il memoriale nell`antico testamento

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IL RETROTERRA
DEL MEMORIALE
EUCARISTICO
G i o va n n i T o m a s i
L
a ricerca biblica è giunta a interpretare l’ultima cena come
memoriale del Signore, dando a questo concetto un valore ontologico, non diverso da quello dell’epoca patristica, tale cioè
da contenere: 1) la presenza sacramentale di Cristo e del Suo unico
sacrificio; 2) il rito incruento della cena, reiterabile a causa del
comando del Signore; 3) la comunione, ossia l’invito a mangiare
il Suo corpo e a bere il Suo sangue, immagine del convito escatologico.
Questo contenuto indiscutibile del mistero era un dato
acquisito dalla teologia ed espresso con diverse sfumature dalle
parole fractio panis, sinassi, eulogia, cena del Signore, sacramento,
santa messa o santo sacrificio ed evidentemente eucaristia; non del
tutto scontato era l’uso del termine memoriale per esprimere la real-
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tà onnicomprensiva del mistero, a causa delle restrizioni poste nel
comparare memoriale e sacramento, per i problemi ecumenici
che suscita, ed altre sue diverse interpretazioni.
Gli articoli che saranno proposti1 ripartono dall’esame
del dato biblico, rettamente interpretato alla luce del magistero,
trovando interpretazioni nuove. Il significato del memoriale del
NT dato alla fine di tale serie, implica tutti gli aspetti dogmatici e
dinamico-salvifici. Le parole del Signore: «Fate questo in memoria di me», secondo le analisi a venire, includono non soltanto
il riferimento al Padre2, bensì anche la novità dell’invito che il
Cristo fa alla Chiesa, secondo questo senso: «Reiterate il sacrificio
incruento da me istituito, in cui nel pane e nel vino consacrati, Io
sono realmente presente e do il mio corpo, la mia vita in cibo per
voi, e verso il mio sangue, affinché voi ne beviate».
«Fate questo in memoria di me». Il «Questo» contiene tutto
ciò, ed ha una densità misteriosa, insondabile. Sarei potuto
partire, nel descrivere il memoriale della morte e risurrezione
del Signore, dal mysterium paschatis, ma ho scelto la figura stessa
del memoriale e con essa ho preferito narrare tutta l’historia salutis
al fine di ben interpretare quest’evento centrale, che talvolta è
stato visto in modo unilaterale, o come proponente unicamente
la cena, o quasi ricondotto al puro sacrificio della Croce.
Il retroterra del memoriale eucaristico dev’essere allora
ricercato nel mondo biblico-giudaico dell’AT, e non nella cultura
del mondo ellenistico, come ha sostenuto Lietzmann3.
Il presente studio costituisce il saggio introduttivo di una serie di articoli che verranno pubblicati nei prossimi fascicoli.
2
La traduzione del memoriale data da Joachim Jeremias, «Affinchè
Dio, il Padre, si ricordi di me, il Cristo», applicata alle parole dell’ultima cena,
aveva forse indicato uno degli aspetti, quello del Padre che è sempre all’origine di tutte le mirabilia, ma non ne esauriva tutto il contenuto.
3
H. Lietzmann, Messe und Herrenmahl. Eine Studie zur Geschichte der Liturgie, Bonn 1926, 1-47.
1
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IL RETROTERRA DEL MEMORIALE EUCARISTICO
Calandosi nella storia dell’Antico Testamento si vede apertamente come Dio si scelga il popolo d’Israele. L’elezione di Dio
non si realizza senza il consenso della libertà umana, ma non è
dalla libertà umana che viene la determinazione positiva della
relazione con Dio, bensì dall’iniziativa divina. Dio vuole stabilire
una comunione con le Sue creature ed instaura la realtà dell’alleanza per salvare ed elevare l’uomo decaduto.
L’evento centrale della morte e risurrezione di Cristo permette di scorgere un disegno organico in questa intraprendenza di
Dio. Egli interviene con delle gesta creative, simili ad inizi assoluti: la creazione, la scelta di Abramo, la chiamata d’Israele,
la concezione verginale di Maria poi, la pentecoste, ed infine i
sacramenti, veri atti divini creatori determinanti degli inizi assolutamente nuovi.
