CON LA LUCE DI UNA PRESENZA … BUONA

VICENZA, 04/03/2015
SOMMARIO
IL PUNTO
p. 3
L’APPROFONDIMENTO
p. 5
DESIDERIO DI SPIRITUALITA’
p. 10
LA SITUAZIONE DELL’IRC
p. 11
IN ITALIA E NEL VICENTINO 2014
CON LA LUCE DI UNA PRESENZA …
BUONA PASQUA!
STUDIO
p. 14
ATTIVITA’ FORMATIVE
p. 21
CIAK
p. 24
MONDIARIO
p. 28
MEMORANDUM
VITA DI CASA NOSTRA
p. 30
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La Bacheca
Cari Colleghi,
abbiamo dedicato queste pagine al nostro cammino di liberazione, con interventi che, attraverso prospettive diverse, ci
aiutano ad attraversare il “deserto” che precede la Terra
Promessa.
Un piccolo contributo alla Quaresima di ognuno di noi.
La libertà è qualcosa che si impara, giorno dopo giorno, ripartendo da ogni fallimento, consapevoli che “ogni scelta che ci fa liberi è la resurrezione di Cristo nella nostra vita”.
In tal senso abbiamo inteso promuovere in questo numero un’iniziativa che può diventare occasione di liberazione per molti: il Mondiario, Diario 2015-16, che sostiene un progetto di sostegno a favore di fratelli più piccoli bisognosi… perché a liberarsi è un popolo che cammina!
Un grazie a tutti quelli che hanno collaborato e buona lettura!
Giorgia
COLLEGAMENTO PASTORALE - Speciale IR
DIRETTORE DELL’UFFICIO: don Antonio Bollin
REDAZIONE: Giorgia Caleari, Paola Pietrobelli, Carlo Meneghetti,
Ylenia D’Autilia, Giovanni Lonardi
E-MAIL REDAZIONE: [email protected] (Ufficio IRC)
In copertina: Marko Rupnik, Mensa di Betania, Centro Aletti - Roma
UFFICIO DIOCESANO PER L’INSEGNAMENTO DELLA RELIGIONE CATTOLICA
Contrà Vescovado, 1 - 36100 VICENZA (VI)
Tf. 0444/226456 - fax 0444/540235 - e-mail: [email protected]
2
Il punto
UNO SGUARDO ALLA REALTA’ NELLA LUCE DELLA PASQUA
Sei considerazioni vorrei condividere con voi nel mezzo dell’anno scolastico e nell’itinerario quaresimale
che sfocia nella festa di Pasqua.
Dall’indifferenza alla paura è quanto sta generando il neo-Califfatto dell’Isis che dalla Siria e dall’Iraq è
giunto in Libia e sulle coste del Mediterraneo. E più i tempi si allungano, più c’è il rischio che il fanatismo jihadista si allarghi a macchia d’olio sul continente africano. Abbiamo visto immagini di ferocia inaudita (perché “gli uomini in nero” sembrano essere esperti ad utilizzare bene i mezzi multimediali).
Sono catturati, schiavizzati e uccisi musulmani di fede sciita, gli yazidi, i cristiani… A Mosul, in Iraq, le
case dei cristiani, costretti a fuggire, sono state marchiate con la lettera Num (in vernice nera), cioè
l’iniziale di Nasàrani, vale a dire seguaci del Nazareno e confiscate dalle milizie dell’autoproclamatosi
califfo al-Baghdadi agli “infedeli”. Tutto questo ci interroga e ci sollecita a pregare per questi martiri del
XXI secolo. È possibile che 20-40.000 persone tengano in scacco intere regioni e il mondo? E perché
giovani, formatisi in Europa, nelle nostre scuole, sono corsi a ingrossare le loro schiere? Quando si
pensa di chiudere loro i rubinetti dei soldi, delle armi vendute, del petrolio acquistato? Come sta muovendosi l’Europa, l’America e l’ONU?
Dal 31 gennaio u.s. c’è un nuovo Presidente della Repubblica, il prof. Sergio Mattarella, al quale indi-
rizziamo l’augurio di buon lavoro! È un cattolico, serio, convinto non ostentato, come lo sono il Presidente del Senato, Pietro Grasso e Matteo Renzi, Capo dell’esecutivo. Ricordo che mons. Nonis, qualche anno fa, ai tempi di Ciampi, Prodi e Marini - tutti cattolici e ai vertici delle istituzioni della nostra Repubblica - scriveva: quando avremo ancora tre cattolici in così importanti ruoli istituzionali? I tempi sono cambiati, ma lo Stato italiano ha avuto bisogno ancora di onesti e competenti cittadini, con un solido
credo religioso, per determinate funzioni e per il bene della collettività. E mi ritornava l’idea che, anche
oggi, la scommessa resta nella formazione delle persone, di cui la scuola - e noi in essa - gioca un ruolo indiscutibile.
Siamo in attesa dell’annunciata legge sulla “Buona Scuola”. Abbiamo partecipato con entusiasmo alla
consultazione nazionale nei mesi scorsi. Ma per il momento non ho scorto una visione pedagogica organica, né un’attenzione all’IRC. Oltre alla positiva riscoperta del merito, si vuole assicurare un posto
fisso a circa 140.000 precari e va bene, ma è un po’ poco!! Vedremo con calma il testo e la proposta.
Come vi segnalavo nell’editoriale del numero scorso, il nostro Ufficio diocesano ha 25 anni di vita. Vi
comunicherò tramite le NEWS un programma di iniziative e proposte, tra cui un concorso scolastico, le
quali culmineranno nell’Assemblea IdR del giugno 2016. Ci sarà anche un comitato che curerà e accompagnerà le diverse attività. Importante è, per ora, partecipare con le proprie classi al concorso scolastico. Collegati alla celebrazione del 25° dell’U fficio sono pure i due pellegrinaggi in cantiere per la
prossima estate: in Terra Santa a fine luglio e in Andalusia sulle orme di S. Teresa d’Avila dopo la metà di agosto. Fateci un pensiero e non lasciatevi “scappare” queste due occasioni di fraternità, di forte
esperienza spirituale… conoscete i programmi (cf. nel nostro sito web).
Proseguono le nostre numerose e varie attività di aggiornamento per rispondere alle molteplici richie-
ste ed esigenze. Non può mancare la ricarica spirituale, necessaria per ogni cristiano ed educatore,
per cui l’invito fraterno è di prendere parte al ritiro quaresimale a Villa San Carlo, sabato pom. 21 marzo.
Il prof. Giuseppe Simonetto ha rinnovato il Breve Prontuario giuridico per l’IRC: in Ufficio ve ne sono
copie, è stato inserito nel sito web, nella parte riservata a voi. A Giuseppe esprimo la gratitudine, di voi
tutti e mia, per il servizio che sta compiendo per noi e per l’IRC.
Qualcuno/a mi ha scritto richiedendo un cambiamento di sede per il prossimo anno. Si vedrà, come
sempre, in base alle disponibilità e alle esigenze degli Istituti. Torno però a ribadire che tra gli IdR a t.i.
c’è bisogno di una maggior flessibilità e disponibilità al cambiamento di sede (tenendo presente che
l’organico è diocesano, nessun IdR a t.i. è titolare di una sede). Se chiamo, se busso alla porta e domando la disponibilità di qualcuno/a, desidero non trovare chiusura eccessiva come è capitato lo scorso anno. Non si può guardare solo il proprio orticello, ma il bene della scuola e dell’IRC con uno sguardo più ampio.
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Stiamo camminando verso la festa annuale di Pasqua, la quale rischiara con la luce di una presenza la
nostra realtà e la nostra esistenza, come suggeriva il papa emerito Benedetto XVI: “Se Gesù è risorto,
allora - e solo allora - è avvenuto qualcosa di veramente nuovo, che cambia la condizione dell’uomo e
del mondo. Allora Lui, Gesù, è qualcuno di cui ci possiamo fidare in modo assoluto, e non soltanto
confidare nel suo messaggio, ma proprio in Lui, perché il Risorto non appartiene al passato, ma è presente oggi, vivo” (Dal Messaggio Urbi et orbi, Santa Pasqua 8 aprile 2012).
A ciascuno/a di voi, a quanti vivono con voi e vi vogliono bene auguro - assieme ai Collaboratori
dell’Ufficio e a Serenella - una Buona e Santa Pasqua.
Don Antonio Bollin
Direttore
Vicenza, 4 marzo 2015
Memoria di S. Casimiro
Ama la vita così com’è (Madre Teresa di Calcutta)
Ama la vita così com’è
amala pienamente, senza pretese.
Amala quando ti amano o quando ti odiano.
Amala quando nessuno ti capisce,
o quanto tutti ti comprendono.
Amala quando tutti ti abbandonano,
o quando ti esaltano come un re.
Amala quando ti rubano tutto,
o quando te lo regalano.
Amala quando ha senso,
o quando sembra non averlo nemmeno un po’.
Amala nella piena felicità,
o nella solitudine assoluta.
Amala quando sei forte,
o quando ti senti debole.
Amala quando hai paura,
o quando hai una montagna di coraggio.
Amala non soltanto per i grandi piaceri e le enormi soddisfazioni;
amala anche per le piccole gioie.
Amala seppure non ti dà ciò che potrebbe,
amala anche se non è come la vorresti.
Amala ogni volta che nasci
ed ogni volta che stai per morire.
Ma non amare mai senza amore.
Non vivere mai senza vita!
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L’approfondimento
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Desiderio di spiritualità
L’ORIZZONTE DELLA LIBERTÀ
Noi esseri umani siamo essenzialmente aperti, potenzialmente suscettibili di
sviluppo. Liberi. Non solo, noi possediamo queste caratteristiche in modo inconfondibile. In un mondo chiuso nei suoi determinismi, solo noi uomini abbiamo la possibilità e la responsabilità di vivere in modo creativo e possiamo
costruirci con le nostre mani, dar vita a qualcosa di qualitativamente nuovo.
La nostra libertà non è un’illusione perché con le nostre scelte ci costruiamo e ci rendiamo responsabili del cammino della società e della storia. Ma la
nostra libertà, proprio perché umana, è limitata: nessuno ci ha chiesto se
volevamo venire al mondo e in quale famiglia; non abbiamo deciso la nostra
identità di genere, non abbiamo potuto scegliere la struttura fisica, il temperamento, il livello della nostra intelligenza. Siamo condizionati dal nostro codice
genetico, dall’educazione ricevuta, dall’ambiente in cui viviamo, dall’opinione pubblica, dall’influsso dei
mass-media, la vita spesso ci spaventa e soffriamo l’inquietudine della morte.
Niente però ci autorizza a diventare scettici e a lasciarci andare, quasi che la libertà sia per l’uomo un
miraggio inutile, un inganno per poter continuare a vivere. Siamo persone e in quanto tali dipende da noi
farci schiavi o uomini liberi. Non riceviamo la libertà come un pacco-dono o un capitale già confezionato,
né la vinciamo al gratta e vinci, ma è il risultato di una continua conquista personale, fisica e spirituale.
Nasce dentro di noi attraverso un cammino di maturazione e responsabilità. La libertà è viaggio, sacrificio,
fatica, ma anche slancio e gioiosa conquista; desiderio insaziabile di continuare a cercare per trovare e
trovare per continuare a cercare. La grande sfida quotidiana per essere uomini e donne liberi è la ricerca continua di un equilibrio forte tra moderazione e radicalismo, prudenza e obiezione di coscienza, cultura laica e profezia, conoscenza tecnica e passione per l’Infinito. Siamo chiamati a coltivare ragione e fede,
siamo chiamati alla ricerca di una strada di libertà dalle molteplici paure quotidiane, dal non-senso, dalla
morte; impegnati di fronte ai problemi contemporanei, alle necessità del prossimo, consapevoli di quanto
bisogno ci sia di perdono e riconciliazione. Nel nostro tempo occorrono profeti che scelgono con forza e passione la strada della libertà autentica. Da soli però non possiamo farcela! Per questo Dio non
ci abbandona. Rispettoso della nostra libertà, non Si impone ma si offre di accompagnarci, di educarci
amorevolmente, indicandoci la via: Cristo Gesù. E’ Cristo la nostra via di libertà attraverso le sue parole di
verità e di vita.
