Tomorrow is a Long Time. E comunque delle canzoni sono solo un complice: mi al testo, anche se finora ne ho scritti almeno duecento». Un pericololezionista di ossa” svela la sua limito sissimo paroliere seriale: «Anche qui, purtroppo, non sono diventato un vero musicista, anche se all’università mi distraevo volentieri dai polverosi di legge con le canzoni di Joni Mitchell o Paul Simon: ah, Mrs. Robinvera passione: Bob Dylan. “Mi studi son, ah Il laureato! Ma, pensi, non sono diventato neppure un avvocato. Ho debuttato invece come giornalista, ancorché esperto in questioni legali. Poi in un grande studio di Wall Street. Ed è proprio lì che ho cominpiacerebbe, prima o poi, scrive- hociatolavorato a occuparmi di crimini seriali, cioè — ride ancora — di banche! Ma la giurisprudenza ha anche un altro merito nel mio lavoro di scrittore: no, non ha insegnato a scrivere, ma a condurre ricerche sì. E anche a praticare la re un romanzo su una chitarra. mi precisione». Quanto alla vocazione a suspense e sangue sparso si era rivelata ben prima: «Infatti. Già da ragazzino ero attratto dai gialli e dai racconti di paura: Che uccida, naturalmente” divoravo Poe, Fleming, Wilkie Collins, il pioniere del poliziesco britannico: fu Jeffery Deaver M AR I O SER EN EL LI N I COURMAYER IL SEMINTERRATO. Doveva andare nel seminterrato. Chloe odiava quel posto…”. Prima di incontrare Jeffery Deaver è inevitabile ripensare all’incipit e allo stile tagliente, a rapido bisturi, del nuovo thriller, L’ombra del collezionista, come Rizzoli ha tradotto The Skin Collector. La sconvolgente sequenza iniziale del tatuaggio velenoso, ricamo allucinato dettato dall’alto, pulsa ancora nelle tempie dopo una lettura a rompicollo: cinquanta pagine la prima notte, le altre quattrocentocinquanta la seconda. Ma per fortuna col viso affilato e levigato da samurai occidentale, nella hall il sessantacinquenne Deaver sorride, parla e sorseggia non veleno ma prosecco. Guest star dello scorso ventiquattresimo Noir in festival, premiato con il Raymond Chandler Award da Dario Argento, alla cerimonia ha sorpreso tutti interpretando con voce di miele una canzone da lui stesso scritta, Sarò la tua ombra, e disseppellendo un inatteso latino: «Tibi gratias agimus hoc de insigni honore» (“Ringraziamo per questo premio illustre”). Del resto il latino ricorre nelle sue pagine in puntuali classificazioni botaniche (l’Actaea pachypoda, dai micidiali “occhi di bambola”…), ed è pure oggetto di scherno («Con il latino sembra di masticare sassi: benedetti gli italiani e i rumeni per averci tolto le castagne, e la lingua, dal fuoco»). Anche la musica, da Deaver praticata part time, è irrisa in qualche strappo hip hop dei suoi thriller: Piedipiatti/sbirro in strada/ ti multa e spedisce a casa/ o ti sbatte in gattabuia/ con i tuoi diritti in baia. Insomma mister Deaver, dopo trentacinque titoli in ventisette anni e venti milioni di copie vendute, continua a sfi- “M EZZOGIORNO. PERCHÉ LINCOLN RHYME, IL MIO DETECTIVE, È PARAPLEGICO? MA PERCHÉ ERO STUFO DELLO STEREOTIPO DEL SUPERPOLIZIOTTO DAGLI ATLETISMI MIRABOLANTI VOLEVO CONCENTRARMI SUL CERVELLO dare sia il latino che il canto, entrambi fabbriche di suspense, per chi vi si avventura come per chi la ascolta? «Fu il mio professore a insistere perché imparassi questa lingua antica: mi sarebbe stata utile, disse, nella vita come nella scrittura. E infatti lo è stata. Mi ha aiutato sia nell’architettura mentale e nella struttura delle frasi che nella conoscenza della vostra cultura, fin dalle sue radici. Non sono però, ahimè, diventato un Cicerone bis. E quanto alle canzoni, mi è sempre piaciuto combinare metrica e musica. Molto di più — ride — che abbinare assassi- la mia prima lettura, avevo undici anni. Sentivo che quella è la scrittura che ti fa sudare le mani, che ti fa battere il cuore e che alla fine ti incatena al libro». Eppure agli inizi, mister Deaver, gli infiammati dai suoi di libri non è