Nelle tappe del compimento di quest’opera di salvezza,
Dio rivela e usa la figura del memoriale, che stabilisce tra tutti
questi mirabilia Dei un rapporto di continuità e uno di superamento: Egli si ricorda del Suo popolo e gli chiede di ricordarsi di Lui. In tal modo il passato è ripreso per essere ridetto e
superato al presente, e il presente rimanda al futuro come al
suo compimento. Tutto ciò si svolge nel quadro dell’alleanza o
elezione d’amore, che rappresenta la categoria unificatrice di
tutto il messaggio teologico antico testamentario e conducente
per tappe di progressiva interiorizzazione al nuovo.
In quest’orizzonte coglieremo ora in modo più analitico la
figura del memoriale biblico, ricca di significati e d’applicazioni,
perché molte realtà servirono ad esprimerla: luoghi, monumenti,
comandamenti, feste e riti. Particolare interesse riveste il carattere commemorativo degli atti di culto, che, nel presente rituale
e liturgico, raccoglie passato e futuro, manifestando in sintesi il
rapporto uomo e Dio, tempo-eternità nella storia della salvezza.
Dopo questa fase descrittiva ci soffermeremo più a lungo
sul memoriale dell’esodo, perché quest’esperienza unica rappresenta un evento fondamentale a partire dal quale Israele inter-
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preta il passato, risalendo ai primordi fino alla creazione, e si
proietta nel futuro fino ai tempi ultimi.
Inoltre, nel memoriale cultuale della pasqua, istituita in un
contesto d’alleanza, è raffigurata già la realtà di quella nuova del
Cristo. Dio, nei segni dell’agnello e del pane azzimo della cena
d’Egitto, profetizza la liberazione, dona la salvezza, ed istituisce
un rito attraverso cui Egli continua a farsi presente nel tempo.
L’uomo ricorda i Suoi interventi, e, nella memoria della liturgia,
incontra Lui, eternamente vivente4. Si deve adesso analizzare la
figura del memoriale dell’AT in genere.
Il memoriale nell’Antico Testamento in genere
In tutto il Vecchio Testamento il memoriale è una figura-tipo, strettamente legata alla categoria della presenza. Nel
concetto di memoriale in genere è contenuto il significato di
ricordarsi con un atto della coscienza, di rammentare anche
mediante la parola e l’esortazione, o con un gesto. È un atto che
richiama e fa presente qualcosa5.
Non ha dunque un valore statico nel senso di avere nella
memoria, bensì quello dinamico di fare in modo che qualcosa
o, qualcuno, di nuovo (aná) torni alla memoria di un altro. Nel
vocabolario liturgico dell’Antico Testamento i termini usati, per
esprimerlo, sono zikkaron e azkarah. Derivati entrambi dalla radice zkr, il cui significato è piuttosto vasto, ricorrono nella Bibbia
4
E. Mazza, La celebrazione eucaristica, Cinisello Balsamo 1996, 17-18.
L’autore esprime qualche perplessità a proposito dell’uso della figura del
memoriale biblico, ma afferma che questa struttura riscuote sempre maggior
successo.
5
Kittel, ThWzNT, I (1968) 351, 939-940.
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ebraica circa 230 volte. In quasi tutte le accezioni, il senso è di
una presenza rivissuta6.
La versione dei Settanta rende questi due termini ebraici
sia con mnemosunon7 sia con anámnesis8. V’è dunque una corrispondenza di significato nelle due coppie di termini. La traduzione
però di zikkaron con memoriale non rende ancora tutta la ricchezza
del termine ebraico, in cui è contenuto il senso di un ricordo
oggettivo, attualizzante il soggetto di cui si fa memoria. Ciò è
importantissimo per la spiegazione dei testi liturgici dell’Antico
e poi del Nuovo Testamento.