Per imparare la libertà, per non smarrire la libertà, non possiamo fare a meno di riferirci a Cristo.
Gesù è pienamente libero, sovranamente libero. Libero da tutto: libero dalle cose, dal troppo benessere:
non ha neppure una fissa dimora (Lc 9,58). Libero dai parenti: ad un certo punto lascia la sua casa e intraprende la sua avventura. Libero dalla pigrizia: ha sempre lavorato sodo, da mattina (Mc 1,35) a sera (Lc
4,40). Libero da se stesso: “Non cercò di piacere a se stesso” (Rm 15,3), preferì i progetti del Padre (Gv
4,34). Libero dal pessimismo: non si è mai rassegnato davanti alle difficoltà, ha sempre creduto nel recupero di tutti (Lc 19,9; Lc 23,43). Libero dalla paura di parlare, dalla paura degli uomini: non dipendeva dagli sguardi altrui: “Non temete gli uomini” (Mt 10,26). Libero dalle tradizioni, dal passato, dagli applausi (Gv
6,15). Libero nei movimenti: “Il Regno dei cieli è in voi – diceva Gesù – purchè assumiate il coraggio di
essere voi stessi e di fare ciò che vi rende felici” (Lc 17,20-21). Libero dal peccato perché “chiunque commette peccato è schiavo del peccato” (Lc 8,35). Ed è la schiavitù più pericolosa ed avvilente. Libero dalla
morte perché Dio lo ha risuscitato. Gesù libero, si, ma libero perché ha scelto di esserlo e ha vissuto di
conseguenza, è vissuto nella libertà dell’amore verso il Padre e verso i fratelli, la libertà dei figli di Dio.
Era nato libero di liberarsi e si è liberato tutto, è diventato uomo completo, “uomo perfetto”, come dice il
Concilio Vaticano II (GS 41). Un Uomo così libero non può che essere liberante. Per questo il cristiano
autentico si mette alla sua sequela. Il cristiano è nel mondo, ma non impigliato nel mondo; ama tutti, ma è
schiavo di nessuno; vive nella carne, ma non secondo la carne; è ostacolato, ma canta e cammina… Il
cristiano è uomo libero e come scrisse Thomas Merton, “ogni scelta che ci fa liberi è la risurrezione
di Cristo nella nostra vita”.
A cura di Paola Pietrobelli
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La situazione dell’IRC in Italia e
nel Vicentino 2014
PREMESSA
Da 21 anni il Servizio Nazionale per l’IRC della CEI affida all’Osservatorio Socio-Religioso Triveneto la rilevazione nazionale su alcuni aspetti dell’IRC per monitorare il numero degli avvalentisi
e cogliere eventuali cambiamenti in atto nella scuola statale italiana in ordine a tale disciplina*.
Nel Triveneto l’indagine si svolge dal 1988.
Nel 2013/2014 hanno partecipato alla rilevazione 194 diocesi (87% del totale) e sono stati censiti
6.820.118 studenti (circa l’86,6% della popolazione scolastica).
1) I DATI NAZIONALI
La percentuale degli avvalentisi dell’IRC nelle scuole statali nel 2013/14 risulta dell’88,5%, i
non avvalentisi raggiungono la quota dell’11,5%. Rispetto l’anno precedente si registra un incremento medio delle defezioni di 0,4 punti percentuali. In 21 anni di indagine la flessione
complessiva, relativa alla scelta e alla frequenza dell’ora di religione nelle scuole statali, è di
5,0 punti percentuali.
Nei diversi ordini di scuola le rinunzie sono le seguenti: SS 2° 18,0%, SS 1° 9,8%, Primaria
9,2% (con un incremento dello 0,6%) e Infanzia 9,2%.
Nell’ultimo anno si rileva un recupero di avvalentisi negli Istituti Professionali mentre crescono
le rinunce nelle altre tipologie di scuole, soprattutto nei Licei Psicopedagogici (dal 13,2% al
14,3%).
Quanto alle possibilità offerte dalla scuola, per chi non si avvale dell’IRC, risulta largamente
prioritaria l’uscita dalla scuola con il 45,4% ed è in recupero l’attività didattica e formativa in
classe con il 15,4%. Nel Sud la quota delle uscita è ridotta (17,1%) e si avvantaggia lo studio
non assistito (58,2%).
Il corpo dei docenti di religione è costituito per quasi il 90% da laici e la componente femminile
risulta maggioritaria con il 56,9%; si va contraendo la quota di sacerdoti (8,3%), di religiosi
(0,3%) e di religiose (1,6%).
Un cambiamento avvenuto in questi anni è l’innalzamento del monte ore settimanale prestato
dal singolo docente: il 72,8% degli IdR ha oggi orario cattedra (questo significa più stabilità e
sicurezza).
Nelle regioni del Nord gli IdR a tempo pieno si attestano al 69,1%.
Gli IdR che operano in più scuole raggiunge ovviamente il 40,3%, soprattutto per il primo ciclo
e l’infanzia. Nella SS 1° e 2° gli IdR nominati a t .i. raggiungono il 48,2%, quelli a tempo determinato, ma con orario cattedra il 25,3%.
2) NELLE DIVERSE REGIONI
Emerge innanzitutto una notevole differenza tra Nord, Centro e Sud Italia circa l’IRC.
• Nel Nord la percentuale dei non avvalentisi si mantiene elevata 17,5%, con una crescita
dell’1,2% nell’infanzia (16,3%) e nella primaria dell’1,3% (11,8%).
• Al Centro la percentuale appare di poco superiore alla media nazionale con il 12,2% ed è
omogenea nei quattro livelli di scuola.
• Al Sud la situazione rimane confortante con la quota dei rifiuti dell’IRC ridotta al 2,2%.
Prendendo in esame pure le diverse regioni italiane si conferma una considerevole differenza:
la punta massima di diserzioni dall’IRC si riscontra in Toscana col 20,7% e la minima in Campania con l’1,7%.
La regione pastorale triveneta raggiunge, quanto a defezioni per l’ora di religione, il 14,9%, oltrepassando negli ultimi anni la quota del 10%; nel 2013/14 c’è stato un aumento dello 0,7%.
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Nel Triveneto i dati complessivi in percentuale degli avvalentisi sono:
SS 2° 79,2% - SS 1° 87,6% - Primaria 88,7% - Infanz ia 83,7% e la media risulta dell’85,1%.
Anche nelle 15 diocesi della nostra regione ecclesiastica la percentuale delle scelte per l’IRC
risulta diversificata: si va da Chioggia con il 94,3% al 76,8% di Venezia e al 71,7% di Trieste.
3) NEL VICENTINO
Nella nostra diocesi (cf. le due pagine allegate) la percentuale degli avvalentisi è dell’87,7%
(12,3% i rifiuti), così suddivise per ordine di scuola: Infanzia 81,8%, Primaria 88,1%, SS 1°
88,5%, SS 2° 88,6%.
Nella SS 2° i Licei superano il 90% delle scelte po sitive (92,8%), più deboli gli Istituti Professionali (82,9%).
Chi non frequenta l’IRC nella SS 2° sceglie prevale ntemente l’uscita 40,2% e lo studio non assistito 42,0%.
Quanto agli IdR, la ricerca mette in luce che: i presbiteri sono il 3,8%, le religiose 0,6% (non
figurano religiosi), più del 95% sono laici (48,1% laici e 47,4% laiche).
Per l’orario scolastico, nella SS 1° e 2° del Vicen tino, il 78,3% degli IdR ha orario cattedra e
solo il 7,8% insegna in tre scuole, mentre il 53,2% dei docenti di SS 1° svolge il servizio in due
Istituti.
Concludo con poche ed essenziali considerazioni per tener viva la questione della scelta
nell’IRC.
• Si conferma la bontà dell’indagine annuale che ci aiuta a tenere sempre i piedi per terra. Non
bisogna abbassare la guardia al momento della scelta, ma insistere sulle motivazioni con ragazzi e famiglie. È da verificare – ma lo potete fare anche voi – come procede l’iscrizione online e che risultati dà.
• Il nostro dato complessivo degli avvalentisi è un po’ sotto (0,6%) rispetto al dato nazionale
complessivo, ma superiore alla media del Triveneto… abbiamo “sforato” il 10% delle defezioni.
• Ci conforta la buona tenuta della SS 2°, mentre si attesta al 18,2% le non adesioni all’IRC nella
Scuola dell’Infanzia. Va detto che nel nostro territorio sono maggioritarie (circa 130) le scuole
dell’infanzia parrocchiali e/o d’ispirazione cristiana e la presenza di alunni e studenti stranieri si
fa sentire. Occorre seguire “le buone pratiche” con l’informazione alle famiglie, la partecipazione degli IdR al momento della presentazione dell’Istituto, l’incontro con le famiglie, le buone
relazioni e soprattutto una didattica rinnovata dell’IRC, accanto all’unità tra docenti dello stesso
Istituto o zona pastorale.
• Ancora al dato percentuale degli avvalentisi nelle scuole statali va aggiunto quello delle scuole
cattoliche si aggira su 0,86%. Non dimentichiamo poi che una buona percentuale degli alunni
stranieri frequenta con impegno l’IRC, il 48,6%.
Antonio Bollin
________________________
* Per tutti i dati più approfonditi e completi, si rinvia a: G.A. BATTISTELLA – D. OLIVIERI – M. CHILESE (a cura di), Insegnamento della Religione Cattolica nelle scuole statali italiane. Annuario 2014. A.S. 2013/2014, Vicenza, OSReT 2014.
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Studio: Visita del Santo Padre al Parlamento
Europeo e al Consiglio d’Europa
Papa Francesco il 25 novembre u.s. è stato nel cuore delle istituzioni europee e ha dato “una salutare
scossa” al Vecchio Continente. Come promesso nello scorso numero riportiamo i due discorsi del Papa.
DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AL PARLAMENTO EUROPEO
Signor Presidente, Signore e Signori Vice Presidenti,
Onorevoli Eurodeputati,
Persone che lavorano a titoli diversi in quest’emiciclo,
Cari amici,
vi ringrazio per l'invito a prendere la parola dinanzi a questa istituzione fondamentale della vita dell'Unione Europea e
per l'opportunità che mi offrite di rivolgermi, attraverso di voi, agli oltre cinquecento milioni di cittadini che rappresentate nei 28 Stati membri. Particolare gratitudine, desidero esprimere a Lei, Signor Presidente del Parlamento, per le
cordiali parole di benvenuto che mi ha rivolto, a nome di tutti i componenti dell'Assemblea.
La mia visita avviene dopo oltre un quarto di secolo da quella compiuta da Papa Giovanni Paolo II. Molto è cambiato
da quei giorni in Europa e in tutto il mondo. Non esistono più i blocchi contrapposti che allora dividevano il continente
in due e si sta lentamente compiendo il desiderio che «l'Europa, dandosi sovranamente libere istituzioni, possa un
giorno estendersi alle dimensioni che le sono state date dalla geografia e più ancora dalla storia»[1].
Accanto a un'Unione Europea più ampia, vi è anche un mondo più complesso e fortemente in movimento. Un mondo
sempre più interconnesso e globale e perciò sempre meno "eurocentrico". A un'Unione più estesa, più influente,
sembra però affiancarsi l'immagine di un'Europa un po’ invecchiata e compressa, che tende a sentirsi meno protagonista in un contesto che la guarda spesso con distacco, diffidenza e talvolta con sospetto.
Nel rivolgermi a voi quest'oggi, a partire dalla mia vocazione di pastore, desidero indirizzare a tutti i cittadini europei
un messaggio di speranza e di incoraggiamento.
Un messaggio di speranza basato sulla fiducia che le difficoltà possano diventare promotrici potenti di unità, per vincere tutte le paure che l’Europa - insieme a tutto il mondo - sta attraversando. Speranza nel Signore che trasforma il
male in bene e la morte in vita.