che fossero poi tanti: non le è mai sorto il dubbio che tra studi in legge, giornalismo e passione per la musica il brivido potesse non essere il suo mestiere? «È vero, che frustrazione tremenda. I miei primi libri non facevano paura a nessuno. Finché, però, non ho scritto una storia dove pareva che il marito volesse salvare la moglie, mentre si capiva che aveva in mente l’esatto contrario. Mia moglie lo lesse a letto e la notte mi svegliò di colpo: “Per almeno un mese non potrò più dormire con te”. Quella notte capii che avevo centrato il bersaglio. Poi è arrivato Il collezionista di ossa. E adesso, francamente no, non ho più paura che i miei romanzi non facciano paura». Oggi, tradotto in venticinque lingue e pubblicato in centocinquanta Paesi, è uno degli autori di thriller più amati al mondo. «Sono uno che semplifica e sottrae. Ogni emozione, anche il terrore, chiede l’essenziale. Se facciamo vedere laghi di sangue, non per questo avremo scritto un buon libro o girato un buon film. Prendiamo Hitchcock, maestro d’angoscia: è il contrario del cinema-autopsia. A guidare le sue storie è la suspense, quella di tutti i giorni, quella che fa normalmente parte della nostra vita. Non c’è nulla di più terrificante che trovarsi davanti a situazioni che potrebbero essere successe o succedere a chiunque di noi». Deaver scrive dappertutto, anche in treno, anche in taxi. In Italia la Bur ha appena pubblicato Il manoscritto di Chopin, mosaico di quattordici autori di thriller da lui orchestrato, ma lui è già immerso nel nuovo racconto annunciato da noi per il 2016: «Sarà un romanzo storico ambientato proprio qui, in Italia: ci lavoro da più di un anno e mezzo. Sono molto legato al vostro Paese: dal ‘97, nelle mie abituali centomila miglia annuali, ci faccio sempre uno stop. Del resto è proprio all’Italia che devo i miei primi riconoscimenti. E qui ho alcuni dei miei affetti letterari e cinematografici: Eco, Benigni e, naturalmente, Fellini. Inoltre da voi ci sono almeno sessanta milioni di possibili personaggi: non potrò metterli tutti nella mia storia, è vero, ma ne farò comun- ABITO IN PIENA BOSCAGLIA, IN NORTH CAROLINA. A CASA MI ASPETTANO I MIEI SETTE CANI, FORSE OTTO, UNO DEVE ESSERE NATO MENTRE ERO VIA. E POI CI SONO I GATTI, I CRICETI E I PESCI que una grande famiglia, la più ampia possibile». Il suo focolare americano è oggi formato da sette cani, che l’attendono nella sua villa in North Carolina, appena fuori Washington: «Forse adesso sono di più. C’era un parto annunciato alla mia partenza. E comunque ho pure gatti, criceti, pesci. Abito in piena boscaglia: l’ideale per una vita ecologica, fuori degli schemi metropolitani». Deaver pare fuori schema anche in letteratura. Ha prodotto negli Usa un libro esclusivamente “radiofonico”, The Starling Project, per il sito Audible: «Mi ha sempre attratto la possibile confluenza dei media. Così come mi piacerebbe, prima o poi, scrivere un libro su una chitarra che uccide. E Sarò la tua ombra, la canzone che vi ho cantato qui a Courmayer, potrebbe essere un ottimo punto di partenza. Starei anche pensando di mettere il thriller al servizio del videogame. Che ne dice?». L’ideale per il suo detective di successo, Lincoln Rhyme, la cui postazione elettronica è già parente del videogame. Ma perché è tetraplegico? «Ero stanco dello stereotipo stantìo del superpoliziotto dagli atletismi mirabolanti: mens sana in corpore sanissimo. Mi sono concentrato sul cervello: un personaggio di sola testa, di pura attività mentale, costretto dai limiti fisici a risolvere enigmi sfruttando il pensiero nelle sue doti di velocità e previsione». Proprio come un ragazzino incollato al videogame: «Il thriller restituito alla sua essenza, all’esercizio cerebrale». Mr Deaver, Negotium ibi terminetur. «Sì, il nostro incontro finisce qui. Ma lo ricordi, io sono sempre per la sintesi: factum est». © RIPRODUZIONE RISERVATA
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