Nell’Antico Testamento la parola “memoriale” è riferita
in 168 casi alla persona, nei rimanenti 62 ad enti diversi, animati o no. Consideriamo inizialmente quell’aspetto del memoriale
liturgico azkarah, che dice relazione con gli oggetti. Questi oggetti non esistono indipendentemente, bensì riferiti alle persone;
alla persona di Dio, che si ricorda degli uomini; all’uomo, che fa
memoria delle meraviglie di Dio e che le rivive religiosamente9.
Max Thurian10 così riassume il senso del verbo zkr (zakar)
nella lingua cultuale ebraica, da cui proviene azkarah: «Pensare a
qualcosa conosciuta e passata, cosa materiale, peccato, benedizioni di Dio; ricordarsi un dovere; ricordarsi, da parte di Dio, del
peccato degli uomini, dell’alleanza, l’amore e la fedeltà; ricordarsi, da parte dell’uomo, di Dio o invocarlo; ricordarsi di qualcosa in favore di qualcuno o contro di lui; ricordare qualcosa a
Zikkaron in G.J. Botterweck - H. Ringgren - G.W. Anderson, im
Verbindung mit H. Cazelles - D.N. Freedman, Theologisches Wörterbuch zum
Alten Testament, Stuttgart - Berlin - Köln - Mainz 1970.
7
Es 12,14; 13,9.
8
Lv 24,7.
9
Gli ebrei, nel pasto pasquale, rivivono misticamente gli avvenimenti
della liberazione e dell’uscita dall’Egitto; divengono contemporanei ai loro
padri e sono salvati con loro.
10
M. Thurian, L’Eucaristia, memoriale del Signore, Roma 1979, 35.
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qualcuno (per es., i bisogni del popolo a Dio); citare un nome
(quello di Dio); e infine richiamarsi a Dio per mezzo di un sacrificio, in particolare col memoriale d’incenso»11.
Con questo senso, il memoriale può anche indicare gesti
e strumenti della liturgia: vesti liturgiche, oggetti sacri, musica
sacra, le icone e perfino le offerte; perciò, prendendo alla lettera
le parole dell’Esodo «Sarà per te segno sulla tua mano e ricordo
(memoriale) fra i tuoi occhi, perché la legge del Signore sia sulla
tua bocca. Con mano potente, infatti, il Signore ti ha fatto uscire
dall’Egitto»12, i fedeli portavano, per la preghiera, i filatteri13, una
sorta di piccole scatole entro le quali erano contenute strisce di
pergamena, recanti appunto questi e altri passi della Scrittura
(Es 13,1-10, 11-16; Dt 6,4-9 e 11,13-21). Queste scatoline erano
legate alla fronte e al braccio (ma anche ai vestiti) con strisce di
cuoio, e rappresentavano il segno-memoriale per la mente e per
la mano14.
La veste liturgica, efod15, era un grembiale stretto ai fianchi
con una fascia e tenuto su da delle spalline. Queste erano pietre
preziose, incorniciate in oro, e portavano impressi, ciascuna, sei
nomi delle tribù d’Israele, secondo la raccomandazione dell’Esodo: «Fisserai le due pietre sulle spalline dell’efod, come pietre che
Il fumo dei sacrifici e dell’incenso è un simbolo della preghiera
che sale verso il Signore ed è portata a Lui da angeli intercessori. La visione
dell’Apocalisse che mostra l’angelo offrire il profumo con le preghiere di tutti
i santi (Ap 8,3-4) ha dietro di sé tutta la tradizione liturgica dell’AT.
12
Es 13,9.
13
Mt 23,5.
14
Il segno del Signore indicava l’appartenenza al Signore (richiamava
il marchio degli schiavi); era anche un segno di protezione, ricordo materiale
della liberazione e dell’alleanza; segno che compromette ed obbliga alla testimonianza. Questa teologia del segno continua nei sacramenti della nuova
alleanza: essi imprimono il marchio della Croce, per cui apparteniamo al
Cristo.
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Es 28,6-14; 39,2-7.