Incoraggiamento di tornare alla ferma convinzione dei Padri fondatori dell'Unione europea, i quali desideravano un
futuro basato sulla capacità di lavorare insieme per superare le divisioni e per favorire la pace e la comunione fra tutti
i popoli del continente. Al centro di questo ambizioso progetto politico vi era la fiducia nell'uomo, non tanto in quanto
cittadino, né in quanto soggetto economico, ma nell'uomo in quanto persona dotata di una dignità trascendente.
Mi preme anzitutto sottolineare lo stretto legame che esiste fra queste due parole: "dignità" e "trascendente".
La “dignità” è una parola-chiave che ha caratterizzato la ripresa del secondo dopo guerra. La nostra storia recente si
contraddistingue per l'indubbia centralità della promozione della dignità umana contro le molteplici violenze e discriminazioni, che neppure in Europa sono mancate nel corso dei secoli. La percezione dell'importanza dei diritti umani
nasce proprio come esito di un lungo cammino, fatto anche di molteplici sofferenze e sacrifici, che ha contribuito a
formare la coscienza della preziosità, unicità e irripetibilità di ogni singola persona umana. Tale consapevolezza culturale trova fondamento non solo negli avvenimenti della storia, ma soprattutto nel pensiero europeo, contraddistinto
da un ricco incontro, le cui numerose fonti lontane provengono «dalla Grecia e da Roma, da substrati celtici, germanici e slavi, e dal cristianesimo che li ha plasmati profondamente»[2], dando luogo proprio al concetto di “persona”.
Oggi, la promozione dei diritti umani occupa un ruolo centrale nell'impegno dell'Unione Europea in ordine a favorire
la dignità della persona, sia al suo interno che nei rapporti con gli altri Paesi. Si tratta di un impegno importante e
ammirevole, poiché persistono fin troppe situazioni in cui gli esseri umani sono trattati come oggetti, dei quali si può
programmare la concezione, la configurazione e l’utilità, e che poi possono essere buttati via quando non servono
più, perché diventati deboli, malati o vecchi.
Effettivamente quale dignità esiste quando manca la possibilità di esprimere liberamente il proprio pensiero o di professare senza costrizione la propria fede religiosa? Quale dignità è possibile senza una cornice giuridica chiara, che
limiti il dominio della forza e faccia prevalere la legge sulla tirannia del potere? Quale dignità può mai avere un uomo
o una donna fatto oggetto di ogni genere di discriminazione? Quale dignità potrà mai trovare una persona che non
ha il cibo o il minimo essenziale per vivere e, peggio ancora, che non ha il lavoro che lo unge di dignità?
Promuovere la dignità della persona significa riconoscere che essa possiede diritti inalienabili di cui non può essere
privata ad arbitrio di alcuno e tanto meno a beneficio di interessi economici.
Occorre però prestare attenzione per non cadere in alcuni equivoci che possono nascere da un fraintendimento del
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concetto di diritti umani e da un loro paradossale abuso. Vi è infatti oggi la tendenza verso una rivendicazione sempre più ampia di diritti individuali - sono tentato di dire individualistici -, che cela una concezione di persona umana
staccata da ogni contesto sociale e antropologico, quasi come una “monade” (µονάς), sempre più insensibile alle
altre “monadi” intorno a sé. Al concetto di diritto non sembra più associato quello altrettanto essenziale e complementare di dovere, così che si finisce per affermare i diritti del singolo senza tenere conto che ogni essere umano è
legato a un contesto sociale, in cui i suoi diritti e doveri sono connessi a quelli degli altri e al bene comune della società stessa.
Ritengo perciò che sia quanto mai vitale approfondire oggi una cultura dei diritti umani che possa sapientemente
legare la dimensione individuale, o, meglio, personale, a quella del bene comune, a quel “noi-tutti” formato da individui, famiglie e gruppi intermedi che si uniscono in comunità sociale [3]. Infatti, se il diritto di ciascuno non è armonicamente ordinato al bene più grande, finisce per concepirsi senza limitazioni e dunque per diventare sorgente di
conflitti e di violenze.
Parlare della dignità trascendente dell'uomo, significa dunque fare appello alla sua natura, alla sua innata capacità di
distinguere il bene dal male, a quella “bussola” inscritta nei nostri cuori e che Dio ha impresso nell’universo creato
[4]; soprattutto significa guardare all'uomo non come a un assoluto, ma come a un essere relazionale. Una delle malattie che vedo più diffuse oggi in Europa è la solitudine, propria di chi è privo di legami. La si vede particolarmente
negli anziani, spesso abbandonati al loro destino, come pure nei giovani privi di punti di riferimento e di opportunità
per il futuro; la si vede nei numerosi poveri che popolano le nostre città; la si vede negli occhi smarriti dei migranti
che sono venuti qui in cerca di un futuro migliore.
Tale solitudine è stata poi acuita dalla crisi economica, i cui effetti perdurano ancora con conseguenze drammatiche
dal punto di vista sociale. Si può poi constatare che, nel corso degli ultimi anni, accanto al processo di allargamento
dell'Unione Europea, è andata crescendo la sfiducia da parte dei cittadini nei confronti di istituzioni ritenute distanti,
impegnate a stabilire regole percepite come lontane dalla sensibilità dei singoli popoli, se non addirittura dannose.
Da più parti si ricava un'impressione generale di stanchezza, d'invecchiamento, di un’Europa nonna e non più fertile
e vivace. Per cui i grandi ideali che hanno ispirato l'Europa sembrano aver perso forza attrattiva, in favore dei tecnicismi burocratici delle sue istituzioni.
A ciò si associano alcuni stili di vita un po' egoisti, caratterizzati da un'opulenza ormai insostenibile e spesso indifferente nei confronti del mondo circostante, soprattutto dei più poveri. Si constata con rammarico un prevalere delle
questioni tecniche ed economiche al centro del dibattito politico, a scapito di un autentico orientamento antropologico
[5]. L'essere umano rischia di essere ridotto a semplice ingranaggio di un meccanismo che lo tratta alla stregua di un
bene di consumo da utilizzare, così che - lo notiamo purtroppo spesso - quando la vita non è funzionale a tale meccanismo viene scartata senza troppe remore, come nel caso dei malati, dei malati terminali, degli anziani abbandonati e senza cura, o dei bambini uccisi prima di nascere.
È il grande equivoco che avviene «quando prevale l'assolutizzazione della tecnica»[6], che finisce per realizzare
«una confusione fra fini e mezzi»[7]. Risultato inevitabile della “cultura dello scarto” e del “consumismo esasperato”.
Al contrario, affermare la dignità della persona significa riconoscere la preziosità della vita umana, che ci è donata
gratuitamente e non può perciò essere oggetto di scambio o di smercio. Voi, nella vostra vocazione di parlamentari,
siete chiamati anche a una missione grande benché possa sembrare inutile: prendervi cura della fragilità, della fragilità dei popoli e delle persone. Prendersi cura della fragilità dice forza e tenerezza, dice lotta e fecondità in mezzo a
un modello funzionalista e privatista che conduce inesorabilmente alla “cultura dello scarto”. Prendersi cura della
fragilità delle persone e dei popoli significa custodire la memoria e la speranza; significa farsi carico del presente
nella sua situazione più marginale e angosciante ed essere capaci di ungerlo di dignità [8].
Come dunque ridare speranza al futuro, così che, a partire dalle giovani generazioni, si ritrovi la fiducia per perseguire il grande ideale di un'Europa unita e in pace, creativa e intraprendente, rispettosa dei diritti e consapevole dei propri doveri?
Per rispondere a questa domanda, permettetemi di ricorrere a un'immagine. Uno dei più celebri affreschi di Raffaello
che si trovano in Vaticano raffigura la cosiddetta Scuola di Atene. Al suo centro vi sono Platone e Aristotele. Il primo
con il dito che punta verso l'alto, verso il mondo delle idee, potremmo dire verso il cielo; il secondo tende la mano in
avanti, verso chi guarda, verso la terra, la realtà concreta. Mi pare un'immagine che ben descrive l'Europa e la sua
storia, fatta del continuo incontro tra cielo e terra, dove il cielo indica l'apertura al trascendente, a Dio, che ha da
sempre contraddistinto l'uomo europeo, e la terra rappresenta la sua capacità pratica e concreta di affrontare le situazioni e i problemi.
Il futuro dell'Europa dipende dalla riscoperta del nesso vitale e inseparabile fra questi due elementi. Un'Europa che
non è più capace di aprirsi alla dimensione trascendente della vita è un'Europa che lentamente rischia di perdere la
propria anima e anche quello "spirito umanistico" che pure ama e difende.
Proprio a partire dalla necessità di un'apertura al trascendente, intendo affermare la centralità della persona umana,
altrimenti in balia delle mode e dei poteri del momento. In questo senso ritengo fondamentale non solo il patrimonio
che il cristianesimo ha lasciato nel passato alla formazione socioculturale del continente, bensì soprattutto il contributo che intende dare oggi e nel futuro alla sua crescita. Tale contributo non costituisce un pericolo per la laicità degli
Stati e per l'indipendenza delle istituzioni dell'Unione, bensì un arricchimento. Ce lo indicano gli ideali che l'hanno
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formata fin dal principio, quali la pace, la sussidiarietà e la solidarietà reciproca, un umanesimo incentrato sul rispetto
della dignità della persona.
Desidero, perciò, rinnovare la disponibilità della Santa Sede e della Chiesa cattolica, attraverso la Commissione delle Conferenze Episcopali Europee (COMECE), a intrattenere un dialogo proficuo, aperto e trasparente con le istituzioni dell'Unione Europea. Parimenti sono convinto che un'Europa che sia in grado di fare tesoro delle proprie radici
religiose, sapendone cogliere la ricchezza e le potenzialità, possa essere anche più facilmente immune dai tanti estremismi che dilagano nel mondo odierno, anche per il grande vuoto ideale a cui assistiamo nel cosiddetto Occidente, perché «è proprio l'oblio di Dio, e non la sua glorificazione, a generare la violenza»[9].
Non possiamo qui non ricordare le numerose ingiustizie e persecuzioni che colpiscono quotidianamente le minoranze religiose, e particolarmente cristiane, in diverse parti del mondo. Comunità e persone che si trovano ad essere
oggetto di barbare violenze: cacciate dalle proprie case e patrie; vendute come schiave; uccise, decapitate, crocefisse e bruciate vive, sotto il silenzio vergognoso e complice di tanti.
Il motto dell'Unione Europea è Unità nella diversità, ma l'unità non significa uniformità politica, economica, culturale,
o di pensiero. In realtà ogni autentica unità vive della ricchezza delle diversità che la compongono: come una famiglia, che è tanto più unita quanto più ciascuno dei suoi componenti può essere fino in fondo sé stesso senza timore.
In tal senso, ritengo che l'Europa sia una famiglia di popoli, i quali potranno sentire vicine le istituzioni dell'Unione se
esse sapranno sapientemente coniugare l'ideale dell'unità cui si anela, alla diversità propria di ciascuno, valorizzando le singole tradizioni; prendendo coscienza della sua storia e delle sue radici; liberandosi dalle tante manipolazioni
e dalle tante fobie. Mettere al centro la persona umana significa anzitutto lasciare che essa esprima liberamente il
proprio volto e la propria creatività, sia a livello di singolo che di popolo.
D'altra parte le peculiarità di ciascuno costituiscono un'autentica ricchezza nella misura in cui sono messe al servizio
di tutti. Occorre ricordare sempre l'architettura propria dell'Unione Europea, basata sui principi di solidarietà e sussidiarietà, così che prevalga l'aiuto vicendevole e si possa camminare, animati da reciproca fiducia.
In questa dinamica di unità-particolarità, si pone a voi, Signori e Signore Eurodeputati, anche l’esigenza di farvi carico di mantenere viva la democrazia, la democrazia dei popoli dell’Europa. Non ci è nascosto che una concezione
omologante della globalità colpisce la vitalità del sistema democratico depotenziando il ricco contrasto, fecondo e
costruttivo, delle organizzazioni e dei partiti politici tra di loro. Così si corre il rischio di vivere nel regno dell’idea, della
sola parola, dell’immagine, del sofisma… e di finire per confondere la realtà della democrazia con un nuovo nominalismo politico. Mantenere viva la democrazia in Europa richiede di evitare tante “maniere globalizzanti” di diluire la
realtà: i purismi angelici, i totalitarismi del relativo, i fondamentalismi astorici, gli eticismi senza bontà, gli intellettualismi senza sapienza [10].
Mantenere viva la realtà delle democrazie è una sfida di questo momento storico, evitando che la loro forza reale –
forza politica espressiva dei popoli – sia rimossa davanti alla pressione di interessi multinazionali non universali, che
le indeboliscano e le trasformino in sistemi uniformanti di potere finanziario al servizio di imperi sconosciuti. Questa è
una sfida che oggi la storia vi pone.
Dare speranza all'Europa non significa solo riconoscere la centralità della persona umana, ma implica anche favorirne le doti. Si tratta perciò di investire su di essa e sugli ambiti in cui i suoi talenti si formano e portano frutto. Il primo
ambito è sicuramente quello dell'educazione, a partire dalla famiglia, cellula fondamentale ed elemento prezioso di
ogni società. La famiglia unita, fertile e indissolubile porta con sé gli elementi fondamentali per dare speranza al futuro. Senza tale solidità si finisce per costruire sulla sabbia, con gravi conseguenze sociali. D'altra parte, sottolineare
l'importanza della famiglia non solo aiuta a dare prospettive e speranza alle nuove generazioni, ma anche ai numerosi anziani, spesso costretti a vivere in condizioni di solitudine e di abbandono perché non c'è più il calore di un focolare domestico in grado di accompagnarli e di sostenerli.
Accanto alla famiglia vi sono le istituzioni educative: scuole e università. L'educazione non può limitarsi a fornire un
insieme di conoscenze tecniche, bensì deve favorire il più complesso processo di crescita della persona umana nella
sua totalità. I giovani di oggi chiedono di poter avere una formazione adeguata e completa per guardare al futuro con
speranza, piuttosto che con disillusione. Numerose sono, poi, le potenzialità creative dell'Europa in vari campi della
ricerca scientifica, alcuni dei quali non ancora del tutto esplorati. Basti pensare ad esempio alle fonti alternative di
energia, il cui sviluppo gioverebbe molto alla difesa dell'ambiente.
L’Europa è sempre stata in prima linea in un lodevole impegno a favore dell’ecologia. Questa nostra terra ha infatti
bisogno di continue cure e attenzioni e ciascuno ha una personale responsabilità nel custodire il creato, prezioso
dono che Dio ha messo nelle mani degli uomini. Ciò significa da un lato che la natura è a nostra disposizione, ne
possiamo godere e fare buon uso; dall’altro però significa che non ne siamo i padroni. Custodi, ma non padroni. La
dobbiamo perciò amare e rispettare, mentre «invece siamo spesso guidati dalla superbia del dominare, del possedere, del manipolare, dello sfruttare; non la “custodiamo”, non la rispettiamo, non la consideriamo come un dono gratuito di cui avere cura»[11]. Rispettare l’ambiente significa però non solo limitarsi ad evitare di deturparlo, ma anche di
utilizzarlo per il bene. Penso soprattutto al settore agricolo, chiamato a dare sostegno e nutrimento all’uomo. Non si
può tollerare che milioni di persone nel mondo muoiano di fame, mentre tonnellate di derrate alimentari vengono
scartate ogni giorno dalle nostre tavole. Inoltre, rispettare la natura, ci ricorda che l’uomo stesso è parte fondamentale di essa. Accanto ad un’ecologia ambientale, serve perciò quell’ecologia umana, fatta del rispetto della persona,
che ho inteso richiamare quest’oggi rivolgendomi a voi.
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Il secondo ambito in cui fioriscono i talenti della persona umana è il lavoro. E’ tempo di favorire le politiche di occupazione, ma soprattutto è necessario ridare dignità al lavoro, garantendo anche adeguate condizioni per il suo svolgimento. Ciò implica, da un lato, reperire nuovi modi per coniugare la flessibilità del mercato con le necessità di stabilità e certezza delle prospettive lavorative, indispensabili per lo sviluppo umano dei lavoratori; d'altra parte, significa
favorire un adeguato contesto sociale, che non punti allo sfruttamento delle persone, ma a garantire, attraverso il
lavoro, la possibilità di costruire una famiglia e di educare i figli.
Parimenti, è necessario affrontare insieme la questione migratoria. Non si può tollerare che il Mar Mediterraneo diventi un grande cimitero! Sui barconi che giungono quotidianamente sulle coste europee ci sono uomini e donne che
necessitano di accoglienza e di aiuto. L'assenza di un sostegno reciproco all'interno dell'Unione Europea rischia di
incentivare soluzioni particolaristiche al problema, che non tengono conto della dignità umana degli immigrati, favorendo il lavoro schiavo e continue tensioni sociali. L'Europa sarà in grado di far fronte alle problematiche connesse
all'immigrazione se saprà proporre con chiarezza la propria identità culturale e mettere in atto legislazioni adeguate
che sappiano allo stesso tempo tutelare i diritti dei cittadini europei e garantire l'accoglienza dei migranti; se saprà
adottare politiche corrette, coraggiose e concrete che aiutino i loro Paesi di origine nello sviluppo socio-politico e nel
superamento dei conflitti interni – causa principale di tale fenomeno – invece delle politiche di interesse che aumentano e alimentano tali conflitti. È necessario agire sulle cause e non solo sugli effetti.
Signor Presidente, Eccellenze, Signore e Signori Deputati,
La coscienza della propria identità è necessaria anche per dialogare in modo propositivo con gli Stati che hanno
chiesto di entrare a far parte dell'Unione in futuro. Penso soprattutto a quelli dell'area balcanica per i quali l'ingresso
nell'Unione Europea potrà rispondere all'ideale della pace in una regione che ha grandemente sofferto per i conflitti
del passato. Infine, la coscienza della propria identità è indispensabile nei rapporti con gli altri Paesi vicini, particolarmente con quelli che si affacciano sul Mediterraneo, molti dei quali soffrono a causa di conflitti interni e per la pressione del fondamentalismo religioso e del terrorismo internazionale.
A voi legislatori spetta il compito di custodire e far crescere l'identità europea, affinché i cittadini ritrovino fiducia nelle
istituzioni dell'Unione e nel progetto di pace e amicizia che ne è il fondamento. Sapendo che «quanto più cresce la
potenza degli uomini tanto più si estende e si allarga la loro responsabilità personale e collettiva»[12], vi esorto
[perciò] a lavorare perché l'Europa riscopra la sua anima buona.
Un anonimo autore del II secolo scrisse che «i cristiani rappresentano nel mondo ciò che l'anima è nel corpo»[13]. Il
compito dell'anima è quello di sostenere il corpo, di esserne la coscienza e la memoria storica. E una storia bimillenaria lega l'Europa e il cristianesimo. Una storia non priva di conflitti e di errori, anche di peccati, ma sempre animata
dal desiderio di costruire per il bene. Lo vediamo nella bellezza delle nostre città, e più ancora in quella delle molteplici opere di carità e di edificazione umana comune che costellano il continente. Questa storia, in gran parte, è ancora da scrivere. Essa è il nostro presente e anche il nostro futuro. Essa è la nostra identità. E l'Europa ha fortemente bisogno di riscoprire il suo volto per crescere, secondo lo spirito dei suoi Padri fondatori, nella pace e nella concordia, poiché essa stessa non ancora esente dai conflitti.
Cari Eurodeputati, è giunta l’ora di costruire insieme l’Europa che ruota non intorno all’economia, ma intorno alla sacralità della persona umana, dei valori inalienabili; l’Europa che abbraccia con coraggio il suo passato e guarda con
fiducia il futuro per vivere pienamente e con speranza il suo presente. È giunto il momento di abbandonare l’idea di
un’Europa impaurita e piegata su sé stessa per suscitare e promuovere l’Europa protagonista, portatrice di scienza,
di arte, di musica, di valori umani e anche di fede. L’Europa che contempla il cielo e persegue degli ideali; l’Europa
che guarda e difende e tutela l’uomo; l’Europa che cammina sulla terra sicura e salda, prezioso punto di riferimento
per tutta l'umanità!
Grazie.
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[1] GIOVANNI PAOLO II, Discorso al Parlamento Europeo, 11 ottobre 1988, n. 5.
[2] GIOVANNI PAOLO II, Discorso all'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa, 8 ottobre 1988.
[3] Cfr Benedetto XVI, Caritas in veritate, 7; Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 26.
[4] Cfr Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, 37.
[5] Cfr Evangelii gaudium, 55.
[6] BENEDETTO XVI, Caritas in veritate, 71.
[7] Ibid.
[8] Cfr Evangelii gaudium, 209.
[9] BENEDETTO XVI, Discorso ai Membri del Corpo Diplomatico, 7 gennaio 2013.
[10] Cfr Evangelii gaudium, 231.
[11] Francesco, Udienza Generale, 5 giugno 2013.
[12] Gaudium et spes, 34.
[13] Cfr Lettera a Diogneto, 6.
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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AL CONSIGLIO D’EUROPA
Signor Segretario Generale, Signora Presidente,
Eccellenze, Signore e Signori,
sono lieto di poter prendere la parola in questo Consesso che vede radunata una rappresentanza significativa
dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa, i Rappresentanti dei Paesi Membri, i Giudici della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, come pure le diverse Istituzioni che compongono il Consiglio d'Europa. Di fatto quasi tutta
l'Europa è presente in quest'aula, con i suoi popoli, le sue lingue, le sue espressioni culturali e religiose, che costituiscono la ricchezza di questo continente. Sono particolarmente grato al Signor Segretario Generale del Consiglio
d’Europa, Signor Thorbjørn Jagland, per il cortese invito e per le gentili parole di benvenuto che mi ha rivolto. Saluto
poi la Signora Anne Brasseur, Presidente dell'Assemblea Parlamentare. Tutti ringrazio di cuore per l'impegno che
profondete e il contributo che offrite alla pace in Europa, attraverso la promozione della democrazia, dei diritti umani
e dello stato di diritto. Nell'intenzione dei suoi Padri fondatori, il Consiglio d'Europa, che quest'anno celebra il suo 65°
anniversario, rispondeva ad una tensione ideale all'unità che ha, a più riprese, animato la vita del continente fin
dall'antichità. Tuttavia, nel corso dei secoli hanno più volte prevalso le spinte particolariste, connotate dal susseguirsi
di diverse volontà egemoniche. Basti pensare che dieci anni prima di quel 5 maggio 1949, in cui fu firmato a Londra
il Trattato che istituiva il Consiglio d'Europa, iniziava il più cruento e lacerante conflitto che queste terre ricordino, le
cui divisioni sono continuate per lunghi anni a seguire, allorché la cosiddetta cortina di ferro tagliava in due il continente dal Mar Baltico al Golfo di Trieste. Il progetto dei Padri fondatori era quello di ricostruire l'Europa in uno spirito
di mutuo servizio, che ancora oggi, in un mondo più incline a rivendicare che a servire, deve costituire la chiave di
volta della missione del Consiglio d'Europa, a favore della pace, della libertà e della dignità umana.
D'altra parte, la via privilegiata per la pace - per evitare che quanto accaduto nelle due guerre mondiali del secolo
scorso si ripeta - è riconoscere nell'altro non un nemico da combattere, ma un fratello da accogliere. Si tratta di un
processo continuo, che non può mai essere dato per raggiunto pienamente. È proprio quanto intuirono i Padri fondatori, che compresero che la pace era un bene da conquistare continuamente e che esigeva assoluta vigilanza. Erano
consapevoli che le guerre si alimentano nell'intento di prendere possesso degli spazi, cristallizzare i processi che
vanno avanti e cercare di fermarli; viceversa cercavano la pace che si può realizzare soltanto nell'atteggiamento costante di iniziare processi e portarli avanti.