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ricordino presso di me (memoriale) i figli di Israel»16. Il sacerdote,
quando si presentava al cospetto di Dio, portava sulle sue spalle,
scolpiti, i nomi delle dodici tribù d’Israele ed intercedeva per
loro; ed ugualmente i nomi delle tribù erano scolpiti sulle dodici
pietre che il sacerdote portava fissate sul pettorale. Certamente, tutto l’apparato delle vesti liturgiche era segno della gloria
di Dio, ma i testi sacri parlano particolarmente di queste pietre
incise che ricordano i figli d’Israele. Il gran sacerdote doveva
inoltre portare un grande mantello o casula, finemente ornato, e
con dei campanellini ai lembi. Incedendo nel santuario, il tintinnio proteggeva sacerdote e popolo.
Dio, udendo il gran sacerdote attraverso il memoriale del
suono, lo difendeva contro i demoni, aggiranti all’ingresso del
tempio17. Spettacolare è anche la menzione delle trombe18. Esse
servivano a richiamare l’attenzione di Dio nei momenti di calamità e di guerra. «Allora i figli di Aronne alzavano la voce, suonavano le trombe di metallo lavorato, e facevano udire un suono
potente come richiamo (memoriale) davanti all’Altissimo»19. La
loro funzione era soprattutto liturgica: ricordare a Dio l’alleanza,
attirare la Sua grazia in favore del popolo20.
Circa le icone, è vero che nell’Antico Testamento c’è il
secondo comandamento, che vieta di rendere culto alla creatura
raffigurata nell’immagine21, ma c’è anche l’ordine di fabbricare
dei cherubini; il permesso di dare un segno della presenza di
Dio attraverso gli angeli, Suoi mediatori22: «Io ti darò convegno
appunto in quel luogo: parlerò con te da sopra il propiziatorio,
Es 28,12.
Es 28,35; Sir 45,9.
18
Nm 10,1-10.
19
Sir 50,16.
20
2Cr 29,25-30.
21
Es 20,4-5.
22
Es 25,18.
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in mezzo ai due cherubini che saranno sull’arca della testimonianza, ti darò i miei ordini riguardo agli israeliti»23. I cherubini
segnalavano la presenza del Signore e attiravano la Sua parola,
la Sua manifestazione; guidavano lo sguardo verso il Signore,
per una lode, una supplica o un’azione di grazie.
L’offerta, poi, quale memoriale per il riscatto, è suggerita
a Mosé dal Signore stesso: «Prenderai il denaro di questo riscatto ricevuto dagli israeliti e lo impiegherai per il servizio della
tenda del convegno. Esso sarà per gli israeliti come un memoriale davanti al Signore per il riscatto delle vostre vite»24. Il Signore
invita, attraverso il denaro, a compiere un atto di culto, di offerta, di supplica per la salvezza dell’anima25.
Gli oggetti del culto dunque sviluppano nel cuore degli
israeliti una vera teologia del ricordo; ma principalmente la
preghiera, nell’Antico Testamento, sia quella personale sia quella comunitaria, quella della lode e quella dell’intercessione, fu
influenzata dalla categoria del memoriale. I salmi, per esempio,
appaiono come una lode ed anche lamento, che è richiamo della
santità e dell’amore del Signore26. Ricordo e memoria di tutte le
meraviglie dell’opera di Dio: «Ha lasciato un ricordo dei suoi prodigi:
pietà e tenerezza è il Signore»27. Si ricorda la potenza di Dio
perché s’implora il Suo intervento presente. E Dio è pronto ad
esaudire in ogni momento28. Nei salmi l’israelita prega anche per
le necessità fisiche e corporali, poiché l’uomo è considerato, nella
Es 25,22.
Es 30,16.
25
Nm 31,54.
26
C. Westermann, The Re-presentation of History in the Psalms, in Praise
and Lament in the Psalms, Atlanta 1981, 214-249.
27
Sal 111,4.
28
Tb 12,12-15.
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sua esistenza, un’unità: «Egli dà il cibo a chi lo teme, si ricorda
sempre della Sua alleanza»29.
Al fondo questo contenuto, che abbiamo rilevato dal salmo
111, definisce per J. Reumann il memoriale biblico30, ossia il
memoriale dell’AT è costantemente bipolare: Dio si ricorda del Suo
popolo, Israele si ricorda di Dio. Su questo dato noi fonderemo tutta
questa breve investigazione.