In tal modo affermavano la volontà di camminare maturando nel tempo, perché è proprio il tempo che governa gli
spazi, li illumina, li trasforma in una catena di continua crescita, senza vie di ritorno. Perciò costruire la pace richiede
di privilegiare le azioni che generano dinamismi nuovi nella società e coinvolgono altre persone e altri gruppi che li
svilupperanno, fino a che portino frutto in importanti avvenimenti storici [1]. Per questa ragione diedero vita a questo
Organismo stabile. Il beato Paolo VI, alcuni anni dopo, ebbe a ricordare che «le istituzioni stesse, che nell'ordine giuridico e nel concerto internazionale hanno la funzione ed il merito di proclamare e conservare la pace, raggiungono il
loro provvido scopo se esse sono continuamente operanti, se sanno in ogni momento generare la pace, fare la pace»[2]. Occorre un costante cammino di umanizzazione, così che «non basta contenere le guerre, sospendere le
lotte, (...) non basta una Pace imposta, una Pace utilitaria e provvisoria; bisogna tendere a una Pace amata, libera,
fraterna, fondata cioè sulla riconciliazione degli animi»[3]. Vale a dire portare avanti i processi senza ansietà ma certo con convinzioni chiare e con tenacia. Per conquistare il bene della pace occorre anzitutto educare ad essa, allontanando una cultura del conflitto che mira alla paura dell'altro, all'emarginazione di chi pensa o vive in maniera differente. È vero che il conflitto non può essere ignorato o dissimulato, dev'essere assunto. Ma se rimaniamo bloccati in
esso perdiamo prospettiva, gli orizzonti si limitano e la realtà stessa rimane frammentata. Quando ci fermiamo nella
situazione conflittuale perdiamo il senso dell'unità profonda della realtà [4], fermiamo la storia e cadiamo nei logoramenti interni di contraddizioni sterili. Purtroppo la pace è ancora troppo spesso ferita. Lo è in tante parti del mondo,
dove imperversano conflitti di vario genere. Lo è anche qui in Europa, dove non cessano tensioni. Quanto dolore e
quanti morti ancora in questo continente, che anela alla pace, eppure ricade facilmente nelle tentazioni d'un tempo!
È perciò importante e incoraggiante l'opera del Consiglio d'Europa nella ricerca di una soluzione politica alle crisi in
atto. La pace però è provata anche da altre forme di conflitto, quali il terrorismo religioso e internazionale, che nutre
profondo disprezzo per la vita umana e miete in modo indiscriminato vittime innocenti. Tale fenomeno è purtroppo
foraggiato da un traffico di armi molto spesso indisturbato. La Chiesa considera che «la corsa agli armamenti è una
delle piaghe più gravi dell’umanità e danneggia in modo intollerabile i poveri»[5]. La pace è violata anche dal traffico
degli esseri umani, che è la nuova schiavitù del nostro tempo e che trasforma le persone in merce di scambio, privando le vittime di ogni dignità. Non di rado notiamo poi come tali fenomeni siano legati tra loro. Il Consiglio d'Europa, attraverso i suoi Comitati e i Gruppi di Esperti, svolge un ruolo importante e significativo nel combattere tali forme
di disumanità. Tuttavia, la pace non è la semplice assenza di guerre, di conflitti, di tensioni. Nella visione cristiana
essa è, nello stesso tempo, dono di Dio e frutto dell'azione libera e razionale dell'uomo che intende perseguire il bene comune nella verità e nell'amore. «Questo ordine razionale e morale poggia precisamente sulla decisione della
coscienza degli esseri umani di un'armonia nei loro rapporti reciproci, nel rispetto della giustizia per tutti»[6]. Come
dunque perseguire l'ambizioso obiettivo della pace? La strada scelta dal Consiglio d'Europa è anzitutto quella della
promozione dei diritti umani, cui si lega lo sviluppo della democrazia e dello stato di diritto. È un lavoro particolarmente prezioso, con notevoli implicazioni etiche e sociali, poiché da un retto intendimento di tali termini e da una riflessione costante su di essi dipende lo sviluppo delle nostre società, la loro pacifica convivenza e il loro futuro. Tale
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studio è uno dei grandi contributi che l'Europa ha offerto e ancora offre al mondo intero. In questa sede sento perciò
il dovere di richiamare l'importanza dell'apporto e della responsabilità europei allo sviluppo culturale dell'umanità. Lo
vorrei fare partendo da un'immagine che traggo da un poeta italiano del Novecento, Clemente Rebora, che in una
delle sue poesie descrive un pioppo, con i suoi rami protesi al cielo e mossi dal vento, il suo tronco solido e fermo e
le profonde radici che s'inabissano nella terra [7]. In un certo senso possiamo pensare all'Europa alla luce di questa
immagine. Nel corso della sua storia, essa si è sempre protesa verso l'alto, verso mete nuove e ambiziose, animata
da un insaziabile desiderio di conoscenza, di sviluppo, di progresso, di pace e di unità. Ma l'innalzarsi del pensiero,
della cultura, delle scoperte scientifiche è possibile solo per la solidità del tronco e la profondità delle radici che lo
alimentano. Se si perdono le radici, il tronco lentamente si svuota e muore e i rami - un tempo rigogliosi e dritti - si
piegano verso terra e cadono. Qui sta forse uno dei paradossi più incomprensibili a una mentalità scientifica isolata:
per camminare verso il futuro serve il passato, necessitano radici profonde, e serve anche il coraggio di non nascondersi davanti al presente e alle sue sfide. Servono memoria, coraggio, sana e umana utopia. D'altra parte - osserva
Rebora - «il tronco s'inabissa ov'è più vero»[8]. Le radici si alimentano della verità, che costituisce il nutrimento, la
linfa vitale di qualunque società che voglia essere davvero libera, umana e solidale. D’altra parte, la verità fa appello
alla coscienza, che è irriducibile ai condizionamenti, ed è perciò capace di conoscere la propria dignità e di aprirsi
all'assoluto, divenendo fonte delle scelte fondamentali guidate dalla ricerca del bene per gli altri e per sé e luogo di
una libertà responsabile [9]. Occorre poi tenere presente che senza questa ricerca della verità, ciascuno diventa misura di sé stesso e del proprio agire, aprendo la strada dell'affermazione soggettivistica dei diritti, così che al concetto di diritto umano, che ha di per sé valenza universale, si sostituisce l'idea di diritto individualista. Ciò porta ad essere sostanzialmente incuranti degli altri e a favorire quella globalizzazione dell'indifferenza che nasce dall'egoismo,
frutto di una concezione dell'uomo incapace di accogliere la verità e di vivere un'autentica dimensione sociale. Un
tale individualismo rende umanamente poveri e culturalmente sterili, perché recide di fatto quelle feconde radici su
cui si innesta l'albero. Dall'individualismo indifferente nasce il culto dell'opulenza, cui corrisponde la cultura dello
scarto nella quale siamo immersi. Abbiamo di fatto troppe cose, che spesso non servono, ma non siamo più in grado
di costruire autentici rapporti umani, improntati sulla verità e sul rispetto reciproco. E così oggi abbiamo davanti agli
occhi l'immagine di un'Europa ferita, per le tante prove del passato, ma anche per le crisi del presente, che non sembra più capace di fronteggiare con la vitalità e energia di un tempo. Un'Europa un po' stanca, pessimista, che si sente cinta d'assedio dalle novità che provengono da altri continenti. All'Europa possiamo domandare: dov'è il tuo vigore? Dov'è quella tensione ideale che ha animato e reso grande la tua storia? Dov'è il tuo spirito di intraprendenza
curiosa? Dov'è la tua sete di verità, che hai finora comunicato al mondo con passione? Dalla risposta a queste domande dipenderà il futuro del continente. D'altra parte - per tornare all'immagine di Rebora - un tronco senza radici
può continuare ad avere un'apparenza vitale, ma al suo interno si svuota e muore. L'Europa deve riflettere se il suo
immenso patrimonio umano, artistico, tecnico, sociale, politico, economico e religioso è un semplice retaggio museale del passato, oppure se è ancora capace di ispirare la cultura e di dischiudere i suoi tesori all'umanità intera. Nella
risposta a tale interrogativo, il Consiglio d'Europa con le sue istituzioni ha un ruolo di primaria importanza. Penso
particolarmente al ruolo della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, che costituisce in qualche modo la "coscienza"
dell'Europa nel rispetto dei diritti umani. Il mio auspicio è che tale coscienza maturi sempre più, non per un mero
consenso tra le parti, ma come frutto della tensione verso quelle radici profonde, che costituiscono le fondamenta
sulle quali hanno scelto di edificare i Padri fondatori dell'Europa contemporanea. Insieme alle radici - che occorre
cercare, trovare e mantenere vive con l'esercizio quotidiano della memoria, poiché costituiscono il patrimonio genetico dell'Europa- ci sono le sfide attuali del continente che ci obbligano a una creatività continua, perché queste radici
siano feconde nell'oggi e si proiettino verso utopie del futuro. Mi permetto di menzionarne solo due: la sfida della
multipolarità e la sfida della trasversalità. La storia dell'Europa può portarci a concepirla ingenuamente come una
bipolarità, o al più una tripolarità (pensiamo all'antica concezione: Roma - Bisanzio - Mosca), e dentro questo schema, frutto di riduzionismi geopolitici egemonici, muoverci nell'interpretazione del presente e nella proiezione verso
l'utopia del futuro. Oggi le cose non stanno così e possiamo legittimamente parlare di un'Europa multipolare. Le tensioni – tanto quelle che costruiscono quanto quelle che disgregano - si verificano tra molteplici poli culturali, religiosi
e politici. L'Europa oggi affronta la sfida di "globalizzare" ma in modo originale questa multipolarità. Non necessariamente le culture si identificano con i Paesi: alcuni di questi hanno diverse culture e alcune culture si esprimono in
diversi Paesi. Lo stesso accade con le espressioni politiche, religiose e associative. Globalizzare in modo originale –
sottolineo questo: in modo originale – la multipolarità comporta la sfida di un'armonia costruttiva, libera da egemonie
che, sebbene pragmaticamente sembrerebbero facilitare il cammino, finiscono per distruggere l'originalità culturale e
religiosa dei popoli. Parlare della multipolarità europea significa parlare di popoli che nascono, crescono e si proiettano verso il futuro. Il compito di globalizzare la multipolarità dell'Europa non lo possiamo immaginare con la figura della sfera - in cui tutto è uguale e ordinato, ma che risulta riduttiva poiché ogni punto è equidistante dal centro -, ma
piuttosto con quella del poliedro, dove l'unità armonica del tutto conserva la particolarità di ciascuna delle parti. Oggi
l'Europa è multipolare nelle sue relazioni e tensioni; non si può né pensare né costruire l'Europa senza assumere a
fondo questa realtà multipolare. L'altra sfida che vorrei menzionare è la trasversalità. Parto da un'esperienza personale: negli incontri con i politici di diversi Paesi d'Europa ho potuto notare che i politici giovani affrontano la realtà da
una prospettiva diversa rispetto ai loro colleghi più adulti. Forse dicono cose apparentemente simili ma l’approccio è
diverso. Le parole sono simili, ma la musica è diversa. Questo si verifica nei giovani politici dei diversi partiti. Tale
dato empirico indica una realtà dell'Europa odierna da cui non si può prescindere nel cammino del consolidamento
continentale e della sua proiezione futura: tenere conto di questa trasversalità che si riscontra in tutti i campi. Ciò non
si può fare senza ricorrere al dialogo, anche inter-generazionale. Se volessimo definire oggi il continente, dovremmo
parlare di un'Europa dialogante che fa sì che la trasversalità di opinioni e di riflessioni sia al servizio dei popoli armo19
nicamente uniti. Assumere questo cammino di comunicazione trasversale comporta non solo empatia generazionale
bensì metodologia storica di crescita. Nel mondo politico attuale dell'Europa risulta sterile il dialogo solamente interno agli organismi (politici, religiosi, culturali) della propria appartenenza. La storia oggi chiede la capacità di uscire
per l’incontro dalle strutture che "contengono" la propria identità al fine di renderla più forte e più feconda nel confronto fraterno della trasversalità. Un'Europa che dialoghi solamente entro i gruppi chiusi di appartenenza rimane a
metà strada; c'è bisogno dello spirito giovanile che accetti la sfida della trasversalità. In tale prospettiva accolgo con
favore la volontà del Consiglio d'Europa di investire nel dialogo inter-culturale, compresa la sua dimensione religiosa,
attraverso gli Incontri sulla dimensione religiosa del dialogo interculturale. Si tratta di un'occasione proficua per uno
scambio aperto, rispettoso e arricchente tra persone e gruppi di diversa origine, tradizione etnica, linguistica e religiosa, in uno spirito di comprensione e rispetto reciproco. Tali incontri sembrano particolarmente importanti nell'attuale
ambiente multiculturale,[ multipolare, alla ricerca di un proprio volto per coniugare con sapienza l'identità europea
formatasi nei secoli con le istanze che giungono dagli altri popoli che ora si affacciano sul continente. In tale logica
va compreso l'apporto che il cristianesimo può fornire oggi allo sviluppo culturale e sociale europeo nell'ambito di
una corretta relazione fra religione e società. Nella visione cristiana ragione e fede, religione e società, sono chiamate a illuminarsi reciprocamente, sostenendosi a vicenda e, se necessario, purificandosi scambievolmente dagli estremismi ideologici in cui possono cadere. L'intera società europea non può che trarre giovamento da un nesso ravvivato tra i due ambiti, sia per far fronte a un fondamentalismo religioso che è soprattutto nemico di Dio, sia per ovviare a
una ragione "ridotta", che non rende onore all'uomo. Sono assai numerosi e attuali i temi in cui sono convinto vi possa essere reciproco arricchimento, nei quali la Chiesa cattolica - particolarmente attraverso il Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa (CCEE) - può collaborare con il Consiglio d'Europa e dare un contributo fondamentale.