Nella preghiera biblica sono spesso presenti gli angeli,
interpreti dei disegni di Dio presso l’uomo e del bisogno dell’uomo presso Dio31.
Allorché, però, il vocabolo si riferisce alla persona, indicando 68 volte Dio stesso e 100 volte l’uomo, la realtà della relazione d’alleanza di Dio con l’uomo si fa evidente, e quindi nitide le anticipazioni di alcuni elementi del memoriale del Nuovo
Testamento.
Nell’ambito appunto della relazione con il Suo popolo,
32
Jahve si rivolge a Israele dicendogli di ricordarsi del Signore
Suo Dio33. Altre volte sono gli israeliti che si rivolgono a Dio nella
preghiera, supplicandolo di ricordarsi del Suo popolo34. Entrambi gli appelli partono dal medesimo presupposto: quello di un
vincolo già esistente tra Jahve e Israele, legame fondato sulla
promessa stabilita fra Dio e il popolo. Si impone quindi un’enumerazione dei principali passi che coinvolgono personalmente
Sal 111,5.
J. Reumann, The Supper of the Lord: The New Testament, Ecumenical
Dialogue, and Faith and Order on Eucharist, Philadelphia 1985, 33.
31
Is 62,6-7.
32
Jahve = JHWH.
33
Dt 8,18.
34
B. Childs, Memory and Tradition in Israel, London 1962, 31ss e 45ss. B.
Childs divide la sua trattazione in ricordo di Dio e ricordo del popolo.
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Dio e l’uomo nella memoria-alleanza e nell’alleanza-memoria,
per scorgere meglio il senso delle prefigurazioni del NT35.
Si può partire dall’alleanza che Dio ha stabilito con Abramo in Gn 15,1-20; 17,1-14 perché più volte è richiamata alla
memoria nella Scrittura, quale garanzia della volontà amorosa
e benefica di Dio e della Sua fedeltà36. L’alleanza di Dio con
Abramo si fonda sulla duplice promessa di una numerosa discendenza e del possesso del paese di Canaan; il segno di quest’intesa
sarà la circoncisione37. Il patto è sancito con un preciso rituale,
che produce un vero fatto giuridico, e vincola Abramo e la sua
discendenza. Nel libro dell’Esodo, poi, l’intero popolo di Israele,
discendente di Abramo, è chiamato ad un rapporto di speciale alleanza. Il successivo patto, che si conclude sulle balze del
Sinai, è conseguente alla liberazione del popolo dalla schiavitù.
Dio passa (pesàch = pasqua) e redime, e prima dell’evento visibile
della liberazione istituisce il rito della pasqua giudaica che, in
modo visibile, dona la salvezza38.
La pasqua d’Egitto così nasce in quel contesto più vasto
del dialogo d’amore che Dio vuol stabilire con il Suo popolo,
ed essa stessa conduce a rinnovare l’alleanza con Dio. Pasqua
35
Per J. Reumann l’alleanza è una figura che ha diversi modelli: quello
dell’alleanza promessa in Ger 31,31, quello mosaico, oppure quello dell’alleanza fatta da Jahve con Abramo. J. Reumann, The Supper of the Lord, op. cit.,
34-41.
36
Es 32,13: Mosé fa opera di intercessione presso il Signore affinché
Egli si ricordi della promessa fatta ad Abramo, nonostante le apostasie del
popolo di Israele. Così in Ne 9,7-8: Dio ha scelto Abramo, l’ha fatto uscire da
Ur, ha fatto con lui un’alleanza, gli ha promesso di dargli la terra di Canaan.
37
Non possiamo entrare nell’orizzonte della teologia del segno
nell’Antico Testamento. Il semeion (traduzione dei Settanta), è una parola
densa che sintetizza le grandi manifestazioni di Dio: la circoncisione, i miracoli di Cristo. S. Paolo scrive in Rm 4,11: «(Abramo) (...) ricevette il segno
della circoncisione, come sigillo della giustizia della fede, che egli aveva prima
di essere circonciso».
38
Es 12,1-14.
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d’Egitto e alleanza del Sinai sono due momenti di un unico fatto
di liberazione, reale e storico che, allo stesso tempo, annuncia il
futuro: è simbolo di una realtà che deve venire.