Innanzitutto vi è, alla luce di quanto ho detto poc’anzi, l'ambito di una riflessione etica sui diritti umani, sui quali la
vostra Organizzazione è spesso chiamata a riflettere. Penso, in modo particolare, ai temi legati alla tutela della vita
umana, questioni delicate che necessitano di essere sottoposte a un esame attento, che tenga conto della verità di
tutto l'essere umano, senza limitarsi a specifici ambiti medici, scientifici o giuridici.] Parimenti sono numerose le sfide
del mondo contemporaneo che necessitano di studio e di un impegno comune, a partire dall'accoglienza dei migranti, i quali hanno bisogno anzitutto dell'essenziale per vivere, ma principalmente che venga riconosciuta la loro dignità
di persone. Vi è poi tutto il grave problema del lavoro, soprattutto per gli alti livelli di disoccupazione giovanile che si
riscontrano in molti Paesi - una vera ipoteca per il futuro - ma anche per la questione della dignità del lavoro. Auspico
vivamente che si instauri una nuova collaborazione sociale ed economica, libera da condizionamenti ideologici, che
sappia far fronte al mondo globalizzato, mantenendo vivo quel senso di solidarietà e carità reciproca che tanto ha
segnato il volto dell'Europa grazie all'opera generosa di centinaia di uomini, donne - alcuni dei quali la Chiesa cattolica considera santi - i quali, nel corso dei secoli, si sono adoperati per sviluppare il continente, tanto attraverso l'attività imprenditoriale che con opere educative, assistenziali e di promozione umana. Soprattutto queste ultime rappresentano un importante punto di riferimento per i numerosi poveri che vivono in Europa. Quanti ce ne sono nelle nostre strade! Essi chiedono non solo il pane per sostenersi, che è il più elementare dei diritti, ma anche di riscoprire il
valore della propria vita, che la povertà tende a far dimenticare, e di ritrovare la dignità conferita dal lavoro. Infine,
tra i temi che chiedono la nostra riflessione e la nostra collaborazione c'è la difesa dell'ambiente, di questa nostra
amata Terra che è la grande risorsa che Dio ci ha dato e che è a nostra disposizione non per essere deturpata, sfruttata e avvilita, ma perché, godendo della sua immensa bellezza, possiamo vivere con dignità. Signor Segretario, Signora Presidente, Eccellenze, Signore e Signori, Il beato Paolo VI definì la Chiesa «esperta in umanità»[10]. Nel
mondo, a imitazione di Cristo, essa, malgrado i peccati dei suoi figli, non cerca altro che servire e rendere testimonianza alla verità [11]. Null'altro fuorché questo spirito ci guida nel sostenere il cammino dell'umanità. Con tale disposizione d'animo la Santa Sede intende continuare la propria collaborazione con il Consiglio d'Europa, che riveste
oggi un ruolo fondamentale nel forgiare la mentalità delle future generazioni di europei. Si tratta di compiere assieme
una riflessione a tutto campo, affinché si instauri una sorta di "nuova agorà", nella quale ogni istanza civile e religiosa
possa liberamente confrontarsi con le altre, pur nella separazione degli ambiti e nella diversità delle posizioni, animata esclusivamente dal desiderio di verità e di edificare il bene comune. La cultura, infatti, nasce sempre dall'incontro
reciproco, volto a stimolare la ricchezza intellettuale e la creatività di quanti ne prendono parte; e questo, oltre ad
essere l'attuazione del bene, questo è bellezza. Il mio augurio è che l'Europa, riscoprendo il suo patrimonio storico e
la profondità delle sue radici, assumendo la sua viva multipolarità e il fenomeno della trasversalità dialogante, ritrovi
quella giovinezza dello spirito che l'ha resa feconda e grande.
Grazie!
__________________________
[1] Cfr Evangelii gaudium, 223.
[2] PAOLO VI, Messaggio per l'VIII Giornata Mondiale della Pace, 8 dicembre 1974.
[3] Ibid.
[4] Cfr Evangelii gaudium, 226.
[5] Catechismo della Chiesa Cattolica, 2329 e Gaudium et spes, 81.
[6] GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la XV Giornata Mondiale della Pace, 8 dicembre 1981, 4.
[7] «Vibra nel vento con tutte le sue foglie / il pioppo severo; / spasima l'aria in tutte le sue doglie / nell'ansia del pensiero: / dal tronco
in rami per fronde si esprime/ tutte al ciel tese con raccolte cime: / fermo rimane il tronco del mistero, / e il tronco s'inabissa ov'è più
vero»: Il pioppo in: Canti dell'Infermità, ed. Vanni Scheiwiller, Milano 1957, 32.
[8] Ibid.
[9] Cfr GIOVANNI PAOLO II, Discorso all'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa, Strasburgo, 8 ottobre 1988, 4.
[10] Lett. enc. Populorum progressio, 13.
[11] Cfr ibid.
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Attività formative
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TEMA
“ARCHITETTURA E LITURGIA: alla scoperta della chiesa-casa di Gesù e della comunità”
Entrare in una chiesa è come entrare in una casa speciale: casa per gli uomini e donne, ma anche casa per Dio; è
una casa che sta sulla terra, ma anche un po’ in cielo. Ogni chiesa nasconde molti segni, quei segni sono parole che
ci vengono rivolte ma che richiedono attenzione e ascolto e che vanno interpretati.
GLI OBIETTIVI
Il corso si prefigge di:
• offrire strumenti per saper leggere le opere d’arte sacra oltre a competenze per inserire nei cammini di fede
l’attenzione all’arte;
• fornire agli operatori della catechesi strumenti per fare catechesi con l’arte;
• valorizzare il patrimonio artistico delle parrocchie come strumento di catechesi;
• conoscere la chiesa-casa di Gesù e della comunità.
MODALITÀ DIDATTICA
Il corso prevede:
• una prima lezione introduttiva in aula (attraverso la videoproiezione) che approfondirà dal punto di vista storico l'evoluzione dell'architettura religiosa e degli spazi liturgici, dalle origini sino al Concilio Vaticano II;
• un secondo appuntamento che prevede una laboratorio all’interno della chiesa dei santi Felice e Fortunato.
DOVE
Il corso - giunto al quinto anno - si svolgerà in due incontri serali presso la parrocchia dei Santi Felice e Fortunato in
Vicenza (sala conferenze accanto al Museo Lapidario).
QUANDO
Giovedì 16 aprile h. 20,15-21,45
Giovedì 23 aprile h. 20,15-21,45
DESTINATARI
Catechisti, animatori ed operatori pastorali della Diocesi di Vicenza e quanti sono interessati al tema.
COME SI ARTICOLA IL CORSO
Primo incontro:
L’ARTE RIVELA: ALCUNI SIGNIFICATI NASCOSTI NELL’ARTE SACRA
Introduzione ai concetti di lettura dell’opera d’arte sacra con un approfondimento sull’architettura sacra: gli spazi
della liturgia; il senso di alcune forme architettoniche in funzione delle celebrazioni; il significato simbolico degli
ambienti e della loro distribuzione nella struttura architettonica.
Secondo incontro:
L’ARTE INSEGNA: SPERIMENTAZIONE DI UN PERCORSO CATECHISTICO
Sperimentazione di un percorso tematico attraverso un laboratorio pratico presso la chiesa dei Santi Felice e Fortunato in Vicenza. I partecipanti, con l’ausilio di alcune schede, saranno introdotti alla scoperta della chiesa - casa
dove si fa memoria di Gesù. Guardo la chiesa; entro in chiesa; abito in chiesa; ascolto Gesù in chiesa.
NOTE ORGANIZZATIVE
E’ necessario iscriversi presso la Segreteria dell’Ufficio per l’Evangelizzazione e la Catechesi entro Giovedì 9 aprile
2015. Il corso verrà attivato se si raggiungeranno almeno una trentina di iscritti (massimo 80). Ai partecipanti si
domanda un contributo spese di € 10,00 a persona.
Per ogni altra informazione ci si può rivolgere:
- alla Segreteria dell’Ufficio per l’Evangelizzazione e la Catechesi
(tf. 0444/226571) - e-mail: [email protected]
- al Museo Diocesano - Servizi Educativi
(tf. 0444/226400) e-mail: [email protected]
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Ciak
L'INTREPIDO
Regia: Gianni Amelio; soggetto: Gianni Amelio; sceneggiatura: Gianni Amelio, Davide
Lantieri; musica: Franco Piersanti; fotografia: Luca Bigazzi; montaggio: Simona Paggi;
scenografia: Giancarlo Basili; costumi: Cristina Francioni; interpreti principali: Antonio
Albanese, Livia Rossi, Gabriele Rendina, Alfonso Santagata, Sandra Ceccarelli; distribuzione: 01 Distribution; durata: 104'; origine: Italia, 2013.
Presentato in concorso a Venezia 70.
Dopo il bellissimo e intenso IL PRIMO UOMO, tratto dall'opera postuma di Albert
Camus, il regista Gianni Amelio cambia decisamente registro e presenta un'opera
che, già dal titolo, rivela un carattere favolistico e allegorico. Il titolo, ha dichiarato
il regista, «riporta ai fumetti che divoravo da ragazzino. In quel giornaletto c'erano
figure illustrate ma io le credevo reali; si narravano storie fantasiose ma io pensavo che la vita fosse quella».
La vicenda. Antonio Pane vive a Milano. Essendo rimasto senza lavoro, se n'è
inventato uno molto particolare, quello di “rimpiazzare”, cioè di prendere, anche solo per qualche ora, il posto di chi si
assenta, per ragioni più o meno serie, dalla propria occupazione ufficiale. Antonio è un uomo buono e disponibile. È
separato dalla moglie, che se n'è andata con un altro, e ha un figlio, Ivo, che studia al conservatorio e suona il sassofono. Antonio ama il lavoro, qualsiasi lavoro, e si cimenta con maestria nelle più svariate occupazioni. Un giorno
incontra Lucia, una ragazza piena di problemi, con la quale instaura un rapporto di autentica amicizia, che gli fa assaporare l'amore di cui è stato privato. Ma la sua bontà non è sempre ricambiata da chi ha a che fare con lui. Anzi, le
cose sembrano andare di male in peggio e Antonio si sente sfruttato e inutile. Soprattutto quando Lucia, in preda alla
disperazione, si suicida e il figlio va in crisi dal punto di vista professionale. Quando s'accorge che le sue prestazioni
vengono sfruttate per fini disonesti, rimane sconvolto e scappa da quel mondo inautentico e disumano. Più tardi lo
troviamo in Albania a fare il minatore. Incontra Ivo che dovrebbe suonare con la sua band, ma che è in preda ad una
crisi di panico. Dopo un accorato colloquio con il figlio, Antonio prende il suo posto di sassofonista, permettendo ad
Ivo di sbloccarsi e di ottenere un meritato successo. Ora finalmente Antonio s'accorge con soddisfazione che la sua
bontà ha prodotto qualcosa di importante.
Il racconto. La struttura del film è lineare e divide la vicenda in due grosse parti: la prima, più lunga, ambientata a
Milano, e la seconda, più breve, che si svolge in Albania. Al centro dell'attenzione c'è la figura del protagonista, Antonio, buono come il pane (il suo cognome è evidentemente significativo). Va detto subito che la figura di Antonio viene immediatamente emblematizzata fino al punto di farne un “tipo”: Antonio è il candido, il buono, il generoso, il mite,
l'onesto, l'altruista, ecc. Di conseguenza la significazione del film non nasce, come avviene di solito, dall'evoluzione
del protagonista, ma dal confronto del protagonista, che è e rimane un certo tipo, con il mondo che lo circonda. Ma
procediamo con ordine.
Milano
Introduzione. Il film incomincia con una didascalia: «A Milano, di questi tempi, ogni giorno Antonio Pane va a lavorare. A modo suo.» Ed ecco subito l'ambientazione: le grandi costruzioni, le gru, le strade deserte, la neve. I primi
blocchi narrativi sono accompagnati da altre didascalie.
- «Lunedì. Ore 6,30: un cantiere». Antonio va di corsa verso un cantiere per sostituire un operaio. Durante la pausa
pranzo (un panino) viene scambiato per un tunisino e ha modo di fare, di fronte ad un tizio che recrimina, un'affermazione piuttosto significativa: «Fortunato chi lavora; almeno può scioperare».
- «Mercoledì, ore 15: un centro commerciale». Antonio, vestito da pupazzo, fa divertire dei bambini, ma si arrabbia
quando vede che gli scombinano quei fogli che gli dovevano servire per partecipare ad un concorso.
- «Venerdì, ore 17,15: un ristorante». Antonio fa il cuoco e dialoga con un cinese. Poi sente della musica provenire
dalla sala da pranzo. Si avvicina e vede il figlio che sta suonando il sassofono. Compiaciuto, osserva: «È diventato
bravo».
- «Sabato, ore 23,30: città di notte». Antonio fa l'attacchino, ma si scontra con alcuni tizi che lo accusano di aver coperto i loro manifesti e lo obbligano a riattaccarli.
Già da questa introduzione emergono alcune indicazioni che verranno sviluppate nel prosieguo del film: la figura del
protagonista e il suo particolare lavoro; il suo amore per il figlio e per la musica; l'ambiente freddo e squallido; le prime delusioni; alcuni elementi di ilarità (come quando aiuta un tizio a portare un' asse ma senza servire a niente).
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Primo blocco.
- Antonio si incontra con il tizio che gli procura il lavoro. Si tratta di un boss senza scrupoli, malato di gotta, che si fa
massaggiare i piedi. Con molta delicatezza Antonio gli fa notare: «Ho segnato tutti i rimpiazzi dell'ultimo mese; ho
segnato i giorni, le ore, i posti. Lo so che pure per voi è un momento difficile, però io è da tanto che non prendo più
un soldo. Io non dico che mi dovete pagare sempre, ma ogni tanto». Il boss gli dice che lo pagherà l'indomani e Antonio, molto docilmente, lo ringrazia.
- Lo vediamo poi fare il conducente di tram. A questo punto inizia anche una musica allegra che dà ai vari episodi un
carattere leggero e scanzonato. Infatti Antonio, che ha dimenticato la propria giacca sul tram, è costretto a rincorrerlo. Fa il pony express, ma viene derubato del materiale che deve consegnare. Procura delle pizze per delle sarte, ma
fa fatica a farsi pagare. Infine, a casa, incontra il figlio che gli ha regalato dei calzini nuovi; e qui emerge tutto l'affetto
che Antonio prova nei suoi confronti.
- Antonio partecipa ad un concorso per trovare un lavoro vero. E qui incontra Lucia, una ragazza chiusa in se stessa
che non sa rispondere alle domande. Naturalmente Antonio, che è l'unico che s'accorge di lei, le passa un foglietto
con le risposte da dare. Uscendo dall'edificio vede degli operai che fanno manutenzione e s'informa se esiste un manuale per imparare a fare il manutentore: naturalmente ne riceve una risposta piuttosto volgare. Va ad un raduno di
lavoratori e, sotto il palco, gonfia dei palloncini che regolarmente gli scoppiano in faccia. In una grande lavanderia e
stireria agisce con grande destrezza, e le immagini, un po' accelerate, tendono a conferirgli un tono quasi chapliniano (con l'ultima immagine in cui cade dentro nel cesto con le gambe all'aria).
- Durante la pulizia di uno stadio Antonio incontra Lucia. La riconosce dagli occhi. Tra i due inizia un dialogo che sfocerà in una bella amicizia. Antonio le racconta del suo incredibile lavoro e quando la ragazza gli chiede perché lo fa,
risponde: «Non lo so. Lo sai la mattina quando ti alzi e non sai dove andare; quando non ti fai neanche la barba perché tanto non devi uscire di casa, non devi vedere nessuno. Io invece voglio farmi la barba tutti i giorni». Antonio
dice inoltre che vuole tenersi in forma, perché «Il giorno che ci sarà lavoro sarò pronto». Rivelando così un incredibile ottimismo.
- Più tardi lo vediamo in veste di badante prendersi amorevole cura di una vecchietta; e poi, ancora con Lucia, in una
scuola, ad incollare etichette sui libri: «Questo è il più bel rimpiazzo che ho fatto in vita mia; tenere in mano un libro è
sempre speciale». Continuano le confidenze tra i due. Antonio, con il suo candore, rivela tutto di sé: dice che i rimpiazzi più brutti sono stati quello di pulire casse da morto e di derattizzare; aspira a fare il “cartello stradale” per dare
indicazioni alla gente, «per indicare alle persone le cose giuste»; vuole trasmettere allegria e dice di sentirsi portato a tutto. I due ridono e scherzano, come due vecchi compagni.
- Antonio porta la ragazza in un locale notturno dove dovrebbe suonare suo figlio, ma non lo trova. Ci resta male: «Ci
tenevo che tu conoscessi mio figlio». Ma è ancora un'occasione per confidarsi. Lucia gli chiede di sua moglie. Lui
risponde: «Ogni tanto la vedo da lontano, ma non so se è lei». La ragazza gli chiede perché si sono separati. «Non
mi meritava», risponde. E alla sua osservazione: «Forse ti voleva parlare e tu non l'ascoltavi», Antonio ribatte:
«Oppure il contrario». Lucia, da parte sua, è molto più riservata: parla dei suoi genitori, che hanno avuto il torto di
metterla al mondo, e della difficoltà di riuscire a pagare l'affitto. Poi i due si lasciano, promettendo di rivedersi.
Secondo blocco.
Se finora la bontà di Antonio non ha prodotto grandi risultati, ma ha creato situazioni di ilarità e qualche piccola delusione, in questo secondo blocco narrativo – dal tono molto più drammatico – sembra sfociare nell'inutilità o addirittura nella sconfitta più cocente.
- È il caso di quando il “segretario” del boss gli dà l'incarico di accompagnare un ragazzino ad incontrare il padre.
Antonio, ingenuamente, esegue il suo lavoro con la solita disponibilità e dolcezza, ma resta profondamente turbato
quando s'accorge che “il padre” che il ragazzino doveva incontrare non è altro che un anziano pedofilo. Si precipita
allora dal boss: «Che mi avete fatto fare?». Con la sua solita delicatezza cerca di non offenderlo e di dare la responsabilità al “segretario”: «Voi non c'entrate niente, ma quello sì. Quello fa affari sporchi alle vostre spalle. Dovete stare
attento, non vi dovete fidare di lui». Ma quando s'accorge che il boss sa benissimo che cosa è successo, ha una reazione d'orgoglio: «Scusate, i soldi che mi dovete non li voglio. Ve li regalo. E non chiamatemi più». Antonio resta così
anche senza quel lavoro, ma conserva intatta la sua dignità e la sua onestà.
- Più tardi lo vediamo con Ivo che cerca di aiutarlo economicamente. Dopo aver espresso la sua sensibilità nei confronti della musica («Pensa quanto è bello fare musica. E poi è un privilegio guadagnarsi il pane con il lavoro che ti
piace. Tienitela stretta la musica, non sai quanto sei fortunato»), Antonio accetta l'aiuto del figlio, ma non vuole che
lo dica alla madre. Poi, con ironia, osserva: «Noi non siamo più una famiglia, siamo una catena di S. Antonio: la
mamma vizia il figlio…che vizia il papà».
- S'incontra poi ancora con Lucia che sembra in preda alla disperazione. Antonio, con la sua solita delicatezza, cerca
di non preoccuparla ulteriormente: «Non ho fatto un granché nell'ultimo periodo, però ci sono delle prospettive; sto
valutando un po' di cose». Ma si capisce che la ragazza non ne può più della sua vita e, significativamente, gli dice:
«Volevo vedere una faccia buona». Lui si preoccupa, le chiede se le è successo qualcosa, se ha qualche dispiacere. Poi, con grande disponibilità, le offre aiuto: «Io ti vorrei aiutare per quello che posso…voglio proprio fare qualcosa; la storia dell'affitto: sei riuscita a pagarlo?». Ma la ragazza non risponde e se ne va.
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- Mentre pulisce il mercato del pesce, Antonio trova un giornale e apprende la notizia che la ragazza si è suicidata.
Si reca sul posto della tragedia e viene intervistato dai giornalisti. «Era una brava ragazza, piena di vita», sono le
sole parole che riesce a dire. Poi se ne va solitario e sconsolato. Anche questa volta la sua bontà non è servita a
niente.
- Più tardi assiste ad un litigio di Ivo con i suoi compagni della band. Il ragazzo è fuori di sé e non accetta di suonare
in un luogo squallido solo per avere più gente: a lui interessa la musica e non il pubblico. Arrabbiato com'è, Ivo aggredisce verbalmente anche il padre, ma ancora una volta Antonio con grande pacatezza cerca di calmarlo e di farlo
ragionare. Anche se non ottiene grandi risultati.
- In un altro momento vediamo Antonio che va in un locale pubblico a vendere delle rose. Dopo vari rifiuti, trova finalmente un tizio che gliele compra. Ma, guarda caso, è l'amante della moglie che si trova al ristorante con la donna.
Antonio resta turbato. Non vuole i soldi per le rose e se ne va, rincorso dalla moglie. I due parlano, sotto la pioggia
(elemento climatico che ritorna spesso a sottolineare la freddezza e lo squallore dell'ambiente). Di fronte alla donna
che cerca di aiutarlo, Antonio minimizza: «Non ho bisogno di niente, davvero». E quando lei rimprovera il figlio di non
averla informata, Antonio, ancora una volta dimostra il suo altruismo: «Ivo deve pensare alla sua vita; questa è la
cosa più importante».