Geremia la vide profeticamente e la annunciò: «Ecco
verranno giorni, dice il Signore, nei quali con la casa di Israele
e con la casa di Giuda io concluderò un’alleanza nuova. Non
come l’alleanza che ho concluso con i loro padri, quando li presi
per mano per farli uscire dal paese d’Egitto, un’alleanza che essi
hanno violato, benché Io fossi loro Signore. Parola del Signore.
Questa sarà l’alleanza che Io concluderò con la casa di Israele
dopo quei giorni: Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò
sul loro cuore. Allora Io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo.
Non dovranno più istruirsi gli uni gli altri, dicendo: Riconoscete
il Signore, perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più
grande, dice il Signore; poiché Io perdonerò la loro iniquità e
non mi ricorderò più del loro peccato»39.
La pasqua è una festa che s’inizia con la cena, nella quale
si mangia l’agnello pasquale con erbe amare e con gli azzimi, e
dura per otto giorni. L’agnello e gli azzimi che, nella tradizione
biblica, compaiono sempre uniti, a partire da Ezechia e Giosia40,
nella festa della pasqua degli Azzimi, in realtà rappresentano
due precedenti e distinte tradizioni pasquali: quella dell’Agnello
pasquale41 e quella degli Azzimi42. La prima era sempre chiamata
pasqua ed era celebrata il 14 del primo mese; la seconda, designata con festa degli Azzimi43, era celebrata al 15 del mese di Abib
(mese delle messi), e durava 7 giorni. Per entrambe le celebrazioni, la ragione era la stessa: il ricordo della liberazione. Così,
Ger 31,31-34.
2Cr 30,1-27; Dt 16,1-8; 2Cr 35,7-18.
41
Es 12,6; Lv 23,5; Nm 28,16.
42
Es 13,4; Lv 23,6; Nm 28,17.
43
Nm 28,17.
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il sabato, la pasqua e le altre istituzioni cultuali sono oggettivazioni del memoriale, ricordi permanenti degli interventi salvifici
di Dio.
Nel racconto di Es 12,1-14 Dio annuncia che il passaggio
del mare sarà preceduto dall’ultima cena in Egitto. La celebrazione è un segno che attua già la liberazione che avverrà con il
passaggio del Mar Rosso.
Il comando divino: «Questo giorno sarà per voi un
memoriale»44 indica che il segno dell’agnello pasquale, dato alla
vigilia del passaggio del mare, dovrà essere riattualizzato dalle
successive generazioni45, affinché, attraverso il rito, ritorni e si
faccia presente l’efficacia salvifica della liberazione. Il passaggio
del mare ha portato Israele verso Dio.
Ad esso segue l’impegno di ascoltare la Sua voce e di osservare l’alleanza: «Voi stessi avete visto ciò che Io ho fatto all’Egitto
e come ho sollevato voi su ali di aquile e vi ho fatti venire fino
a me. Ora, se vorrete ascoltare la mia voce e custodirete la mia
alleanza, voi sarete per me la proprietà tra tutti i popoli, perché
mia è tutta la terra! Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una
nazione santa»46.
In Es 24,1-8 si narra della conclusione dell’alleanza per
mezzo di un sacrificio alle pendici del Sinai. Tale patto chiude
tutto l’avvenimento pasquale, iniziato con l’uscita dall’Egitto:
Es 12,14.
Nell’haggadah pasquale il perché del rito viene così riassunto: «Schiavi fummo di faraone in Egitto, e il Signore Dio nostro ci fece uscire di là con
mano forte e con braccio disteso. E se il Santo – benedetto Egli sia! – non
avesse fatto uscire i nostri padri dall’Egitto, allora noi e i nostri figli, e i figli
dei nostri figli, schiavi saremmo di faraone in Egitto (...). In ogni generazione
e generazione ognuno è obbligato a vedere se stesso come essendo proprio lui
uscito dall’Egitto (.. ). Non i nostri padri soltanto redense il Santo – benedetto
Egli sia! – ma anche noi redense con essi». A. Toaff (versione italiana di),
Haggadah di Pasqua, Roma 1971, 11.