- Evidentemente la moglie cerca di aiutarlo. Infatti poco dopo vediamo Dante, il compagno della donna, che parla
con Antonio e gli offre un lavoro, un lavoro vero. L'uomo ha un traffico di protesi che sembrano rendere molto bene:
«In Italia le protesi non si sa più dove metterle; in Africa vogliono camminare con le loro gambe. Ci vuole una bella
testa per inventarsi un lavoro così». Antonio chiede se si tratta di un lavoro legale, ma viene quasi deriso per questa
sua preoccupazione. Infine Dante gli promette di sistemarlo, ma prima deve darsi una ripulita: «Un uomo senza cravatta compra, ma non vende».
- Ed ecco Antonio con camicia e cravatta a fare il venditore in un negozio di scarpe. Con la sua aria docile e sorridente aspetta che entri qualche cliente. Ma intanto nota che la segretaria mette in una valigetta un bel po' di mazzette di soldi. E quando finalmente arriva un cliente, Antonio si rende conto che quel negozio è pieno di scatole vuote: è
una copertura per traffici evidentemente poco puliti. Il protagonista si accorge di essere stato usato per fini illeciti e,
disperato, scappa da quel negozio e se ne va, solo, in un deserto di strade, mentre un mascherino in chiusura pone
termine a questa grossa parte del film.
Albania.
- La didascalia precisa: «In Albania, qualche tempo dopo». Vediamo Antonio che lavora in una miniera assieme ad
altri operai albanesi che mettono alla prova la sua conoscenza della lingua locale. Quando Antonio sente la parola
«figlio», si fa serio e pensoso.
- Corre da Ivo che deve suonare in un Jazz Festival e lo trova in preda ad una crisi di panico, completamente incapace di suonare e perfino di parlare. Antonio, con grande amore, gli parla: «Come ti posso aiutare? Io certe cose non le
capisco. Cosa vuol dire attacco di panico? Hai paura? È questo? Oppure hai un peso qui che non ti fa respirare? Io
lo sento ogni mattina, ma faccio finta di niente. Poi passa da solo, se ne va. Forse sono io che faccio paura a lui, non
lui a me. Quand'eri piccolo e non parlavi ancora, io non capivo mai perché piangevi. Però stavo là in silenzio e a un
certo punto ti passava. Ho fatto tanta strada per sentirti suonare. E adesso? Fallo per me».
- Antonio se ne va e poco dopo vediamo che sta facendo il rimpiazzo più importante della sua vita: si sostituisce
al figlio nel suonare il sassofono. Ivo sente la musica e sembra risvegliarsi. Segue le orme del padre e prende il suo
posto nel gruppo musicale, ottenendo alla fine un caloroso applauso da una platea numerosa.
Epilogo. L'ultima immagine del film mostra Antonio che, di notte, se ne va, solitario come sempre. Una carrellata lo
segue in CM. Poi improvvisamente si passa ad un PP, di spalle. Antonio si gira. Guarda in macchina con uno sorriso
dolce e soddisfatto. Finalmente la sua bontà ha dato i suoi frutti.
Significazione. Riassumendo: Antonio Pane è un uomo buono. Anzi è l'emblema della bontà, dell'onestà, della generosità. Il suo stesso lavoro (oltre al suo cognome) ha un significato profondo. Fare il rimpiazzo, significa mettersi
nei panni degli altri, capire gli altri, partecipare ai loro problemi. Come già detto, il significato del film non nasce tanto
dall'evoluzione del protagonista, che è sempre uguale a se stesso, ma dal suo rapporto con il mondo che lo circonda. Ecco il grosso peso che acquista l'ambiente. Milano viene descritta come una città fredda e piovosa, con le strade deserte, le grandi costruzioni. Ma anche come un luogo dove si sono persi di vista i veri valori. Un ambiente disumanizzato. Ed ecco che in questo ambiente la bontà non produce frutti, anzi si trasforma in sfruttamento, in sconfitta.
Mentre in Albania, un ambiente umile e semplice, la bontà di Antonio ottiene dei risultati altamente positivi.
Idea centrale.
La bontà e l'onestà non vengono apprezzate in un mondo freddo e disumano, dove prevale l'interesse e l'egoismo.
Anzi, diventa oggetto di scherno e di sfruttamento. Ma, lontano da questo mondo, la bontà dà i suoi frutti e rivela tutta la sua forza di trasformazione e la sua capacità di salvezza.
A cura di Olinto Brugnoli
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Intervista all’autore Andrea Bajani
Andrea carissimo,
ti ringrazio innanzitutto per il tempo che ci concedi.
1 : Come mai hai scelto in più occasioni, penso oltre che a La
scuola non serve a niente anche a Domani niente scuola o alle
tue attività realizzate con studenti, di occuparti di scuola e parlare di scuola?
Mi sembra semplicemente che non se ne possa fare a meno. Siamo in
un mondo molto a comparti stagno: ciascuno pensa alla propria parte,
al proprio settore, alla propria famiglia. A dispetto delle retoriche della
globalizzazione e della tecnologia quel che si crea è soltanto un mondo fatto di piccoli gruppi, con pochissimo ricircolo d’aria. Troppa paura
per aprire le porte all’altro. Ecco: la scuola è il luogo dell’incontro, viceversa, di tutti con tutti. Per questo non se ne può fare a meno.
2 : Leggendoti l’impressione forte è che la scrittura sia per te un
canale importante di impegno, mi verrebbe da dire politico, quali
sono le tematiche che senti più impellenti e che ritieni dovrebbero essere affrontate da chi si occupa di educazione, cultura e istruzione?
La scrittura è prima di tutto relazione. Se si tiene vivo questo elemento diventa evidente che di per sé nella scrittura, come nella scuola, ci sia un elemeno politco imprescindibile. In tempi di solitudine e di selfie,
la relazione può essere persino rivoluzionaria. Di questo mi sembra sia importante tornare a parlare. Tornare a rivendicare la relazione, nelle cosiddette politiche scolastiche, lavorative mi sembra più importante
del tema. Diciamo che è una questione indispensabile di metodo.
3 : Esiste secondo te un punto di contatto tra il mestiere dello scrittore e quello del docente, e se
sì quale?
Come dicevo poco sopra, nella relazione. Ma soprattutto – che sta comunque dentro la relazione –
l’elemento della fiducia. Chi scrive chiede a chi legge di fidarsi di lui. Di più, gli – o le – chiede di affidarsi a
lui. Perché la lettura succeda è necessario questo affidarsi. È un’esperienza che senza la fiducia non esiste. Lo stesso vale per la scuola. Chi insegna chiede la fiducia, che a differenza di quella che chiedono i
governi non si ottiene attraverso mercanteggiamenti ma attraverso un incontro tra persone.
4: Hai vissuto in Germania per alcuni mesi, spesso si fa riferimento alla scuola degli altri stati europei come modello di efficienza e preparazione, che idea ti sei fatto tu? Quali pensi siano gli elementi che dovrebbero essere importati e quali invece rappresento un punto di forza della scuola
italiana?
In Germania esiste un aspetto molto interessante, nell’insegnamento: ovvero la lezione dialettica invece
della lezione frontale. I ragazzi, fin da piccoli, sono invitati a esprimersi, a dire la propria. Questo determina una disinibizione, la capacità di argomentare le proprie idee e sollecita lo spirito critico. Questo a noi
manca. D’altra parte in Italia c’è una ricchezza contenutistica che andrebbe ulteriormente valorizzata, e
che in Germania manca. Se questi due aspetti fossero più integrati avremmo una scuola sicuramente più
complessa e attrezzata all’incontro col mondo di fuori. Ovvero una scuola che trasmette ai ragazzi l’idea
che sono in relazione – anche se critica – con il proprio tempo, e che quel tempo si aspetta qualcosa da
loro.
A cura di Ylenia D’Autilia
Per la recensione del libro si rimanda a “Speciale IR” n° 168.
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“MONDIARIO”:
capire il passato, vivere il presente
e progettare il futuro!
Con piacere vi segnaliamo una lodevole iniziativa che potrà
rivelarsi un’insolita opportunità di approfondimento didattico in classe: si tratta del “Mondiario - diario scolastico 2015/16”, realizzato dai Missionari Comboniani che da tanti anni si dedicano alle popolazioni e situazioni umane di bisogno nel mondo intero. Il diario è
rivolto in particolare ai giovani studenti della Scuola primaria e Secondaria di I° grado (ma non solo!) ed vuole risve gliare l'attenzione
dei ragazzi ai problemi socioculturali e mondiali.
Molto interessante la linea editoriale che gli autori del “Diario” – tra
cui il nostro collega Dario Pravato - hanno voluto sviluppare:
l’edizione del nuovo Mondiario, infatti, riserva per il prossimo anno
scolastico una particolare attenzione a importanti anniversari:
il centenario dell'inizio della grande guerra;
i 70 anni della liberazione dal campo di sterminio nazista di Auschwitz;
e i 70 anni della liberazione dell’Italia dal fascismo e dal nazismo, con la conseguente
fine della guerra.
Il percorso didattico, tracciato dal diario scolastico 2015-2016, ha l'obiettivo di portare gli
alunni alla necessità del ricordo, percorso necessario per capire il passato, ma anche per vivere il presente e progettare il futuro. Ricordare l’inizio e la fine di una guerra diventa così anche
l’occasione per pensare e approfondire il tema della pace, la vera e unica strada che l’umanità
può percorrere oggi, se vuole permettere a tutti gli abitanti del pianeta di vivere una vita in piena
libertà e dignità.
La proposta, quindi, intende far riflettere sulle situazioni di conflitto e alle cause di ieri e di
oggi, per le quali, popoli e paesi, si armano e imboccano il tunnel senza uscita della violenza e
della guerra. Il diario desidera diffondere il valore che più di ogni altro promuove la persona umana: il valore della PACE!
Poiché i bambini e i ragazzi usano quotidianamente il diario, gli autori hanno pensato di
offrire loro uno strumento, bello, stimolante e interessante che lasci un messaggio positivo, occasione anche di agganci interdisciplinari nelle ore di lezione a scuola e a casa.
Come redazione, vogliamo sottolineare che il diario non promuove finalità confessionali e
che il progetto non ha finalità di lucro (a parte i costi di produzione) essendo legato anche ad una
iniziativa di solidarietà. Di fatto, una quota parte servirà per Il progetto denominato Progetto Legal, in Brasile, dove da anni nella comunità di Santa Rita - in cui operano direttamente i Comboniani - ci si adopera per l'accoglienza di centinaia di bambini e adolescenti, spesso manovalanza
per la delinquenza organizzata e lo spaccio di stupefacenti. Gran parte di questi bambini e adolescenti lavorano nelle discariche di rifiuti. Attraverso l’opera dei Comboniani, a questi bambini sono offerti luoghi e spazi con personale altamente qualificato per il doposcuola gratuito, per curare
l'arte, per dei laboratori "creativi, per la musica e l'artigianato. Tanti percorsi didattici, per sconfiggere la povertà e la violenza, con le sole “armi” nonviolente della legalità, la formazione, la cultura e lo sport.
Insomma, riteniamo sia una “bella e buona” proposta questa del Mondiario… e se volete
dare una mano per la diffusione o semplicemente saperne di più, potete scrivere a:
DARIO PRAVATO
Cell: 340.2274410
[email protected],
Potete anche visitare il blog del Mondiario: http://mondiario.jimdo.com
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Memorandum
Volentieri riportiamo le due ricevute di versamento fatte alla Caritas diocesana (in tutto € 200,00) in seguito alle offerte raccolte durante il Ritiro spirituale di Avvento del dicembre scorso. A voi tutti il più vivo ringraziamento!
Vita di casa nostra
La nostra Collega Eleonora Battaglia è diventata mamma per la seconda volta: il
26/11/2014 è nato Tommaso! A lei, al papà e alla sorellina le nostre più vive felicitazioni!
Il 21/02/2015 è nata Caterina. Congratulazioni vivissime a mamma Elena Perin e al papà
Nicolò e un benvenuta alla piccolina.
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