46
Es 19,4-6.
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«Mosé prese la metà del sangue e la mise in tanti catini e ne
versò l’altra metà sull’altare. Quindi prese il libro dell’alleanza
e lo lesse alla presenza del popolo. Dissero: Quanto il Signore
ha ordinato, noi lo faremo e lo eseguiremo! Allora Mosé prese il
sangue e ne asperse il popolo, dicendo: Ecco il sangue dell’alleanza, che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste
parole!»47. Si tratta di un vero e proprio accordo di sangue tra
Dio e il popolo d’Israele. Tale intesa, stipulata cinquanta giorni dopo il passaggio del mare, chiamata pentecoste (in ebraico,
asséret = conclusione), è una realtà permanente48; cosicché nel
rituale ebraico non si ha rinnovazione dell’alleanza, bensì la
celebrazione annuale della pasqua, che era ed è la ripresentazione dell’alleanza unica, stipulata per sempre49.
I passi della Scrittura presi in considerazione ci rivelano
quanto il banchetto pasquale non fosse una cena di semplice
ricordo50. Da essi si ricava che non è possibile interpretare il
memoriale della pasqua giudaica al di fuori del significato che esso ha
nella tradizione liturgica dell’Antico Testamento, di cui fa parte.
Riassumendo brevemente, possiamo affermare che Dio, in
quel Suo disegno d’alleanza, agisce lentamente, e l’evento della
pasqua d’Egitto ne rappresenta una tappa importante, dove il
memoriale ha una singolare struttura tridimensionale, il passato è
rivissuto nel presente per annunciare il futuro.
Nella storia d’Israele v’è anche un altro tipo di memoriale
narrativo, che di per sé non ha una struttura temporale a tre dimensioni
e delle forme fisse: la memoria profetica, presente nel libro dei salmi,
Es 24,6-8.
Bisogna rileggere l’ultimo bellissimo discorso di Mosé al popolo in
Dt 29,9-25.
49
L’alleanza nuova di Ger 31,31-34 è la visione profetica delle parole
e dei gesti che il Cristo compirà nell’ultima cena.
50
F.J. Leenhardt, Le sacrement de la sainte cène, Neuchâtel-Paris 1948,
9-48.
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in quello dei profeti ed in Neemia 9, per esempio. Le composizioni utilizzate dalla memoria profetica sono aperte all’inserimento di nuove prospettive, poiché nascono quando coloro che
ascoltano la narrazione degli interventi di Dio, non riescono più
a percepirne l’efficacia dinanzi alle contrarietà, le catastrofi e
il peccato. Penetrando all’interno della stessa esperienza della
tragedia, il profeta discerne e proclama i modi in cui Dio, rimanendo fedele a Se stesso, continua ad agire nella storia del Suo
popolo. Per Brueggemann51, nei momenti di profonda angoscia,
emersero nuovi modi di invocare le promesse di Dio, e nuove
modalità di memoria.
Ci è utile affermare adesso, prima del tempo, che il memoriale di Cristo ha una forma inedita, di cui quello della cena
d’Egitto fu soltanto una presumibile anticipazione. Dopo la
descrizione complessiva delle forme veterotestamentarie del
memoriale, ci si soffermerà, nel prossimo articolo, sul memoriale dell’alleanza e della pasqua per parlare innanzi tutto del
culto e dei diversi sacrifici liturgici, luoghi privilegiati dove lo stesso memoriale dell’alleanza e della pasqua si realizza52, secondo
quanto Egli dice: «In ogni luogo dove Io vorrò ricordare il mio
nome, verrò a te e ti benedirò»53.
W. Brueggemann, The Creative Word: Canon as a Model for Biblical
Education, Philadelphia 1986, 40-66.
52
L’accoppiamento delle nozioni memoriale e sacrificio è principalmente opera degli studi di Max Thurian e L. Bouyer. M. Thurian, L’Eucaristia, memoriale del Signore, op. cit., 191-192. L. Bouyer, Eucaristia. Teologia e
spiritualità della Preghiera eucaristica, Torino 1992, 95-96.
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Es 20,24.
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